Ai sensi dell’art. 201 del D. Lgs. n. 152/06 per l’istituzione delle neo “Autorità d’ambito” è previsto un termine di sei mesi dalla entrata in vigore della parte IV dello stesso decreto (pubblicato in G.U.R.I. 14 aprile 2007 n. 88, suppl. ord. n. 96): nelle more sono fatte salve (ai sensi del successivo art. 204) le “gestioni” esistenti.
Inoltre le norme calendate non risultano utilmente applicabili alla questione qui esame, anche in ragione del fatto che il D.M. 2/05/06 è stato dichiarato “non produttivo di effetti” (giusto comunicato del Ministero dell’Ambiente del 26/06/2006 in ******** n. 146 del 26/06/2006) in quanto non preventivamente sottoposto al parere obbligatorio della Corte dei Conti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso N. 1355/2006 Sezione Prima, proposto da:
Comune di Sciacca, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti. ************* e ******************, elettivamente domiciliato in Palermo, via Noto 12, presso lo studio del primo,
contro
– la ******à “********** AG.1 S.p.A.” – Gestione Integrata dei Rifiuti ATO AG 1, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli *************************** e ********************, presso lo studio dei quali in Palermo, via N. Morello 40, è elettivamente domiciliato;
e nei confronti
– della ******à “********** Gestione T.I.A. S.p.A.”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. *************** presso il cui studio in Palermo, via Oberdan 5, è elettivamente domiciliata;
– della Provincia Regionale di Agrigento e dei Comuni di Alessandria della Rocca, ******, ******, Calamonaci, Caltabellotta, Cattolica Eraclea, Cianciana, Lucca Sicula, Menfi, Montevago, Ribera, S. Margherita Belice, S. Stefano di Quisquina, Sambuca di Sicilia, S. Biagio Platani, Villafranca Sicula, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
– del bando di gara, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 18 del 5.5.2006 avente ad oggetto: “Selezione del socio di minoranza per la partecipazione mediante acquisto del 49% del capitale sociale della “********** Gestione T.I.A. S.p.A.”, società costituita da “********** AG 1 S.p.A.”, società a totale partecipazione pubblica, per la gestioneordinaria, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione della T.I.A. determinata dalle ATO;
VISTO il ricorso introduttivo, notificato in data 21.06.06 e depositato in data 03.07.06, con i relativi allegati;
VISTA la costituzione in giudizio della “*********** AG1 S.p.A.” e le successive memorie;
VISTA la costituzione in giudizio della “********** Gestione T.I.A. S.p.A.” e le relative memorie;
VISTA l’ordinanza n.810 del 17.06.06 sulla domanda cautelare, in seguito riformata in appello dal C.G.A. giusta ordinanza n. 706 del 08/09/06;
VISTA l’ordinanza n.23 del 29 gennaio 2007 di integrazione del contraddittorio nei confronti degli ulteriori enti controinteressati, eseguita in data 4-4-2007;
VISTI gli atti tutti di causa e le memorie conclusive di parte;
Designato relatore alla udienza pubblica del 3 luglio 2007 il Referendario Dott. ***************;
Udito l’Avv.to G. Armao per il Comune ricorrente, l’*********** ******, su delega dell’********************* per la “********** AG.1 S.p.A.” e l’****************, su delega dell’**************** per la “********** Gestione T.I.A. S.p.A.”;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Premette il Comune ricorrente che in ossequio alle norme in materia di gestione dei unitaria ed integrata dei rifiuti, di cui all’art.23 D.Lgs.22/97 (cd. Decreto Ronchi) sono stati individuati in Sicilia gli “Ambiti territoriali Ottimali” – A.T.O. – (ord.280 del 19 aprile 2001 del Presidente della Regione – Comm. Straordinario Emergenza rifiuti). Con successiva ordinanza commissariale n.1069 del 28/11/2002, sono state dettate le disposizioni per costituzione delle società d’ambito per la gestione integrata del servizio.
Con particolare riferimento al caso di specie, ed in ragione della normativa di settore, è stata quindi istituita la ******à d’ambito “********** Ag. 1 S.p.a.” tra la Provincia di Agrigento ed i Comuni rientranti nel contesto dell’A.T.O. Ag.1, avente lo scopo di assicurare la gestione unitaria ed integrata dei rifiuti nel contesto del suddetto A.T.O.. Successivamente i singoli Comuni del comprensorio, tra cui compare anche il Comune di Sciacca, hanno stipulato con la predetta So.Ge.I.R. AG.1 S.p.A. i singoli contratti aventi ad oggetto l’affidamento del servizio di gestione e smaltimento.
Con delibera dell’11 giugno 2005 il Consiglio di Amministrazione della So.Ge.I.R. Ag.1 S.p.A. ha dato mandato al Presidente di costituire, secondo il modello del “in house providing” e ai sensi dell’art.113 D.Lgs.267/00, tre società di scopo: per la parte che qui rileva, è stata prevista la costituzione di una società di scopo, a totale partecipazione pubblica, per la gestione della T.I.A. – Tariffa Igiene Ambientale. A tal fine veniva quindi istituita la “*******I.R. **********”, giusto atto notarile del 7 luglio 2005 in atti. In seguito, in data 2 marzo 2006, veniva stipulata apposita “convenzione – contratto” tra la “**********-AG.1 S.pA.” e la “**********-**********” della durata ventennale (cfr. art.12 della relativa convenzione) per l’affidamento del servizio di gestione ordinaria, liquidazione, accertamento e riscossione della T.I.A.. Ai sensi della stessa convenzione, la predetta ******à di scopo si è impegnata ad accettare il subentro nel capitale sociale di un partner privato nella misura del 49%, come individuato a seguito dell’espletamento di procedura di evidenza pubblica, al fine di far assumere a detta società la configurazione sociale di società mista ex art. 113 co.5 lett.b D.Lgs.267/00.
Con il bando pubblicato sulla G.U.R.S. del 5 maggio 2006 n.18, la “**********-AG.1 S.p.A.” ha indetto una gara per l’individuazione del socio di minoranza cui conferire il 49% del capitale sociale della “**********-**********”.
Con ricorso introduttivo, il Comune di Sciacca ha proposto gravame avverso il bando in premessa chiedendone l’annullamento, previa sospensione degli effetti, articolando le censure della violazione di legge, sotto diversi profili, nonché per la violazione dei principi comunitari in tema di concorrenza, oltre che all’eccesso di potere per illogicità manifesta.
Per resistere al ricorso si costituiva la “**********-AG.1 S.p.A.” articolando difese, chiedendo il rigetto della domanda cautelare e nel merito del ricorso, siccome infondato.
Si costituiva altresì la “**********- Gestione T.I.A. S.p.A.” chiedendo il rigetto del gravame.
Con ordinanza n.810 del 17 luglio 2006 la domanda cautelare era rigettata ed in seguito riformata dal C.G.A su appello del Comune ricorrente, anche ai fini della fissazione dell’udienza di discussione, giusta ordinanza n. 706 dell’8.9.06., “atteso l’orientamento espresso in ultimo dal medesimo organo sulla alla necessità della doppia gara per l’individuazione del socio privato di minoranza e per il conferimento del servizio”.
Con ordinanza n.23 del 29.1.07 veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri enti territoriali facenti parte del medesimo A.T.O.: detta ordinanza è stata eseguita in data 4-4-07.
Alla pubblica udienza del 3 luglio 2007, presenti le parti come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. Si controverte sulla asserita illegittimità del bando predisposto dalla “**********-AG1 S.p.A.” per la individuazione del socio privato cui conferire il 49% del capitale sociale della “**********- Gestione **********” (interamente detenuto dalla prima) ai fini della gestione del servizio di liquidazione e riscossione delle T.I.A. nell’ambito dell’ATO.1 di Agrigento.
1.1 La tematica che qui ci occupa rientra nel più ampio contesto della materia afferente i servizi pubblici locali, come disciplinati dal D.Lgs.267/00, le cui norme risultano in parte qua applicabili in Sicilia in ragione del rinvio dinamico agli artt.22, 23, 24, 25, 26 e 27 L.142/90, come recepiti con modifiche dalla L.r.48/91, secondo la nuova previsione dell’art.37 l.r.7/92, come modificato dall’art..47 co.2 l.r.26/93.
1.2 Ciò posto, lamenta parte ricorrente l’illegittimità del bando in epigrafe in quanto emesso in violazione di legge, con espresso riferimento alle nuove disposizioni introdotte dal D.Lgs.152/06 in materia di servizio di smaltimento dei rifiuti: in particolare, ai sensi dell’art.201 e 202 del D.Lgs. cit, le (neo) istituite “Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale”, svolgono essenzialmente funzioni di organizzazione e controllo e sono preposte alla organizzazione del servizio (non anche alla effettiva gestione dello stesso) attraverso il conferimento del medesimo secondo le procedure e le modalità di cui al D.M. da emanarsi all’uopo. In particolare, in forza del D.M 2/5/2006 n.22164 l’unica modalità di conferimento del predetto servizio, in difformità alla molteplicità delle forme previste in via generale dall’art.113 co.5 D.Lgs.267/00, è quella prevista dalla lett.a co.5 art.113 cit: ossia conferimento a società privata a mezzo di gara pubblica.
1.3 La censura, così come articolata, risulta priva di pregio.
In primo luogo si osserva che il bando impugnato è stato pubblicato in G.U.R.S. del 18/05/2006. Ebbene, ai sensi dell’art.201 D.Lgs.152/06 per l’istituzione delle neo “Autorità d’ambito” è previsto un termine di sei mesi dalla entrata in vigore della parte IV dello stesso decreto (pubblicato in G.U.R.I. 14 aprile 2007 n.88, suppl.ord. n.96): nelle more sono fatte salve (ai sensi del successivo art.204) le “gestioni” esistenti, tra cui non può non ricomprendersi quella della “********** Ag.1 S.p.A”.
Inoltre, come rilevato dalle ******à resistenti, le norme calendate non risultano utilmente applicabili alla questione qui esame, anche in ragione del fatto che D.M. 2/05/06 cit. è stato dichiarato “non produttivo di effetti” (giusto comunicato del Ministero dell’Ambiente del 26/06/2006 in ******** n.146 del 26/6/2006) in quanto non preventivamente sottoposto al parere obbligatorio della Corte dei Conti.
2. Sotto altro profilo, il Comune resistente censura l’illegittimità della bando in quanto emesso in palese violazione delle regole comunitarie in materia di concorrenza, come integrate dalla copiosa giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di c.d. controllo analogo per le ipotesi di affidamento del servizio attraverso il modulo del “in house providing”.
La censura merita approfondimento.
2.1 Sul piano normativo si osserva preliminarmente che l’art.113 D.Lgs 267/00 – applicabile in specie per quanto già illustrato – differenzia nettamente la disciplina della gestione (separata dall’erogazione del servizio) delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali dell’ente locale (co.4 art.113 cit.), da quella afferente l’erogazione del servizio che, in conformità alla previsioni comunitarie in materia di concorrenza, deve essere conferito:
a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;
c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
2.2. In ragione della normativa in parola, possono quindi essere individuati tre differenti modelli organizzativi. Ai due estremi si posizionano le contrapposte soluzioni riconducibili 1) alla c.d. esternalizzazione (variamente definita con il termine outsourging o contracting out) del servizio, in cui l’amministrazione si rivolge al privato, scelto attraverso gara (art.113 co.5 lett.a); ovvero 2) alla c.d. autoproduzione del bene o del servizio da erogare, mercè il ricorso alla propria compagine organizzativa e senza apertura a terzi e al mercato.
Tra i differenti opposti, si posizione il modello riconducibile alla c.d. “società mista” (art.113 co.5 lett.b cit.), a prevalente partecipazione pubblica, in cui il socio privato è scelto con procedura di evidenza pubblica.
2.3. Giova sin da adesso evidenziare quanto la disciplina normativa dell’evidenza pubblica, già conosciuta dal nostro ordinamento per la tutela della p.a. nella individuazione del “miglior contraente”, assuma oggi una differente connotazione in ragione dei principi comunitari in materia di concorrenza e di accesso al mercato.
2.4. Ciò posto, l’adozione del modello organizzativo che preclude il ricorso al mercato (e alle regole dell’evidenza pubblica) è stato ritenuto compatibile con le regole comunitarie in materia di concorrenza a patto che l’amministrazione eserciti sul soggetto aggiudicatario “un controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi, di guisa tale che quest’ultimo non può essere considerato “terzo” rispetto all’amministrazione. Tale modello è stato definito con l’espressione in house providing già dal libro bianco sugli appalti del 1998.
2.5. La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee (sin dalla prima pronunzia in subiecta materia risalente al 18 novembre 1999, causa C-107/98 – Teckal, cui hanno fatto seguito le sentenze: 11 gennaio 2005, causa C-26/03 – *********** e **********; 21 luglio 2005, causa C 231/03 – Corame; 13 ottobre 2005, causa C 458/03 – Parking Brixen GmbH; 10 novembre 2005, causa C-29/04 – Mödling o Commissione c/ Austria; 6 aprile 2006, causa C-410/04 – ANAV c/o Comune di Bari; 11 maggio 2006, causa C-340/04
– Carbotermo; 18 gennaio 2007, causa C-220/05 – ***********) ha delineato i contorni dell’istituto de quo, precisando che la partecipazione pubblica totalitaria è condizione necessaria ma non sufficiente per la compatibilità del modello “in house providing” con le regole comunitarie. Queste ultime possono essere legittimamente derogate ove si dia prova che l’ente locale possa in concreto esercitare idonei mezzi di controllo sulla società in house, in misura – per certi aspetti – più penetrante di quanto previsto dal diritto civile. Sono stati quindi individuati, sia dalla giurisprudenza comunitaria che nazionale, gli indici rilevatori del c.d. controllo analogo, così come di seguito riassumibili:
– il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;
– l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico (tale vocazione risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero: cfr., in tal senso, le già citate sentenze 13 ottobre 2005, causa C 458/03 – Parking Brixen GmbH e 10 novembre 2005, causa C-29/04 – Mödling o Commissione c/ Austria);
– le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, decisione 8 gennaio 2007, n. 5, in cui si afferma che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari non si può ritenere sussistere un “controllo analogo”);
– il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati (tra le tante cfr.Tar Puglia, 8 novembre 2006, n. 5197; Consiglio di Stato, V sez., 30 agosto 2006, n. 5072).
2.6 Tuttavia la stessa giurisprudenza comunitaria ha altresì precisato che, in astratto, non è escluso un “controllo analogo” anche nel caso in cui il pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall’ente pubblico, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo, anche se non si è mancato di specificare che tale forma di partecipazione “può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale” (cfr. Corte di Giustizia com. Europee, sentenza Carbotermo, 11 maggio 2006, causa C-340/04): in tali evenienze, in altri termini, la partecipazione pubblica indiretta, anche se totalitaria, è in astratto compatibile, ma affievolisce comunque il controllo.
2.7 Con la citata sentenza della Corte di Giustizia C.E. del 6 aprile 2006, causa C-410/04 – **** c/o Comune di Bari – è stato affermato che “se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene (v. già, in senso analogo, anche la sentenza 21 luglio 2005, causa C 231/03 – Corame)”. In altri termini, si ritiene che qualsiasi investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati, perseguendo obiettivi di natura differente rispetto a quelli dell’amministrazione pubblica. Si può parlare di società in house, pertanto, soltanto se quest’ultima agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione “dal punto di vista sostantivo”, non contaminato da alcun interesse privato. Tuttavia si osserva che tutte le pronunce sopra riportate hanno avuto riguardo a casi in cui il socio privato era stato individuato senza gara.
3. L’arresto giurisprudenziale di cui si è dato conto ha consentito al Consiglio di Stato, con argomentazioni qui condivise dal Collegio, di poter escludere in via generale la riconducibilità del modello organizzativo della “società mista” a quello dell’in house providing (Consiglio di Stato, Sez.II – parere n.456/07 del 18/04/2007): Da ciò consegue – ad avviso del Consiglio di Stato – l’inutilità di ricercare, allo scopo di giustificarne la compatibilità con la disciplina europea, i (sempre più selettivi) requisiti richiesti per l’in house anche nel modello di parternariato pubblico-privato o “società mista”. Ed invero, su tale modulo organizzativo la Corte di Giustizia non ha avuto occasioni di pronunciarsi in modo diretto.
3.1 Al modello generale contenuto nell’art.113 co.5 lett.b) D.Lgs.267/00 fanno per altro rinvio le recenti disposizioni del c.d. Codice degli appalti (D.Lgs.163/06) che, pur non generalizzando il ricorso all’istituto, ribadiscono la necessità di procedere con gara pubblica per la scelta del socio privato (co.2 art.1; co.1 lett.c) e co.3 art.32 D.Lgs 163/03).
3.2 Ritiene il Collegio di poter condividere le conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato in ordine alla compatibilità con il sistema comunitario dell’istituto della “società mista”.
Ad avviso del consesso di Palazzo Spada, chiamato in sede consultiva, tale compatibilità può essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, (…) – non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo (C.d.S. ******, parere 456/07 cit).
3.3 Per quanto qui rileva, occorre quindi che il socio privato sia identificabile quale “socio di lavoro” o socio industriale, assumendo in altri termini, e per un periodo limitato, un ruolo meramente operativo e non anche finanziario.
A tali conclusioni il Consiglio di Stato giunge in esito a puntuali valutazioni cha appare opportuno riassumere brevemente di seguito.
3.4 Se, per un verso, non è stata ritenuta condivisibile la tesi secondo la quale il semplice espletamento di una gara per la scelta del socio privato renderebbe possibile ogni affidamento diretto, per altro verso non si è ritenuta percorribile l’ulteriore tesi secondo cui, alla stregua della giurisprudenza comunitaria in materia, occorrerebbe procedere ad una interpretazione restrittiva, se non addirittura disapplicativa dell’art. 113 co.5 lett.b (cfr. C.G.A., decisione n.589/06).
4.0 Gli argomenti sono condivisi dal Collegio e, conformemente al Consilio di Stato, inducono a dover disattendere l’orientamento in ultimo espresso dal C.G.A con la decisione 589/06 cit. (richiamata nell’ordinanza di riforma in epigrafe) secondo cui, malgrado l’espletamento della gara per la scelta del socio, occorre procedere comunque ad una ulteriore gara per il conferimento del servizio. La “doppia gara” (già ritenuta non necessaria dal giurisprudenza prevalente, come riconosce lo stesso C.G.A. nella propria motivazione) non costituisce ex ante una garanzia per il rispetto della normativa comunitaria in tema di concorrenza: infatti “sembrano comunque ravvisarsi elementi di conflitto di interessi e di distorsione del mercato, senza risolvere la pretesa “anomalia” della società mista ma anzi consentendole di conservare, nel confronto con le altre imprese “solo” private, la sua “situazione privilegiata” dell’essere partecipata dalla stessa amministrazione che indice l’appalto” (C.d.S. Sez. II, parere 456/07 cit).
4.1 Altrettanto condivisibili risultano le argomentazioni del consesso di Palazzo Spada circa l’incongruenza cui si giungerebbe mercè la rigida interpretazione dei precedenti giurisprudenziali comunitari (che – ripetesi – anno avuto riguardo, nella maggioranza dei casi, a fattispecie in cui il socio provato era stato selezionato senza pubblica gara).
Una interpretazione restrittiva – che muovendo da una (non condivisa) omologazione dell’istituto della “società mista” all’in house providing – incentiverebbe infatti le amministrazioni locali al ricorso al modello organizzativo tutto interno all’amministrazione (ove non diversamente imposto dalla legge), con conseguente contrazione del mercato. Allora appare plausibile, ad avviso del Consiglio di Stato, considerare percorribile – secondo le ulteriori indicazioni fornite con il prefato parere – il ricorso alla “società mista” quale occasione per una apertura seppur parziale al mercato: “se è vero che la società mista, in quanto tale, non è sottoposta al controllo analogo, è dirimente la circostanza che proprio la componente esterna, che esclude la ricorrenza dell’in house, è selezionata con procedure di evidenza pubblica: la quota esterna alla pubblica amministrazione è, cioè, reperita con il ricorso ad un mercato che è certamente premiato, diversamente da quanto avviene nel caso della “chiusura in se stessa” dell’amministrazione in un modello di pura autoproduzione”.
4.2 Così posta la problematica relativa all’istituto in esame, il ricorso alla “società mista” risulta allora compatibile con le previsioni comunitarie (quantomeno) nel caso in cui questa non costituisca, in sostanza, la beneficiaria di un affidamento diretto, ma la modalità organizzativa con la quale l’Amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al “socio operativo” della società. Ed il ricorso a tale modello, già ritenuto non “ordinario” dallo stesso Consiglio di Stato, impone all’amministrazione di motivare congruamente sulla sua necessità.
4.3 Riassumendo, il modello “società mista” appare percorribile (semprechè siano ravvisabili congrue ragioni per non procedere ad un affidamento integrale esterno) in presenza di adeguate garanzie, ossia:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l’affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest’ultimo si configuri come un “socio industriale od operativo”, che concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione “alla scadenza del periodo di affidamento” (in tal senso, soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art. 113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma 12), evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva tara egli risulti non più aggiudicatario (così letteralmente C.d.S., ******, parere cit.).
5. Le argomentazioni svolte sono, per quanto di ragione, suscettibili di puntuale applicazione alla presente controversia: in cui, a ben vedere, è riscontrabile una discutibile commistione tra i differenti modelli organizzativi appena delineati.
5.1 Se l’affidamento del servizio alla “********** Ag.1 S.p.A.” può farsi rientrare nel modello dell’in house, alle stesse conclusioni non può giungersi con riguardo alla “********** Gestione T.I.A. S.p.A.”. Non è qui in discussione il modello della holding già previsto nell’atto costitutivo della “********** AG.1 S.p.A.” (cfr. quanto già riportato al precedente punto 2.6) ma l’ulteriore configurazione, per quanto qui rileva, della società di scopo.
5.2 In primo luogo, infatti, osta la previsione statutaria che consente l’ingresso nella compagine sociale (ancorché a mezzo gara) di un socio privato definito “partner strategico”.
Invero, come per altro desumibile anche dalla ordinanza del giudice di seconde cure, si è in presenza di una “società mista” nei confronti della quale debbono essere riscontrati i presupposti prima evidenziati.
5.3 Costituisce altresì ostacolo, travalicando i margini delineati dal Consiglio di Stato per il legittimo ricorso alla “società mista”, la constatazione che, prima ancora della pubblicazione del bando, tra la “********** Ag.1 S.p.A.” e la gemmata società di scopo “********** Gestione T.I.A. S.p.A.” fosse stata già stipulata in data 02/03/2006 una convenzione-contratto (in atti) secondo il modello dell’in house (art.2), della durata ventennale (art.12), avente ad oggetto “l’affidamento in house alla “********** – Gestione T.I.A. S.p.a.” … delle attività operative” (già richiamate al punto.9 delle premesse alla convenzione) relative alla fatturazione ed incasso del corrispettivo tariffario del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti connesso ai contratti di servizio stipulati dalla stessa “********** AG.1 S.p.A” con i singoli Comuni (dell’A.T.O.). Ai sensi dell’art.3 della medesima convenzione-contratto, la società di scopo si è impegnata ad accettare l’ingresso di un socio privato (cui attribuire il 41% delle azioni). Quanto appena delineato risulta utile per confutare la tesi delle società resistenti secondo cui, mercè il bando impugnato, la “********** AG.1” ha, invero, inteso non solo individuare il socio privato cui conferire (secondo le previsioni statutarie della società di scopo) il 49% del dell’intero pacchetto azionario detenuto, ma anche assegnare il “servizio” di che trattasi. Nello stesso “patto parasociale”, predisposto dalla stazione appaltante per regolare i rapporti con il (selezionando) socio privato all’interno della “********** Gestione T.I.A. S.p.A. (patto parasociale chiamato a regolare l’appalto ai sensi dell’art.1 del capitolato d’oneri), si fa espresso richiamo alla convenzione-contratto (ripetesi: ventennale) già stipulata tra la stessa stazione appaltante e la gemmata società di scopo.
5.4. Non sono comunque riscontrabili gli ulteriori elementi evidenziati nel più volte richiamato parere del Consiglio di Stato. Ed invero, malgrado l’art.17 del capit. d’oneri quantifichi in anni nove la durata del servizio, nessuna disposizione è utile evincere in merito alla fuoriuscita del socio privato dalla compagine sociale alla scadenza del periodo in questione. Socio privato che, per espressa previsione, assume il ruolo di “partner strategico” con evidenti finalità finanziarie e non solo meramente esecutive (diverso cioè dal cd. Socio di lavoro menzionato nel predetto parere del C.d.S.). In altri termini, risultano condivisibili le tesi del Comune ricorrente (di cui alla memoria conclusiva del 27/06/07) per cui con il bando impugnato si determinerebbe, vieppiù in mancanza di una congrua motivazione che ne giustifichi la scelta, un illegittimo ricorso all’istituto della “società mista” mercè l’ingresso stabile di un socio privato nella compagine della “********** – Gestione T.I.A. S.p.A.” (già) a totale partecipazione pubblica.
5.5 In conclusione, per quanto argomentato, il bando impugnato non resiste alle censure mosse risultando illegittimo. Lo stesso, per quanto di ragione, va per l’effetto annullato.
Considerata la natura della controversia, ritiene il Collegio sussistere giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione Prima, accoglie il ricorso in epigrafe indicato, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla per quanto di ragione il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Amministrazione.
Così deciso in Palermo, in Camera di Consiglio, addì 03.07.2007, con l’intervento di ******************:
-******************** – Presidente
-****************** – Refedendario
-*************** – Referendario-est.
Presidente
Estensore
Segretario
Depositata in Segreteria il 05 novembre 2007
*****
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