Riflessioni sugli obiettivi legislativi di celerità processuale intervenuti nel rito tributario

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A circa un anno e mezzo dall’emanazione della legge n. 69 del 18 giugno 2009, che ha prodotto rilevanti novità nella procedura civile e segnatamente nel processo di cognizione e nel giudizio presso la Suprema Corte di Cassazione, si tirano i primi bilanci.

Purtroppo proprio la Cassazione, nella recente Relazione sull’Amministrazione della giustizia nell’anno 2010, ha dovuto esprimere il proprio rammarico per “l’impatto operativo alquanto modesto avuto dal procedimento sommario di cognizione evidenziando come l’applicazione del nuovo istituto “si colloca tendenzialmente al di sotto del 10 % delle sopravvenienze complessive” Più in generale il quadro delineato dalla Cassazione è molto deludente e varia a seconda del tipo di ufficio: in corte di appello le pendenze sono aumentate del 4,8 %, mentre in tribunale sono diminuite dell’ 1,4 %. I dati differiscono da quelli più ottimistici ( – 3,8 %) forniti dal Ministero della Giustizia che, però, riguardavano un arco temporale più ristretto, quello relativo al primo semestre 2010.

Ancora nessun dato certo sul fronte della giustizia tributaria, ma è probabile che i risultati saranno della stessa portata. Infatti le citate modifiche normative si sono riflesse anche nel diritto processuale tributario per effetto del rinvio, disposto dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 secondo il quale “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

Gli aspetti innovativi, finalizzati allo snellimento dei tempi processuali, sono stati numerosi e pertanto hanno motivato la legittima aspettativa di poter contare sullo smaltimento delle cause pendenti in tempi brevi e sulla celerizzazione del contenzioso nel futuro. Lo stato dell’arte delude l’attesa della platea dei contribuenti. Basti considerare che, come risulta da uno studio del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria1, i termini di svolgimento del processo tributario in primo grado hanno una durata media di 734 giorni.

Ma vediamo, nel dettaglio e seguendo la progressione numerica degli articoli, il contenuto dei cambiamenti prodotti dalla riforma.

Il primo riflesso rilevante si ravvisa in conseguenza della modifica dell’articolo 39 c.p.c. concernente la litispendenza e continenza di cause. Il legislatore, novellando la disposizione appena evocata ha voluto ridurre i tempi di svolgimento dei processi2, prevedendo che la litispendenza e la continenza di cause siano dichiarate dal giudice con ordinanza (piuttosto che con sentenza) nonché stabilire una diversa modalità in caso di litispendenza, attraverso l’individuazione del giudice adito per primo, dinnanzi al quale il giudizio deve proseguire.

In tale ipotesi l’agenzia delle Entrate aveva già affermato, nella circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003, punto 11.2, che in ambito tributario il momento topico da assumere come rilevante ai fini della definizione dell’ordine di priorità tra due cause fosse quello della data di notifica del ricorso.

Un altro elemento di novità apportato dalla normativa in rassegna è quello afferente alla connessione tra giudizi. Nel merito, la novella di cui all’articolo 40, primo comma, c.p.c. legittima, come si è detto, l’utilizzo da parte del giudice dello strumento dell’ordinanza nel caso in cui venga fissato un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale o davanti a quello preventivamente adito.

L’art. 54, terzo comma, del c.p.c. si applica al processo tributario in forza del rinvio previsto dall’articolo 6, comma 1, del D. Lgs. n. 546/1992, secondo cui “L’astensione e la ricusazione dei componenti delle commissioni tributarie sono disciplinate dalle disposizioni del codice di procedura civile in quanto applicabili”. La previsione contenuta nell’ art. 54, terzo comma, c.p.c. di innalzamento a 250 euro della pena pecuniaria che il giudice può irrogare alla parte che ha proposto la ricusazione del medesimo, in caso di rigetto o di inammissibilità della ricusazione stessa,3 recepisce l’orientamento già manifestato dai giudici di legittimità.

Analogamente si estende al processo tributario sia la possibilità, riconosciuta dall’articolo 83, terzo comma, c.p.c , di conferire, direttamente in calce o a margine della memoria di nomina, procura speciale ad un nuovo difensore, in aggiunta o istituzione del precedente, sia il dettato contenuto nell’art. 91 c.p.c4., novellato dalla legge n. 69/2009; questo prevede che, in caso di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa rifiutata senza giustificato motivo, il giudice condanna alle spese del processo la parte che ha opposto rifiuto alla predetta proposta.

Relativamente alla compensazione delle spese giudiziali il nuovo articolo 92 c.p.c. stabilisce che il giudice debba esplicitamente indicare nella motivazione della sentenza le “altre gravi ed eccezionali ragioni” che giustificano la compensazione delle spese medesime.

Ancora in merito alle spese va evidenziato il dettato contenuto nel nuovo comma5 introdotto dalla normativa all’art. 96 del c.p.c. che impone al giudice di condannare “in ogni caso”, anche d’ufficio, il soccombente al pagamento sia delle spese di lite che di una somma equitativamente determinata a favore di controparte.

Sempre l’art. 46 della citata legge n. 69/2009 riduce i termini di decadenza dell’impugnazione da un anno a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, “a prescindere dalla notificazione”, ex art. 327 c.p.c. 6 Si tratta di una novità piuttosto rilevante che risponde alla logica generale del provvedimento teso a snellire le forme accelerando, grazie proprio alla riduzione dei termini, l’ordinario processo civile

Tale significativa riduzione temporale non riguarda, invece, la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione di cui all’art. 395 bis, che, come ricorda la circolare n. 17/2010 dell’Agenzia delle Entrate, non è toccato dal processo di riforma.

Per espresso richiamo degli articoli 38 e 49 del Dlgs n. 546/1992, il c.d. termine lungo si applica anche al processo tributario, a meno che “la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza” (c. 3 dell’art. 38).

Resta ferma la possibilità di far scattare il termine c.d. breve di 60 giorni, notificando la sentenza subito dopo il deposito, ex artt. 51, c1., 54, c. 2., e 62, c. 2, del citato dlgs n. 546.

Il novello termine di impugnazione sembra applicarsi per un principio di coerenza, seppure non esplicitamente menzionato dal legislatore, anche all’art. 330 c.p.c., c. 3, che disciplina il luogo di notificazione dell’impugnazione stessa, richiamando le norme di cui al riformato art. 137. La medesima disposizione, c. 1, ha introdotto solo una specifica prevedendo, qualora la parte abbia dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, che l’impugnazione sia notificata nel luogo indicato ovvero “ai sensi dell’art. 170”, cioè presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio. Benché la disposizione si applichi anche al processo tributario7, la menzionata circolare n. 17 in via cautelativa suggerisce agli Uffici, quando vi sia incertezza applicativa, “di valutare l’opportunità di notificare l’impugnazione anche ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n.546/1992, ossia anche presso il domicilio eletto dalla parte”. Sull’argomento specifico vi è una nutrita giurisprudenza8 che spinge in sostanza per affermare “l’applicabilità al processo tributario degli stessi parametri normativi valevoli per il processo civile”, trascurando che nel primo processo “è prevista un’apposita disciplina delle comunicazioni e notificazioni degli atti del processo tra i quali si collocano le sentenze e le impugnazioni, diversamente basata su domicili eletti o residenze dichiarate e altre residuali localizzazioni… assorbentemente operante ed esclusiva di ogni altra normativa, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e del noto principio per cui la legge speciale prevale su quella generale”9.

Ben più rilevante la modifica introdotta dall’art. 345 (Domande ed eccezioni nuove)10 laddove sancisce che nel giudizio in appello “non possono essere prodotti (tra l’altro) nuovi documenti”, salvo che non siano ritenuti indispensabili o che la parte dimostri di non aver potuto “produrli” nel giudizio di primo grado. Tale esclusione tuttavia non si applica al processo tributario che, sulla materia, è disciplinato dalla norma speciale (art. 58, c. 2, del dlgs n. 546) che fa salva la possibilità per le parti di produrre nuovi documenti, prevalendo forse la funzione di rimediare a precedenti errori di giudizio.

Il legislatore, ex art. 46, c. 19, ha poi messo mano all’art. 353 c.p.c., sia modificando la rubrica (che contempla la rimessione al primo giudice per sole ragioni di giurisdizione e non anche di competenza, com’era in precedenza), sia riducendo il relativo termine da sei a tre mesi dalla notificazione della sentenza, sia abrogando il c. 3 che prevedeva un’estensiva applicazione dell’istituto della rimessione al caso del pretore in riforma della sentenza del conciliatore per vizio di competenza. La disposizione in parola si applica anche al successivo art. 354 c.p.c., che peraltro ne fa espresso rinvio al c. 3.

La contrazione dei termini di rimessione è, invece, esclusa nel processo tributario che si avvale di una norma ad hoc (art. 59 del d.lgs n. 546 ”Rimessione alla commissione provinciale”); questa ritiene sufficiente l’invio ex officio alla segreteria della commissione tributaria provinciale (alias al giudice di primo grado) del fascicolo del processo, senza bisogno dell’iniziativa di parte.

Particolarmente rilevante è il dispositivo del novello art. 360 bis, introdotto appunto ex novo (ai sensi dell’art. 47 dlgs n. 69/2009)11, in quanto individua due fattispecie per le quali ricorre la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso. Si valorizza l’attività precorsa della Suprema Corte considerando la giurisprudenza consolidata – in assenza di elementi sopraggiunti che possano confermare o far mutare l’orientamento fino a quel momento espresso dalla medesima – quale presupposto d’inammissibilità. La seconda ipotesi presa in considerazione dal legislatore collega l’inammissibilità del ricorso alla manifesta infondatezza della censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo. Tuttavia tale ultima condizione d’inammissibilità è stata accolta con perplessità dalla più autorevole dottrina12 che, pur con diverse sfumature, sottolinea come l’introduzione del filtro previsto dall’art. 360 bis, c. 2, contraddica – grazie proprio all’adozione di una formula generica e sfuggente13 – le finalità deflative14 del provvedimento in questione. A meno di non sposare la tesi salomonica avanzata da alcuni autori, secondo la quale il comma secondo si riferirebbe genericamente a tutti i motivi del ricorso elencati nell’art. 360, che “pur non implicando questioni di diritto, si traducono, in definitiva, in errores in procedendo” con la conseguenza di ricomprendervi anche i vizi di motivazione di cui al c. 1, punto 5) della stessa disposizione che risulterebbero, con interpretazione estensiva, assimilati alla violazione dell’obbligo di motivazione imposto dall’art. 111, 6° c., della C. 15

Quanto al processo tributario, si deve ritenere che si riverberino sullo stesso gli eventuali riflessi, alla luce dell’espresso rinvio disposto dall’art. 1, c. 2, del d.lgs n. 546/1992, a meno di manifesta incompatibilità o di diversa disciplina, ferma restando la specialità della materia tributaria.16

La previsione della norma sopra richiamata assorbe il contenuto dell’art. 366 – bis (Formulazione dei motivi) che risulterebbe altrimenti pleonastico o comunque contraddittorio rispetto al novellato testo. Pertanto, non è più consentita l’inammissibilità del ricorso per Cassazione a motivo dell’omessa formulazione di un quesito di diritto (riferito alle fattispecie di cui ai nn. da 1 a 4 dell’art. 366 bis) ovvero della non chiara indicazione del fatto controverso (riferito al punto n. 5 della citata norma).

La legge n. 69 ha riformato anche le diverse fasi del procedimento vero e proprio 17, peraltro già rimaneggiato con d.lgs. n. 40/2006, integrando ad esempio le ipotesi di pronuncia della Cassazione in camera di consiglio, ex art. 375 c.p.c.18, e, soprattutto, rendendo il testo coerente con le modifiche introdotte all’art. 360. Si tratta di opportuni ritocchi che incidono sul funzionamento della Suprema Corte muovendosi nella direzione di adeguare il terzo grado alla generale impostazione riformistica, improntata ad un’accelerazione del processo, vuoi con aggiornamenti al rito camerale (art. 375), vuoi con un leggero maquillage della formula di ripartizione dei ricorsi alle sezioni (art. 376), vuoi infine con la ridefinizione del procedimento da seguire per le decisioni sia sull’inammissibilità del ricorso che con rito camerale (art. 380 – bis).

Tali aggiustamenti di carattere prevalentemente funzionale hanno naturalmente solo un effetto indiretto ai fini del processo tributario, pur corrispondendo alla ratio che presiede alla rivisitazione dell’intero impianto normativo, e pertanto di essi non è fatta menzione alcuna nella circolare n. 17.

Per quanto concerne in particolare l’assegnazione dei ricorsi alle sezioni, è stato integralmente sostituito il primo comma, prevedendo una più rigorosa disciplina rispetto alla precedente versione,19 che ne rende più netta l’applicazione eliminando qualsiasi forma di assegnazione discrezionale. Infatti, ad esclusione delle ipotesi di cui all’art. 374 (Pronuncia a sezioni unite), assegna i ricorsi ad apposita sezione che, a sua volta, è tenuta a verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia in camera di consiglio.20 Nel caso in cui la predetta sezione non definisce il giudizio, gli atti vengono restituiti al primo presidente per la successiva assegnazione alle sezioni semplici. Lo stesso articolo 47, c. 2, introduce l’art. 67 – bis del regio decreto n. 12/1941 (in materia di ordinamento giudiziario) che definisce i criteri di composizione della sezione di cui all’art. 376c.p.c.21

Inoltre la sostituzione dell’art. 380 – bis22, rispetto alla versione originaria proposta dal d.lgs.n. 40/2006, discende dal combinato disposto dei novellati articoli 375 e 376. In sostanza, qualora ricorrano i presupposti della dichiarazione d’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto (art. 375, c. 1, n. 1) ovvero di accoglimento o rigetto del ricorso principale e dell’eventuale ricorso incidentale rispettivamente per manifesta fondatezza o infondatezza (art. 375, c. 1, n. 5), il relatore della sezione assegnataria del ricorso (ex art. 376, c. 1, primo periodo) deposita in cancelleria una motivata relazione. La procedura a questo punto prevede che il presidente fissi con decreto l’adunanza della Corte; seguono, quindi, i necessari adempimenti per dar modo al pubblico ministero ed agli avvocati delle parti di presentare, nei tempi scanditi dalla norma, rispettivamente le proprie conclusioni scritte e le memorie difensive.

Qualora, poi, il ricorso non sia dichiarato inammissibile, il relatore, se sussistono le condizioni per “ordinare l’integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione.. ovvero sia rinnovata” (art. 375, c. 1, n. 2) nonché per “provvedere all’estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia” (art. 375, c. 1, n. 3) deposita in cancelleria una relazione motivata affinché il ricorso sia deciso con rito camerale. Altrimenti la “Corte rinvia la causa alla pubblica udienza.”

Per coerenza con il principio della responsabilità aggravata della parte soccombente e della relativa condanna al pagamento delle spese di lite, disciplinato dall’art. 96, viene proposta (ex art. 46, c. 20 della legge n. 69) la nuova formulazione dell’art. 385 orfana del quarto comma, che era stato aggiunto dal d,lgs n. 40/2006.23

La revisione dell’appello si chiude con la riduzione da un anno a tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione del termine di riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio che, ex art. 392 c.p.c, può essere fatta da ciascuna delle parti.

Riduzione che non opera nel processo tributario ove prevale la norma speciale di cui all’art. 63 del d.lgs. n. 546, come esplicitato dalla richiamata circolare n. 17.

L’esposizione degli spunti di novità introdotti dalla legge n. 69, seppure caratterizzata da essenzialità, dovrebbe essere sufficiente per individuare la direzione nella quale si muove la volontà riformatrice del legislatore.

Il puzzle organico che si delinea dalla lettura dei singoli elementi incontra tuttavia un naturale limite temporale che è quello dell’efficacia delle norme, richiamato dalle disposizioni transitorie.

Infatti, a mente dell’art. 58, c. 1, le disposizioni, che dovrebbero imprimere la tanto attesa accelerazione del processo civile, si applicano solo nei giudizi instaurati in primo grado dopo l’entrata in vigore della legge. La giurisprudenza consolidata, riporta in proposito la citata circolare n. 17, intende per “giudizio” non il grado, bensì l’intero processo in mancanza di specificazioni, da parte del legislatore, che possano collegare l’espressione usata ad una singola fase del procedimento”. Sebbene “il giudizio tributario si considera instaurato alla data di notifica del ricorso e non a quella di deposito”, la medesima circolare, adottando un comportamento prudente, invita gli uffici a considerare dimezzato il termine lungo di impugnazione, anche con riferimento ai ricorsi notificati in primo grado anteriormente e depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 69 (4 luglio 2009).

Accogliendo l’interpretazione letterale della norma, invece, c’è il rischio, a conti fatti, di un’ulteriore dilazione degli effetti positivi della riforma; dilazione che, a prima vista, sembrerebbe non riguardare il processo tributario, in quanto il predetto art. 58 introduce una sorta di doppio binario. Trattandosi, infatti, di una disposizione che non è direttamente qualificabile come “norma del codice di rito”, pur disponendo sull’efficacia del processo riformato, non influirebbe su quella del processo tributario, stante l’espresso richiamo previsto dall’art. 1, c. 2, del dlgs n. 546/1992.

Tale regime d’intertemporalità a scarto differenziato suscita perplessità e parte della dottrina24 è dell’avviso che debba prevalere una visione ed una ratio complessiva, cosicché la riduzione del termine lungo, prevista dal riformato art. 327, c. 1, si applicherebbe soltanto ai processi tributari instaurati dopo l’entrata in vigore della legge,

 

1 pubblicato in Il Sole 24 ore di sabato 12 giugno 2010).

2 Nella medesima linea di celerizzazione dei tempi processuali si pone anche il novellato articolo 50 c.p.c. che dispone il dimezzamento del termine (da sei a tre mesi) previsto per la riassunzione della causa, in caso di incompetenza del giudice adito sebbene la disposizione non abbia alcun effetto nel processo tributario.

Nel processo tributario, infatti, prevale la norma speciale contenuta nell’articolo 5 del D. Lgs. n. 546 del 1992, il quale, al comma 4, esclude l’applicabilità del regolamento di competenza e al comma 5 prevede che “La riassunzione del processo davanti alla commissione tributaria dichiarata competente deve essere effettuata a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa. Se la riassunzione avviene nei termini suindicati il processo continua davanti alla nuova commissione, altrimenti si estingue”.

3 La facoltà riconosciuta al giudice di condannare la parte ad una pena pecuniaria, recepisce – limitandone l’estensione alla parte ed escludendo il difensore – la sentenza 21 marzo 2002, n. 78 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’”ordinanza, che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, ‘condanna’ la parte o il difensore che l’ha proposta ad una pena pecuniaria anziché prevedere che ‘può condannare’ la parte o il difensore medesimi ad una pena pecuniaria” .

4 L’estensione della disciplina generale della condanna alle spese contenuta già nella precedente formulazione dell’art. 91 c.p. c. era stata, d’altra parte, riconosciuta anche dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria (circolare n. 98/E del 23 aprile 1996 (nella parte in commento all’articolo 15 del D. Lgs. n. 546 del 1992 “ancorché la “conciliazione giudiziale” di cui all’articolo 48 del D. Lgs. n. 546 del 1992 preveda una disciplina diversa dalla “proposta conciliativa” cui si riferisce l’articolo 91 c.p.c.”

5 L’articolo 96, primo comma ,impone al giudice di condannare, su istanza dell’altra parte, la parte soccombente che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, alle spese e al risarcimento dei danni liquidandoli, anche d’ufficio, nella sentenza.

6 Libro Secondo, Titolo Terzo, Capo I “Delle impugnazioni in generale (artt.323 – 338)”;

7 Cass. SS.UU. 15 dicembre 2008, n.29290, Cassazione, Sez. V, 18 novembre 2009, n. 24302; entrambe esplicitamente richiamata dalla circolare n. 17/2010;

8 Ex multis, cfr. Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29 aprile 2008 n. 10817;Cassazione civile, SS.UU., sentenza 18 febbraio 2009 n. 3818 e Cassazione civile, SS.UU., sentenza 19 febbraio 2009, n. 3960;

9 Nuova disciplina del processo civile di cognizione e processo tributario, di C. Glendi in Corriere Tributario n. 36/2010;

10 Libro Secondo, Titolo terzo, Capo II “Dell’appello(artt.339 – 359)”;

11 Libro Secondo, Titolo Terzo, Capo III ”Del ricorso per cassazione”;

12 Op.citata di C. Glendi in Corriere Tributario n. 36/2010;

13 Una buona “novella” al c.p.c.:la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale” in Corriere Tributario n. 6/2009;

14 Introduzione del “filtro di ammissibilità” e abrogazione del quesito di diritto, di M. Marinelli in Corriere Tributario n. 33/2009;

15 La nuova pseudo riforma della giustizia civile (un primo commento della L. 18 giugno 2009, n. 69), di G. Balena in Il giusto processo civile n.3/2009;

16 In tal senso si è espressa anche la circolare n. 17/2010 dell’Agenzia delle Entrate in premessa;

17 Titolo Terzo, Capo I, Sez. 2° “Del procedimento e dei provvedimenti (artt. 374 – 391);

18 1) dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’art. 360;

2) provvedere in ordine all’estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia;

19 c. 1 precedente: “I ricorsi sono assegnati alle sezioni unite o alle sezioni semplici dal primo presidente”;

20 art. 375, c. 1, numeri 1) e 5):

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce il dovere di:

  1. dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360;

  1. accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza;

21 “Art. 67 – bis – (Criteri per la composizione della sezione prevista dall’articolo 376 del codice di procedura civile)- 1.A comporre la sezione prevista dall’articolo 376, primo comma, del codice di procedura civile, sono chiamati, di regola, magistrati appartenenti a tutte le sezioni”;

22 (Procedimento per la decisione sull’inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio):

“Il relatore della sezione di cui all’art. 376,primo comma, primo periodo, se appare possibile definire il giudizio ai sensi dell’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia.

Il presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l’adunanza, il decreto e la relazione sono pubblicati al pubblico ministero e notificati agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare,il primo conclusioni scritte, e i secondi memorie, non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono.

Se il ricorso non è dichiarato inammissibile, il relatore nominato ai sensi dell’articolo 377, primo comma, ultimo periodo, quando appaiono ricorrere le ipotesi previste dall’articolo 375, primo comma, numeri 2) e 3), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione dei motivi in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio e si applica il secondo comma.

Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste dall’art. 375, primo comma, numeri 2) e 3), la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza”

23 L’art. recitava:”Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 375, la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”;

24 Processo tributario. Tempi d’innesto delle nuove norme del codice di procedura civile nel processo tributario, di C. Glendi, in Corriere tributario n. 38/2010.

Dott.ssa Giordano Antonina

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