Sulla scorta di ciò, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 12094 del 17 maggio 2018, ha respinto il ricorso di una società, che aveva licenziato un proprio dipendente per insubordinazione, costituita dalla mancata attività aggiuntiva di riscossione delle fatture.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che il rifiuto del dipendente a svolgere il compito aggiuntivo, non fosse tale da giustificarne il licenziamento, poiché, innanzitutto, l’attività “in più” esulava dalle sue mansioni d’inquadramento. Oltretutto – argomentava ancora la Corte, con decisione poi confermata in Cassazione – detto rifiuto era supportato da ragioni pregnanti, stante l’incompatibilità dei compiti aggiuntivi (al di là dell’astratta esigibilità) con l’adibizione costante del lavoratore ad un turno assai gravoso e, dunque, con la necessità di recuperare le energie psicofisiche e di dedicarsi alla cura degli interessi familiari.
Inadempimento del lavoratore, escluso in presenza di una situazione personale
In sostanza, riprendono gli Ermellini, l’asserito inadempimento da parte del lavoratore di determinati obblighi contrattuali è stato contestualizzato e di fatto escluso in presenza di una situazione personale; per l’appunto, l’adibizione ai suindicati turni, in assenza di specifiche esigenze aziendali.
A fondamento di ciò, anche il fatto che lo stesso lavoratore avesse chiesto una turnazione differente, proprio per poter svolgere anche il servizio aggiuntivo; il che è indicativo di un rifiuto tutt’altro che immotivato o pretestuoso, ma posto in relazione ad una oggettiva impossibilità di svolgere sic stantibus l’ulteriore compito.
D’altra parte, conclude la Suprema Corte, deve escludersi che i provvedimenti datoriali siano assistiti da una presunzione di legittimità che ne imponga l’ottemperanza fino a contrario accertamento in giudizio; sicché un inobbedienza del lavoratore può risultare a posteriori giustificata.
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