Riflessioni sul risarcimento danni da illecito della PA alla luce della più recente giurisprudenza

È una materia di derivazione giurisprudenziale che, perciò, non ha ancora una sua disciplina specifica. Ha un campo di azione molto ampio: dalla responsabilità del dipendente al mobbing ed al licenziamento illecito, dalla violazione di diritti fondamentali alla ritardata assunzione a seguito del superamento di un concorso pubblico etc. La responsabilità per questi danni può essere contrattuale ed extracontrattuale.

Come detto pur essendo stata affrontata spesso dalla dottrina e dalla prassi, anche nell’ottica delle voci indennizzabili[1], non ha ancora una sua codificazione specifica ed anzi, proprio per la sua evoluzione continua, essendo frutto del c.d. diritto vivente, ha suscitato diverse criticità.

 

Danno da lesione d’interessi legittimi. In primis per il danno da lesione d’interessi legittimi (la tipologia più nota e diffusa) è difficile, secondo alcuni autori[2], individuarne la fattispecie di riferimento: si passa dalla responsabilità aquiliana (2043 cc) in analogia con quanto sancito per il risarcimento in sede civile, prediletta dalla giurisprudenza costante in materia a quella da contratto sociale od ammnistrativo qualificato (l’autrice citata parla invece di contatto) che si basa sulla violazione dei doveri di protezione previsti in capo alla PA (Francia, Gran Bretagna etc.: anche in questi paesi è un istituto di derivazione giurisprudenziale) e quindi sul rispetto dell’art. 1218 cc. contrapponendosi alla responsabilità extracontrattuale. In breve dalla sentenza della Cass.SS.UU. 500/99[3], che ha codificato le nozioni di danno ingiusto e di lesione d’interesse legittimo, la prassi ha elaborato vari orientamenti, spesso in contrasto tra loro, sino a dare risalto al legittimo affidamento del privato nell’atto della PA, sì che questo danno si declina in varie sfumature: lesione da provvedimento illegittimo, da mancato annullamento di quello sfavorevole o da annullamento da provvedimento favorevole al privato. In ogni caso la più recente giurisprudenza si orienta al nuovo corso del diritto amministrativo, evidenziato anche dalle recenti riforme di altri istituti (diritto di accesso, autotutela etc.) che hanno recepito principi di diritto dettati dalla CGUE e dalla CEDU: si privilegia il dialogo col cittadino in un’ottica di trasparenza della PA e di controllo sulla buona amministrazione. Si rilevano incertezze sull’individuazione del nesso causale per richiedere l’indennizzo: oltre a quello materiale-giuridico, è stata elaborata la c.d. pregiudiziale amministrativa secondo cui chi vuole chiedere un risarcimento del danno deve ottenere l’annullamento dell’atto che presume lesivo del suo interesse. Sul punto c’è stato un aspro dibattito , di cui si è già dato atto e sul quale si rinvia alle citate fonti per ogni approfondimento, soprattutto dopo le riforma del cpa (attualmente le due azioni sono regolate dagli artt. 29 e 30): da un lato si ritiene che siano azioni strettamente connesse ( se non si ottiene la prima è impossibile esperire la seconda), dall’altro ( è la tesi prevalente) si ritengono autonome. Dopo vari interventi della Consulta (da ultimo la n.34/17), sono state escluse lesioni ai diritti tutelati dall’art. 6 Cedu (accesso alla giustizia, equo processo e tutela della garanzie processuali), con contrapposizione della Cassazione che privilegia la tutela degli interessi del singolo al Consiglio di Stato che privilegia invece quella dell’interesse pubblico.

L’Adunanza plenaria  (A.P.) del CDS recentemente ha sancito che le due azioni possono essere proposte anche disgiuntamente, essendo autonome, purchè innanzi allo stesso giudice. Questa incertezza si riscontra principalmente sulla giurisdizione su queste liti e sul termine di prescrizione.

Su queste tematiche ci sono state negli ultimi mesi diverse pronunce interessanti che hanno chiarito ed approfondito vari aspetti di questa materia (risarcimento danno da illecito della PA e la varie categoria che essa comprende).

 

Responsabilità precontrattuale e contrattuale: chi decide le controversie? Il primo e principale problema è l’individuazione dell’autorità giudiziaria da adire per l’azione di risarcimento danni (per lo più si è presentata per i danni da lesione di legittimo affidamento relativa agli appalti pubblici). Come hanno evidenziato molti autori[4] (Cirillo, Caringella, Galli etc.) la giurisprudenza è contrastante sul punto, anche relativamente al riparto di giurisdizione in caso di responsabilità precontrattuale e contrattuale.

Sul punto è intervenuta la Cassazione civile con l’ordinanza della SS.UU. n.16419 del 4/7/17 che ha sancito la competenza del G.O. tutte le volte che è leso un diritto soggettivo e sulle azioni risarcitorie da responsabilità precontrattuale della PA, poiché non sono afferenti alla fase pubblicistica del bando di gara, bensì a quella precedente in cui sono lesi i doveri di lealtà e di correttezza. Si guarda, quindi, alla natura ed alla consistenza delle situazioni soggettive dedotte in giudizio, la cui lesione non è dovuta, ma soltanto determinata da un atto amministrativo di affidamento di appalti pubblici o di servizi. Come detto, però, sul punto la prassi non concorda poiché un orientamento minoritario secondo cui i casi di annullamento o di revoca dell’aggiudicazione dell’appalto siano di competenza del G.A. (Cass. Civ. SS.UU. 20596/08, CDS 6455/14- attribuita al G.A. la riconvenzionale proposta dalla stazione appaltante contro un privato-4674/14 e A.P. 6/05). In realtà la prassi non né univo né chiara sul punto poiché tende a riconoscere al G.O. la competenza sull’esegesi e l’inadempimento del contratto di appalto pubblico.

Dubbi permangono anche sulle azioni di risarcimento responsabilità contrattuale della PA di cui al §. successivo. Se da un lato si rivendica la giurisdizione assoluta dal G.A. (A.P. 2/17) dall’altro la prassi, nel fissare i criteri generali di ripartizione attribuisce al G.O. la giurisdizione anche sulle azioni per la risoluzione o la declaratoria di nullità dei contratti di appalto pubblico e/od alle azioni relative a tutti gli inadempimenti dei doveri di leale collaborazione nascenti dal contratto stesso (Cass. civ. SS.UU. 2852/17, 9861/15,10301/13 ed ord. 9149/17), come ad esempio l’esegesi di una clausola penale  (Cass.civ. SS.UU. 28342/11). In sintesi <<rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successiva alla stipulazione del contratto, cioè non solo quelle che attengono al suo adempimento e quindi concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle volte ad accertare le condizioni di validità, efficacia, nullità o annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti, accertabili incidentalmente da detto giudice, al quale le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento da parte del giudice amministrativo>> (Cass. civ. SS. UU.11366/16). Ergo, secondo questo orientamento anche la fase esecutiva rientra nella giurisdizione del G.O. (Cass. civ. SS.UU ord. 23468/16), anche se la A.P. 2/17 afferma il perfetto contrario.

 

Risarcimento danni per responsabilità contrattuale della PA (revoca di appalti, legittimo affidamento etc.). L’A.P. n.2 del 12/5/17, in contrasto con l’orientamento maggioritario sopra descritto, ha sancito importanti principi di diritto sull’esecuzione del giudicato e l’esecuzione in forma specifica, dopo che le sez. semplici del CDS le avevano inviato la questione visto il contrasto giurisprudenziale sul DURC negativo risolta dall’AP 6/16. In essa, nell’ambito di una lite analoga a quella affrontata dall’A.P. 2/17, si negava la possibilità di regolarizzare la posizione della ricorrente e si ribadiva la correttezza dell’ANAS nell’aver revocato l’aggiudicazione dell’appalto all’originaria ATI (aveva scientemente attestato il falso: non era in regola al momento di presentare l’offerta ed all’aggiudicazione col versamento dei contributi previdenziali), assegnandolo ad un’altra società che aveva agito per l’ottemperanza a questo giudicato. L’appaltante chiarì che non era stata inottemperante e l’impossibilità di rispettare il giudicato perché quando è intervenuto le opere appaltate all’ATI erano già ultimate, perciò non si poteva effettuare alcun subentro. L’A.P., nell’accogliere parzialmente questo in merito alla richiesta d’indennizzo, pur dichiarando il proprio difetto di giurisdizione,  ha sancito questi principi di diritto in questi casi:<<1. dal giudicato amministrativo, quando riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere, nasce ex lege, in capo all’amministrazione, un’obbligazione, il cui oggetto consiste nel concedere “in natura” il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza. 2. L’impossibilità (sopravvenuta) di esecuzione in forma specifica dell’obbligazione nascente dal giudicato – che dà vita in capo all’amministrazione ad una responsabilità assoggettabile al regime della responsabilità di natura contrattuale, che l’art. 112, comma 3, c.p.a., sottopone peraltro ad un regime derogatorio rispetto alla disciplina civilistica – non estingue l’obbligazione, ma la converte, ex lege, in una diversa obbligazione, di natura risarcitoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato in sostituzione della esecuzione in forma specifica; l’insorgenza di tale obbligazione può essere esclusa solo dalla insussistenza originaria o dal venir meno del nesso di causalità, oltre che dell’antigiuridicità della condotta. 3. In base agli articoli 103 Cost. e 7 c.p.a., il giudice amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un soggetto ad essa equiparato, con la conseguenza che la domanda che la parte privata danneggiata dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica del giudicato proponga nei confronti dell’altra parte privata, beneficiaria del provvedimento illegittimo, esula dall’ambito della giurisdizione amministrativa. 4. Nel caso di mancata aggiudicazione, il danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Spetta, in ogni caso, all’impresa danneggiata offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.), e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno. 5. Il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato o potuto riutilizzare mezzi e manodopera per altri lavori, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum>>.

Il Tar Sardegna n. 403 del 14/6/17 è tornato su queste problematiche, sempre relative alla revoca degli appalti per carenza dei requisiti tecno-morali (nella fattispecie era intervenuta un’informativa antimafia contro l’aggiudicataria). Prima di questo provvedimento interdittivo e della revoca questa azienda aveva ceduto un suo ramo ad una terza società. Orbene il Tar ha dichiarato il difetto di legittimazione della società cedente, poiché ex art. 2058 si era spogliata di tutti i rapporti contrattuali e dei crediti vantati verso terzi cedendoli alla nuova proprietaria << per effetto di quanto previsto dall’art. 2559, comma 1, c.c., secondo cui “la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese”; del resto regime giuridico opera senz’altro anche in relazione ai crediti da fatto illecito: “tra i crediti che, nel caso di cessione d’azienda, si trasferiscono automaticamente al cessionario rientrano anche quelli derivanti da fatti illeciti commessi in danno dell’impresa cedente, a nulla rilevando che gli stessi consistano nella lesione di interessi legittimi pretensivi od oppositivi per condotta illegittima della p.a.” (così, testualmente, ex multis, Cassazione civile, Sez. III, 31 luglio 2012, n. 13692)>>.

 

Danno da ritardo. In caso d’inerzia della PA il cittadino può chiedere un risarcimento per i danni procurati dal ritardo nell’adottare o ritirare un provvedimento. Il Tar Salerno n. 1223 del 17/7/17 chiarisce che il presupposto di questo danno è il ritardo con cui la PA adotta o revoca provvedimenti e quindi sono risarcibili tutte le voci di danno patrimoniale e morale che il cittadino dimostra derivare da questo danno ingiusto. La fattispecie è relativa al mancato rilascio di un permesso a costruire per l’ampliamento di un’attività aveva comportato un ritardo che, per sopravvenute riforme normative, aveva reso impossibile ottenere tale titolo. Il Tar nel liquidare solo le spese tecno-legali per la pratica amministrativa relativa alla predisposizione del progetto di ampliamento e quelle relative al mancato incremento della volumetria (aumento del valore del fabbricato, del terreno, del volume di affari etc.) chiarisce l’istituto richiamando << la consolidata giurisprudenza secondo cui quando il procedimento debba concludersi con un provvedimento favorevole per il destinatario, o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe potuto ottenerlo, il solo ritardo nell’emanazione del provvedimento finale può ritenersi elemento sufficiente per configurare un danno “ingiusto”, con conseguente obbligo di risarcimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6407; sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63). Nel caso di specie, poi, deve ritenersi acquisita anche la prova dell’elemento soggettivo della colpa in capo alla P.A. procedente, in quanto, una volta dimostrata l’oggettiva inosservanza dei termini di conclusione del procedimento e la sua verosimile positiva conclusione per il ricorrente, il Comune non ha, né in sede procedimentale né in sede giudiziale, giustificato tale ritardo con riferimento, ad esempio, a oggettive e serie difficoltà, di tipo tecnico o organizzativo, proprie del caso concreto (Cons. Stato., sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452; Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2015, n. 3047); mentre, al contempo, le intercorse vicende in sede giurisdizionale hanno dato conto della indebita frapposizione di ostacoli procedurali in realtà insussistenti e idonei a comprovare l’inosservanza di disposizioni normative e la negligenza, se non l’imperizia, dell’apparato, integranti il richiesto elemento soggettivo sub specie di colpa>>.

Il Tar Catania n.455 del 6/3/17, nel rigettare la richiesta di una ditta contro l’eccessiva durata di un procedimento relativo a varianti in corso d’opera per la realizzazione di opere di urbanistica secondaria (salvaguardia ambientale) per lo scadere dei termini per l’espropriazione di pubblica utilità e per la mancata ottemperanza ad una misura cautelare del Tar stesso per l’approvazione di un nuovo piano di lottizzazione, per difetto di motivazione del precedente chiarisce i criteri per richiedere tale danno ed il rapporto con l’eventuale adozione di misure cautelare in corso di lite. La domanda è stata poi dichiarata improcedibile per la cessazione della materia del contendere.

Il Tar Catania ha prima chiarito che di per sé << il provvedimento amministrativo adottato in esecuzione di un’ordinanza cautelare non implica di per sé il ritiro dell’atto impugnato e nella maggior parte dei casi ha effetti provvisori; ciò non esclude, tuttavia, che in taluni casi la riedizione del potere amministrativo, in esecuzione dell’ordinanza cautelare, possa determinare una fattispecie estintiva della controversia cui la cautela accede o comunque possa incidere sulla sussistenza dell’attualità dell’interesse a ricorrere, come nei casi in cui i provvedimenti di riesame facciano conseguire al ricorrente l’utilitas posta a base del ricorso >> (CDS 1534/13, nel precisare i casi in cui l’ottemperanza alla misura cautelare comporta l’estinzione della lite, come nella fattispecie, ribadisce che essa non configura di norma una radicale consumazione della potestà amministrativa e l’effetto caducante dell’eventuale sentenza definitiva si estende comunque a tutti gli ulteriori atti adottati dalla P.A. a seguito dell’adozione dell’ordinanza cautelare). Il Tar ha, quindi, ritenuto <<opportuno richiamare la giurisprudenza formatasi sul risarcimento dei danni da ritardo, i cui punti fondamentali sono così riassumibili:- la domanda del danno da ritardo deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c., per cui, per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c. , provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante);- al fine del necessario accertamento della colposità dell’inerzia la cui dimostrazione incombe sul danneggiato, non è sufficiente la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione escludere la sussistenza della colpa;- il comportamento dell’Amministrazione deve essere valutato unitamente alla condotta dell’istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale e attiva del procedimento e in tale veste dispone di poteri idonei a incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall’ordinamento giuridico, tra cui il rito del silenzio che deve essere attivato con tempestività rilevando altrimenti, ai fini dell’art. 30, comma 3° del c.p.a. , in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile (TAR Sicilia – Palermo, sez. III, 5 giugno 2015 n. 1316 e sez. II, 26 maggio 2015 n. 1243; TAR Sicilia – Catania, sez I, 2 dicembre 2015, n. 2829). L’interessato si deve, quindi, attivare al fine di reagire all’inerzia all’Amministrazione, con la conseguenza che “solo in caso di persistente inerzia a seguito dell’attivazione di poteri sostitutivi o del rito del silenzio, detta procedura può configurarsi la lesione del bene della vita risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e di buona fede che devono caratterizzare lo svolgimento del rapporto tra soggetto pubblico e privato” (cfr., ex multis, Cons Stato, Sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 15 luglio 2016, n. 996; T.A.R. Lazio, Sez. III quater, 9 luglio 2013, n. 6795). Occorre, quindi, affinché il danno possa essere risarcibile, un’iniziativa del danneggiato volta a contrastare l’inerzia dell’amministrazione in conformità al principio di buona fede (che non consente che l’asserito danneggiato rimanga inerte per poi giovarsi dell’inerzia della p.a. a fini risarcitori) e ai principi solidaristici che informano l’ordinamento e che impongono di attivarsi nel limite di un apprezzabile sacrificio al fine di evitare che la situazione produttiva del danno si aggravi con il passare del tempo>>.

Si noti come il dovere di attivarsi contro questi ritardi che grava sul cittadino ricorrente è previsto anche per l’equo indennizzo ex legge Pinto, onere ribadito da recentissime riforme.

 

Astreinte. Nota anche come c.d. penalità di mora è, in definitiva, un’altra forma di danno da ritardo ed è regolata dall’art. 114 cpa.  È  <<un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario in particolare quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili; mentre non è applicabile quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento consiste, esso stesso, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria>> (Tar Lazio Roma, sez. I n. 10305/11 e sez. II-quater, n. 1080/12). È in parte sovrapponibile all’analogo istituto del diritto civile, perché previsto per le obbligazioni infungibili di fare o non fare ai sensi dell’art. 614 bis cpc, ma presenta profonde differenze con lo stesso[5]. L’ente che non assolve all’obbligo de qua, salvo che ciò sia manifestamente iniquo (per una sua definizione e per la casistica CDS sez IV n. 3272/12) o vi siano altre misure ostative, è condannato a versare un’ulteriore somma per ogni giorno di ritardo. Può essere chiesta anche durante il giudizio di ottemperanza, come nelle fattispecie o con un separato processo. Infatti ha portata più ampia e, contrariamente all’equo indennizzo, ha una funzione <<sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volta a riparare il pregiudizio cagionato dall’esecuzione della sentenza ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento>>.Va rilevato il contrasto giurisprudenziale poiché da un lato la nomina del commissario ad acta non preclude il riconoscimento di questo ulteriore benefit (CDS nn. 2725/11 e 2744/12) pari ad €.50 per ogni giorno di ritardo dallo scadere dei termini assegnati alla P.A. sino al pagamento da parte del sostituto. L’orientamento costante del Tar di Roma (Tar cit.), cui si conformano le sentenze annotate, lo esclude in questi frangenti, perché può apportare le variazioni di bilancio per potere effettuare i richiesti e dovuti pagamenti, sì che la sua la sua attribuzione sarebbe ingiusta e  farebbe <<gravare sull’amministrazione, ingiustamente, le conseguenze sanzionatorie di “ulteriori ritardi” imputabili, non ad essa, ma all’ausiliario del giudice >>. Il CDS 4141/15 ha chiarito che è dovuta solo dalla data della notifica o della comunicazione dell’ordine di pagamento deciso dal giudice d’ottemperanza.

 

[1] Sui principi generali che regolano l’istituto si rinvia ai molteplici contributi pubblicati sul sito www.giustizia-amministrativa.it  (sito istituzionale del Consiglio di Stato e dei vari Tar) per ogni eventuale approfondimento e tra questi si segnalano: S. Patti, Il danno biologico, quello morale e quello esistenziale, voci descrittive od ontologicamente autonome; E.Musi, Il danno da perdita o riduzione della capacità di guadagno: il danno futuro; F.Federici, Danno da perdita di chances, tutti in atti del Convegno organizzato dalla Scuola Superiore di magistratura a Roma in data 11-12/10/16 Risarcimento del danno e tecniche di liquidazione nel giudizio civile e nel giudizio amministrativo.

[2] M. Ramajoli, Spunti per un dibattito in tema di risarcimento del danno e interessi legittimi, ibidem.

[3] Su questa evoluzione si rinvia a quanto esplicato nella rassegna giurisprudenziale ragionata elaborata da G. P. Cirillo, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo, in ibidem

[4] Si rinvia in toto, anche per economia narrativa, a quanto esplicato da G.P:. Cirillo op.cit.

[5] Sul punto si veda amplius: G. Milizia, L’ottemperanza all’equo indennizzo e l’astreinte nel processo amministrativo e L’astreinte è dovuta solo dalla notifica o dalla comunicazione del giudizio di ottemperanza note a sentenza ai Tar Trento 355/12, Lazio 9003/12 e Piemonte 1277/12 e CDS 4114/15 nei quotidiani del 29/11/12 ed 1/10/15 in www.dirittoegiustizia.it; Delle Donne, Astreinte e condanna pecuniaria della PA tra Codice di procedura civile e Codice del processo amministrativo, nota a sentenza Tar Campania sez. IV n. 2161/11; Tomassetti, L’astreinte nel processo amministrativo: natura, ambito oggettivo e portata alla luce della più recente giurisprudenza.

Dott.ssa Milizia Giulia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento