Riflessioni sulla proposta di Legge Regionale “Disposizioni per la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali da parte dei cittadini stranieri immigrati nel territorio laziale.”

Pavone Mario 29/03/07
1. Introduzione
Le Regioni e le amministrazioni locali hanno nuove competenze in materia di integrazione degli immi grati, in un quadro normativo in forte evoluzione a livello europeo e nazionale.
La stessa disciplina statale ordinaria di cui al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposi zioni concer nenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero), dispone all’art. 1, comma 4, che «nelle materie di competenza legislativa delle regioni, le disposizioni del presente testo unico costituiscono principî fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione», rendendo con ciò chiaro che già nella vigenza del vecchio Titolo V le Regioni erano legittimate a disciplinare i propri interventi a favore degli stranieri nelle materie di loro competenza e nel rispetto delle norme stabilite dallo Stato.
La Legge statale stabilisce,inoltre,che allo straniero sono riconosciuti i diritti fondamentali, che egli gode dei diritti in materia civile e partecipa “alla vita pubblica locale” (art. 2 del d.lgs. citato), e quindi le Regioni non solo possono, ma devono tener conto della presenza degli immigrati nel disciplinare le materie di loro competenza.
La legislazione statale vigente affida espressamente alle Regioni il compito di intervenire per «rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato», con particolare riguardo all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale (art. 3, comma 5, del d.lgs. citato).
 
L’art. 45 del testo unico ha,peraltro,istituito il Fondo nazionale per le politiche migratorie, la cui attività è discipli nata dagli artt. 58 e 59 del DPR 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del d. lgs. n. 286 del 1998), che prevedono ampie com petenze delle Regioni.
 
In particolare,con riferimento al comma 6 dell’art.42 del T.U. 286/98, la legge prevede la istituzione di una Consulta regionale per l’integrazione sociale degli immigrati e promuovere forme partecipative che prevedano al loro interno anche una rappresentanza espressa dalle associazioni degli immigrati e/o attraverso un percorso elettivo, sul modello della Consulta nazionale, istituita ai sensi della l. 286/98, oltre ai rappresentanti delle organizzazioni datoriali, dei sindacati e del terzo settore (associazionismo, volontariato e cooperazione sociale).
 
Inoltre,come previsto dall’articolo 44 della l. 286/98 e dal regolamento di attuazione, DPR. 394/99, la Regione può predisporre centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi. Tali centri opereranno in collaborazione con le province ed i comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale e della cooperazione sociale, perseguendo l’obiettivo di mettere in rete le attività e i servizi localmente esistenti in materia.
 
In questo quadro la modifica del Titolo V della Costituzione ha ulteriormente ampliato le competenze regionali in settori nei quali la presenza di stranieri extracomunitari pone problemi, a volte acuti, in materie di competenza regionale quali la formazione professionale e i servizi sociali, e nella materia dell’istruzione, di competenza concorrente.
 
E’ in ogni caso previsto il coinvolgimento dei governi regionali e locali, in particolare per quanto riguarda la composizione del Comitato per il coordinamento e il monitoraggio sull’applicazione del TU, in relazione all’adozione del documento programmatico statale sulle politiche dell’immigrazione, e in merito all’istituzione dei Consigli territoriali per l’immigrazione.
 
Più in generale, si prevede infine che Regioni ed enti locali adottino "i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana".
 
Infine, specifiche disposizioni riconoscono un ruolo rilevante alle Regioni in relazione all’istruzione, alle politiche educative, all’edilizia residenziale e ad altre politiche sociali ricadenti in ambiti di competenza legislativa regionale.
 
2.Le competenze regionali all’esame della Corte Costituzionale
 
Sul punto è importante ricordare che con la sentenza n. 300 del 7 luglio 2005, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio dei Ministri nel maggio 2004 ed ha ribadito la piena competenza delle Regioni e degli Enti locali in materia di inte grazione sociale dei cittadini stranieri.
 
La Corte ha colto l’occasione per ricostruire l’evoluzione normativa in materia di immigrazione, a parti re dal Testo Unico del 1998 (d.lgs. n. 286 del 1998), così come modificato dalla l. n.189 del 2002 sot tolineando in particolare come sia previsto che le disposizioni in esso contenuto rappresentino, nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, principi fondamentali, ex art. 117 Cost., o norme fondamentali di riforma economico-sociale (art. 1, quarto comma, d.lgs. n. 289 del 1998).
 
Secondo la Corte, quindi, anche prima della riforma del Titolo V e a maggior ragione successiva- mente ad essa, è lo stesso legislatore statale a disciplinare il problema dell’integrazione sociale degli immigrati extracomunitari coinvolgendo i diversi livelli territoriali della Repubblica, e in particolare quello regionale, nell’ambito delle proprie competenze legislative (concorrenti o residuali) e amministrative.
 
a.Legge Regione Emilia Romagna
 
La Corte costituzionale ha,pertanto,dichiarato "inammissibile" la questione di legittimità sollevata dal Governo sull’intera legge per l’immigrazione della Regione Emilia-Romagna e "non fondate" le questioni specifiche eccepite su singoli articoli.
 
La Consulta ha quindi confermato le disposizioni regionali anche di fronte alle singole eccezioni governative, che riguardavano aspetti tra i più diversi, dal diritto all’alloggio pubblico fino alle attività di monitoraggio dei Centri di permanenza temporanea (Cpt) o al diritto di voto che, per altro, l’Emilia-Romagna limita ai residenti per i referendum regionali e per la scelta dei rappresentanti stranieri nella Consulta regionale per l’immigrazione.
 
Il Governo sosteneva, invece, che l’intero testo regionale era di dubbia costituzionalità perché "contiene disposizioni – riporta la sentenza – concernenti l’immigrazione, il diritto di asilo e la condizione giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea", materie che l’art.117 della Costituzione "riserva alla legislazione esclusiva statale" e "tale straripamento della potestà legislativa regionale", secondo il ricorso governativo, avrebbe viziato l’intera legge regionale "con ciò impropriamente invadendo una competenza esclusiva dello Stato che non tollera ‘intrusioni legislative regionali “
 
 
Le censure sollevate all’impianto normativo riguardavano specificatamente:
 
a)      l’art. 3, comma 4, lettera d), che prevede l’osservazione e il monitoraggio, “in raccordo con le Prefetture”, del funzionamento dei centri di permanenza temporanea;
b)      gli artt. 6 e 7, che secondo il ricorso riconoscono nuove forme di partecipazione dei cittadini stranieri all’attività politico-amministrativa della Regione, quali membri della Consulta regionale;
c)       l’art. 10, che consente ai cittadini immigrati di accedere all’edilizia residenziale pubblica ed ai benefici per la prima casa.
 
Sulla base del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero), la Corte ritiene che una serie di attività pertinenti la disciplina del fenomeno migratorio e degli effetti sociali di quest’ultimo vengano esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le Regioni, affidando alcune competenze direttamente a queste ultime; ciò secondo criteri che tengono conto del fatto che l’intervento pubblico non si limita al doveroso controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall’assistenza all’istruzione, dalla salute all’abitazione, materie che intersecano ex Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva o concorrente.
 
Pertanto la Corte Costituzionale ha ritienuta legittima la legge regionale per i seguenti motivi:
 
a)      l’attività di osservazione e monitoraggio, da parte della Regione, dei centri di permanenza temporanea, si limita a disciplinare competenze regionali, quali l’assistenza in genere e quella sanitaria in particolare;
b)      le forme partecipative degli stranieri nella Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati costituiscono attuazione delle disposizioni statali che prevedono appunto forme di partecipazione dei cittadini stranieri soggiornanti regolarmente nel Paese alla vita pubblica locale;
c)       la possibilità, per i cittadini stranieri immigrati, di accedere ai benefici previsti dalla normativa in tema di edilizia residenziale pubblica, costituisce anch’esso esercizio di una competenza regionale.
 
Ma la Corte costituzionale "ha più volte affermato – recita la sentenza – che le questioni di legittimità costituzionale che si riferiscono ad un intero testo di legge, quando non siano supportate da specifiche ragioni e non siano specificamente indicate nella deliberazione del Consiglio dei ministri, sono inammissibili".
 
Quindi, "infondate risultano le censure del Governo – prosegue la sentenza – che ipotizzano la violazione, da parte della legge della Regione Emilia-Romagna, delle competenze esclusive statali in tema di ‘diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europeà e di ‘immigrazione’ di cui all’art.117".
 
E non sono "indebite intrusioni" quelle della Regione che "svolge attività di osservazione e monitoraggio, ‘per quanto di competenza ed in raccordo con le prefetture’, del funzionamento dei centri di permanenza temporanea", anche perché legge regionale "non contiene alcuna disciplina di detti centri che si ponga in contrasto con quella statale che li ha istituiti, limitandosi a prevedere la possibilità di attività rientranti nelle competenze regionali, quali l’assistenza in genere e quella sanitaria in particolare, peraltro secondo modalità (in necessario previo accordo con le prefetture) tali da impedire comunque indebite intrusioni".
 
Poi, gli articoli della legge regionale che disciplinano "le forme partecipative degli stranieri nella Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati, lungi dall’invadere materie attribuite esclusivamente allo Stato, costituiscono anzi la attuazione, da parte della Regione Emilia-Romagna, delle disposizioni statali", che "prevedono appunto forme di partecipazione dei cittadini stranieri soggiornanti regolarmente nel Paese alla vita pubblica locale; in tal senso questa Corte, con la sentenza n.379 del 2004,
ha affermato la legittimità della norma statutaria dell’Emilia-Romagna che prevede il diritto di voto di tutti i residenti nei referendum regionali, secondo un criterio di favore verso la partecipazione". Anche l’art.10 della legge regionale, "che attribuisce ai cittadini stranieri immigrati la possibilità di accedere ai benefici previsti dalla normativa in tema di edilizia residenziale pubblica, si limita a disciplinare, nel territorio dell’Emilia-Romagna, un diritto già riconosciuto".
La Consulta ha così confermato la validità della legge della Regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n.5febbraio 1990, n.14 e 12 marzo 2003, n.2". "Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati.Modifiche alle leggi regionali 21
 
b.Legge Regione Friuli VG
Anche la Legge Regionale del Friuli Venezia Giulia è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale
La Corte,nella sentenza 156 del 5 aprile 2006, depositata il 14 Aprile 2006,ha affermato che in mate ria di immigrazione e di condizione giuridica degli stranieri la legge statale disciplina una serie di atti vità pertinenti al fenomeno migratorio e agli effetti sociali di quest’ultimo, e stabilisce che queste vengono esercitate dallo Stato in stretto collegamento con le Regioni alle quali sono affidate diretta mente alcune competenze.
 
La Corte ha,in conseguenza,dichiarata infondata la questione di legittimità, sollevata dalla Presidenza del Consiglio, di due articoli della legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 5 del 2005.
 
Nel ricorso del Governo si contestava l’articolo 16 che prevede che, per assicurare la conclusione dei percorsi di integrazione agli stranieri minorenni non accompagnati, gli interventi avviati durante la minore età "possono proseguire successivamente al raggiungimento della maggiore età ".
 
Altra censura riguardava l’articolo 21 che dispone che comuni e province organizzino, nell’ ambito delle loro competenze, servizi territoriali che provvedono "allo svolgimento degli adempimenti istruttori relativi alle istanze di richiesta e rinnovo di permesso di soggiorno e carta di soggiorno, di richiesta di nulla-osta al ricongiungimento familiare, in accordo con le competenti strutture del ministero dell’ Interno".
 
Il Governo aveva contestato "la possibilità del minore straniero di permanere nel territorio nazionale in ipotesi diverse e ulteriori rispetto a quelle fissate dalla legge statale senza, peraltro, l’ indicazione di un termine certo per tale permanenza".
 
Quanto alla seconda questione, la norma "si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali che attribuiscono allo Stato la competenza esclusiva in materia di richiesta e di rilascio del permesso di soggiorno".
 
La Regione Friuli Venezia Giulia ha,per contro,ricordato che è la stessa legge statale a prevedere che "l’ attuazione delle politiche connesse all’ immigrazione deve prevedere la necessaria partecipazione delle Regioni", e che la mancata indicazione del termine di permanenza dello straniero diventato maggiorenne dimostra il rispetto della legge statale, che sarebbe stata violata nel caso il termine fosse stato precisato.
 
Nel dichiarare infondata l’eccezione di costituzionalità, i Giudici costituzionali hanno ribadito che il T.U. del 1998 ha attribuito alle regioni una serie di competenze e previsto forme di cooperazione tra lo Stato e le Regioni sottolineando, tra l’ altro, che "l’ intervento pubblico non può limitarsi al controllo dell’ ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma deve anche considerare altri ambiti – dall’assistenza sociale all’ istruzione, dalla salute all’abitazione – che coinvolgono competenze normative, alcune attribuite allo Stato e altre alle Regioni"
c. Legge Regione Abruzzo
Per completezza,merita anche di essere ricordata la sentenza n.30 del 23 Gennaio 2006 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, lettere g) e j), della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 46 (Interventi a sostegno degli stranieri immigrati).
 
La normativa regionale impugnata dal Governo, infatti, nel prevedere − fra i componenti della Consulta regionale dell’immigrazione − i rappresentanti di un ente pubblico nazionale e di una articolazione della pubblica amministrazione, automaticamente configura, in capo a tali rappresentanti, nuove e specifiche attribuzioni pubbliche: quelle, appunto, relative all’espletamento delle funzioni connesse alla attività in concreto devoluta all’organo collegiale, in seno al quale gli stessi sono chiamati ad operare.
Da ciò deriva,secondo la sentenza della Corte delle Leggi, per quei pubblici dipendenti e per gli uffici che essi sono chiamati a rappresentare, un’inevitabile alterazione delle ordinarie attribuzioni svolte in seno agli enti di appartenenza: con la conseguente compromissione del parametro invocato, che riserva in via esclusiva alla legislazione dello Stato di provvedere in materia
 
D’altra parte, ove alle Regioni fosse riconosciuta l’incondizionata possibilità di attribuire legislati vamente − in forma autoritativa ed unilaterale − l’esercizio di funzioni pubbliche a uffici della amministrazione dello Stato o ad enti pubblici nazionali, seppure in sede locale, ne verrebbe all’evidenza compromessa la stessa funzionalità ed il buon andamento; quest’ultimo postula, infatti, un modello normativo unitario e coordinato, cui riservare la individuazione e la organizzazione delle attribuzioni e dei compiti demandati a quegli uffici o a quegli enti.
 
Né può valere in senso contrario – come mostra di ritenere la Regione resistente – la circostanza che, nella specie, si verserebbe in una ipotesi di mera collaborazione fra enti in quanto, da un lato, non sarebbe obbligatoria la partecipazione dei rappresentanti alla attività della Consulta, né vi sarebbero conseguenze in ipotesi di loro mancata designazione; mentre, dall’altro lato, la natura meramente consultiva di tale attività escluderebbe qualsiasi possibilità di «incidere su aspetti sottoposti a normazione statale».
 
3. Le leggi regionali in materia di immigrazione
 
La Regione Emilia – Romagna è stata la prima regione che ha legiferato in materia di politiche per l’in tegrazione dei cittadini stranieri immigrati dopo la Riforma del Titolo V della Costituzione e dopo la modifica della normativa nazionale (approvazione del D.Lgs 286/98) e delle sue successive modifiche previste dalla L. 189/2002 e la prima legge ad essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.
 
La approvazione di una nuova normativa regionale (L.R. 5/2004) si è resa necessaria per almeno tre ragioni:
a) la evidente obsolescenza della precedente legge regionale in vigore, Legge regionale 21 febbraio 1990, n. 14, che sostanzialmente nasceva nel solco della impostazione emergenziale causata dai primi consistenti flussi migratori nel nostro paese;
b) un forte processo di cambiamenti quali – quantitativi nel corso degli anni’90 riferibili alla progressiva crescita numerica delle presenze di persone straniere a cui si associano crescenti indicatori di stabilizzazione;
c) un forte processo di innovazione e modificazione legislativa avviato a livello nazionale a partire dalla emanazione del D.Lgs n. 286 del 25 luglio 1998 e successive modificazioni.
 
Le ragioni e gli obiettivi che la Regione Emilia – Romagna si è data con la approvazione di una nuova Legge regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri (Legge regionale n. 5 del 24 marzo 2004, "Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2") e con la definizione degli indirizzi in materia di immigrazione previsti dal "Patto per la qualità dello sviluppo, la competitività, la sostenibilità ambientale e la coesione sociale", (sottoscritto il 18 febbraio 2004 dalla Giunta regionale, dalle parti sociali e le associazioni sindacali), vanno dunque ricondotti ad una domanda di fondo: crescendo costantemente la presenza di cittadini stranieri che risiedono e lavorano nella regione,l’Ente regionale può intervenire per assicurare una maggiore coesione sociale tra nuovi e vecchi residenti, nel rispetto delle regole, del principio di pari opportunità e accesso ai servizi, e per facilitare la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno inserimento sociale, culturale e politico per i cittadini stranieri.
Una coesione sociale che deve puntare sulla qualità delle politiche in ogni settore.
 
Tra le principali novità della nuova normativa regionale, l’art. 3 comma 2 introduce un nuovo strumen to di programmazione: il programma triennale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri avente il compito di definire le linee di indirizzo per la realizzazione degli iniziative previste dalla legge regiona le 5/2004.
 
Si tratta di uno strumento di programmazione "trasversale" che intende promuovere una integrazione delle politiche di settore per rispondere in modo unitario ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini stra nieri immigrati, tenendo conto dell’attività di osservazione del fenomeno migratorio, nonché delle indi cazioni contenute nel Piano Sociale e Sanitario 2005-2007 in fase di definizione.
 
L’obiettivo di fondo del Programma triennale è dunque quello di porre al centro delle programmazioni di settore, il tema della crescente presenza di migranti nel territorio regionale, nella logica di un approccio complesso ed unitario, che non intende semplicemente "aggiungere" uno specifico per "gli immigrati" in ciascun ambito settoriale, bensì richiama l’insieme delle politiche ad un riflessione
costante sui bisogni emergenti e sulle risposte individuate.
Anche nella Legge varata dal Friuli VG l’impianto generale l’impianto è simile a quello della Legge della Emilia Romagna:
la Regione assume la funzione di regia e coordinamento, mentre delega la maggior parte degli interventi attuativi agli enti locali (di competenza regionale, sotto il profilo operativo, solo l’accoglienza dei richiedenti asilo, dei profughi, dei minori non accompagnati, l’assistenza alle vittime di tratta e sfruttamento).
La legge fissa i princìpi, lasciando poi alle scelte di bilancio il compito di definire anno per anno i progetti specifici in ogni singolo ambito d’intervento. Tali progetti, però, saranno stilati sulla base di un programma triennale sulle politiche d’integrazione, che avrà aggiornamenti annuali da approvare entro giugno.
I capitoli in cui si divide la legge corrispondono ai diversi ambiti d’intervento e sono sostanzialmente sei: casa, lavoro e formazione, salute, istruzione, politiche di intermediazione culturale, protezione sociale.
E’ prevista la costituzione di una consulta regionale per l’immigrazione, organo composto da ventitre membri (un terzo espressione delle associazioni degli immigrati, due terzi designati dalle associazioni di categoria e dall’assessorato) che dovrà fornire proposte e pareri sul piano triennale.
Se gli interventi veri e propri saranno demandati al piano e agli stanziamenti effettivi previsti dalle leggi finanziarie, qualche contenuto concreto si può già anticipare.
Partendo dalle politiche del lavoro, ci saranno programmi specifici rivolti agli immigrati in materia di prevenzione e sicurezza.
La Regione, inoltre, redigerà ogni anno un rapporto dettagliato sul fabbisogno – annuale, appunto – di lavoratori immigrati: questo costituirà evidentemente uno strumento di pressione politica sul governo, soprattutto in caso di mancata approvazione del decreto quote.
Sul versante della casa verrà disciplinata l’istituzione dei centri di prima accoglienza e verranno costituiti fondi di rotazione a sostegno degli affitti, tutto nell’ambito di un rifinanziamento ad hoc dell’attuale legge regionale sull’edilizia agevolata.
Quanto a istruzione e sanità, oltre ai finanziamenti specifici che andranno attivati sulla base del piano triennale, è previsto un massiccio ricorso al ruolo dei mediatori culturali.
Altri progetti specifici, infine, verranno attivati nel settore della cooperazione decentrata e della ricerca universitaria e scientifica.
 
4.La situazione della immigrazione a Roma e nel Lazio
 
Prima di affrontare l’esame della proposta di Legge varata dalla Regione Lazio,appare utile un esame della situazione della immigrazione a Roma e nel Lazio.
a.Alcuni dati statistici
L’area romana continua ad essere in Italia il massimo polo immigratorio, seppure in misura inferiore al passato.
All’inizio del 2005 la popolazione ha raggiunto 2.542.003 persone nel comune di Roma e 1.216.012 negli altri comuni, per un totale provinciale di 3.758.015.
L’aumento è dovuto prevalentemente all’apporto degli immigrati.
Dall’ultimo Censimento è risultato che tra gli italiani i minori sono diminuiti e gli ultrasessantenni sono arrivati ad essere un quarto della popolazione, mentre gli immigrati sono più giovani: tra le persone provenienti dai paesi a forte pressione migratoria, quelli compresi tra 0 e 19 anni sono il 24,6% e gli ultrasessantenni solo il 3,4%.
Le proporzioni sono invece rovesciate tra i soggiornanti che provengono dai paesi ricchi (rispettivamente 9,9% e 22,4%). Roma, insomma, se non usufruisse dell’apporto degli immigrati, rischierebbe di diventare una città senza giovani. Si calcola che, affinché nel 2030 la popolazione della Capitale resti invariata, l’incidenza dei residenti stranieri dovrà salire al 17%, la stessa che già oggi si registra nel Canada.
Nella provincia di Roma all’inizio del 2005 i soggiornanti stranieri, secondo la stima dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, sono stati 340.554, il 70,2% dei quali concentrati nel comune di Roma: circa 240.000 nella Capitale e, per la prima volta in misura così consistente, quasi 100.000 negli altri comuni della provincia. La crescita percentuale più consistente, quindi, riguarda l’area extrametropolitana, mentre nella città di Roma, dove le condizioni di insediamento sono più difficili, la presenza tende a diminuire, con un rapporto tra capoluogo e provincia che è passato all’incirca da 1 a 6 all’inizio degli anni ’90 a 1 a 3 attualmente. 
Dal 1993 al 2003 l’analisi dei permessi di soggiorno mostra un aumento dei permessi di soggiorno per motivi familiari e per lavoro (rispettivamente 7 e 6 punti percentuali), una riduzione percentuale dei permessi per motivi religiosi (quasi 6 punti percentuali, anche se numericamente le presenze sono passate da 30.000 a 40.000), una diminuzione di 1-2 punti percentuali delle presenze per asilo, studio, residenza elettiva.
Nel corso del 2004, inoltre, dalla provincia di Roma è partito il 62% del totale delle rimesse (pari a 1 miliardo e 303 milioni di euro) inviate dall’Italia verso i paesi di origine degli immigrati. Dal 1995 al 2004 si è calcolato che dalla stessa area sia stato inviato il 43% delle rimesse, vale a dire una media di 305 milioni di euro all’anno, equivalenti a 600 miliardi delle vecchie lire e a un totale, in circa un decennio, di 6.000 miliardi di lire, una somma di assoluto rilievo per lo sviluppo dei paesi di origine. Si tratta dei movimenti di denaro registrati dalla Banca d’Italia, non sono incluse quindi le somme di denaro che viaggiano attraverso altri canali. Dal 2002 al 2005 la Guardia di Finanza ha monitorato 121 delle agenzie di money transfer aperte in Italia, l’86% delle quali è risultata essere in condizioni di irregolarità. Il Lazio, con 18 denunce, è al quarto posto della graduatoria nazionale. Solo a Roma i controlli hanno rilevato un movimento di 160 milioni di euro (dal 2002 al 2005), in particolare è da Roma che è partita la maggior parte del denaro inviato da cittadini cinesi, pari a 30 milioni di euro.
b.Gli immigrati nel Comune di Roma: numero e distribuzione
All’inizio del 2005 a risiedere nel comune di Roma, secondo i dati forniti dall’Ufficio di Statistica dello stesso Comune, sono stati 223.879 cittadini di origine straniera, pari al 7,9% della popolazione totale. L’aumento registrato rispetto al 2003 è dell’11%. I minori sono il 14,3% (contro il 17,6% stimato per l’Italia), le donne il 52,6% (contro il 48,2% a livello nazionale).
Il 19% dei residenti stranieri è laureato, il 48% diplomato, ma nonostante le percentuali siano più elevate rispetto agli italiani le occupazioni riservate agli immigrati sono di livello inferiore.
I continenti di provenienza sono, in ordine decrescente, Asia (29,9%), Europa non UE (21,0%), Europa UE (17,3%), Africa (15,8%), America (14,8%).
Su un totale di 195 differenti nazionalità, quella filippina e la rumena superano abbondantemente le 20.000 unità, incidendo sulla popolazione di origine straniera per il 12,2% e l’11,2%. Seguono Polonia (circa 10.000 unità e un’incidenza del 4,9%), Perù (4,4%), Bangladesh ed Egitto (4,1% ciascuno), Cina (3,5%). Rilevanti per numero di presenze risultano anche i cittadini di Sri Lanka (6.102) e India (5.151). Al di sotto delle 5.000 unità si attestano: Ecuador (4.808), Spagna (4.781), Albania (4.515), Gran Bretagna (4.318), Jugoslavia (4.249), Ucraina (3.894), Marocco (3.707) e Brasile (3.274).
L’incidenza degli immigrati conosce i valori più alti nel Centro storico e nei municipi esterni, tuttavia anche negli altri municipi la presenza è tutt’altro che trascurabile. I municipi a più alta incidenza di immigrati sono il I (20,4%), il XX (13,6%), il II (11,4%) e, con un’incidenza tra l’8% e il 9%, il III, il VI, il XVII e il XVIII, mentre si attestano sul 7% i municipi VII, VIII, XV, XVI e XIX. In termini assoluti registrano oltre 20.000 unità i municipi I e XX, superano le 10.000 il II, il VI, l’VIII, il XIII, il XV, il XVI, il XVIII e il XIX. Nei municipi VIII e XX, inoltre, sono nati il maggior numero di bambini stranieri, mentre il III municipio è il più cosmopolita, anche in ragione della vicinanza con l’Università. Si riscontra la preferenza della popolazione di origine straniera per l’asse nord-ovest/sud-est della città.
La mappa territoriale mostra che alcuni gruppi manifestano una certa preferenza per alcuni municipi. I comunitari superano un quinto delle presenze in diversi municipi (I, II, III, XIII, XVI, XVII, XVIII); anche gli africani raggiungono un quinto delle presenze nei municipi VI, VII, VIII e XV; gli asiatici sono un terzo delle presenze nei municipi I, II, IX, XI, XVII e XX e ben il 45% nel VI, realizzando così uno dei due casi di maggiore incidenza di un’area continentale in un municipio. Gli europei dell’Est superano il 25% nei municipi V, VII, X, XII, XIII, XV e raggiungono anch’essi il 45% nel municipio VIII.
Oltre che per aree, sono riscontrabili alcuni trend nella distribuzione territoriale anche per singoli gruppi. Ad esempio, i filippini risiedono prevalentemente nel XX municipio e nei municipi corona del Centro storico, invece i rumeni e gli immigrati del subcontinente indiano nelle zone Sud-Est di Roma. Possono influire al riguardo la situazione degli alloggi, il mercato occupazionale e anche le reti familiari. Molto significativo è lo spostamento progressivo dalla Capitale verso i comuni dell’hinterland, un fenomeno che può interpretarsi come uno spostamento della periferia della Capitale ben oltre i suoi confini materiali.
c. L’immigrazione in provincia di Roma
 
Tra i primi trenta comuni per presenza di residenti stranieri troviamo nel 2004 al primo posto il comune di Guidonia (3.793), seguito da Fiumicino (3.783) e Ladispoli (3.300). Superano le 2.000 presenze i comuni di Tivoli (2.641), Anzio (2.363), Fonte Nuova (2.152), Pomezia (2.121), cui seguono i comuni di Ardea (1.915) e Velletri (1.762). I restanti comuni si attestano su valori inferiori alle 1.500 unità: Monterotondo, Albano Laziale, Grottaferrata, Marino, Cerveteri, Bracciano, Mentana, Nettuno, Civitavecchia, Campagnano di Roma. Registrano meno di 1.000 residenti Ciampino, Anguillara sabazia, Zagarolo, Formello, Rocca di Papa, Santa Marinella, Colleferro, Genzano di Roma, Ariccia, Sacrofano, S. Cesareo, Frascati.
Tuttavia se guardiamo agli incrementi percentuali il comune con la crescita più rilevante è quello di Ardea (+ 50,7%), seguito da Monterotondo (+ 46,8), Anzio (+ 43,9), Tivoli (+ 38,3), Zagarolo (+ 38,0), Velletri (+ 37,0), Civitavecchia (+ 36,5), Fonte Nuova (+ 35,3), Ladispoli (+ 32,7), Genzano di Roma (+ 31,9). Tutti gli altri comuni analizzati registrano incrementi compresi tra il +30,7 di Fiumicino e il +11,7 di Grottaferrata.
La componente femminile è maggioritaria, oltre che nel comune di Roma (56,7%), in quello di Nettuno (60,3%), e in quelli di Grottaferrata e di Marino, con il 59,5 e il 59,2%. Gli altri comuni registrano comunque valori rilevanti, compresi tra il 49,9% di Ardea e il 46,5% di Tivoli.
I minori hanno un’incidenza percentuale più rilevante nei comuni della provincia rispetto alla Capitale: se a Roma i minorenni rappresentano il 14,3% della popolazione non italiana, negli altri comuni il dato va dal 15,1% di Fiumicino al 21,5% di Pomezia e al 24,2% di Fonte Nuova, probabilmente per via di una maggiore concentrazione dei nuclei familiari fuori da Roma.
In tutti questi comuni, come del resto nella Capitale, il primo gruppo è quello rumeno con percentuali comprese tra il 49,2% (Guidonia) e il 15,1% (Anzio). Fanno eccezione per nazionalità prevalente: Frosinone e Grottaferrata con l’Albania, Nettuno con la Bulgaria.
Rispetto al comune di Roma, nella provincia è più accentuata la presenza europea (52,7%), pressoché identica quella africana (12,3%), più bassa quella asiatica (21,0%) e quella americana (13,7%). Gli immigrati dell’Est Europa, che a Roma sono il 27,9%, nei comuni della provincia sono percentualmente più consistenti e arrivano al 39,6% ad Anzio, a più del 50% a Ladispoli, Velletri, Ardea, Fiumicino, al 60% a Guidonia Montecelio, ad oltre il 65% a Tivoli e Fonte Nuova.
Rumeni, filippini e polacchi sono i gruppi più consistenti: rispettivamente 44.144, 16.890 e 11.978.
 
d.Caratteristiche dell’economia romana
Il quadro economico provinciale vede la Capitale ricoprire il ruolo di motore propulsivo, in quanto area terziaria di primo piano sia nei settori tradizionali (commercio e trasporti) che in quelli più avanzati (ricerca, tecnologia dell’informazione, servizi alle imprese, informatica, servizi culturali e del tempo libero).
Dal punto di vista settoriale, i servizi, con 1.294.000 occupati, rappresentano i quattro quinti del mercato occupazionale romano. In questo contesto generale si inserisce la componente immigrata, che per la maggior parte lavora nella Capitale, dove del resto sono concentrati i tre quarti dei flussi lavorativi.
Il settore terziario prevale in provincia di Roma anche per numero di assunzioni: il 49,5% delle assunzioni a tempo indeterminato e il 77,2% di quelle a tempo determinato. La collocazione prevalente è quella legata ai servizi nel lavoro domestico e nel turismo (alberghi e ristorazione), con il 50,1% delle assunzioni di lavoratori stranieri stagionali (a tempo determinato).
Tra le assunzioni a tempo indeterminato (35.758), dopo la collaborazione familiare, i settori con il maggior numero di immigrati sono le costruzioni (5.040), gli alberghi e la ristorazione (3.335), le attività immobiliari/servizi di pulizia (3.223), il commercio al dettaglio (1.539), l’industria (con tutti i suoi comparti, 1.635) e l’agricoltura (995). L’incidenza media dei lavoratori stranieri tra le assunzioni a tempo indeterminato è del 15,3%. Soprattutto sono molto elevate le incidenze degli stranieri sul totale dei lavoratori nei seguenti settori:
                      10-19%: industria gomma, industria meccanica, industria alimentare, commercio, istruzione;
                      20-29%: industria tessile, industria legno, industria trasformazione, industria metalli, agricoltura;
                      oltre il 30%: industria conciaria.
Tra le assunzioni a tempo determinato l’incidenza dei lavoratori stranieri, pur restando alta, scende al 10,1%, con picchi del 14-17% in agricoltura, nell’industria della trasformazione, nell’industria meccanica, nelle costruzioni, nel commercio al dettaglio, negli alberghi/ristorazione, nell’istruzione, e una vera e propria impennata nell’industria metalli (136 su 443) e nell’industria conciaria (2 su 5).
Nel settore delle costruzioni il 25,5% delle assunzioni a tempo indeterminato e il 16% di quelle a tempo determinato hanno riguardato cittadini stranieri
 
 
 
e.Gli immigrati nelle banche dati dell’Inps
 
Gli immigrati assicurati all’INPS nel 2002 nella Provincia di Roma sono stati 152.054, il 9,4% del totale nazionale degli assicurati. L’area romana (alla quale appartengono più dei quattro quinti dei 170.729 immigrati assicurati nel Lazio) si distingue per le seguenti caratteristiche degli occupati stranieri: poco meno della metà nei lavori domestici e poco meno della metà come dipendenti di azienda (in particolare aziende commerciali ed edili).
I gruppi nazionali più monoindirizzati a livello settoriale sono: i filippini (lavoro domestico 81,3%), i peruviani (lavoro domestico 60,9%), gli sri-lankesi (lavoro domestico 60,4%) e gli egiziani (ristoranti e alberghi 55,5%). Le donne registrano una maggiore tendenza monosettoriale nel lavoro domestico: filippine (90,4%), sri-lankesi (86,7%), peruviane (86,7%), polacche (65,3%), ucraine (55,4%). Nel complesso i lavoratori domestici sono il 12% degli assicurati a livello nazionale, il 28,5% a livello laziale e il 31,4% nella provincia di Roma.
Altri settori di inserimento per le donne sono il commercio, l’alberghiero e il tessile, mentre per i maschi l’edilizia, il commercio, l’alberghiero, le altre industrie, il lavoro autonomo e la metallurgia.
Nell’anno 2003, a livello nazionale, è cresciuto ulteriormente il numero degli iscritti all’Inps di origine straniera (+ 6,5% rispetto al 2002) ed è diminuito quello degli italiani (-6%). Il Lazio è la regione con il maggior numero di collaboratori domestici stranieri, quasi un quarto (il 22%) del totale nazionale. Tra i nuovi settori di inserimento dei cittadini immigrati vi è quello dell’agroalimentare, con lavoratori impiegati nei settori dei servizi e del commercio e che lavorano ogni giorno presso il polo logistico-distributivo del Car, al confine tra il comune di Roma e quello di Guidonia.
 
Gli infortuni di lavoratori stranieri denunciati nel Lazio sono stati 3.781, il 3,3% del totale nazionale (115.883). Tra questi gli infortuni mortali (231 nel 2004, 15 da gennaio ad aprile del 2005) hanno un’incidenza molto elevata (0,4%), a fronte di un’incidenza a livello nazionale dello 0,1%.
 
f. L’imprenditoria degli immigrati
La vivacità dello sviluppo imprenditoriale che ha caratterizzato nel 2004 la provincia di Roma trova un punto di forza nella dinamica dell’imprenditoria immigrata. A fronte di una flessione nel 2004 delle cariche imprenditoriali (titolari e soci) relative a soggetti di nascita italiana (-0,7%), si sono registrati infatti negli ultimi due anni aumenti percentuali di imprenditori immigrati (rilevati dalla nascita all’estero) pari a +14,5% (2002-2003) e +18,9% (2003-2004). A fine 2004 le 18.878 cariche imprenditoriali relative a titolari e soci di nascita straniera sono arrivate a rappresentare il 7% del totale delle cariche registrate a Roma: un imprenditore romano su 15, quindi, è nato all’estero.
Le imprese degli immigrati in Italia, salvo il caso della ristorazione e dell’alimentazione o di altri prodotti tipici dei paesi di origine, hanno scarse connotazioni “etniche” e si rivolgono essenzialmente alla clientela italiana. Si tratta, cioè, di imprese aperte, che tendono a inserirsi e a competere sul mercato.
L’analisi per settore di attività economica evidenzia la maggiore propensione degli stranieri ad intraprendere attività imprenditoriali nel settore dei servizi, nel quale si registra il 60% dei titolari e dei soci di impresa di nazionalità estera. Le attività economiche in cui si concentrano le cariche imprenditoriali straniere sono soprattutto quelle del commercio (39%) e delle costruzioni (17%). E’ tutt’altro che trascurabile anche il peso del settore manifatturiero (10%), di quello delle attività immobiliari, dell’informatica e del noleggio (8%) e di quello alberghiero e della ristorazione (6%). Il settore agricolo, invece, continua a rivestire un ruolo piuttosto marginale (1,5%). Il settore industriale è quello in cui complessivamente si osserva l’aumento più rilevante (+22% rispetto al 2003), all’interno del quale il comparto delle costruzioni fa registrare un incremento del 33%. Tra i servizi, invece, di assoluto rilievo è la crescita del 58% relativa al comparto dei trasporti magazzinaggio e comunicazioni.
I titolari ed i soci di origine rumena sono il gruppo più numeroso nella provincia capitolina, con poco più di 2.000 unità (circa il 10% del totale), seguiti da cinesi (poco meno del 10%) e dai nati nel Bangladesh (circa il 9%). In generale i dati pongono in luce la “multietnicità” del fenomeno, sia a livello nazionale che nella provincia di Roma, dove si riscontrano almeno una ventina di gruppi con percentuali comprese tra il 4% e l’1% e un aggregato di “altre” provenienze che rappresenta il 13,4% del totale contro l’11,9% registrato in Italia.
Tra gli imprenditori di origine straniera ben 11.152, il 68% del totale, risulta iscritto negli anni che vanno dal 2000 al 2004, a riprova che si tratta di un fenomeno fortemente recente e in rapida crescita.
Quanto alla distribuzione territoriale, i casi di imprenditoria straniera sono concentrati in un numero ristretto di comuni: circa il 94% delle attività imprenditoriali risulta registrato in soli 25 dei 121 comuni della provincia. Roma da sola esercita una forza di attrazione tale da convogliare verso di sé il 76% (14.336 unità) degli imprenditori di nazionalità estera della provincia. Nonostante “l’effetto Roma”, però, si scoprono altri importanti spazi di sviluppo dell’imprenditoria degli immigrati: Ladispoli (417 titolari e soci), Guidonia Montecelio (282), Anzio (281), Pomezia (240), Fiumicino (237) ed Ardea (200), tutti con presenze comprese tra l’1 e il 2% del totale.
Se l’imprenditorialità è tradizionalmente un’attività più diffusa tra gli uomini, nel caso degli immigrati tale aspetto è ancor più marcato: circa il 73% degli imprenditori è di sesso maschile.
 
Dalle interviste raccolte nel corso di un’indagine qualitativa, che vengono presentate in questo Rapporto, sono emerse almeno tre possibili letture della scelta imprenditoriale:
·         strategia di autoimpiego
·         via d’emancipazione dal lavoro dipendente
·         riscatto da posizioni dequalificanti e di esclusione sociale.
Sono state rilevate anche le principali difficoltà incontrate dagli immigrati, relative soprattutto alla fase di avvio del progetto imprenditoriale. Tra le difficoltà denunciate dagli intervistati vi è il rapporto con gli istituti bancari al momento della richiesta di un finanziamento. L’esperienza è di un atteggiamento di diffidenza da parte delle banche che spesso determina nell’aspirante imprenditore senso di solitudine e presa d’atto di dover contare solo sulle proprie risorse e capacità. Problematico è anche l’incontro con i Centri per l’Impiego: gli imprenditori lamentano una scarsa informazione e preparazione da parte degli operatori. Se ne evince la necessità di informazione e aggiornamento per coloro che lavorano presso gli sportelli pubblici per l’impiego e che incontrano sempre più spesso un’utenza immigrata. Una corretta informazione va prima di tutto a vantaggio dell’operatore, che riuscirà così a svolgere le sue mansioni con la preparazione e le competenze di cui ancora molti impiegati, prima ancora che gli immigrati, denunciano la mancanza.
g. Gli immigrati e la questione abitativa
Chiude il Rapporto 2005 dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni una sezione dedicata all’ “immigrazione vissuta”, alla vita sociale e al livello di inserimento degli immigrati di Roma e provincia.
Si è scelto di approfondire il tema delle politiche abitative per la popolazione immigrata in una città come Roma, dove la situazione alloggiativa è già di per sé allarmante ed è all’origine, insieme all’insicurezza lavorativa, di un “familismo utilitaristico” che vede prolungarsi la coabitazione all’interno della famiglia. A fronte di questa situazione d’emergenza, il Comune di Roma, oltre all’offerta di edilizia residenziale pubblica, assiste economicamente circa 15mila famiglie a reddito medio-basso. Delle 17mila domande ammesse al bando 2005 per i buoni casa, il 16% è stato presentato da stranieri. Sono 2.720 i nuclei familiari stranieri che hanno richiesto questo tipo di contributo economico.
Sempre più immigrati, però, scelgono di acquistare una casa, nella provincia di Roma il 19,6% delle abitazioni comprate nel 2004 (contro il 12,6% a livello nazionale) è a carico di un immigrato (un’abitazione su 5 è di proprietà di stranieri). A Roma si compra soprattutto lungo la Prenestina, a Centocelle, a San Basilio, ad Ostia e sulla Cassia. Nella zona di Piazza Vittorio i principali acquirenti sono bengalesi e cinesi, che acquistano appartamenti da 50-60 mq da ristrutturare e accendono mutui al 70-80%.
Per quanto riguarda l’affitto, a Roma la percentuale dei nuovi contratti di locazione stipulati da inquilini stranieri è del 10-12% sul totale, un dato più basso rispetto alla media nazionale del 25%.
h.Gli alunni immigrati a Roma e nel Lazio
 
Nell’anno scolastico 2004/2005 la regione Lazio si attesta circa a metà della graduatoria nazionale per numero di iscrizioni scolastiche di studenti non italiani, con 33.823 dei 361.576 studenti di origine straniera iscritti in Italia. Il 9,4% degli alunni non italiani presenti a livello nazionale è iscritto in una scuola del Lazio, che registra un’incidenza del 4,5% (1 alunno straniero ogni 22 studenti), più alta della media nazionale (4,2%), ma più bassa del 5,7% registrato nel Centro-Italia.
Sembra confermata l’ipotesi di una tendenza dei nuclei familiari di origine immigrata a stabilirsi nei comuni della provincia di Roma. L’incidenza media provinciale, infatti, è del 5,2%, più precisamente del 4,8% nel comune capoluogo e del 5,8% negli altri comuni della provincia. L’incidenza cambia anche per grado scolastico: nella scuola dell’infanzia è del 4,2% (4,6% in Italia), in quella primaria del 6,0% (5,4% in Italia), nella secondaria di I grado del 5,2% (4,8% in Italia), in quella di II grado del 2,7% (2,3% in Italia).
Nonostante ciò in valori assoluti Roma è, tra i comuni capoluogo d’Italia, al secondo posto per numero di alunni non italiani, subito dopo Milano. Gli studenti di origine straniera iscritti a Roma sono 26.956, il 79,7% degli studenti non italiani di tutta la regione.
Nel Lazio, rispetto ai dati nazionali, è più alta la percentuale di cittadini provenienti dall’Europa (tanto comunitaria quanto non comunitaria), mentre è inferiore di quasi 15 punti la presenza africana: 59,3% europei (di questi i non comunitari sono il 49,8% e i comunitari il 9,5%), 15,9% asiatici, 15,0% americani e 9,6% africani.
Per quanto riguarda il tasso di successo scolastico degli alunni di origine immigrata, vi sono alcune differenze tra i valori medi registrati in Italia e quelli relativi alla regione Lazio. Il dato più distante da quello nazionale riguarda la scuola primaria, dove il divario di – 3,4 punti registrato in media in Italia, sale a –4,9. Non si registrano, invece, particolari differenze nella scuola secondaria di I grado, dove anzi la differenza di promozione è di –6,2 punti per il Lazio, a fronte del dato nazionale di – 7,1. Nella secondaria di II grado, infine, se in linea generale si deve rilevare una maggiore difficoltà degli alunni di origine straniera, va anche detto che la distanza dagli alunni italiani dai – 12,6 punti rilevati in Italia, nel Lazio scende a – 11,4.
In generale gli studi evidenziano una maggiore difficoltà degli alunni non italiani nelle grandi aree urbane, e una differenza tra i comuni capoluogo e gli altri comuni: la maggiore ampiezza dei primi sembra andare a scapito del rendimento degli alunni di origine straniera.
Il fenomeno rende ancor più necessaria la presenza di mediatori culturali che medino tra i diversi attori coinvolti, già a partire dalla scuola materna, per agevolare il rapporto tra scuola, genitori immigrati, genitori italiani e alunni.
Un’indagine sulla mediazione culturale condotta dal “Forum per l’intercultura” della Caritas di Roma ha registrato le opinioni dei mediatori in merito al proprio ruolo. Tra i principali ostacoli alla stabilizzazione professionale emergono la mancanza di un adeguato riconoscimento professionale, l’inesistenza di un albo professionale e la precarietà del lavoro (la forma di contratto più diffusa è quella di collaborazione a progetto, la "flessibilità" oraria è d’obbligo, il compenso varia a seconda del progetto in cui si lavora e talvolta la retribuzione è pari a quella prevista per il lavoro domestico). A ciò si somma la carenza di fondi messi a disposizione dalle istituzioni pubbliche.
Benché insoddisfatti dal punto di vista economico e dell’inquadramento professionale, i mediatori sono soddisfatti del lavoro che svolgono, ritenendolo utile sul piano sociale e culturale e molto gratificante sul piano umano.
Non tutti i minori di origine straniera, tuttavia, frequentano la scuola, a causa della dispersione scolastica, diffusa soprattutto tra i minori non accompagnati. Rispetto al 2003 i minori non accompagnati sono aumentati del 20,2%, ma il fenomeno resta in gran parte sommerso. Nel 2004 oltre un migliaio di ragazzi è stato registrato nelle strutture di pronta accoglienza di Roma, tra questi la maggior parte proviene dall’Est Europa, ma non mancano coloro che provengono dall’Africa e i richiedenti asilo. Il numero lievita se si considera che ben l’82% si è allontanato dagli stessi centri. L’età media è di 17 anni, con una tendenza all’aumento. Per il 60,5% si tratta di maschi, in prevalenza rumeni e nomadi. Negli ultimi tre anni, complessivamente, nei centri di prima accoglienza del Comune di Roma sono stati segnalati e accolti circa 3.500 minori.
I minori non accompagnati sono facili vittime di fenomeni di sfruttamento nella prostituzione o nell’accattonaggio, e anche per questo più facilmente possono incappare in reati e illeciti. Nel 2004, dei 3.866 minori (italiani e stranieri) che in Italia hanno fatto ingresso in un Centro di Prima Accoglienza (C.P.A.), quelli entrati in un centro della città di Roma sono stati 1.185, dei quali 976 di cittadinanza non italiana (82,4%). Tra i reati prevalgono quelli legati agli stupefacenti tra gli italiani e quelli contro il patrimonio (in particolare furti) tra gli stranieri e i nomadi.
Negli Istituti Penali per i Minorenni (I.P.M.) di Roma, invece, risultano essere entrati in tutto 328 minori, l’84,1% (276 unità) di cittadinanza non italiana. E’ invece meno consistente l’utenza non italiana presso l’Ufficio di Servizio Sociale per i minorenni del Lazio (U.S.S.M.), trattandosi di interventi rivolti a minori in stato di arresto o di detenzione, in attesa di giudizio o in esecuzione di pena in area esterna, ossia al di fuori degli istituti di pena. Nel caso dei minori stranieri questa modalità di intervento (misure cautelari o misure alternative di pena) è più difficile per l’assenza di nuclei familiari o reti di sostegno cui potersi appoggiare.
Il quarto ramo dei servizi della giustizia minorile, quello delle comunità di accoglienza, ha registrato a Roma un’utenza di 232 minori: il 43,1% rumeni, il 21,6% italiani, il 18,5% nomadi e il 16,8% stranieri.
 
Va sottolineato che a Roma fra 15 anni un neonato su 3 sarà straniero I risultati emergono da una ricerca dell’ università ‘La Sapienza’
Se attualmente a Roma un neonato su dieci è straniero, nel 2020 il rapporto potrebbe essere destinato a mutare arrivando a un neonato su tre di origine straniera.

E’ il quadro della seconda generazione dell’ immigrazione nella capitale che emerge da una ricerca dell’ università ‘La Sapienza’ con la collaborazione dell’ Ufficio Statistica del Campidoglio.

Secondo lo studio, su circa 26 mila bambini nati a Roma nel 2004, oltre 2600 hanno entrambi i genitori stranieri. Il totale delle nascite di origine straniera arriva a 3800 se si considerano anche i neonati registrati all’anagrafe di Roma da almeno un genitore non italiano.
L’incidenza dei neonati di origine straniera sul totale dei neonati, attualmente si attesta a quota 13%, pari a circa 1 su 10. L’incidenza dei neonati di origine straniera è comunque destinata a salire nei prossimi 15 anni e a raggiungere, a seconda delle dinamiche demografiche e sociali, valori compresi tra il 24% e il 32%: nel 2020, dunque, a Roma un neonato su tre potrebbe essere di origine non italiana.
Secondo la ricerca, è destinata a cambiare radicalmente anche la composizione della popolazione più giovane di Roma: se oggi nella fascia zero-14 anni la proporzione di ragazzi di origine non italiana è del 6-7%, all’inizio del 2010 arriverà a livelli variabili tra l’11% e il 12%, nel 2015 tra il 14% e il 17%, e nel 2020 tra il 17 e il 22%.
L’indagine, inoltre, conferma la generale ripresa della natalità a Roma: con le 26 mila culle del 2004 il bilancio demografico della capitale ha riconquistato il livello segnato nel 1983 e da allora mai più raggiunto. Il numero medio dei figli per ogni donna residente a Roma è di 1,25, pari a 1,20 per le italiane e con un’oscillazione compresa fra 1,7 e 2,2 per le straniere. Nei prossimi 15 anni, a fronte di una bassa propensione alla maternità delle italiane, è previsto un notevole incremento delle nascite da madri straniere, frutto dell’aumento dei flussi migratori a Roma e della crescente integrazione delle famiglie e, in particolare, delle donne: in termini assoluti, secondo le proiezioni statistiche, nel 2020 le culle non italiane potrebbero essere fra le 4200 e le 6400.

 
 
i. Gli studenti non italiani nelle Università di Roma
Nell’anno accademico 2004-2005 presso le tre università statali di Roma si sono iscritti 5.961 studenti di cittadinanza non italiana, con un incremento medio rispetto allo scorso anno del 26,8%. Al primo posto troviamo l’Università La Sapienza, con 4.293 iscritti (il 72% degli studenti esteri di Roma), seguono Roma Tre con 891 iscritti (14,9%) e Tor Vergata con 777 iscritti (13,0%).
A Roma è iscritto il 15,6% degli iscritti stranieri presenti in Italia e l’incidenza sul totale degli universitari (204.417) è del 2,9%, valori che collocano la città al primo posto in Italia per presenza di universitari esteri.
Le provenienze continentali vedono al primo posto il continente europeo, che concentra il 67,3% degli iscritti (4.013), per il 36,3% appartenenti a un paese europeo non comunitario e per il 28,1% a un paese membro dell’Ue a 25 Stati. Seguono i cittadini americani (14,0%, il 12,0% dei quali dell’America Centro Meridionale), gli asiatici (10,2%) e gli africani (8,1%).
Al primo posto per universitari iscritti a Roma c’è l’Albania (1.470 iscritti), seguita da Grecia (673), Polonia (312), Romania (263), Perù (185). I primi cinque paesi da soli rappresentano il 48,7% degli universitari esteri.
La facoltà con il maggior numero di iscritti è Medicina e Chirurgia (1.128, pari al 18,9%), subito dopo si collocano Lettere e Filosofia (13,8%), Economia (10,0%), Ingegneria (9,1%), Architettura (8,4%).
Nelle Università Pontificie (24 strutture) circa la metà dei 20.000 iscritti è costituito da sacerdoti, religiose/i e laiche/laici stranieri. Presso la Gregoriana, ad esempio, gli italiani sono solo 747 su più di 3.000 iscritti.
Per gli studenti laici sono disponibili le disaggregazioni curate dall’UCSEI: mentre il dato nazionale vede al primo posto l’Europa non comunitaria, nel caso delle Università Pontificie i più numerosi sono gli studenti africani. Questo dato si ritrova anche tra gli studenti universitari ospitati presso il Centro Giovanni XXIII nel 2004-2005, un centro dedicato agli studenti esteri: gli africani sono il 62% del totale, seguiti dagli studenti dell’Europa dell’Est. Influenza la composizione nazionale la provenienza universitaria degli studenti: università pontificie (73%), università statali (24%), università private (3%).
 
  
 
PROVINCIA DI ROMA
Ripartizione degli immigrati nel 2005
 
FONTE: Caritas-CCIAA/Osservatorio Romano sulle Migrazioni
Avvertenza: le differenze tra i dati dei soggiornanti e quelli dei residenti sono dovuti alla diversità degli archivi, come anche sono soggette a differenze le risultanze delle anagrafi comunali rispetto al dato sui residenti stranieri consolidato dell’Istat.
 
PROVINCIA DI ROMA.
Numero dei soggiornanti stranieri (1991-2004: dati al 31 dicembre)
 
Anni
Soggiorn.
% Donne
% su Italia
Anni
Soggiorn.
% Donne
% su Italia
1991
139.400
46,0
21,5
1998
182.100
51,6
16,7
1992
121.900
49,7
20,7
1999
220.200
49,7
16,4
1993
130.900
49,3
20,2
2000
217.800
49,8
15,8
1994
133.300
50,6
19,7
2001
217.300
52,1
15,0
1995
142.800
51,3
19,6
2002
213.700
52,9
14,2
1996
184.100
49,1
18.7
2003
291.000
53,7
13,3
1997
185.900
50,0
18,2
2004
*308.958
53,7
13,3
* Il numero stimato dei titolari di permesso di soggiorno va implementato con il numero dei minori, per cui si arriva ad una presenza complessiva di 340.554 nella provincia di Roma e di 242.194 nel comune di Roma
FONTE: Caritas-CCIAA/Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno
 
 
 
 
 
 
 
 
5.il PdL della Regione Lazio
 
Occorre ,anzitutto,ricordare la precedente legislazione emanata in materia:
 
·LEGGE REGIONALE N. 8 DEL 15-02-1992
  • Strutture di prima accoglienza per immigrati extracomunitari.
 
·LEGGE REGIONALE N. 17 DEL 16-02-1990
  • Provvidenze a favore degli immigrati da paesi extracomunitari.
 
·LEGGE REGIONALE N. 48 DEL 24-11-1986
  • Interventi regionali nel settore dell’ emigrazione e dell’immigrazione.
 
·LEGGE REGIONALE N. 38 DEL 9-08-1976
  • Rifinanziamento e modifiche alla legge 12 giugno 1975, n. 68, concernente l’ istituzione della consulta regionale della emigrazione e dell’ immigrazione e contributi regionali a favore dei lavoratori emigrati all’ estero, immigrati interni e delle loro famiglie.
 
Le considerazioni che seguono intendono segnalare alcuni nodi problematici ed alcuni punti su cui l’azione di governo dell’immigrazione dovrebbe svilupparsi – nei limiti delle attuali competenze regionali – per rendere la Regione Lazio un laboratorio in cui le esigenze dei territori che ospitano gli immigrati; le loro esigenze di integrazione; le esigenze delle imprese o delle famiglie che fanno ricorso ai lavoratori migranti e, infine, le esigenze delle aree da cui gli immigrati stessi provengono, trovino contestualmente e contemporaneamente risposte, al fine di definire un modello di integrazione originale ed efficace.
 
6. Un nuovo modello di integrazione
 
E’ possibile creare nel Lazio un tale modello di integrazione che sia efficace e nel contempo sia accettato dall’opinione pubblica?
 
E’ possibile se si tengono in conto le seguenti considerazioni
 
1.       Stabilire un corretto rapporto tra la gestione politica del fenomeno migratorio e la cooperazione allo sviluppo verso le aree d’origine dei migranti.
Sono questi i due pilastri a sostegno di una politica di azione e non di semplice reazione alla realtà della globalizzazione. E’ importante, infatti, sviluppare politiche concrete per fare sì che il fenomeno delle migrazioni internazionali, diventi una opportunità di sviluppo tanto delle aree di approdo quanto delle aree di origine, soprattutto nel bacino mediterraneo.
Ma per cogliere appieno l’occasione, occorre un programma di lungo periodo, non dettato dalla “camicia di forza” dell’emergenza.
A questo scopo è essenziale,
·         accanto alla leva finanziaria delle rimesse degli immigrati, una nuova valorizzazione del ruolo della “cooperazione allo sviluppo decentrata” da parte della regione Lazio.
·         Inoltre, una attenzione specifica dovrà essere rivolto alle politiche per gli immigrati laziali nel mondo.
 
2.       Il secondo punto è costituito dal quadro normativo che una tale concezione della politica di integrazione richiede.
·         E’ infatti essenzialeche la regione Lazio si dotidiuna normativa organica che rimedi alla inadeguatezza delle quattro leggi regionali oggi in vigore (n° 38/1976, n° 48/1986, n° 17/1990 e n° 8/1992). Nei limiti delle competenze attribuite alle Regioni dalla modifica del Titolo V° della Costituzione, la nuova normativa del Lazio potrebbe andare oltre la stessa legge nazionale, poichè è vero che lo Stato regola “l’ingresso e il soggiorno degli stranieri”, ma le Regioni hanno competenza in materia di assistenza sociale e anche di diritti delle persone.
·         La Regione Lazio potrebbe quindi separare la condizione giuridica dal diritto ad accedere ad alcuni servizi essenziali, specialmente per le fasce più deboli, alla stregua di quanto già prevede la L. 286/98 in materia di assistenza sanitaria di base garantita a tutti, cittadini o stranieri.
·         Il Lazio può inoltre valorizzare le sinergie con Provincia e Comune di Roma (dove si raccoglie buona parte dei flussi immigratori della Regione) per meglio abbordare i problemi relativi a sanità, alloggio, sostegno ai minori e ai minori non accompagnati, inserimento lavorativo e formazione professionale.
·         Si potrebbe far sì che il Fondo per l’integrazione dei migranti previsto dal T.U. (ma di fatto abrogato da questo governo, che lo ha fuso nel calderone generale dell’assistenza sociale) mantenga una sua specifica identità a favore dell’integrazione dei migranti.
·         In questo quadro un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto dai mediatori culturali, rispetto ai quali la Regione Lazio dovrebbe: definire e normare le caratteristiche delle figure professionali; definire, impostare e valutare standard formativi, di competenze e di ruolo, anche ad alto livello; superare la frammentazione delle esperienze locali e sostenerne la qualificazione.
·         La regione Lazio dovrebbe poi valorizzare e qualificare la essenziale funzione di cura che gli immigrati già ricoprono nell’ambito del welfare, rispetto alle famiglie, gli anziani, i bambini, i malati. Funzione che è legata al tema della sostenibilità del sistema di welfare, ma che rappresenta anche un arricchimento umano, che spinge a dare un maggiore spazio ai tempi della cura.
·         Infine, nella direzione della costituzione di una vero e proprio sistema regionale di lotta alla discriminazione,La Regione dovrebbe prevedere la costituzione di un Osservatorio sull’immigrazione nella Regione Lazio finalizzato alla individuazione e attuazione di politiche antidiscriminatorie, nonché a incoraggiare politiche rispondenti alla realtà del territorio della regione e lo scambio con tutti i soggetti operanti sul territorio.
 
3.       Incoraggiare la Regione a contribuire in modo effettivo alle politiche nazionali, nell’interlo cuzione coordinata con l’Unione Europea.
 
Senza voler sottrarre allo Stato le prerogative di fissare gli ingressi annuali, alla Regione spetta il compito, da una parte, di porre con forza le proprie esigenze all’amministrazione centrale e al Ministero del Lavoro (che dovrebbe e recuperare il proprio ruolo); dall’altra parte, in risposta alle richieste delle imprese e delle famiglie, alla regione spetta anche l’onere di adottare le misure complementari (formazione, alloggio, servizi socio-sanitari e di orientamento) indispensabili ad una corretta integrazione: in modo da salvaguardare le esigenze delle imprese impegnate a programmare il proprio sviluppo e delle famiglie bisognose dell’assistenza sociosanitaria, oltre che le esigenze dei lavoratori che a questi bisogni rispondono. Un tale obiettivo è raggiungibile solo se la Regione riesce, da una parte, a porre gli immigrati come soggetti centrali dell’intervento dei servizi per l’impiego, e dall’altra, a definire degli standard regionali di accoglienza ed integrazione, che possano servire anche come benchmarks di riferimento degli standard nazionali.
Per quanto riguarda in particolare, i servizi per l’impiego, le politiche attive del lavoro devono esercitare un ruolo essenziale, in particolare nel momento dell’avviamento al lavoro e del cambiamento di lavoro, con particolare attenzione alla questione di genere. Ciò potrà contribuire peraltro in maniera sensibile anche all’emersione del lavoro nero.
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4.       Valorizzare il fenomeno migratorio come incubatore di impresa.
 
Una delle chiavi di volta di tale paradigma che lega strettamente migrazioni e sviluppo può essere ricercato nella creazione d’impresa, che può determinare insperate occasioni di sviluppo, sfruttando la presenza a Roma dell’Osservatorio sulla Cooperazione Decentrata e la stessa Finanziaria regionale
·         In questo senso, gli immigrati nel Lazio, in un’ottica di accoglienza matura, possono diventare soggetti attivi di una crescita dell’imprenditorialità immigrata nel Lazio, e nel contempo agenti di sviluppo nei propri territori d’origine;
·         Mentre, gli emigrati laziali nel mondo possono agire come promotori delle aziende laziali nel mondo.
 
5.       Incoraggiare i lavoratori migranti, visti come agenti per lo sviluppo delle aree di origine e di approdo, a partecipare alla vita della comunità locale in cui vivono.
 
La Regione potrà ideare, secondo propri modelli originali, le forme di partecipazione dei migranti alla vita della comunità locale, con particolare riferimento al voto amministrativo: dunque, in forme diverse ma col
 medesimo spirito che induce molti cittadini emigrati dal Lazio a votare, nei limiti del possibile, alle prossime elezioni. Una equa politica di integrazione e una effettiva partecipazione ai doveri di cittadinanza, anche sul piano della contribuzione fiscale, non può prescindere dall’esercizio del voto amministrativo.
 
6.       Il ruolo della regione Lazio rispetto al diritto d’asilo e d’accoglienza.
 
Riteniamo fondamentale che la regione Lazio svolga un ruolo decisivo di coordinamento, indirizzo e sperimen tazione sul diritto d’asilo e d’accoglienza a cominciare dalla apertura di una consultazione con tutti i soggetti coinvolti nell’esperienza in campo, evidenziandone gli aspetti positivi e sostenendone la riproduci bilità.
 
7.      Considerazioni finali
 
Il PdL Mandarelli recepisce appieno le suesposte considerazioni sottolineando:
 
a-la evidente obsolescenza della precedente legge regionale in materia
b-un forte processo di cambiamento qualitativo e quantitativo riferibile alla crescita del fenomeno migratorio
c-un profondo processo di innovazione legislativa sule tematiche del soggiorno, della formazione, dell’assi stenza sanitaria anche nel sistema carcerario,della scolarità e delle esigenze abitative oltre alla consultazione
delle comunità straniere.
 
Obiettivo di fondo del PdL è quello di assicurare una risposta organica ed innovativa per l’integrazione delle comunità straniere nel tessuto regionale attraverso la istituzione del Forum regionale delle Nazionalità,orga- nismo di nuova attuazione costituito non su base assemblearistica ma su designazione delle rappresentanze diplomatiche e consolari.
 
Va condiviso l’orientamento del PdL di assicurare la tutela di soggetti deboli quali gli anziani,i disabili stranieri ed i minori oltre alle misure per la formazione anche attraverso la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
 
Lodevole è l’attenzione contro le forme di discriminazione ed il razzismo.
 
Merita anche particolare attenzione l’intervento a sostegno dell’applicazione delle misure alternative per i detenuti stranieri anche attraverso uno screening generalizzato del sistema carcerario laziale,che fa propria una emergenza divenuta ormai nazionale.
 
Non va,infine,sottaciuto il riconoscimento dell’attività delle numerose associazioni di volontariato che operano sul territorio regionale in favore degli stranieri.
 
Complessivamente il nuovo PdL appare in linea con i più recenti orientamenti in tema di politiche dell’immigrazione e con le recenti riforme apportate alle materie dell’asilo politico, del permesso di soggiorno, della formazione, dei ricongiungimenti familiari, dell’assistenza sanitaria in favore degli stranieri.
 
E’ auspicabile una rapida approvazione del provvedimento che costituirà punto di riferimento per tutta la normazione regionale in materia in Italia ma che getta le basi per alcune importanti modifiche della Legisla zione Nazionale in elaborazione.
 
Roma 1 Marzo 2007                                                                               Avv.Mario Pavone
                                                                                                                      Presidente
                                                                                                                         ANIMI 

Pavone Mario

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