Lo sviluppo normativo riguardante la disciplina del ricorso straordinario ( v. in particolare l’art. 3, comma 44, della legge 21 luglio 2000, n. 205, il quale ha previsto che, nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, può essere concessa, a richiesta del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e irreparabili, la sospensione dell’atto impugnato; ma v. anche l’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69, il quale prevede la possibilità di sollevare q.l.c. nell’ambito del procedimento di decisione del ricorso straordinario e l’art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo, di cui al D.lgs 2 luglio 2010, n. 104, il quale ha stabilito che il ricorso straordinario è ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa) depone nel senso dell’assegnazione al decreto presidenziale emesso, su conforme parere del Consiglio di Stato, della natura sostanziale di decisione di giustizia e, quindi, di un carattere sostanzialmente giurisdizionale; ne deriva il superamento delle linea interpretativa tradizionalmente orientata nel senso della natura amministrativa del decreto presidenziale, seppure contrassegnata da profili di specialità tali da segnalare la contiguità alle pronunce del giudice amministrativo.
In materia di ricorso straordinario al Capo dello Stato deve ritenersi che il decreto presidenziale che recepisce il parere del Consiglio di Stato, pur non essendo, in ragione della natura dell’organo e della forma dell’atto, un atto formalmente e soggettivamente giurisdizionale, sia estrinsecazione sostanziale di funzione giurisdizionale che culmina in una decisione caratterizzata dal crisma dell’intangibilità, propria del giudicato, all’esito di una procedura in unico grado incardinata sulla base del consenso delle parti.
Poiché il decreto che definisce il ricorso al Capo dello Stato, reso in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, rientra nel novero dei provvedimenti del giudice amministrativo di cui alla lettera b) dell’art. 112, comma 2, c.p.a., ne consegue che il ricorso per l’ottemperanza deve essere proposto, ai sensi dell’art. 113, comma 1, c.p.a. dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica “il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta”.
Nella motivazione della sentenza in rassegna si ricorda che secondo un primo, maggioritario, indirizzo, il nuovo assetto normativo avrebbe consacrato la natura sostanzialmente giurisdizionale del rimedio in parola, in modo da assicurare un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente.
Invece, un secondo minoritario, approccio ermeneutico sposato dall’ordinanza di rimessione, anche dopo le modifiche in precedenza passate in rassegna il rito del ricorso straordinario continuerebbe a presentare profili di specialità rispetto al procedimento schiettamente giurisdizionale – con precipuo riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell’istruzione probatoria e del doppio grado di giudizio – tali da indurre a qualificare l’atto conclusivo della procedura come provvedimento amministrativo, solo per certi aspetti equiparato ad una sentenza.
L’Adunanza Plenaria ha ritenuto, in continuità con l’avviso già espresso con la sentenza n. 18/2012 e con l’orientamento assunto dalla Corte di legittimità, che meriti condivisione il primo indirizzo ermeneutico, favorevole al riconoscimento della natura sostanzialmente giurisdizionale del rimedio in parola e dell’atto terminale della relativa procedura.
Secondo l’Adunanza Plenaria assume rilievo decisivo lo jus superveniens che ha attribuito carattere vincolante al parere del Consiglio di Stato, con il connesso riconoscimento della legittimazione dello stesso Consiglio a sollevare, in detta sede, questione di legittimità costituzionale.
Ha aggiunto l’Adunanza Plenaria che a matrice sostanzialmente giurisdizionale del rimedio del ricorso straordinario è corroborata dalle indicazioni ricavabili dal codice del processo amministrativo di cui al D.lgs 2 luglio 2010, n. 104.
Merita menzione, in particolare, l’articolo 7, comma 8, c.p.a. che, nel quadro di una disciplina dedicata alla definizione del concetto e dell’estensione della giurisdizione amministrativa, limita la praticabilità del ricorso straordinario alle sole controversie devolute alla giurisdizionale del giudice amministrativo e, quindi, ai campi nei quali, in ragione della consistenza della posizione soggettiva azionata o in funzione della materia di riferimento, il giudice amministrativo è dotato di giurisdizione.
“La giurisdizione” diventa quindi presupposto generale di ammissibilità del ricorso straordinario, non diversamente da quanto accade per il ricorso ordinario al giudice amministrativo. In tal guisa si sancisce l’attrazione del ricorso straordinario nel sistema della giurisdizione amministrativa di cui costituisce forma speciale e semplificata di esplicazione.
Si richiama a conforto anche la recente sentenza della Cass., sezioni unite, 19 dicembre 2012, n. 23464, secondo cui il riconoscimento della natura sostanzialmente giurisdizionale del rimedio, con il corollario dell’ammissibilità del sindacato della Corte di Cassazione sul rispetto dei limiti relativi alla giurisdizione, non contrasta con il disposto dell’articolo 125, comma 2, Cost., in materia di istituzione in ambito regionale di organi di giustizia amministrativa di primo grado, in quanto, anche a non considerare che la riserva elaborata dalla giurisprudenza costituzionale intende in realtà impedire l’attribuzione ai tribunali amministrativi regionali competenze giurisdizionali in unico grado, in ogni caso la garanzia del doppio grado di giurisdizione è pienamente assicurata dalla circostanza che sono le stesse parti ad optare per il procedimento speciale che consente l’accesso per saltum al Consiglio di Stato.
Ha aggiunto la sentenza in rassegna che il riconoscimento della competenza in unico grado del Consiglio di Stato anche in sede di ottemperanza scongiura l’anomalia logica della previsione di un giudizio di esecuzione in doppio grado finalizzato all’attuazione di uno iussum iudicis perfezionatosi all’esito di un giudizio semplificato in grado unico. Non è d’altronde chi non veda come una simile aporia contraddirebbe, proprio nella nevralgica fase dell’esecuzione, le esigenze perseguite dal legislatore mediante la previsione di un rito speciale e semplificato finalizzato a consentire, nell’accordo tra le parti, una sollecita definizione della controversia
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