(Ricorso dichiarato inammissibile)
(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 613, c. 1)
Il fatto
Il Tribunale di Chieti, ex art. 324 cod. proc. pen. rigettava la richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il decreto di convalida del sequestro emesso dal Pubblico Ministero in data 26.8.2017.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso per Cassazione personalmente il ricorrente adducendo le seguenti doglianze: 1) illegittimità del sequestro di polizia giudiziaria e della relativa convalida, perché la querela per il reato contestato era stata proposta successivamente agli atti di perquisizione e sequestro; 2) l’atto di convalida del sequestro era stato disposto dal P.M. dr. F., che era persona oggetto di denuncia e di querela unitamente ad altri magistrati da parte del ricorrente; 3) il ricorrente non avrebbe invaso arbitrariamente l’appartamento di S. R.; 4) la S. R. non sarebbe proprietaria dell’immobile ove sarebbe stato sorpreso il ricorrente dalla Polizia Giudiziaria; 5) il ricorrente occupava al momento dei fatti i due appartamenti siti in v. F.P. T. nn. 102 e 104, quale legittimo proprietario e possessore di fatto; 6) il ricorrente si era introdotto nella propria casa sita in v. F.P. T. nn. 102 e 104 dall’ingresso principale del piano terra; 7) nella specie non sarebbe ricorsa la violazione dell’art. 633 cod. pen. con conseguente illegittimità della perquisizione e del sequestro della attrezzatura da bricolage; 8) sarebbe mancata agli atti del processo la prova che la S. R. fosse stata la proprietaria dell’immobile; 9) la notificazione dell’avviso dell’udienza avanti il Tribunale per il riesame sarebbe stata nulla perché effettuata a mezzo posta certificata presso lo studio professionale del ricorrente nonostante l’elezione di domicilio presso l’indirizzo di residenza; 10) i mezzi di ricerca delle prove sarebbero stati vietati agli agenti di Polizia giudiziaria alle 5,00-6,00 del mattino e le ispezioni e le perquisizioni all’interno delle abitazioni avrebbero dovuto essere autorizzate dall’Autorità giudiziaria.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
La Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto per la violazione dell’art. 613 cod. proc. pen..
A questo riguardo si osservava prima di tutto come: a) il ricorso fosse stato depositato presso la Cancelleria del giudice a quo in data 22.12.2017 a mezzo raccomandata pervenuta all’ufficio il 28.12.2017 e successivamente trasmesso alla Cassazione in data 2.1.2018 (v. attestazione riportata sul retro del provvedimento impugnato); b) il ricorso fosse stato proposto in proprio e personalmente dal ricorrente (v. epigrafe dell’atto di impugnazione) c) il ricorrente avesse sottoscritto il ricorso in proprio in tre diverse qualifiche: 1) in qualità di legale di sé medesimo; 2) quale indagato – proprietario dei beni; 3) come persona alla quale erano stati sequestrati i beni e che aveva diritto alla loro restituzione e, in calce al ricorso, risultasse ancora la sottoscrizione del ricorrente nonché dell’avv.to M. a titolo di attestazione dell’autenticità delle firme dell’A. F.; d) il ricorrente, di professione avvocato, avesse affermato di agire in veste di legale di sé medesimo.
Posto ciò, si faceva presente come, secondo quanto affermato in sede di legittimità ordinaria, anche a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 247 n. 2012 (recante “nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense“), l’autodifesa nel processo penale non fosse consentita in difetto di una espressa disposizione di legge [v. Cass. sez. 2 n. 40715 del 16.7.2013, omissis, rv 257072; nello stesso senso, fra le altre: Cass. sez. 5 n. 49551 del 3.10.2016, omissis i, rv 268744; Cass. sez. 6 n. 7472 del 26.1.2017, P.O. in proc. omissis, rv. 269739; e meno recentemente Cass. sez. 1 n. 7786 del 29.1.2008, omissis, rv. 239237; Cass. sez. 5 n. 32143 del 3.4.2013, omissis, rv 256085] dato che, nel processo penale, l’obbligo della difesa tecnica, sancito dagli artt. 96 e 97 c.p.p., esclude che le parti, anche se abilitate all’esercizio della funzione di avvocato, possano essere difese da se stesse secondo quanto già affermato dal Giudice delle leggi (cfr. C. Cost. Ord. 16.12.2006 n. 8/07) e ribadito dalla stessa Cassazione (Cass. Sez. Un. Civ. 2006 n. 139).
Si evidenziava al contempo come non fosse nemmeno possibile attribuire rilevanza al richiamo dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo (cioè alle “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute“), ai fini dell’adeguamento del diritto interno, poiché esso è riferito soltanto alle norme internazionali di natura consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia (v. C. Cost. Ord. 421/97 e Sent. 188/80 e Cass., sez. 2^, 17 maggio 2013, omissis, e Sez. 5, n. 17400 del 02/04/2008 – dep. 28/04/2008, omissis, Rv. 240424).
Tal che, una volta rilevato che, nel caso in esame, il ricorso era stato sottoscritto personalmente dalla parte che, per i motivi appena enunciati, non poteva essere riguardata in veste di legale di sé medesima, si osservava altresì che, dal momento che l’art. 613 cod. proc. pen. prevede al primo comma che l’atto di ricorso (nel giudizio di Cassazione), le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di Cassazione e che (comma secondo) davanti alla Corte le parti sono rappresentate dai difensori, il ricorso in questione, risultando presentato personalmente dalla parte (avvio A.) e non da un difensore, era inammissibile ai sensi del primo comma dell’art. 613 cod. proc. pen. e ciò anche perché non poteva stimarsi sanabile tale vulnus procedutale per il sol fatto che in calce all’atto era stata riportata la sottoscrizione dell’avvio M. in quanto quest’ultimo si era limitato semplicemente ad attestare l’autenticità della firma del ricorrente, ma non agiva nella veste di legale proponente il ricorso.
A sua volta codesto vizio di forma esimeva a suo dire il Supremo Consesso dal prendere in considerazione le varie questioni sollevate dalla difesa in ordine alle quali, sempre ad avviso della stessa Corte, il Tribunale, nei limiti del devoluto, aveva risposto nei seguenti termini: 1) affermando che la perquisizione e il successivo sequestro del corpo del reato a fine probatorio erano stati legittimi alla luce del dettato testuale dell’articolo 346 cod. proc. pen.; 2) rigettando la questione della nullità della notificazione dell’avviso dell’udienza, siccome comunque effettuata presso lo studio del ricorrente, cioè sul luogo di lavoro ex art. 157 cod. proc. pen., così raggiungendo lo scopo; 3) affermando l’esistenza del fumus connmissi delicti; 4) rilevando in re ipsa il requisito della pertinenzialità del bene sequestrato, peraltro non contestata in quella sede dal ricorrente; 5) rigettando le restanti questioni siccome estranee al giudizio del riesame.
Si segnalava oltre tutto come il sequestro compiuto da agenti e non da ufficiali di polizia giudiziaria (questione non dedotta avanti il Tribunale ma solo in questa sede con conseguente inammissibilità ex art. 606 comma 3 cod. proc. pen.[1]) fosse legittimo secondo la disciplina dell’ art. 113 disp. att. cod. proc. pen.[2] [v: Sez. 6, n. 2091 del 09/06/1999 – dep. 20/09/1999, omissis, Rv. 21432901].
La Cassazione, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, come visto anche prima, dichiarava il ricorso inammissibile perché proposto nel difetto del rispetto delle forme dettate dall’art. 613 cod. proc. pen. e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 2.000,00 alla Cassa delle Ammende, ravvisandosi nella condotta del ricorrente gli estremi della responsabilità prevista dal comma 1 dell’art. 616 cod. proc. pen..
Conclusioni
La sentenza in questione è sicuramente condivisibile.
Il nostro ordinamento processualpenalistico, difatti, non consente l’autodifesa in sede penale nemmeno se la persona accusata svolga la professione di legale.
A maggior ragione, dunque, non è possibile ricorrere personalmente per Cassazione nemmeno se il ricorrente sia un avvocato, sia perché non vi è norma di rito penale che consenta di impugnare un provvedimento giurisdizionale in sede di legittimità di persona, sia perché non è prevista alcuna regola che permetta questo quando l’indagato/imputato eserciti la professione forense.
Ove ciò accada, un ricorso per Cassazione proposto in questi termini sarebbe inammissibile e quindi, è sconsigliabile procedere in tal senso.
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[1]Ai sensi del quale: “Il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero, fuori dei casi previsti dagli articoli 569 e 609, comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello”.
[2]Secondo cui: “Nei casi di particolare necessità e urgenza, gli atti previsti dagli articoli 352 e 354, commi 2 e 3, del codice possono essere compiuti anche dagli agenti di polizia giudiziaria”.
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