Il provvedimento, che rigetta la richiesta di incidente probatorio sulla testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., è ricorribile per Cassazione? Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
Indice
- 1. Il fatto
- 2. La questiona prospettata nell’ordinanza di rimessione: l’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per essere stato escluso lo stato di vulnerabilità della vittima, può essere qualificata come abnorme?
- 3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
- 4. Conclusioni: l’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per l’esame della persona offesa di uno dei reati indicati dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., per essere stato escluso lo stato di vulnerabilità della vittima, può essere qualificata come abnorme e, in quanto tale, è ricorribile per Cassazione in riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova
- Note
1. Il fatto
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese chiedeva al Giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale che si procedesse con incidente probatorio all’assunzione di una testimonianza di una persona offesa nell’ambito del procedimento penale pendente in relazione al reato di cui all’art. 572 cod. pen..
In particolare, il Pubblico ministero evidenziava come la richiesta dovesse considerarsi presentata ai sensi dell’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., in una situazione nella quale, in ragione del titolo del reato oggetto di quella indagine, la teste poteva essere qualificata come persona offesa in condizioni di vulnerabilità presunta per legge, sicché l’anticipazione della sua audizione le avrebbe evitato un “trauma da processo” e, allo stesso tempo, avrebbe garantito la genuinità della prova da acquisire, tenuto conto altresì del fatto che, nel caso di specie, l’ammissione dell’incidente probatorio sarebbe stata giustificata anche dalla “particolare vulnerabilità” della teste, in ragione del recente parto e delle conseguenti peculiari condizioni psicologiche.
Ciò posto, a sua volta, il Giudice per le indagini preliminari rigettava la richiesta, osservandosi, tra le argomentazioni ivi addotte, che l’art. 329, comma 1-bis, cod. proc. pen. non prevede per il giudice un “obbligo” di disporre l’incidente probatorio in tutti i casi ivi previsti.
Ebbene, avverso tale ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese, deducendo la violazione di legge per avere il Giudice per le indagini preliminari disatteso la richiesta di incidente probatorio senza tenere conto della ratio giustificativa della disciplina di cui era stata domandata l’applicazione.
Nel dettaglio, il ricorrente – una volta preso atto che la normativa, come confermato dal tenore delle disposizioni di fonte sovranazionale che regolano la materia, è ispirata al bisogno di favorire l’anticipazione della raccolta della prova testimoniale, per evitare il rischio che la persona offesa vulnerabile possa subire le conseguenze di un fenomeno di “vittimizzazione secondaria“, oltre ad essere rivolta a garantire la genuinità della prova, la cui “qualità” verrebbe posta in discussione tanto dalla reiterazione quanto dalla dilazione nel tempo dell’escussione testimoniale di un soggetto fisicamente e psicologicamente “fragile” – osservava come la decisione di rigettare la richiesta di incidente probatorio dovesse considerarsi abnorme in quanto manifestazione di un potere discrezionale esercitato oltre ogni ragionevole limite.
Per la pubblica accusa, il provvedimento impugnato era, dunque, viziato da una “carenza di potere in concreto” sia perché l’istanza era stata formulata per l’assunzione della testimonianza della persona offesa di uno degli specifici reati elencati nell’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., alla quale è riconosciuto ex lege uno status di vulnerabilità, sia perché, in un contesto di presunzione legislativa, nel quale si “annulla” ogni margine di discrezionalità, il Giudice per le indagini preliminari aveva concentrato la motivazione sulla differibilità nel tempo della audizione della vittima del reato, omettendo di illustrare le ragioni della minusvalenza delle esigenze processuali di tutela della persona offesa e di garanzia della genuinità della prova dichiarativa.
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2. La questiona prospettata nell’ordinanza di rimessione: l’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per essere stato escluso lo stato di vulnerabilità della vittima, può essere qualificata come abnorme?
La Sezione della Cassazione, assegnataria del suddetto ricorso, vale a dire la Sezione sesta, rilevava come la questione oggetto dell’impugnazione avesse dato luogo, nella giurisprudenza di legittimità, ad un contrasto interpretativo.
In particolare, codesta Sezione notava che, secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, tendenzialmente maggioritario, il provvedimento con il quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza della persona offesa nei casi indicati dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., è legittimo, perché rientrante nella sfera del potere discrezionale spettante al giudice, posto che le disposizioni di fonte sovranazionale che regolano la materia (art. 35 della Convenzione di Lanzarote del 2007, art. 18 della Convenzione di Istanbul del 2011, artt. 18 e 20 della Direttiva 2012/29/UE), dalle quali emerge l’esistenza dell’interesse primario all’adozione di misure finalizzate alla limitazione delle audizioni della vittima, non comportano nel processo penale alcun “automatismo” probatorio, né tanto meno un obbligo per il giudice di disporre l’assunzione della testimonianza della persona offesa vulnerabile a seguito della mera presentazione di una richiesta di incidente probatorio.
In effetti, per tale approdo ermeneutico, stabilire, in siffatte ipotesi, un “obbligo” per il giudice di ammissione dell’incidente probatorio, oltre che porsi in contrasto con il tenore letterale delle norme del codice di procedura penale, potrebbe finire per realizzare un effetto sproporzionato rispetto allo scopo di tutela del soggetto vulnerabile: come avverrebbe laddove la prova da assumere dovesse risultare irrilevante o superflua, perché ad esempio il dato conoscitivo sia stato già raggiunto aliunde; oppure quando specifiche circostanze di fatto, legate, ad esempio, alle peculiari condizioni della vittima o alle caratteristiche della condotta delittuosa, sconsiglino l’anticipazione alla fase delle indagini dell’assunzione della testimonianza.
Sulla base di tali considerazioni si nega quindi che l’ordinanza, con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per l’esame della persona offesa di uno dei reati sopra considerati, per essere stato escluso lo stato di vulnerabilità della vittima, possa essere qualificata come abnorme, in quanto provvedimento che non si pone al di fuori del sistema processuale e non determina una irrimediabile stasi del procedimento, ben potendo la indicata prova dichiarativa essere acquisita nel prosieguo del giudizio (in questo senso, tra le altre, Sez. 1, n. 46821 del 08/06/2023; Sez. 6, n. 46109 del 28/10/2021; Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2021; Sez. 5, n. 2554 del 11/12/2020; Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020).
Invece, per l’orientamento giurisprudenziale contrapposto, le citate disposizioni di fonte sovranazionale, tutte finalizzate a scongiurare per le vittime di determinati reati il rischio di fenomeni di “vittimizzazione secondaria“, impongono l’anticipazione nel tempo dell’audizione di quelle persone offese, di cui occorre salvaguardare l’integrità fisica e psicologica, altrimenti messa in pericolo da un indebito ritardo ovvero da una ripetizione degli ascolti nel corso del procedimento penale.
Per tale filone interpretativo, il giudice è, dunque, obbligato ad ammettere l’incidente probatorio finalizzato all’assunzione della testimonianza della persona offesa vulnerabile richiesto ai sensi dell’art. 392, comma 1 -bis, primo periodo, cod. proc. pen., potendo rigettare l’istanza solo in assenza degli ulteriori specifici presupposti normativi che legittimano l’anticipazione dell’atto istruttorio, potendosi pervenire a siffatta conclusione sulla base dell’esegesi letterale della disposizione in argomento, caratterizzata, in particolare, dall’impiego della formula “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”; nonché in ragione del fatto che, in tutte le disposizioni del codice di rito in materia di prova penale, sono sempre tenute distinte le facoltà di iniziativa spettanti alle parti processuali, espressione dell’esercizio di diritti potestativi, dai poteri valutativi e decisionali spettanti al giudice destinatario delle relative richieste.
In tali situazioni – si è concluso – è qualificabile in termini di “arbitrarietà” e, dunque, di abnormità, l’ordinanza del giudice di rigetto della richiesta di incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza della persona offesa, laddove tale determinazione sia giustificata da concrete valutazioni in ordine alla vulnerabilità della vittima ovvero alla esistenza della urgenza dell’atto da compiere: il relativo provvedimento è considerato, talora, affetto da abnormità strutturale, in quanto emesso in assenza di un potere espressamente previsto dalla legge (in questo senso Sez. 3, n. 47572 del 10/10/2019; Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019), ovvero da abnormità funzionale, laddove la mancata esposizione delle ragioni che prevalgono sulle esigenze di tutela della vittima e della genuinità della prova finisca per risolversi in una arbitraria disapplicazione di quella speciale regola di assunzione della testimonianza (così Sez. 2, n. 29363 del 24/03/2023).
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite, dopo avere delimitato la questione sottoposta al suo vaglio giudiziale (nei seguenti termini: “Se e a quali condizioni sia abnorme il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen.”), richiamati i suesposti indirizzi interpretativi, e compiute talune considerazioni “sul fenomeno di “stratificazione” normativa che, nel tempo, ha riguardato la disposizione in esame, in quanto oggetto di ripetute modifiche legislative”, ritenevano di dover aderire al secondo dei sopra illustrati orientamenti giurisprudenziali, sia pur con talune puntualizzazioni.
In particolare, si evidenziava prima di tutto che un primo dato, di inequivoco valore semantico, è offerto dalla interpretazione letterale della disposizione dettata dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che l’incidente probatorio c.d. “speciale“, riguardante l’assunzione della testimonianza della persona offesa maggiorenne di uno dei reati compresi nell’elenco ivi contenuto, venga ammesso “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”.
Per la Corte, invero, la citata disposizione ha voluto escludere che il giudice, chiamato a decidere su una siffatta richiesta di incidente probatorio, sia tenuto ad effettuare verifiche in ordine alla indifferibilità della prova ovvero alla non rinviabilità della sua assunzione, fermo restando che la stretta connessione tra lo status di persona offesa in relazione ad uno dei reati ivi elencati, tutti attinenti alle più gravi forme di violenza sessuale, domestica e di genere, nonché la piena parificazione operata dal legislatore, del maggiorenne persona offesa di uno di quei delitti alla figura del minorenne (tanto persona offesa quanto mero teste), che l’ordinamento giuridico considera “per antonomasia” soggetto “fragile“, sono elementi che inducono ragionevolmente a ritenere che quell’inciso (“anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”) abbia il ben preciso significato di aver voluto indefettibilmente collegare il carattere della non rinviabilità della prova alla specifica qualifica posseduta da uno di quei soggetti vulnerabili.
In altri termini, ad avviso degli Ermellini, la formula lessicale impiegata dal legislatore autorizza fondatamente a sostenere che il riconoscimento dello status di vittima vulnerabile, connesso alla tipologia del reato per il quale si procede, preclude al giudice la verifica concreta della indifferibilità dell’atto ovvero della non rinviabilità della assunzione della prova, trattandosi di un presupposto di ammissione dell’incidente probatorio che deve considerarsi oggetto di una presunzione iuris et de iure sicché, in presenza della acclarata appartenenza del teste da ascoltare ad una di quelle “categorie protette“, l’accertamento in concreto della esistenza del requisito della non rinviabilità deve considerarsi escluso per legge, non rientrando nello spettro del sindacato discrezionale spettante, in tali ipotesi, al giudice.
D’altro canto, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, è l’esito della “parallela” operazione di interpretazione logico-sistematica della disposizione de qua che conferma come, nelle situazioni esaminate, ai fini della decisione sulla richiesta di incidente probatorio il giudice non possa compiere alcuna verifica circa la effettiva esistenza del carattere di “vulnerabilità” della persona da ascoltare.
Il raffronto tra il testo del primo periodo del comma 1-bis dell’art. 392 cod. proc. pen. e quello del già richiamato secondo periodo del medesimo comma, porta quindi, per il Supremo Consesso, legittimamente a ritenere, che, solo nel caso regolato da tale secondo periodo, il giudice conservi un più ampio potere valutativo visto che, solamente in tale seconda situazione, quella riguardante l’incidente probatorio c.d. “atipico“, il legislatore ha espressamente affidato al giudice il compito di accertare, seguendo i criteri dettati dall’art. 90-quater cod. proc. pen., se la persona offesa, di cui sia stato domandato l’esame in sede di incidente probatorio, si trovi in “condizioni di particolare vulnerabilità”.
Ebbene, per la Corte, in tale ipotesi, che evidentemente non può che riguardare i procedimenti penali aventi ad oggetto reati diversi da quelli elencati nel primo periodo del comma 1-bis, spetta al giudice appurare in concreto se sussista la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa (anche se minorenne), desumendola, “oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede”, tenendo conto “se il fatto risulta commesso con violenza alla persona con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato” (art. 90-quater cit.).
In buona sostanza, è la lettura dell’intero comma 1-bis dell’art. 392 cod. proc. pen., nella sua “composizione binaria“, ad “illuminare” le ragioni della distinzione tra i casi in cui si procede per specifici gravi reati a sfondo sessuale ovvero espressione di violenza domestica o di genere, nei quali è prevista l’assunzione anticipata della testimonianza del minore o della persona offesa tout court, perché lo status di soggetto vulnerabile è presunto per legge; e tutti gli altri casi, relativi ad altri reati (“In ogni caso”, si legge nell’ incipit del secondo periodo), nei quali la decisione sulla richiesta di anticipazione della assunzione della testimonianza della persona offesa impone una verifica in concreto, da parte del giudice, della sussistenza delle condizioni di particolare vulnerabilità del testimone.
La voluntas legis risulta, così, molto chiara: si è voluta introdurre, con quel secondo periodo, un’ulteriore ipotesi di incidente probatorio, nella quale al giudice è demandato un più ampio potere di controllo, da esercitare volta per volta, a differenza di quanto accade nell’ipotesi disciplinata dal primo periodo del comma 1-bis dell’art. 392 cod. proc. pen., nella quale anche l’esistenza della condizione di vulnerabilità della persona offesa è considerata in re ipsa, cioè presunta per legge in ragione del titolo del reato per il quale si procede.
D’altronde, per le Sezioni unite, elementi di segno contrario non sono desumibili dalla lettura di altre disposizioni codicistiche, non essendo condivisibile il tentativo di chi ha inteso valorizzare il testo dell’art. 398, comma 1, cod. proc. pen., che, nell’indicare gli epiloghi decisori del procedimento incidentale instaurato con la richiesta di incidente probatorio, stabilisce che “il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio”, senza distinguere tra le istanze formulate ai sensi del comma 1 e quelle presentate a mente del comma 1 -bis, primo periodo, dell’art. 392 dello stesso codice, e ciò perché, anche nel caso di richiesta di incidente probatorio finalizzata all’assunzione della testimonianza della persona offesa nei procedimenti elencati nel primo periodo del considerato comma 1-bis, il giudice conserva un potere di sindacato in ordine alla presenza di ulteriori requisiti di ammissibilità o di fondatezza della istanza, diversi da quelli oggetto delle due presunzioni legislative, dovendo, comunque, accertare che: la domanda sia stata formulata da una delle parti legittimate; sia stata proposta in una delle fasi in cui l’incidente è consentito; il procedimento abbia ad oggetto uno dei reati contenuti nell’elenco del predetto primo periodo del comma 1-bis la persona di cui è stato chiesto l’esame testimoniale sia effettivamente un minorenne o la persona offesa maggiorenne; l’istanza sia stata avanzata nel rispetto delle ulteriori forme e dei termini regolati dal codice di rito; allo stesso modo, sempre il Supremo Consesso, non conduce a differenti conclusioni il tenore della disposizione dell’art. 393, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prescrive, in generale, quale dev’essere il contenuto della richiesta di incidente probatorio dal momento che, se risponde ad un’esigenza di coerenza sistematica l’avere prescritto che l’istanza debba indicare “la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l’oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione dibattimentale” (lett. a), nonché “le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova” (lett. b), va considerato, invece, frutto di un difetto di coordinamento legislativo l’aver lasciato, nel tempo, immutato il dettato originario della lett. c) (secondo cui nella istanza vanno pure precisate “le circostanze che, a norma dell’articolo 392, rendono la prova non rinviabile al dibattimento”), trattandosi all’evidenza di una prescrizione di cui non è necessaria l’osservanza se la richiesta sia stata presentata ai sensi del comma 1 -bis, primo periodo, dell’art. 392 cod. proc. pen..
D’altra parte, è ragionevole ritenere come resti, in ogni caso, ferma l’applicabilità della regola generale dettata, in materia di prova penale, dall’art. 190, comma 1, cod. proc. pen., per cui il giudice è sempre tenuto ad escludere, tra quelle richieste, “le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti”, trattandosi di ipotesi che, come pure osservato in dottrina, al pari di quella concernente la valutazione della rilevanza della prova ai sensi dell’art. 393, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., vanno considerate più “teoriche” che non “pratiche“, laddove la richiesta di incidente probatorio sia presentata per l’assunzione della testimonianza di un minore o della persona offesa di uno dei reati elencati nell’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., riguardando ciò situazioni processuali nelle quali è davvero difficile immaginare che quella prova dichiarativa possa risultare manifestamente superflua o irrilevante.
Nulla esclude, tuttavia, per i giudici di legittimità ordinaria che, in applicazione di tali disposizioni, il giudice possa giungere a rigettare una richiesta di incidente probatorio, laddove l’esame testimoniale dovesse risultare in concreto del tutto inutile, perché, ad esempio, la prova dei fatti oggetto della deposizione sia stata raggiunta aliunde; oppure se l’esame dovesse essere risultare “non praticabile” per le particolari condizioni personali in cui si trova il dichiarante ma, in tali casi, il giudice, che intende dichiarare inammissibile o rigettare la richiesta, sarà tenuto a dare conto delle specifiche ragioni della sua decisione, assolvendo ad un onere di motivazione puntuale e specifica, per evitare il rischio che le sue determinazioni possano tradursi in una sostanziale elusione delle indicate presunzioni di legge.
Dunque, per codeste Sezioni, proprio in questo senso è possibile negare validità all’affermazione, contenuta in talune delle sopra esaminate sentenze della Cassazione secondo cui la disciplina dell’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen. regolerebbe un “meccanismo caratterizzato da una forma di automatismo probatorio”, perché il giudice sarebbe sempre, e comunque, obbligato a disporre l’assunzione della prova dichiarativa sulla base della sola richiesta di incidente probatorio: le argomentazioni innanzi esposte permettono più correttamente di qualificare la situazione in esame come una di quelle nelle quali la legge fissa solamente un “limite” ovvero un “condizionamento” all’esercizio del potere discrezionale del giudice penale, dovendosi invece reputare le conclusioni cui sono pervenute altre pronunce, nelle quali si è sostenuto che non è di ostacolo alla configurabilità della presunzione di legge circa l’esistenza dei due indicati requisiti per l’ammissione dell’incidente probatorio c.d. “speciale” la circostanza che l’assunzione anticipata della testimonianza della persona offesa vulnerabile sia, comunque, condizionata dalla necessaria presentazione della richiesta di una delle parti legittimate.
Del resto, si stima come non sia affatto irragionevole ritenere che ad una facoltà discrezionale delle parti processuali interessate corrisponda un potere discrezionale “limitato” del giudice nel sindacare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento di una istanza dato che, nel codice di procedura penale, il “meccanismo” di formazione della prova penale presuppone sempre, salvo casi eccezionali, l’esercizio di un diritto potestativo spettante alle parti; inoltre, la disciplina codicistica conosce numerose situazioni nelle quali, ad una facoltà di iniziativa esercitabile discrezionalmente dalle parti, corrisponde un potere decisorio del giudice penale caratterizzato da una discrezionalità “limitata” ovvero “indirizzata” da specifiche prescrizioni legislative.
Proprio con riferimento alla materia in esame, tra l’altro, non sono prive di significato le modifiche che il legislatore delle considerate novelle ha introdotto nell’art. 190-bis cod. proc. pen., con l’inserimento e la successiva modifica del comma 1-bis, che, nel testo oggi vigente, stabilisce che la disposizione del comma 1 dello stesso articolo “si applica quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.l, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, se l’esame richiesto riguarda una testimone minore degli anni diciotto e, in ogni caso, quando l’esame testimoniale richiesto riguarda una persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità”.
Pur in assenza di un’esatta corrispondenza con il catalogo dei reati previsto dall’art. 392, comma 1 -bis, primo periodo, cod. proc. pen., difatti, le limitazioni all’esercizio del diritto alla prova, introdotte con l’art. 190-bis cod. proc. pen., sono nella sostanza complementari alle ipotesi di ampliamento delle possibilità di impiego dell’incidente probatorio nel senso che entrambe le modifiche legislative rispondono alla medesima logica, che è quella di anticipare nel tempo l’acquisizione della prova per proteggere testi “deboli“, prevedendo correlate forme di esercizio “guidato” del potere decisionale spettante al giudice.
Per gli Ermellini, inoltre, l’opzione interpretativa, recepita in siffatto arresto giurisprudenziale, è la più coerente con una esegesi costituzionalmente orientata della disposizione processuale in esame, rilevandosi a tal riguardo che la Corte costituzionale – nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche persona offesa dal reato – ha espressamente chiarito come quella prevista dalla disposizione in argomento sia una presunzione legislativa di sussistenza della condizione di vulnerabilità, che avvince entrambe le categorie di soggetti, quella dei minorenni e quella delle persone offese di uno dei reati ivi elencati; presunzione che si è ritenuta conforme a dati di esperienza generalizzati, riassumibili nella formula dell’id quod plerumque accidit: la scelta di equiparare quelle due categorie di soggetti “fragili“, quanto alla necessità dell’anticipazione dell’assunzione testimoniale, si è reputata conforme ai parametri della Carta fondamentale, perché compatibile con la sfera di discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti processuali in materia penale, sottolineandosi così come tale presunzione, che si traduce in un’eccezionale deroga al principio processuale della immediatezza della prova penale (per cui, di norma, vi dovrebbe essere una identità del giudice che acquisisce le prove e di quello che poi decide), sia strettamente connessa alla “presunzione di indifferibilità e di non rinviabilità dei contenuti testimoniali proprio in ragione della natura dei reati contestati e della condizione di vulnerabilità dei soggetti da audire”.
La Corte costituzionale ha, dunque, ricordato che l’introduzione nel 1996 della nuova ipotesi di incidente probatorio deve considerarsi “speciale” perché svincolala dall’ordinario presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento” in quanto “rivolta soprattutto a tutelare la personalità del minore, consentendogli di uscire al più presto dal circuito processuale per aiutarlo a liberarsi più rapidamente dalle conseguenze psicologiche dell’esperienza vissuta”; e, nello stesso tempo, come essa sia “rivolta anche a garantire la genuinità della formazione della prova, atteso che l’assunzione di essa in un momento quanto più prossimo alla commissione del fatto costituisce anche una garanzia per l’imputato, perché lo tutela dal rischio di deperimento dell’apporto cognitivo”.
D’altronde, la piena parificazione dello status del minore con quello del maggiorenne persona offesa nei procedimenti penali aventi ad oggetto determinati reati è stata rimarcata dalla Consulta, lì dove si è (per la Corte di legittimità) efficacemente sottolineato come le ulteriori modifiche dell’art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., riguardanti “l’assunzione anticipata della prova testimoniale del minore e, più in generale, del soggetto vulnerabile”, si siano inserite “in un più ampio sistema normativo, che testimonia nel suo complesso, anche in conseguenza dell’adozione di normative di fonte sovranazionale… lo spazio dato dall’ordinamento, anche con riguardo al processo penale, a “provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori”, cui si è associata “la volontà di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti”(Corte cost., sent. n. 14 del 2021; in senso sostanzialmente conforme, Corte cost., sent. n. 63 del 2005; Corte cost., ord. n. 108 del 2003; Corte cost., sent. n. 529 del 2002).
Oltre a ciò, si evidenziava per di più come il Giudice delle leggi abbia pure reiteratamente evidenziato che le scelte operate dal legislatore con l’introduzione della disciplina riservata alle forme “speciale” o “atipica” dell’incidente probatorio – che hanno finito per costituire, nella materia della prova penale, una sorta di “sub-sistema” dedicato all’assunzione della prova testimoniale del minorenne o del maggiorenne vulnerabile – non si pongono in contrasto con le garanzie difensive riconosciute dagli artt. 24 e 111 Cost., essendo tali opzioni legislative il frutto di un congruo bilanciamento di valori contrapposti: da un lato, quello connesso alla tutela della personalità del minore o della persona vulnerabile, obiettivo di sicuro rilievo costituzionale; “dall’altro, i valori coinvolti dal processo penale, quali quelli espressi dai principi, anch’essi di rilievo costituzionale, del contraddittorio e del diritto di difesa, in forza dei quali l’accusato deve essere posto in grado di confrontarsi in modo diretto con il materiale probatorio e, in specie, con le prove dichiarative” (Corte cost., sent. n. 92 del 2018; conf. Corte cost., sent. n. 14 del 2021; Corte cost., sent. 262 del 1998), fermo restando che queste scelte legislative sono state, pure, giudicate compatibili con i principi del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, poiché le nuove disposizioni codicistiche comportano, in via eccezionale, limitate ed accettabili deroghe al principio dell’immediatezza, perché contestualmente adottate con altre misure tese ad assicurare che il giudice chiamato a decidere abbia una piena conoscenza del materiale probatorio in precedenza acquisito (Corte cost., sent. n. 132 del 2019), così come nella stessa linea si sono anche poste le pronunce della stessa Cassazione, che hanno escluso la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale in relazione all’art. 6 CEDU delle disposizioni in materia di incidente probatorio “speciale” che prevedono l’impiego di particolari modalità protette per l’esame anticipato delle vittime vulnerabili e la non rinnovabilità della prova in dibattimento (cfr. Sez. 3, n. 10374 del 29/11/2019; Sez. 3, n. 5808 del 04/12/2018; Sez. 3, n. 47702 del 14/06/2018).
Sempre ad avviso delle Sezioni unite, tra l’altro, la soluzione interpretativa, recepita con la pronuncia qui in commento, è quella preferibile pure perché più rispettosa dei risultati di una esegesi orientata al rispetto delle disposizioni in materia dettate dalle fonti normative sovranazionali.
Invero, costituisce espressione di un consolidato orientamento, tanto della giurisprudenza costituzionale quanto di quella di legittimità, il principio per cui, anche nell’interpretazione delle norme processuali penali, il giudice è tenuto a verificare che il significato delle disposizioni dell’ordinamento interno sia conforme al tenore di quelle sovranazionali, dovendo tale verifica avvenire innanzitutto qualora si tratti di norme del diritto dell’Unione europea non direttamente applicabili, ma dal contenuto sufficientemente dettagliato e puntuale, nella lettura che di esse sia stata data dalla Corte di giustizia, a condizione ovviamente che non vengano messi in discussione principi fondamentale dell’ordinamento costituzionale, né vengano determinati inaccettabili effetti applicativi in malam partem di natura sostanziale (in questo senso, nella giurisprudenza costituzionale, tra le altre, Corte cost., sent. n. 115 del 2018; e ord. n. 24 del 2017; e, nella giurisprudenza di legittimità, Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009), tenuto conto altresì del fatto che essa deve essere effettuata, inoltre, con riferimento a norme contenute in trattati e convenzioni internazionali in materia di tutela di diritti fondamentali, in specie a quelle presenti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che, come noto, possiedono un “rango subcostituzionale“, potendo costituire parametro interposto di legittimità costituzionale per il tramite dell’art. 117 Cost.: con l’effetto di imporre ai giudici nazionali l’impegno di uniformarsi ai vincoli derivanti dalle disposizioni della suddetta Convenzione (e alle indicazioni interpretative che alle stesse abbia dato la Corte europea dei diritti dell’uomo), purché ciò si traduca in un risultato interpretativo secundum o praeter legem, e mai contra legem (così, nella giurisprudenza costituzionale, tra le tante, Corte cost., sent. n. 45 del 2015; Corte cost. sent. n. 311 e n. 317 del 2009; Corte cost., sent. n. 348 e 349 del 2007; e, nella giurisprudenza di legittimità, tra le altre, Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020; Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010).
Orbene, in tale angolo di visuale, si notava come le medesime Sezioni Unite avessero già avuto modo di porre l’accento sull’importanza che hanno avuto le plurime iniziative normative convenzionali ed eurounitarie in materia di protezione delle vittime vulnerabili nel conformare le scelte del legislatore nazionale e nell’indirizzare le prassi applicative della giurisprudenza.
In particolare, nel chiarire che la formula “delitti commessi con violenza alla persona”, presente nell’art. 408, comma 3-bis, cod. proc. pen., debba essere letta come comprensiva anche dei reati di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi (in quanto l’espressione “violenza alla persona” va intesa alla luce del concetto di “violenza di genere“, risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario), si è sottolineato che “l’interesse per la tutela della vittima costituisce da epoca risalente tratto caratteristico dell’attività delle organizzazioni sovranazionali sia a carattere universale, come l’ONU, sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, e gli strumenti in tali sedi elaborati svolgono un importante ruolo di sollecitazione e cogenza nei confronti dei legislatori nazionali tenuti a darvi attuazione” (Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016).
D’altro canto, la Corte costituzionale, da far suo, ha posto in evidenza come la legislazione processuale penale nazionale si sia progressivamente arricchita per effetto di una serie di interventi normativi, con i quali si è “tenuto conto, tra l’altro, anche della necessità di uniformare l’ordinamento interno alle previsioni di norme sovranazionali attinenti, in modo specifico, alle modalità di assunzione della testimonianza del minore vittima di reati o, amplius, alla tutela del testimone “vulnerabile”… Previsioni di tal fatta si rinvengono, in specie, oltre che in talune Raccomandazioni, nella Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, ratificata e resa esecutiva con legge 1 ottobre 2012, n. 172 (artt. 30,31 e 35), nonché, quanto al diritto dell’Unione europea, nella decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (artt. 2, paragrafo 2; 3, paragrafo 3; 8, paragrafi 3 e 4), e indi nella Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (artt. 19, paragrafo 1; 22, paragrafo 4; 23)” (Corte cost., sent. n. 92 del 2018; conf. Corte cost., sent. n. 173 del 2024; Corte cost., sent. 197 del 2023; Corte cost., sent. n. 236 del 2018; e Corte cost., sent. n. 172 del 2014).
La risposta al quesito posto nella fattispecie in esame, per le Sezioni unite, non può prescindere, dunque, dalle “linee di indirizzo” riconoscibili nelle disposizioni di fonte sovranazionale che il legislatore nazionale ha, in più occasioni, dichiaratamente inteso “prendere a modello“.
Ebbene, al riguardo era ricordato come l’art. 35 della citata Convenzione di Lanzarote del 2007 stabilisce che “ogni Parte adotterà le misure legislative o di altra natura necessarie per garantire che: a) le audizioni del minore si svolgano senza ritardi ingiustificati dopo che i fatti sono stati segnalati alle autorità competenti;… e) il numero di tali audizioni sia il più possibile limitato a quanto è strettamente necessario ai fini del procedimento penale”; e come l’art. 18 della richiamata Convenzione di Istanbul del 2011 preveda che “le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie, conformemente al loro diritto interno, per garantire che esistano adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorità giudiziarie… al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione… (mirando)…ad evitare la vittimizzazione secondaria”.
Inoltre, gli artt. 18 e 20 della menzionata Direttiva 2012/29/UE prescrivono che “gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici, e per salvaguardare la dignità della vittima durante gli interrogatori o le testimonianze (tra l’altro provvedendo) a che durante le indagini penali: a) l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorità competente; b) il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale”.
Dunque, la stretta correlazione tra le peculiari caratteristiche dell’incidente probatorio c.d. “speciale“, disciplinato dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., e la necessità di attuare nel processo penale un equilibrato bilanciamento tra interessi contrapposti “in gioco” – quello connesso alla tutela della personalità della persona vulnerabile e quello al rispetto delle garanzie difensive dell’imputato – permette, altresì, per la Corte di legittimità, di riconoscere un evidente collegamento tra gli “approdi” della giurisprudenza costituzionale e le decisioni della giurisprudenza convenzionale, cui si deve il merito di avere arricchito l’elaborazione di quel concetto di vittimizzazione c.d. “secondaria“, che ha poi trovato la sua “codificazione” nelle richiamate disposizioni della Direttiva 2012/29/UE poiché, nelle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, il rischio della “vittimizzazione secondaria” della persona offesa, cui il diritto dell’Unione europea connette l’interesse alla protezione della vittima dal processo e dalle insidie emotive e psicologiche derivanti dall’impatto con la struttura istituzionale, si è tradotto nell’applicazione dell’art. 8 CEDU che riconosce il diritto al rispetto e alla vita privata anche nel processo penale.
In una lettura che accomuna il concetto della “vittimizzazione secondaria” a quello della vulnerabilità, la Corte di Strasburgo ha, infatti, ritenuto che il diritto previsto dall’art. 8 CEDU possa risultare in concreto violato, oltre che nei casi in cui l’iniziativa processuale sia stata lasciata alla decisione della persona offesa del reato o si sia realizzata una eccessiva esposizione, anche mediatica, della stessa, anche laddove nel processo vengano adottate forme e modalità di audizione che non garantiscano una adeguata protezione della vittima (cfr., tra le altre, Corte EDU, 27/05/2021, J.L. c. Italia; Corte EDU, 09/02/2021, Affaire N.Q. c. Turchia; Corte EDU, 14/05/2020, Mraovic c. Croazia; Corte EDU, 02/03/2017, Talpis c. Italia; Corte EDU, 28/05/2015, Y. c. Slovenia).
Infine, veniva segnalato come la Corte di giustizia delle Comunità Europee nel 2005 si fosse già occupata direttamente della materia de qua.
In effetti, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla interpretazione delle disposizioni dettate dagli artt. 2, 3 e 8 della decisione quadro del 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (disposizioni che sono state poi assorbite nella Direttiva 2012/29/UE) -nell’affrontare i riflessi di una vicenda riguardante un procedimento penale pendente in Italia, nel quale era stato chiesto l’incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza di un minore – la Corte di Lussemburgo ha inequivocabilmente chiarito che “la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalle citate disposizioni della decisione quadro impone che un giudice nazionale abbia la possibilità, per le vittime particolarmente vulnerabili, di utilizzare una procedura speciale, come l’incidente probatorio diretto all’assunzione anticipata della prova, prevista nell’ordinamento di uno Stato membro, nonché le modalità particolari di deposizione pure previste, se tale procedura risponde in modo ottimale alla situazione di tali vittime e si impone al fine di impedire la perdita degli elementi di prova, di ridurre al minimo la ripetizione degli interrogatori e di impedire le conseguenze pregiudizievoli, per le dette vittime, della loro deposizione in pubblica udienza” (Corte giustizia, 16/06/2005, Pupino).
Ciò posto, a questo punto della disamina, le Sezioni unite ritenevano necessario trattare un ulteriore e complementare profilo, vale a dire se l’ordinanza del giudice di rigetto della richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., motivata con riferimento alla vulnerabilità della persona offesa o alla non rinviabilità della prova, sia impugnabile con ricorso per Cassazione.
Difatti, poiché il codice di procedura penale non prevede espressamente la impugnabilità di un siffatto provvedimento, il quesito è più propriamente se una siffatta ordinanza possa essere qualificata come abnorme e, dunque, possa costituire oggetto di un ricorso per Cassazione che, come noto, è, a quelle condizioni, l’unico rimedio esperibile in deroga al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione.
Orbene, per la Suprema Corte, le risposte su tale punto non sono univoche nelle sentenze dell’orientamento giurisprudenziale minoritario che riconosce la impugnabilità di tale ordinanza, essendo stato prospettato talora un vizio di abnormità strutturale (Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019), talaltra la configurabilità di un’abnormità funzionale (Sez. 2, n. 29363 del 24/03/2023).
In particolare, la definizione delle varie forme di abnormità è stata caratterizzata, nella giurisprudenza delle Sezioni unite, da un processo di graduale “affinamento” dovuto alla natura “pretoria” dell’istituto, ma anche alla molteplicità delle situazioni processuali con riferimento alle quali si è posto il problema della sussistenza o meno di quel vizio in un provvedimento del giudice.
Ebbene, le Sezioni unite reputavano come non vi fosse alcuna valida ragione per rimettere in discussione la soluzione interpretativa che queste stesse Sezioni avevano delineato nelle loro ultime pronunce nelle quali, pur con qualche adattamento giustificato dalla peculiarità delle varie fattispecie procedimentali di volta in volta esaminate, si è concluso nel senso di postulare che, se l’abnormità è qualificabile come strutturale laddove il provvedimento del giudice si ponga al di fuori del sistema processuale, in quanto espressione dell’esercizio di un potere non attribuito dall’ordinamento processuale, dunque adottato in una situazione di “carenza di potere in astratto”; ovvero quando esso sia manifestazione di un potere riconosciuto dall’ordinamento, ma esercitato al di fuori dei casi consentiti, in un contesto processuale del tutto diverso da quella previsto dalla legge, per cui sia riconoscibile una “radicale deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale”, dunque una situazione di “carenza di potere in concreto”; in entrambe le ipotesi, si tratta di provvedimento frutto di uno sviamento di potere, che integra gli estremi del vizio della abnormità se è causa di un pregiudizio altrimenti non sanabile in relazione ai diritti soggettivi o alle facoltà delle parti, l’abnormità è qualificabile, invece, come funzionale laddove il giudice abbia esercitato un potere riconosciutogli dall’ordinamento, ma il provvedimento emesso comporti una stasi del procedimento ovvero un’impossibilità di proseguirlo: fattispecie che si verifica non tanto perché il provvedimento abbia comportato un regresso del procedimento ad un grado o ad una fase precedente (regresso che comporterebbe, di regola, la mera illegittimità del provvedimento, e, in assenza di espressa previsione legislativa, la non ricorribilità della relativa decisione), bensì unicamente quando esso imporrebbe al pubblico ministero il compimento di un atto nullo, come tale rilevabile nel corso del successivo procedimento; in altri termini, l’abnormità funzionale non sussiste laddove la decisione del giudice non comporti una irrimediabile stasi processuale, perché, indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno una indebita regressione del procedimento, le conseguenze del provvedimento “anomalo” finiscono per diventare “innocue“, in quanto risolvibili per mezzo di successive “attività propulsive legittime” (Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023; Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009).
Seguendo tali indicazioni, per la Corte, è dunque possibile affermare che l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nel catalogo di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen. – laddove fondata su valutazioni che attengono alla vulnerabilità della persona offesa ovvero alla non rinviabilità dell’assunzione della prova – rientri nella categoria dei provvedimenti viziati da abnormità strutturale per “carenza del potere in concreto” posto che l’aver riconosciuto che quella disposizione, in ragione della speciale natura del reato per il quale si procede, prevede una presunzione iuris et de iure in ordine alla esistenza sia del requisito della vulnerabilità della persona offesa da esaminare sia di quello della non rinviabilità della assunzione della relativa prova testimoniale comporta che l’ordinanza di rigetto motivato nei termini sopra indicati debba considerarsi manifestazione dell’esercizio di un potere caratterizzato da una radicale “deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale”.
Modello, questo, che, – al pari di quanto accade “tout court” per l’assunzione della testimonianza del minorenne, sempre nell’ambito di un procedimento penale riguardante uno dei reati inseriti nell’elenco più volte richiamato – trova la sua ratio nell’esigenza primaria e indefettibile di scongiurare fenomeni di vittimizzazione secondaria della persona offesa (o del teste minorenne) e di garantire la genuinità della prova da acquisire.
D’altronde, l’adozione di una ordinanza motivata nei termini sopra specificati è causa di un pregiudizio altrimenti non sanabile per le situazioni soggettive delle parti interessate, perché quella prova dichiarativa resta in astratto assumibile nel prosieguo del giudizio, ma il mancato accesso all’incidente probatorio determina una compromissione di bisogni di tutela che il legislatore, con il riconoscimento di una loro assoluta prevalenza, ha posto a presidio della operatività dell’istituto speciale in esame.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, risolvevano il suddetto contrasto giurisprudenziale, formulando il seguente principio di diritto: “È viziato da abnormità ed è, quindi, ricorribile per cassazione il provvedimento con il quale il giudice rigetti la richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., motivato con riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti la cui esistenza è presunta per legge”.
4. Conclusioni: l’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per l’esame della persona offesa di uno dei reati indicati dall’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., per essere stato escluso lo stato di vulnerabilità della vittima, può essere qualificata come abnorme e, in quanto tale, è ricorribile per Cassazione in riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova
Le Sezioni unite, nella pronuncia qui in esame, hanno affrontato la seguente questione di diritto: “Se e a quali condizioni sia abnorme il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen.[1]”.
Orbene, codeste Sezioni, come appena visto, con una motivazione assai articolata, hanno ritenuto come un provvedimento di questo genere possa essere affetto da abnormità e, come tale, ricorribile per Cassazione, in riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti la cui esistenza è presunta per legge.
Quindi, per effetto di tale decisione, ben si potrà impugnare, dinnanzi alla Cassazione, una decisione di tal tipo a proposito dell’insussistenza di codesta (mancata) vulnerabilità o di questa non rinviabilità della prova.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché fa chiarezza su tale tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
Note
[1] Ai sensi del quale: “Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”.
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