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Giustizia, contratto, equilibrio: i termini della questione
“Pretium iustum matematicum, licet soli Deo notum”. Con queste parole, sulla scia degli insegnamenti di Tommaso d’Aquino, Juan De Lugo[1] assume il pretium iustum ad elemento fondante il concetto di equilibrio contrattuale, ciò che per la scolastica era diretta rappresentazione di valori morali, da reputarsi al di fuori della lex humana[2].
La fase emergenziale a tutti ormai tristemente nota ha fatto riemergere, attualizzandola, la questione del pretium iustum, con precipuo riguardo alla crescente domanda di dispositivi di protezione che il mercato, almeno nella fase ascendente dell’epidemia, non riusciva a distribuire in modo efficiente[3]. Senza andare oltre queste note introduttive, non essendo questa la sede per indugiare sul tema del “giusto prezzo”[4], il ricorso al medesimo concetto può tuttavia tornare utile ad un approccio metodologico di partenza. Soffermarsi ora sul “pretium” ora sul “iustum” – l’uno elemento strutturale, contropresazione; l’altro, attributo evocativo di un giudizio equilibrato, giusto – vuol dire assumere un doppio punto di vista: uno tutto interno al contratto, passando qui dalla discussa dialettica tra causa ed equilibrio contrattuale[5]; l’altro relativo alle chances di interpretazione di fronte alle possibili strettoie del dato positivo[6].
Rispetto al problema della giustizia contrattuale, ogni tentativo di armonizzare i contrasti sul ruolo della causa nell’analisi dei contratti sinallagmatici parrebbe muovere dall’interrogativo cruciale circa l’essenzialità dello scambio equo[7].
Ne derivano considerazioni di più ampio respiro, come quella secondo cui, rispetto al contratto, il termine “giustizia” sia ascrivibile al linguaggio a-tecnico[8], mentre “equilibrio” al linguaggio economico. Sicché, se con questo si guarda alla congruità dell’operazione economica, in quella rientrano valutazioni assiologiche, anche dal potenziale esito “integrativo[9]”. Tenendo ferme le molteplici accezioni della causa[10], l’intervento esterno al contratto sarà tanto più ragionevole quanto più la norma agendi si approssimi a un equilibrio fuori dal contratto, alla stregua di “giusto mezzo” tra sostanza e forma, tra rigore metodologico e apertura verso i valori[11].
A chi scrive non sembra, dunque, un azzardo constatare che il dilemma della “giustizia contrattuale[12]” si ponga non solo “dentro” al contratto ma anche e soprattutto “fuori”. Ciò in quanto gli interrogativi sui limiti del controllo giudiziale e dei suoi scopi attuali rispetto agli atti di autonomia[13] generano un eco in tema di rapporti tra istitui tradizionali, interpretazione e istanze di giustizia[14]. Si è affermato, infatti, che “l’autonomia negoziale non può essere disancorata dalla natura degli interessi sui quali una data disposizione è destinata a incidere. E poiché ogni interesse è correlabile a un valore, attraverso l’analisi degli interessi si dovrà individuare quale fra essi estrinsecano valori che hanno nella Carta costituzionale il loro riconoscimento e la loro tutela”[15]. A patto di non cadere in fallaci approssimazioni[16], la prospettiva testé riportata dalla Cassazione può dirsi non incompatibile con la concezione del contratto in termini di realtà esposta all’eteronomia delle fonti “che ne fanno, in luogo di fattore regolante, fatto regolato”[17]. Com’è noto, il contratto come “fatto regolato” richiama la duplice sfera della liceità e della meritevolezza, quest’ultima esplicandosi, per quanto qui di interesse, sottoforma di giusto bilanciamento tra valori e interessi contrapposti (v. infra). Come intendere, oggi, la causa del contratto in funzione di questo giusto bilanciamento? Cioè a dire: nell’ottica del perseguimento di un equilibrio dentro, ma soprattutto fuori dal contratto?
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Causa ed equilibrio “fuori dal” contratto: una questione ermeneutica
In una prospettiva legalmente orientata, attenta a non fare dell’interpretazione uno strumento “rivolto, impropriamente, all’eterointegrazione del contratto”[18], il problema della giustificazione causale di contratti “squilibrati” o “disfunzionali” può ridursi ad una questione ermeneutica, riducendo il controllo sulla causa del contratto in attività di interpretazione del contratto. A questi fini, torna utile l’esempio del prezzo asseritamente ingiusto. La Suprema Corte, rovesciando la decisione dei giudici di merito, ne ridimensionava la questione portandola sul piano interpretativo, donde l’irragionevolezza della nullità per difetto di causa e, per contro, l’opportunità di indagare la volontà delle parti a fronte di un prezzo che si asseriva lontano dall’effettivo valore della cosa venduta[19].
Alcune clausole, in uso nella prassi, avrebbero l’effetto di snaturare il tipo e il risultato per cui il contratto è stato concluso, trasformandolo da commutativo in aleatorio. Le clausole “if and when” suscitano l’attenzione di dottrina e giurisprudenza quanto al problema dell’incidenza, sulla causa di un contratto di subappalto, dell’incertezza della controprestazione dell’appaltatore verso il subappaltatore[20]. Ebbene, se risulta che le parti abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, in claris non fit interpretatio; ma quando manca questa comune volontà, quando essa risulta non chiara né univoca, è allora che si materializza l’esigenza di un equilibrio “fuori dal” contratto, per ricercare, fuori dal regolamento equivoco, non chiaro, oscuro, il rimedio più ragionevole. E dove reperirlo, in questi casi? In una prospettiva legalmente orientata, la risposta non può che essere nella disciplina dell’interpretazione. Proprio la disposizione di chiusura del capo IV nel Titolo II del codice offre icasticamente la soluzione all’equivocità del regolamento negoziale che deriva da clausole come quella “if and when”: “Qualora, nonostante l’applicazione delle norme contenute in questo capo, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso”.
A rigore, il criterio dell’equo contemperamento degli interessi si presenta quale soluzione ermeneutica “equilibrata”, ad evitare il controllo sugli elementi essenziali del contratto commutativo e così porlo nel nulla una volta accertato il difetto genetico sul piano causale. Tutt’al più, l’indagine sulla causa del contratto sortirebbe la finalità di mero adeguamento della ragione pratica al tipo contrattuale[21]: se il contratto è commutativo e non risulta che le parti l’abbiano inteso aleatorio, la clausola non può interpretarsi come condizione (recte: condizione mista o parzialmente potestativa), pena la mancata correlazione tra causa e tipo[22] e soprattutto un’interpretazione favorevole al solo appaltatore[23].
Sull’ammissibilità della causa come modello “eteronomo” di gestione dell’equilibrio contrattuale
La questione necessita, per completezza espositiva, di un perimetro ricognitivo che ne metta in risalto le criticità.
Occorre, a tal fine, muovere da alcune considerazioni di ordine sistematico, non fosse altro perché, dall’art. 1322, co. 1 c.c. emerge, in via di principio, la tendeziale indifferenza, nella sistematica del codice, rispetto al problema dell’equo scambio come oggetto di interpretazione o di controllo giudiziale.
Un dato da cui partire è infatti rappresentato dal carattere contingente dell’equilibrio contrattuale nella genesi del rapporto, in quanto le parti sono libere di “determinare il contenuto del contratto”. Se l’assetto divisato dai contraenti è esente da vizi del consenso ed è, pertanto, ciò che essi vogliono tradurre in contenuto precettivo, allora parte di quella sfera di volontà “intangibile” sarà pure il “valore tra le prestazioni”, il loro equilibrio e, così, l’eventuale squilibrio.
L’assunto è senz’altro fondato e può dirsi sorretto da non pochi indici normativi e sistematici.
Valga, come primo esempio fra i tanti, il richiamo alla disciplina della riduzione del corrispettivo in caso di riparazioni ex art. 1584 c.c. La disposizione mira all’effetto correttivo sull’eventuale sproporzione del canone in presenza del ridotto godimento della cosa locata.
Ebbene, il patto col quale il conduttore dovesse rinunciare alla riduzione del canone locativo in conseguenza della ridotta godibilità dell’immobile, esemplifica un modello autonomo di gestione dello squilibrio contrattuale (idest, dell’equiibrio turbato dall’imperfetta esecuzione del locatore)[24]. Tenendo ferma la distinzione tra vizi dell’atto e vizi del rapporto, guardando alla fase della formazione della volontà, l’inserzione di una clausola di tal fatta non potrebbe mai delegittimare la realizzabilità tout court dell’accordo e men che meno dare spazio ad un giudizio causale: posto che si è nell’ambito dell’autonomia e della tipicità, è da escludere l’incidenza del modello convenzionale sulla ragione d’essere del contratto, sulla sua causa tipica.
Di qui la spiegazione che il patto riconducibile a un tipo contrattuale legalmente previsto non potrà dirsi dotato di propria autonoma causa: cioè a dire, per i fini che qui interessano, lasciare spazio all’indagine sulla causa per l’ipotesi che la deroga oltrepassi “i limiti di elasticità della funzione tipica di quello schema legale”[25]. E la prevalenza della regola dell’art. 1372 c.c. – per cui il contratto ha forza di legge tra le parti – metterebbe fuori gioco l’indagine sullo squilibrio delle prestazioni, quandanche una parte corrisponda il canone per intero a fronte di una “monca” controprestazione dell’altra[26].
Sempre ascrivibili al novero dei modelli “autonomi” di gestione dell’equilibrio tra le prestazioni potrebbero essere i patti di cui all’art. 2341 bis c.c., allorché finalizzati a distribuire paritariamente le partecipazioni sociali. Un recente arresto della Cassazione[27] ne aveva individuato la causa concreta nell’equa divisione dei compendi relativi allo scioglimento di una comunione legale, evidenziando: a) la piena autonomia del patto rispetto allo svolgimento dell’impresa sociale cui era relativo; b) la conseguente inopportunità di ricorrere ad un controllo sulla causa del patto medesimo[28].
In ultimo e indicativamente, la clausola di arbitraggio, pur deferendo al terzo la determinazione della prestazione a termini dell’art. 1349 c.c., può qui ascriversi ai modelli “autonomi” di gestione dell’equilibrio contrattuale, poiché l’etero-determinazione include la reciproca rinuncia delle parti ad avvalersi di una prerogativa loro spettante, idest la fissazione dell’oggetto del contratto[29]. Rinuncia riconducibile all’effettiva esplicazione della loro autonomia ex art. 1322, co. 1 c.c. Ragion per cui, neanche qui può dirsi compromessa la validità dell’accordo[30]. Parimenti, nell’economia del discorso, può qui accennarsi alle nullità di protezione. Nell’esercizio della sua libera autoderminazione, il consumatore può decidere se e quando avvalersi del rimedio, così come gli è dato opporsi all’eventuale rilievo officioso del giudice.
Diametralmente opposta è l’ipotesi in cui le parti convengano, anticipatamente, sull’irriducibilità della penale per il ritardo o l’inadempimento. In primo luogo, il modello tipizzato dall’art. 1384 c.c. non consente la rinunzia preventiva del debitore[31]; inoltre, e a più forte ragione, la riduzione ad equità della penale manifestamente eccessiva troverebbe ragione d’essere anche al di fuori della volontà delle parti, tanto che il controllo esterno potrebbe passare – ed in effetti passa – attraverso l’iniziativa ex officio del giudice[32].
Di qui la natura di strumento in parte autonomo e in parte eteronomo[33], eccezionalmente indirizzato alla gestione dell’equilibrio nel contratto e, anche in tal caso, espressivo di un equilibrio “fuori dal” contratto, nel senso che è dato al giudice di scegliere il criterio più idoneo per “ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela[34]”. La disposizione, avendo comunque natura eccezionale, confermerebbe al più la tendenziale inclinazione del sistema verso l’inessenzialità dello scambio equo.
Ciò posto, l’indagine sull’equilibrio contrattuale attraverso il controllo sulla causa (recte: sulla causa concreta) potrebbe, in ipotesi, rappresentare: a) un modello eteronomo di gestione dell’equilibrio nel contratto, sì da impostare i termini del problema sul controllo degli elementi essenziali; b) un valido banco di prova per l’equilibrio fuori dal contratto, come si è detto supra.
Così inquadrata la questione, sorge però spontaneo l’interrogativo sul modo in cui la mancanza di equilibrio possa effettivamente incidere sulla causa di un contratto a prestazioni corrispettive, e in quali casi consentirne appunto il controllo giudiziale, sempre che di controllo possa ancora parlarsi.
E in effetti, si deve anche all’impostazione adottata nel passato meno recente, ma non per questo meno autorevole, la convinzione per cui, nei contratti di scambio, ciò che è idoneo, di per sè, a conferire rilevanza giuridica al contratto è “l’interesse alla promessa”, sicché l’assenza di un rapporto di adeguatezza tra le prestazioni non vale a incidere sulla “causa onerosa” del contratto, eccezione fatta per ipotesi di squilibrio macroscopico[35].
Così si esprime F. A. von Hayek a proposito degli enunciati della scolastica in materia di equilibrio contrattuale: “essi insegnarono, piuttosto, che i prezzi fissati da una giusta condotta delle parti nel mercato, ad esempio i prezzi competitivi raggiunti senza frode, monopolio e violenza, fossero ciò che la giustizia richiedeva”[36]. “Frode”, “monopolio” e “violenza” richiamano alla mente ipotesi sintomatiche di ingiustizia in grado di legittimare, in quanto tipiche, un intervento giudiziale[37].
E in effetti, l’intangibilità dell’equilibrio/squilibrio contrattuale viene già mitigata per mezzo di ipotesi tipiche, le quali rimettono alla disponibilità delle parti lo strumento per ovviare ora allo squilibrio originario – rescissione – ora a quello sopravvenuto, successivo alla fase della formazione dell’accordo – risoluzione. Soluzioni precostituite, atte a correggere turbative nel sinallagma genetico (rescissione) o funzionale (risoluzione). Il primo, è noto, investe la fase della formazione dell’accordo, la sfera della realizzabilità[38], il secondo l’effettiva realizzazione e, quindi, la fase dell’esecuzione.
Ed è, per inciso, alla prima delle due fasi che di regola guarda il giudizio causale[39].
E proprio l’opzione più aderente alla sistematica del codice[40] rammenta come non sia lo squilibrio in sè a rilevare ai fini dell’intervento sull’atto di autonomia, quanto la combinazione con altre situazioni di fatto, interferenti ora con la formazione dell’accordo (lo stato di pericolo o di bisogno nella rescissione) ora con l’effettiva esecuzione della prestazione (l’accadimento straordinario e imprevedibile nella risoluzione)[41].
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(segue): cenni ai rapporti asimmetrici tra imprese
A ben vedere, fuori dal contratto e dalla relativa sistematica generale, può darsi che l’autonomia negoziale sola non basti a declinare l’autoregolamento in termini di equa conciliazione degli interessi in gioco.
Le relazioni commerciali tra imprese sono il contesto elettivo per i modelli eteronomi di gestione, legali o giudiziali. La problematicità insita ai rapporti strutturalmente asimmetrici apre, giocoforza, alle possibilità di intervento sul contenuto del contratto. Si pensi alla disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (art. 62, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1)[42]. Maggiori strumenti di garanzia – forma scritta, principi di trasparenza, congruità dei prezzi e di necessaria corrispettività – scaturiscono qui da una visione realistica dell’autonomia contrattuale, dal processo di frammentazione del mercato in più mercati. L’attenzione sulla causa del contratto può non risolversi in una declaratoria di nullità del contratto – il controllo sul regolamento serve, invero, a far dichiarare la nullità di una singola clausola – ma l’attenzione verso la forma sì[43]. Causalismo e formalismo viaggiano in parallelo e esteriorizzano qui ai massimi livelli l’ordine simbolico della volontà per riconciliarlo con l’ordine funzionale del mercato[44] (recte: dei mercati). Con riguardo ai principi fondanti la materia, rimane aperta la questione della utilità sociale di scambi in concreto vantaggiosi per la sola parte dotata di maggiore forza di mercato[45]. E con essi, del controllo di meritevolezza sulle clausole abusive. E’ pur vero, peraltro, che il parallelismo tra meritevolezza e utilità sociale, per come richiamata dall’art. 41 Cost., richiede una certa cautela[46].
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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro. Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali.
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(Segue): possibili aperture dal giudizio di immeritevolezza ex art. 1322, co. 2 c.c.
L’allontanamento delle scelte[47] dei privati dai confini della tipicità ha in parte agevolato una maggiore attenzione verso gli scambi, lì dove situazioni di squilibrio, ancorché programmate, risultassero ostative alla tutela degli interessi via via emergenti, perché distorsive sul piano della loro meritevolezza.
L’art. 1322 comma II c.c. porta a compimento quel processo di relativizzazione della volontà che culmina con il controllo sulla causa concreta del “singolo” autoregolamento[48].
La portata onnicomprensiva del richiamo all’ordinamento giuridico, così come operato dalla disposizione dell’art. 1322 c.c., assume particolare rilievo ai fini che qui interessano. Vi convergono, per inciso, le norme imperative, i principi costituzionali, le norme sovranazionali ex art. 117 Cost; più in generale, tutto il materiale normativo necessario ad integrare il giudizio di meritevolezza degli interessi, sicché anche fonti di rango sub-costituzionale, quando espressive di valori immanenti all’interesse meritevole di tutela, possono combinarsi con le prime e perciò acquisire rilevanza.
A rigore, l’attenzione verso l’equilibrio nel contratto può farsi derivare da una concezione aperta alla eterogeneità del materiale a disposizione dell’interprete[49]; alla molteplicità delle fonti del diritto, di ciò che in quanto fonte può dirsi suscettibile di “antinomie”, di contrasti con altre fonti, eteronome rispetto al contratto che pure assurge a legge privata, il cui contenuto può pertanto confliggere con fonti gerarchicamente superiori[50].
Un esempio al riguardo, per quanto qui rileva, è offerto dalla disciplina sui contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento recata dall’art. 23, co. 2, TUF, ove è disposta la nullità di ogni pattuizione di rinvio agli usi per la “determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente”. Gli usi contrattuali, in quanto fonti del diritto, possono divergere da principi e valori inderogabili e, in questo caso, è la legge stessa a limitare l’autonomia in punto di determinazione del corrispettivo. L’esempio, benché relativo ad una normativa di dettaglio, solleva la questione di quale sia la fonte più adatta a regolamentare i termini dello scambio tra i contraenti, ed è utile a cogliere la “non assolutezza” dei modelli autonomi di gestione dell’equilibrio contrattuale[51].
E’ in questo variegato contesto che si inserisce la querelle intorno alla possibilità di riconoscere piena autonomia all’indagine sull’equilibrio contrattuale[52], della quale la causa del contratto non è che uno dei possibili – se non discussi – strumenti di legittimazione.
Incidentalmente, occorre infatti osservare come l’opinabilità del ricorso alla causa si debba anche alla profonda rivalutazione dell’istituto da parte delle correnti più favorevoli a riconoscere rilievo assorbente al giudizio di illiceità del regolamento negoziale[53].
Senonché, tra le autorevoli dottrine ve n’è una che sposa la tesi della perdurante necessità di ricorrere al principio della causa concreta[54], nel suo significato di “funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato[55]. Tesi, questa, dalla quale non si ravvisano qui ragioni per discostarsi.
Se è vero che, nel solco di queste note acquisizioni dottrinali, la causa costituisce il “fattore di individuazione” del regolamento[56], una volta ripresa sotto la lente del giudizio di meritevolezza, essa individua l’idoneità della singola convenzione a perseguire un interesse o un risultato compatibili con i principi fondanti l’ordinamento[57].
Tale è l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità[58]: l’immeritevolezza del singolo patto inficia, perciò, la concreta realizzabilità dell’assetto di interessi programmato.
A sua volta, l’inidoneità dell’autoregolamento a perseguire l’interesse meritevole condurrebbe, in linea di massima, all’inefficacia dell’intero contratto o, nel rispetto della conservazione della volontà negoziale, alla nullità della singola clausola (art. 1419 co. 2 c.c).
E tuttavia, l’opzione di metodo predisposta dal legislatore può qui riportarsi all’idea di un equilibrio fuori dal contratto, per avere il giudice, in più occasioni[59], fatto un buon governo del principio vitiatur sed non vitiat di cui all’art. 1419 comma II c.c., sì da preferire, quale esito più ragionevole, secondo le circostanze, proprio la conservazione del contratto.
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La concretizzazione del principio causalistico nel segno di un equilibrio “fuori dal” contratto.
L’accennato equilibrio fuori dal contratto si appalesa, dunque, sottoforma di bilanciamento tra l’interesse alla conservazione del contratto e l’interesse dell’ordinamento a perseguire risultati meritevoli di tutela: lo stesso bilanciamento che, mutatis mutandis, permea l’argomentazione per principi[60].
Di qui l’interrogativo se, quello causale, altro non sia, in fondo, che uno tra questi principi, a maggior ragione passibile di concretizzazione al pari con altri valori (oltre a quelli espressi dalle clausole generali), sullo sfondo di una “visione oggettiva dell’equilibrio contrattuale”, volta a garantire la congruità dello scambio[61].
Il che, per inciso, non significa “costituzionalizzare” il concetto di causa, bensì di attribuirle una, per così dire, “vocazione ermeneutica“: se per causa concreta si intende l’elemento sul quale deve ricadere il vaglio della meritevolezza ai sensi dell’art. 1322, co. 2 c.c.; e se enfatizzare la “vocazione ermeneutica” della causa concreta vuol dire evidenziarne l’attitudine a veicolare l’interpretazione[62] più adeguata, quando non costituzionalmente orientata[63]; allora si avrebbe che questo svolgimento della causa, produttivo della regola più adeguata al caso concreto, non sarebbe poi così insolito, e anzi si avvicinerebbe di molto a quello delle clausole generali[64].
Del resto, che l’approccio alla causa concreta si serva di una componente giurisprudenziale, alla stessa stregua delle clausole generali, è un dato evidente nella misura in cui “la causa concreta o in concreto è, per definizione, quella non predeterminata dal legislatore[65]”.
Anche a voler ribadire le considerazioni richiamate supra a proposito del rilievo assorbente, rispetto alla questione di meritevolezza, attribuibile al “tipo contrattuale legalmente previsto”, la dialettica tra causa concreta e giustizia contrattuale passerebbe, in chiave potenzialmente compositiva, attraverso l’imperante esigenza di bilanciare, di equilibrare fuori dal contratto principi espressivi degli interessi della parte e principi espressivi di interessi generali maggiormente meritevoli di tutela[66].
Per tale via, si avrebbe una valutazione dell’autonomia delle parti riferibile alla gestione dell’equilibrio latamente inteso, quando venga in rilievo la ripartizione di doveri, di rischi, ovvero di vantaggi e di svantaggi, sul presupposto che il risultato della valutazione sia coerente con lo scopo concreto del contratto e coi principi accolti nell’ordinamento giuridico.
Di guisa che potrà dirsi immeritevole, ad esempio, il risultato del singolo patto quando esso attribuisca ad una delle parti un vantaggio ingiusto e non proporzionato, senza contropartita per l’altra[67].
O, ancora, più concretamente, la porzione di regolamento che limiti al conduttore la facoltà di sublocare la cosa locata a terzi estranei al proprio nucleo familiare, lì dove, per riprendere le parole della S.C., “l’autonomia negoziale non può essere disancorata dalla natura degli interessi sui quali una data disposizione è destinata a incidere. E poiché ogni interesse è correlabile a un valore, attraverso l’analisi degli interessi si dovrà individuare quale fra essi estrinsecano valori che hanno nella Carta costituzionale il loro riconoscimento e la loro tutela”[68].
A rigore, fuori dai casi di gestione “autonoma”, allorché restano fuori gioco la rescissione e la risoluzione, e man mano che ci si allontana dai confini della tipicità, allora si ha che se lo squilibrio contrattuale diviene oggetto di attenzione, il confronto con la causa potrebbe passare: da un lato, dall’art. 1322, comma II c.c. nella misura in cui autorizza il vaglio di meritevolezza degli interessi; dall’altro, secondo un approccio integrato, attraverso un “cauto richiamo” ai valori derivabili dalle altre clausole generali – ad esempio artt. 1175, 1375 c.c., 2 Cost. – quando non si abbiano margini per l’equità integrativa (eccezionalmente, come si è visto, applicando la legge che, ad hoc, delega il “bilanciamento” dei contrapposti interessi)[69]: detto altrimenti, attraverso un equilibrio fuori dal contratto, necessario e sufficiente a scongiurare l’eccesso di zelo nell’eventuale etero-determinazione del riequilibrio contrattuale, quale possibile risultante dell’opera di concretizzazione delle clausole generali[70] o dei principi violati.
In questi termini, a prevalere sarebbe l’esigenza di tutela degli interessi oggettivamente perseguiti dal singolo contratto che non il controllo in sè[71], sì da rendere quantomeno ipotizzabile la predetta sistematizzazione della causa come possibile strumento di gestione eteronoma dell’adeguatezza degli scambi.
Se così è, a parere di chi scrive, l’immagine di un equilibrio fuori dal contratto rispecchia quella “partitura a rima obbligata” che conferisce ragionevolezza al metodo e che il giudice è chiamato a seguire nell’opera di bilanciamento degli interessi in contatto[72].
Bilanciamento, questo, certamente predisposto anche dalla legge, entro i confini della fattispecie astratta: lì dove, ad esempio, il riferimento all’equità viene fatto come a rivelare l’interesse del convenuto alla conservazione del contratto (v. art. 1467 c.c.). Così come, nel giudizio relativo all’azione di rescissione, l’art. 1450 c.c. rende percorribile al convenuto la soluzione equitativa.
Invero, anche i riferimenti normativi al concetto di interesse vanno ritenuti eloquenti, nel senso di orientare l’interprete nella congerìe di situazioni in cui si rende necessario proprio un contemperamento di interessi.
Lì dove il metodo della sussunzione cede il passo al metodo del bilanciamento[73].
Ed essendo il contemperamento di interessi uno dei risultati dell’interpretazione[74], esso può svolgersi secondo un approccio equilibrato al concetto di causa concreta, tra “rigore metodologico” e “apertura verso i valori”[75]: entro questo approccio equilibrato l’indagine sulla causa concreta può dirsi non incompatibile con l’accertamento di doveri “collaterali”[76], fatti discendere dalla violazione di principi fondamentali. Ciò nella misura in cui, come avvenuto in diversi casi, l’indagine sulla causa in concreto non esclude l’accertamento di doveri di cooperazione[77], fatti discendere dal canone di buona fede oggettiva e dal pù generale principio di solidarietà sociale, quale ad esempio quello che “impone al creditore di avvisare il debitore dell’inutilità della prestazione”[78].
Riportando l’attenzione sulla casistica in tema rilevante, non molto dissimile rispetto alla deroga sussumibile sotto l’art. 1584 c.c., cui si accennava supra, è la clausola che, nell’ambito di una concessione di derivazione di acque pubbliche, esclude il diritto del concessionario di ridurre o sospendere il corrispettivo in caso di mancata fruizione del bene, per fatto addebitabile al concedente; con la differenza che la S.C., pronunciadosi sulla meritevolezza dell’assetto così regolato, ne ha rilevato la nullità[79], sul rilievo che un tale risultato potesse divergere dai principi fondamentali che governano la materia delle concessioni demaniali (nella specie, quello di “necessaria corrispettività”) e dal principio di cui all’art. 41, comma 2 Cost., a nulla rilevando la regolare formazione della volontà negoziale, nè che le parti intendessero realizzabile un tale modello di autogestione della corrispettività del contratto.
Ciò sul presupposto della riconoscibile coessenzialità tra l’elemento della corrispettività e la funzione propria del regolamento negoziale, in termini che una clausola di tal fatta, versando ogni rischio in capo al concessionario, avrebbe distorto tanto il tipo di contratto quanto il risultato pratico per cui lo stesso era stato concluso[80].
In questa cornice, il canone ermeneutico che, nell’ordine previsto dagli artt. 1362 c.c. e ss., impone anzitutto di guardare alla volontà espressa delle parti, è apparso subvalente rispetto ai principi suddetti, in ragione della effettiva inidoneità della clausola a perseguire un interesse compatibile, oltre che coi principi medesimi, anche con la funzione stessa del contratto. In ciò si spiegandosi, appunto, la “vocazione ermeneutica” della causa[81].
Invero, si è già detto come il controllo del giudice sull’esistenza di una causa in concreto può comprendere l’accertamento di doveri informativi in capo a una parte a favore dell’altra “ritenuta più debole” e, quindi, accedere ad un controllo sull’equilibrio contrattuale, quando esso sia correlato alla causa del contratto.
E quanto si registra in sede di giudizio di meritevolezza di contratti derivati, ora con riguardo ai doveri dell’intermediario verso la controparte[82], ora con riguardo alla correlazione tra assenza di causa in concreto e squilibrio originario tra le prestazioni corrispettive[83].
La materia dei contratti derivati si profila come contesto elettivo per i contratti atipici o altrimenti definiti come “socialmente atipici”, benché privi di una compiuta disciplina legislativa.
Con riferimento a questi particolari moduli consensuali di “pianificazione finanziaria”, a fare da cornice al tema che qui interessa è il concetto di “tipicità sociale” che, senza alcuna pretesa di esaustività, viene in rilievo in termini di “condivisibilità” degli schemi negoziali che, per usare un esempio tratto da recenti pronunce, vanno sotto il nomen di “interest rate swap” o di “swap”[84].
In altri termini, il contratto è atipico ma, in linea di massima, è come dotato di “sistematica approvazione” da parte della comunità la quale, spontaneamente, vi ricorre.
Con ciò, la causa concreta è sì funzione individuale del singolo negozio ma richiama le parti all’esigenza di considerare anche i riflessi sociali del loro autoregolamento[85].
Ne deriva che il controllo sulla causa concreta può, come si accennava, relazionarsi con la problematica dell’equilibrio nel contratto, quasi a compensare la disfunzionalità caratterizzante, in concreto, l’operazione economica[86], a garantirne, in ultimo, quell’accettabilità che, sul piano sociale, attribuisce legittimazione al modello; benché, a parere di chi scrive, un eccesso di enfasi sulla “socialità” del modello, sulla sua “accettabilità” in quanto utile non farebbe che mascherare il concetto di utilità sociale fatto proprio dalla stessa dottrina che si era, prima di tutte, occupata del tema[87].
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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro. Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali.
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Note
[1] Juan de Lugo, De iustitia et iure, vol. 1, Lugduni, Laurent Arnaud, Philippe Borde, Pierre Prost, 1646.
[2] N. Bobbio, Il positivismo giuridico, Torino, 1961.
[3] Su questo tema, v. ad esempio E. Rulli, Covid-19 e “giusto prezzo”, in dirittobancario.it.
[4] Al quale afferisce la diversa questione della determinazione, da parte della “legge”, del valore economico di un bene.
[5] La problematicità insita alle interferenze tra causa del contratto ed equilibrio contrattuale è stata evidenziata da numerose voci. Per una panoramica sulla recente giurisprudenza della S.C., v. ad esempio M. Lamicela, Difetto di corrispettività e causa del contratto: le ragioni di una distinzione necessaria, in Juscivile.it., 2016, 9, p. 335.
[6] L’impalcatura normativa cui si regge il principio di autonomia contrattuale è, del resto, pensata a limitare quanto più possibile l’intervento esterno (Giudice, integrazione con altre fonti), salve eccezioni comunque previste dalla legge. Già l’art. 12 preleggi ammette il ricorso ai “principi generali” alla stregua ultimo criterio ermeneuto per scongiurare un non liquet. E ciò vale, nei termini che si diranno, anche di fronte ai problemi di “equilibrio contrattuale”. Sul rapporto tra legge e giudice, v. R. Bin, La Costituzione fra testo e applicazione, in www.robertobin.it.
[7] Tra le voci impegnate nella ricostruzione del dibattito, si segnala ad esempio quella di F. Delfini, Autonomia privata e contratto: tra sinallagma genetico e sinallagma funzionale, Milano, 2019, che dà conto dei risultati cui approda la dottrina tradizionale. Così, secondo l’impostazione perorata da A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, rispett. 303 ss. e 312 ss, l’equivalenza fra le prestazioni non costituisce requisito essenziale del contratto a prestazioni corrispettive, nel quale ciascuna parte offre la propria prestazione per ricevere quella della controparte, «sicché ciascuna delle prestazioni è causa dell’altra».
[8] “La giustizia del contratto esula sempre da concezioni etiche e si incentra sulla ricerca di limiti all’autonomia e di rimedi privati che sono ragionevoli e giusti in un certo ambiente e in una certa epoca”, cfr. G. Vettori, Il contratto fra clausole generali e principi cit. p. 141 ed anche M. Barcellona, I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della sua eterointegrazione: Stato e mercato nell’orizzonte europeo, in Eur. dir. Priv., 2008, 1; Friedrich A. von Hayek, Legge, Legislazione e libertà: Una nuova enunciazione dei principi liberali della giustizia e della economia politica, 1986.
[9] Quando non “moralistico”, cfr. M. Barcellona, I nuovi controlli sul contenuto del contratto cit.
[10] Sulla causa come funzione economico-individuale, ex multis Cass. 8 maggio 2006 n. 10490 “la causa, quale elemento essenziale del contratto, va intesa non funzione economico-sociale, ma come funzione economicoindividuale. Pertanto, anche nel caso di contratto legalmente tipico, è necessario verificare in concreto la sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare al di là del modello – anche tipico – adoperato, fermo restando che detta sintesi costituisce la ragione concreta della dinamica contrattuale e non anche della volontà delle parti”; Sulla causa come funzione economico-sociale cfr., ex multis: Cass. 4 aprile 2003 n. 5324 “la causa del contratto si identifica con la funzione economico sociale che il negozio obiettivamente persegue e che il diritto riconosce come rilevante ai fini della tutela apprestata, rimanendo ontologicamente distinta rispetto allo scopo particolare che ciascuna delle due parti si propone di realizzare ; ne consegue che si ha illiceità della causa , sia nell’ipotesi di contrarietà di essa a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, sia nell’ipotesi di utilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge, qualora entrambe le parti attribuiscano al negozio una funzione obiettiva volta al raggiungimento di una comune finalità contraria alla legge”.
[11] In questi termini E. Navarretta, Costituzione e principi fondamentali: dialogo ideale con Angelo Falzea, in Riv. Dir. Civ., 2017, 4, 982. Paradigmatico, a parere di chi scrive, il confronto tra causa illecita e clausole generali.
[12] La giustizia nel contratto, come sinonimo di equilibrio, può associarsi al concetto di proporzionalità.. Sulla trasponibilità del principio in parola alla materia contrattuale, cfr. ad esempio, G. Villanacci, Il rapporto tra ragionevolezza e proporzionalità nella rilevazione delle situazioni di abuso, con particolare riferimento alla riduzione ex officio della clausola penale, in Revista Brasileira de Direito Civil, 2019.Si vuole qui prescindere dal dibattito giusfilosofico che si accompagna al concetto polisemico di giustizia contrattuale. La bibliografia sul tema è sterminata. Per un excursus sulla tematica, v. ad esempio G. Vettori, Contratto giusto e rimedi effettivi, in juscivile, 2015; E. Navarretta, L’evoluzione dell’autonomia contrattuale fra ideologie e principi, in Quad. Fior., 2014.
[13] Cfr. C. Granelli, Autonomia privata e intervento del giudice, in Juscivile.it., 2018, 3, p. 397.
[14] Negli stessi termini, G. Vettori, Il contratto fra clausole generali e principi, in (a cura di) E. Navarretta, Effettività e Drittwirkung: idee a confronto, Torino, 2017, p. 141: “(…)la formula giustizia contrattuale…attesta l’esistenza di un problema. L’utilizzo, discusso e discorde, di tutele e istituti – vizi del consenso, rescissione, buona fede, causa, ordine pubblico e buon costume – in funzione di limite alla forza obbligatoria del contratto e alla intangibilità dell’accordo”.
[15] v. infra, nota 65.
[16] Dacché è pur vero che “il giudizio giusto per eccellenza nasce da una profonda conoscenza della realtà e dell’animo umano. Il giudice giusto è quello che si dispone a comprendere con una ragione aperta, dalla quale soltanto può scaturire l’equità delle sue valutazioni”, v. L. Violante, M. Cartabia, Giustizia e mito, il Mulino, 2018.
[17] Così G. Alpa, Contratto2. Nuove fonti, in Dirittonline, 2018.
[18] Sacco, Trattato di diritto privato, Utet, ult. ed; Cataudella, L’art. 1366 c.c. e il commento del Guardasigilli, in Scritti sui contratti, Padova, 1998.
[19] Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2015, N. 22567.
[20] G. De Nova, Il contratto alieno, Torino, 2010. Per ampie riflessioni sul tema v. anche U. Salanitro, Contratti onerosi con prestazione incerta, Milano, 2003. Di fronte al modello “if and when” l’incertezza deriva, a tutta prima, dalla circostanza che la controprestazione dovuta al subappaltatore appare condizionata dal rapporto principale tra committente e appaltatore: il subappaltatore correrà il rischio di non vedersi corrispondere il saldo dovuto per l’ipotesi che l’appaltatore subisca, a sua volta, l’inadempimento del committente.
[21] G. B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968.
[22] G. B. Ferri, Causa e tipo op. cit.
[23] La clausola potrà, al più, essere correlata al termine ex art. 1183 c.c., sì da consentirne la fissazione giudiziale, Trib. Milano, sez. VII, sent. 14 giugno 2013
[24] Potendo le parti disinteressarsi della temporanea sproporzione ovvero tollerare una maggiore durata dei lavori. In ciò si estrinseca la natura dispositiva e non imperativa del disposto di cui all’art. 1584 c.c.
[25] Cfr. G. B. Ferri, Causa e tipo cit.; E. Gabrielli, Causa concreta e patti parasociali, in Giur. it., 2014, 7.
[26] Altro esempio di modello “autonomo” di gestione dell’equilibrio tra le prestazioni, può essere offerto dalla causa del contratto di transazione. Pur accogliendo la tesi che assume le “reciproche concessioni” a requisito essenziale dell’accordo transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c., non è rilevante, per la stipula dell’accordo, che il sacrificio di una parte a favore dell’altra importi una “equivalenza economica” tra l’aliquid datum e l’aliquid retentum. E ciò quantunque le “reciproche concessioni” siano state interpretate alla stregua di elemento strumentale per lo svolgimento della causa del negozio transattivo. La funzione del contratto non sarebbe quella di ristabilire l’ideale equilibrio perduto o precario in conseguenza della lite, quanto piuttosto quella di prevenirla o di comporla sic et simpliciter. Cass., Sez. lav., 8 aprile 2014, n. 8191; Palazzo, Transazione, in Dig. Disc. Priv., XIX, Torino, 1999, p. 199; F. Santoro Passarelli, La transazione, Napoli, 1975, p. 13.
[27] Cass. civ., sez. I, 10 luglio 2018, n. 18138.
[28] Con ciò rigettando il motivo della ricorrente che adduceva il difetto di causa a fronte di un sopravvenuto aumento di capitale, dal quale dipendeva la fine del rapporto paritario tra le partecipazioni e al quale, conseguentemente, era asseritamente imputata la sopravvenuta irrealizzabilità della causa.
[29] La riconducibilità dell’ipotesi a possibili modelli “eteronomi” di gestione dell’equilibrio contrattuale può essere data: 1) dall’inerzia del terzo; 2) dalla manifesta iniquità o erroneità della determinazione. Solo in questi casi la determinazione è fatta dal giudice, come recita l’art. 1349 c.c. Parimenti, il codice detta la stessa disciplina in caso di errata o iniqua determinazione delle quote del socio receduto ex art. 2473 c.c.
[30] R. Sacco, Trattato di diritto privato, II, Torino, 2016, 565: “perché il contratto esista e produca effetto, l’accordo, di regola, deve toccare I punti essenziali del regolamento. Il punto essenziale, a sua volta, può essere sostituito dda un rinvio (art. 1349 c.c.)…peraltro, opera qui la regola per cui – quando il contenuto del contratto è indeterminato, ma determinabile aliunde – il contratto esiste e produce effetto”. In alcuni casi, un accordo sul prezzo può mancare e la legge prevede altrettante ipotesi tipiche che consentono di salvare la validità e la realizzabilità dell’accordo medesimo e che, in caso di lacune, legittimano la determinazione officiosa del quantum. Esempi di modelli diversi, in quanto eteronomi rispetto alla gestione del contenuto del – e dell’equilibrio nel – contratto, derivano dalle leggi speciali. La l. 3 maggio 1982, n. 203 sui contratti agrari, ad esempio, nel prevedere ex lege la costituzione di un rapporto di affitto tra coeredi alla morte del proprietario del fondo, dà per scontata l’ipotesi del mancato raggiungimento di un’intesa sull’ammontare del canone; ma ciò non determina affatto la nullità del contratto: il giudice potrà determinare il corrispettivo, ovvero far riferimento al c.d. “prezzo di mercato” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1474, II c.c. (norma suscettibile di applicazione analogica). Sul punto, Cass. civ. Sez. III, sent. 22 marzo 2013, n. 7268.
[31] In ciò riconoscendosi la natura di norma inderogabile della disposizione. Così R. Sacco, Trattato cit., 453; Mirabelli, Dei contratti in generale, in Commentario del cod. civ.. Torino, 1980, p. 341 e ss.
[32] Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128.
[33] Restando ferma la necessità che sia il materiale probatorio legittimamente acquisito al processo a rilevare ai fini del giudizio di sproporzione, in difetto del quale non è dato al giudice di ricercarlo di propria iniziativa. Così, ex multis, Cass. 25 ottobre 2017, n. 25334.
[34] Sez. Un., n. 18128/2005.
[35] E’ la celebre impostazione di G. Gorla, Il contratto: problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, Milano, II, 1955; per la ricostruzione della quale v. ad esempio, C.T. Sillani, Prognosi di sopravvivenza della causa del contratto nel codice civile, in Contratto presente e futuro, I, Atti del convegno tenutosi a Genova il 19 maggio 2018, in biblioteca.fondazionenotariato.it.
[36] Friedrich A. von Hayek, Legge, Legislazione e libertà cit.
[37] Si pensi al contratto in frode alla legge ex art. 1343 c.c.
[38] A. De Martini, L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano, 1950.
[39] M. Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994.
[40] Ex multis, Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2015, N. 22567, “Lo squilibrio economico iniziale tra le prestazioni può rilevare ai fini della rescissione del contratto a norma dell’art. 1447 c.c. o dell’art. 1448, in considerazione dello stato di bisogno o di pericolo di alcuno dei contraenti, oppure può rilevare ai fini dell’annullabilità a norma dell’art. 428 c.c. del contratto stipulato da persone incapaci; ma, di regola, lo squilibrio iniziale delle prestazioni non determina di per sé la nullità del contratto”. Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva dichiarato la nullità di un contratto di cessione di quote sociali in ragione dell’eccessiva sproporzione esistente tra il valore effettivo delle quote ed il prezzo di cessione.
[41] M. Spinozzi, Equilibrio contrattuale eterodeterminato, in Quaderni della Rassegna di diritto civile diretta da Pietro Perlingieri, Napoli, Edizioni scientifiche, 2013, 45; M. Bianca, Il Contratto, Milano, Giuffrè, 2000, 682.
[42] Per ampie riflessioni sul tema, v. ad esempio R. Tommasini, La nuova disciplina dei contratti per i prodotti agricoli e alimentari, in rivistadirittoalimentare.it, VI, 4, 2012.
[43] L’art. 62 cit. la prescrive a pena di nullità (assoluta). Sul punto, R. Tommasini, op. cit.
[44] L’efficace espressione è di M. Barcellona, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Padova, 2015, 143 e ss; E. Carbone, Le une per mezzo delle altre: l’interpretazione coerenziale delle clausole contrattuali, in Giust. Civ., 1-2016.
[45] “Le relazioni commerciali in materia di cessione dei prodotti agricoli ed agroalimentari rientrano, in particolare, in quella categoria di relazioni contrattuali (caratterizzate, sul piano soggettivo, come esclusivamente B2B) in cui la parte penalizzata dalle asimmetrie di mercato, e dunque destinataria della protezione legislativa, è quella che esegue la “prestazione caratteristica”, quella che fornisce, cioè, il bene o il servizio che definiscono il tipo contrattuale in questione” , R. Tommasini, op. cit.
[46] Incombendo il rischio di sconfinare in concezioni ideologiche della causa, cfr per tutti Barcellona, Della Causa cit.
[47] Il termine “scelta”, prima ancora che alla sfera dei motivi, inerisce al contenuto del contratto. Cfr. E. Navarretta, Uguaglianza, non discriminazione e contratto, in Riv. Dir. Civ., 2006, 6.
[48] Tali considerazioni appaiono, invero, in linea con gli argomenti proposti da autorevole dottrina, tra cui quello che vede il problema della causa alla stregua di punto di osservazione privilegiato per indagare i rapporti tra libertà contrattuale e ordinamento giuridico. Così M. Barcellona, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Padova, 2015;
[49] Nel quale entrano a pieno titolo anche i principi costituzionali. In senso concorde R. Bin, L’applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l’interpretazione conforme a Costituzione della legge, in www.robertobin.it: “a mio modo di vedere –è fuorviante indicare la Costituzione come un ulteriore “criterio interpretativo”, che si aggiunge a quelli consueti. La Costituzione non è un “criterio esterno”, ma entra a pieno titolo nel “materiale legislativo” su cui l‟interprete deve lavorare con i tradizionali criteri dell‟interpretazione letterale, storica, sistematica ecc.”.
[50] Si vuole con ciò alludere ad una concezione realistica dell’autonomia privata: la teoria precettiva del negozio giuridico rende il contratto una realtà esposta a fonti eteronome, in quanto ciò che conta è l’autoregolamento precettivo, la porzione di scelta che le parti intendono assumere a vincolo giuridico. Cfr. F. Macario, L’autonomia privata nella cornice costituzionale: per una giurisprudenza evolutiva e coraggiosa, in questionegiustizia.it, 4-2016; E. Carbone, Le une per mezzo delle altre: l’interpretazione coerenziale delle clausole contrattuali, in Giust. Civ., 1-2016.
[51] “La particolare attenzione, poi, che oggi l’ordinamento riserva ai profili contenutistici e alla necessità che il regolamento si atteggi in modo equilibrato e ragionevole, consente di affermare che anche l’uso contrattuale, al pari del contratto e delle sue clausole, deve superare un controllo di tipo sostanziale”, così M. Trimarchi, Gli usi tra diritto interno e diritto europeo, in comparazionedirittocivile.it.
[52] M. Lamicela, Difetto di corrispettività e causa del contratto cit.
[53] Cfr. ex multis, G. B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 355; R. Sacco, voce Interesse meritevole di tutela, in Dig. Disc. Priv. – sez. Civ., Agg. V, 2010.
[54] v. ad esempio M. Bianca, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. Dir. Civ., 2014, 2.
[55] Cfr. ex multis, Cass. Sez. Un., 17 febbraio 2017, n. 4224.
[56] Bianca, Causa concreta del contratto cit.
[57] Così Cass., 28 aprile 2017, n. 10506 sulla clausola claims made.
[58] Cfr. ex multis, Sez. Un. n. 4224 del 17.02.2017 a proposito della nullità della clausola turbativa dell’equilibrio contrattuale lì dove esso è reso intangibile in forza del principio di necessaria corrispettività che permea la materia delle concessioni demaniali.
[59] v. nota supra.
[60] Per ampie riflessioni sul tema si rinvia a G. D’Amico, Appunti per una dogmatica dei principi, in E. Navarretta (a cura di), Effettività e Drittwirkung: idee a confronto cit.
[61] In senso conforme, quanto all’oggettivismo idoneo a garantire la congruità degli scambi contrattuali, v. F. Galgano, La categoria del contratto alle soglie del terzo millennio, in Contr. e Impr., 2000, 925 e ss. A proposito della visione oggettiva dell’equilibrio contrattuale cui aderirono anche le Sez. Un. in tema di riduzione ex officio della penale, v. F. Macario, L’autonomia cit.
[62] Cfr. E. Carbone, Le une per mezzo delle altre: l’interpretazione coerenziale delle clausole contrattuali, in Giust. Civ., 1-2016.
[63] In senso concorde, A. Federico, La causa del contratto tra regole e principi, in comparazionedirittocivile.it, 2018.
[64] R.Rolli, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in Contr. e impr., 2007, 416 e ss.
[65] Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente nè compiancente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Rivista di diritto civile, 2013.
[66] Ricollega alla sfera della immeritevolezza ex art. 1322, co. 2 c.c. i contratti lesivi di interessi generali maggiormente meritevoli di tutela M. Bianca, Causa concreta cit.
[67] Cfr. Sez. Un. cit., ed anche Cass. 28 aprile 2017, n. 10509. La quale ha individuato altre due categorie di risultati immeritevoli ai sensi dell’art. 1322, co. 2 c.c., ovvero a) il patto che ponga una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra; o ancora b) il patto che constringa una delle parti a tenere condotte constrastanti coi superiori doveri di solidarietà cositutizionalmente imposti.
[68] Così Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2009, n. 14343 la quale aveva rilevato il contrasto con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. della clausola limitativa della facoltà di sublocare a terzi estranei al nucleo familiare del conduttore.
[69] Così M. Costanza, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, ivi, 1987, 423 ss., secondo la quale al di fuori di ipotesi tipiche (artt. 428, 1447, 1448 cod. civ.) la realizzazione dell’equilibrio contrattuale rimane affidata alla buona fede ed all’equità, che non sono dirette a privare di efficacia giuridica il negozio, ma a modificarne le conseguenze.
[70] Intervento che non dovrebbe mai sortire l’esito di un irragionevole antagonismo verso la fattispecie astratta, cfr. G. D’Amico, L’insostituibile leggerezza della fattispecie, in Giust. Civ., 1, 2019.
[71] G. Alpa, L’uso giurisprudenziale della causa del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1995, II, 16; E. Navarretta, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, 240; R. Rolli, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in Contr. e impr., 2007, 416 e ss., in particolare 439; R. Senigaglia, Per un’ermeneutica del concetto di causa: solidarietà orizzontale e contratto, in Juscivile.it, 2016, 6, 507 e ss.
[72] Si vuole qui alludere alla efficace replica di M.R. Morelli, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti, in Giust. Civ., 1994, I, 2159, secondo cui, con l’applicazione della clausola generale “il giudice non è chiamato a volteggiare, senza rete, nei cieli dell’etica. Tutt’altro. Il suo compito segue una partitura quasi a rima obbligata. Nella realtà delle singole fattispecie contrattuali, il giudice dovrà individuare quel minimo di cooperazione e solidarietà, all’un tempo irrinunciabile ed adeguato ad evitare lo sbilanciamento di interessi in contatto”. v. anche F. Macario, L’autonomia privata nella cornice costituzionale: per una giurisprudenza evolutiva e coraggiosa, in E. Navarretta (a cura di), Effettività e Drittwirkung: idee a confronto, Torino, 2017.
[73] C. Granelli, Autonomia privata e intervento del giudice, in Juscivile.it., 2018, 3, p. 397.
[74] Cfr. R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, in M. La Torre, A. Spadaro, La ragionevolezza nel diritto, Torino, 2002.
[75] E. Navarretta, op. cit.
[76] F. Macario, L’autonomia cit.
[77] F. Macario, L’autonomia cit.
[78] Rileva, a tal fine, la nota vicenda dei contratti con «finalità turistica» “tutto compreso”. Cfr. Cass., 25 maggio 2007, n. 12235; Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, secondo le quali “la finalità turistica non si sostanzia negli interessi che rimangono nella sfera volitiva interna dell’acquirente…ma viene ad obiettivarsi in tale tipo di contratto, divenendo interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, pertanto connotandone la causa concreta…ove il rapporto obbligatorio trovi fonte in un contratto, il venir meno dell’interesse creditorio comporta la irrealizzabilità della causa concreta del medesimo, assumendo rilievo quale autonoma causa di relativa estinzione”. Soluzione che sembra echeggiare dottrine tanto lontane quanto suggestive. Si allude alle note affermazioni di E. Redenti, La causa del contratto secondo il nostro codice civile, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1950, p. 980 secondo cui anche nelle ipotesi di impossibilità sopravvenuta, ovvero di inadempimento “viene ad essere parzialmente ferita o compromessa in secondo tempo, la attuazione del risultato complessivo, preveduto, programmato e assunto a causa del contratto”. La prospettiva dell’Autore è richiamata anche da F. Delfini, Autonomia cit.
[79] Sez. Un. cit.
[80] Nello stesso senso, Sez. Un. n. 4224 del 17.02.2017.
[81] Si potrebbe, invero, obiettare come anche qui non sia tanto lo squilibrio in sè a rilevare ai fini dell’intervento giudiziale volto a ristabilire l’equilibrio quanto la combinazione di altri elementi (totale privazione di un bene fondamentale, peculiarità della materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, cui andrebbe ricondotta la determinazione del canone a titolo di concessione demaniale).
[82] Tib. Torino, sent. 17 gennaio 2014: “ciò che rileva, in effetti, ai fini della valutazione della sussistenza della causa in concreto, non è tanto o solo lo squilibrio dell’alea rispettivamente assunta, quanto la consapevolezza del contraente debole del differente livello di rischio assunto dalle parti”.
[83] Trib. Bari, ord. 15 luglio 2010, secondo cui era da ritenersi “verosimile il difetto genetico di causa dei contratti stipulati in sede di “ristrutturazione” del debito” della ricorrente. Lo schema causale adoperato dalla banca non era stato adoperato per finalità ad esso coerenti, in quanto l’incorporamento nel regolamento delle passività pregresse e di ulteriori costi produceva un effetto “distorsivo” sull’equilibrio che “si presume debba sussistere, ab origine, tra le prestazioni dei contraenti all’interno della ristrutturazione delle perdite, con il risultato che lo squilibrio originario tra le prestazioni altera la ragione d’essere del contratto”, così M. De Poli, Sul controllo giudiziale degli IRS attraverso la causa, in Riv. Dir. Banc., aprile-giugno 2017.
[84] La cui funzione è individuata nella copertura di un rischio mediante un contratto aleatorio, con la finalità di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti. Cfr. Trib. Bari, ord cit.
[85] Sulla riflessione per cui la causa possa anche concentrarsi sull’obiettivo della condivisione sociale degli schemi regolativi della materia patrimoniale, v. F. Piraino, Riflessioni su dogmatica e autonomia privata: il concetto di causa del contratto, in B. Montanari, G. Bombelli (a cura di), Ragionare per decidere, Torino, 2015.
[86] Invero, l’art. 1448 c.c. esclude il contratto aleatorio dal novero dei contratti rescinbili.
[87] E. Betti, Causa del negozio giuridico, in Noviss. Dig. It., III, Torino, 1957, p. 33.
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