Indice
>>>Ordinanza ingiunzione n. 227 del 16 giugno 2022<<<
1. I fatti
Un professionista aveva presentato un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, chiedendo che venisse ordinato a Google di rimuovere dai risultati di ricerca, rinvenibili su detto motore in associazione al proprio nominativo e ad altre parole ben identificate, una serie di pagine web contenenti informazioni in ordine ad una vicenda giudiziaria del 2017 che lo aveva visto coinvolto e che si era conclusa con un decreto di archiviazione nei suoi confronti nel 2019.
In particolare, il reclamante riferiva che la suddetta vicenda giudiziaria aveva riguardato un soggetto diverso e che lui era invece risultato totalmente estraneo alla stessa, tant’è che il procedimento penale a suo carico si era concluso con un decreto di archiviazione. Durante le indagini del suddetto procedimento erano stati pubblicati su vari siti internet di testate giornalistiche numerosi articoli relativi alla vicenda, che avevano subito una rapida diffusione nel web grazie alla indicizzazione automatica di Google che aveva associato la ricerca al nome e al cognome del reclamante.
Nonostante l’archiviazione del procedimento nei suoi confronti, alcuni siti internet non avevano provveduto a dare seguito alla richiesta di cancellazione della notizia formulata dal reclamante, il quale pertanto era stato costretto a rivolgersi a Google per richiedere la rimozione dai risultati di ricerca di una serie di URL relativi a detti siti internet che contenevano ancora la notizia.
Il reclamante sosteneva che Google non aveva provveduto alla deindicizzazione dei suddetti URL, in quanto riteneva che vi fosse un interesse pubblico alla notizia in relazione alla vita professionale dell’interessato.
Conseguentemente quest’ultimo era stato costretto a rivolgersi il reclamo al Garante chiedendo di ingiungere a Google la rimozione dei suddetti URL in quanto contenenti notizie relative a fatti avvenuti nel 2017 che erano obsoleti e non aggiornati.
Preso atto del reclamo, il Garante aveva invitato Google a fornire le proprie osservazioni in merito e eventualmente ad aderire alla richiesta di rimozione del reclamante.
A fronte dell’invito del Garante, Google dava atto di poter aderire alla richiesta del reclamante solo parzialmente.
In particolare, Google procedeva a bloccare dieci URL, fra quelli indicati nel reclamo, dai risultati di ricerca collegati al nome del reclamante visibili nelle versioni europee del motore di ricerca stesso e di aver invece soltanto impedito il posizionamento di un altro URL tra i risultati associati al nominativo del reclamante (anziché a bloccare l’URL), in quanto all’interno di detto ultimo URL non aveva rinvenuto il nominativo del reclamante medesimo.
Tuttavia, Google sosteneva che, con riferimento ad un altro URL indicato dal reclamante, il quale conteneva un articolo pubblicato su una testata giornalistica locale, non poteva procedere alla rimozione in considerazione del fatto che il contenuto di detto articolo era recente e aggiornato agli ultimi sviluppi della vicenda giudiziaria. Infatti, in calce al suddetto articolo, vi era un aggiornamento del 2021 in cui si dava atto dell’esistenza del decreto di archiviazione di cui sopra e del fatto che il reclamante fosse risultato estraneo ai fatti narrati nell’articolo stesso.
Secondo, Google, quindi, il menzionato articolo giornalistico doveva ritenersi aggiornato e corretto, proprio perché forniva una rappresentazione attuale del procedimento penale in cui era stato coinvolto il reclamante, e quindi, in base al bilanciamento fra il diritto all’oblio del reclamante e l’interesse pubblico alla reperibilità della notizia, il motore di ricerca avrebbe potuto non rimuovere l’URL.
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2. La valutazione del Garante
All’esito dell’istruttoria effettuata nel procedimento dinanzi al Garante per la protezione dei dati personali, l’Autorità ha ritenuto la fondatezza del reclamo presentato dal professionista.
Secondo il Garante, infatti, l’unico URL che Google ha ritenuto di non dover rimuovere rinvia ad un articolo giornalistico edito nel 2017 che contiene notizie che non possono ritenersi funzionali ad esigenze informative della collettività e quindi la cui pubblicazione non può essere legittimata da ragioni di interesse pubblico.
Infatti, nonostante detto articolo sia stato aggiornato nel 2021, mediante l’indicazione degli esiti della vicenda giudiziaria con riferimento all’interessato, le relative esigenze di informazione non possono prevalere sul diritto del reclamante alla tutela della propria sfera di riservatezza.
Secondo il Garante, la definizione della vicenda giudiziaria con un provvedimento di archiviazione, a prescindere dal decorso del tempo, costituisce un idoneo presupposto per ottenere la richiesta deindicizzazione.
Inoltre, sempre secondo il Garante, il contenuto di detto articolo, anche se contenente l’aggiornamento sull’estraneità del reclamante alla vicenda giudiziaria, è idoneo a causare un pregiudizio alla vita personale e professionale del reclamante medesimo.
Ciò senza contare il fatto che l’aggiornamento della notizia, contenente la precisazione che il reclamante è risultato estraneo alla vicenda e che nei suoi confronti è stato emesso un decreto di archiviazione, non emerge come priva evidenza dell’articolo contenuto nel suddetto URL restituito da Google come risultato della ricerca associata al nome del reclamante.
3. La decisione del Garante
In considerazione di quanto sopra, quindi, il Garante ha ritenuto fondato il reclamo nella parte in cui è stata richiesta la rimozione del URL di cui sopra e conseguentemente ha ingiunto a Google di disporre, entro 20 giorni dalla ricezione del provvedimento, la rimozione dell’URL medesimo quale risultato della ricerca reperibile in associazione al nominativo del reclamante. Conseguentemente il Garante ha ritenuto necessario rivolgere a Tik Tok un avvertimento, evidenziando che tale trattamento può configurare una violazione della normativa privacy, con le relative responsabilità del social network.
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