In materia di indagini preliminari, la riforma Cartabia è intervenuta anche attraverso l’inserimento di un nuovo precetto normativo, numerato art. 415-ter cod. proc. pen., rubricato “Diritti e facoltà dell’indagato e della persona offesa in caso di inosservanza dei termini per la conclusione delle indagini preliminari”, il quale “riconosce all’indagato e alla p.o. la facoltà di accedere agli atti di indagine nel caso in cui il P.M. non rispetti il cd. termine di riflessione” (così: la relazione illustrativa).
Difatti, tale articolo, che consta di quattro commi, è per l’appunto rivolto a disciplinare siffatte prerogative, riconosciute a siffatti soggetti, ove si verifichi una situazione di questo genere,
Premesso ciò, scopo del presente scritto è quello di vedere cosa prevede codesta disposizione legislativa.
Indice
1. Il comma primo
Al primo comma di questa statuizione di legge è stabilito che, salvo “quanto previsto dal comma 4, alla scadenza dei termini di cui all’articolo 407-bis, comma 2, se il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, né ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione, la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata in segreteria” (primo periodo), fermo restando che: a) alla “persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini è altresì immediatamente notificato avviso dell’avvenuto deposito e della facoltà di esaminarla ed estrarne copia” (secondo periodo); b) l’“avviso contiene altresì l’indicazione della facoltà di cui al comma 3” (terzo periodo); c) copia “dell’avviso è comunicata al procuratore generale presso la corte di appello” (quarto periodo).
Quindi, per effetto di questa previsione di legge, “se il P.M. non ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, non ha esercitato l’azione penale o non ha avanzato richiesta di archiviazione, nei termini di cui all’art. 407 bis comma 2 c.p.p., opera una discovery automatica delle indagini effettuate, per il tramite del deposito obbligatorio della relativa documentazione presso la segreteria del P.M., con facoltà dell’indagato e della persona offesa di esaminarla ed estrarne copia” (C.S.M., Sesta Commissione, Parere del 21/09/2022, p. 27), fermo restando che il “P.M. dovrà anche provvedere “immediatamente” a notificare all’indagato e alla persona offesa che abbia chiesto di esserne informata della conclusione delle indagini, l’avviso di deposito di detta documentazione” (C.S.M., Sesta Commissione, op. cit., p. 27) trattandosi “di un atto dovuto, con il quale, come precisato nella relazione illustrativa, il legislatore ha inteso sia dissuadere il pubblico ministero da ingiustificati temporeggiamenti decisori, sia favorire l’individuazione e la chiusura dei procedimenti suscettibili d’essere definiti grazie a possibili apporti conoscitivi ad opera delle parti” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, Rel n. 2/2023 del 5/01/2023, p. 72), così come anche una “copia di questo avviso deve essere comunicato al procuratore generale” (C.S.M., Sesta Commissione, op. cit., p. 27).
In altri termini, salvo il tempestivo ottenimento di un’autorizzazione al differimento, una volta scaduto il termine di riflessione senza aver esercitato l’azione penale, o aver richiesto l’archiviazione, la documentazione relativa alle indagini espletate deve “essere depositata in segreteria, con riconoscimento della facoltà di esaminarla e di estrarne copia alla persona sottoposta a indagini e alla persona offesa (purché quest’ultima, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini)” (così: la relazione illustrativa), essendo al contempo ivi previsto “che alla persona sottoposta a indagini e alla persona offesa sia fatto notificare apposito avviso di deposito” di detta documentazione (così: la relazione illustrativa), purché costoro abbiano chiesto di esserne informati della conclusione delle indagini, tenuto conto altresì del fatto che, come appena visto, “l’ultimo periodo del comma 1 impone la comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello, cui è stato affidato un meccanismo di controllo sull’effettività della discovery forzosa, delineato al comma 2” (così: la relazione illustrativa) che esamineremo da qui a breve.
Orbene, si “tratta di quella che si può definire discovery patologica obbligatoria, ossia conseguente all’inerzia dell’organo dell’accusa e finalizzata ad attivare lo sblocco della stasi su iniziativa delle parti” (M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in www.sistemapenale.it, p. 47) posto che attraverso “siffatta previsione il legislatore ha inteso rimediare all’eventuale stasi del procedimento, determinata dall’inerzia del pubblico ministero, che dopo lo scadere del termine di durata delle indagini, eventualmente prorogato, non assuma le determinazioni relative all’esercizio o meno dell’azione penale” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 71).
2. Il comma secondo
A sua volta il “comma 2 dell’art. 415 ter c.p.p. attribuisce al Procuratore generale un’ulteriore competenza: quando siano decorsi dieci giorni dalla scadenza dei termini di cui all’art. 407, comma 2 c.p.p. senza che abbia ricevuto la comunicazione dell’avvenuto deposito della documentazione relativa alle indagini espletate, se non dispone l’avocazione delle indagini, ordina con decreto motivato al Procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica di detto avviso entro un termine non superiore a venti giorni” (C.S.M., Sesta Commissione, op. cit., p. 27) fermo restando che, anche in questo caso, sempre ai sensi di questo comma, una copia del decreto è notificata alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini, “in modo da facilitare il più tempestivo esercizio delle facoltà loro spettanti anche nel caso in cui il P.M. rimanga ancora inerte o, comunque, non dia tempestivamente corso all’ordine impartitogli dal procuratore generale” (così: la relazione illustrativa).
“L’art. 415-ter, comma 2, prevede dunque che, decorsi dieci giorni dalla scadenza dei citati termini ex art. 407-bis c.p.p., il Procuratore generale, se non ritiene di disporre l’archiviazione, ordina al pubblico ministero di provvedere alla notifica dell’avviso di deposito entro venti giorni, con decreto motivato da notificare all’indagato e alla persona offesa (c.d. “discovery forzosa”)” (Procura generale della Corte di Cassazione, Primi orientamenti in tema di applicazione del d.lgs. n. 150/2022: iscrizione delle notizie di reato; conclusione delle indagini preliminari; avocazione e controlli da parte del giudice, 19/01/2023, p. 43).
Ad ogni modo, ove “il procuratore generale non intenda avocare a sé l’indagine, con decreto motivato ordinerà al pubblico ministero di notificare l’avviso di deposito della documentazione delle indagini preliminari entro un termine non superiore a venti giorni” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 73).
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3. Il comma terzo
Al terzo comma è ivi disposto che, se “dalla notifica dell’avviso di deposito indicato al comma 1 o del decreto indicato al comma 2 è decorso un termine pari a un mese senza che il pubblico ministero abbia assunto le determinazioni sull’azione penale, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere” (primo periodo), e il “termine è pari a tre mesi nei casi di cui all’articolo 407, comma 2”; cod. proc. pen. (secondo periodo), fermo restando che si “applicano il secondo, il terzo e il quarto periodo del comma 5-quater nonché il comma 5-quinquies dell’articolo 415-bis” cod. proc. pen. (terzo periodo) i quali prevedono rispettivamente quanto segue: I) “Sulla richiesta il giudice provvede, nei venti giorni successivi, con decreto motivato” (secondo periodo); II) “In caso di accoglimento, il giudice ordina al procuratore della Repubblica di assumere le determinazioni sull’azione penale entro un termine non superiore a venti giorni” (terzo periodo); III) “Copia del decreto è comunicata al pubblico ministero e al procuratore generale presso la corte di appello e notificato alla persona che ha formulato la richiesta” (quarto periodo); IV) “Il pubblico ministero trasmette al giudice e al procuratore generale copia dei provvedimenti assunti in conseguenza dell’ordine emesso ai sensi del comma 5-quater” (comma 5-quinquies).
Pur tuttavia, quando “in conseguenza dell’ordine emesso dal giudice, è notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i termini di cui all’articolo 407-bis, comma 2, sono ridotti di due terzi” (art. 415-ter, co. 3, terzo periodo, cod. proc. pen.).
Dunque, alla stregua di codesto precetto normativo, se “il pubblico ministero non assume le determinazioni sull’azione penaleentro un mese (o tre mesi nei casi di cui all’articolo 407, comma 2) dalla notifica dell’avviso di deposito o del decreto del procuratore generale, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere” (M. GIALUZ, op. cit., p. 48) e, nel qual caso, “la disciplina del rimedio di sblocco della stasi è stata collocata (…) nell’art. 415-bis, ai commi 5-quater e 5-quinquies, i quali nell’art. 415-ter formano quindi oggetto di richiamo (il comma 5-quater limitatamente al secondo, al terzo e al quarto periodo (…))” (così: la relazione illustrativa).
In particolare, la “prima di dette disposizioni, riferita in quella sede senz’altro alla scadenza del termine di riflessione (e, in particolare, com’è ovvio, dai commi 4 e 5 dell’art. 415-bis), stabilisce: che sull’istanza formulata dalla persona sottoposta alle indagini o alla p.o. il giudice provveda, nei venti giorni successivi, con decreto motivato; che, in caso di accoglimento, il giudice ordini al procuratore della Repubblica di assumere le determinazioni sull’azione penale entro un termine non superiore a venti giorni; che, infine, copia del decreto sia comunicata al pubblico ministero e al procuratore generale presso la corte d’appello e notificato alla persona che ha formulato la richiesta” (così: la relazione illustrativa) mentre la “successiva disposizione di cui al comma 5-quinquies prevede (…( che il pubblico ministero debba trasmettere al giudice e al procuratore generale copia dei provvedimenti assunti in conseguenza dell’ordine emesso dal primo ai sensi del comma 5-quater” (così: la relazione illustrativa).
Orbene, “tali disposizioni valgono, mutatis mutandis, nel caso in cui il pubblico ministero abbia lasciato decorrere infruttuosamente un mese (tre mesi, nei casi previsti dall’art. 407, co. 2) dalla notifica dell’avviso di deposito di cui all’articolo 415-bis, comma 1, o dal decreto emesso procuratore generale della Repubblica ai sensi del comma 2 della medesima norma. In tali evenienze, infatti, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa (anche qui pur se non abbia dichiarato di voler essere informata della conclusione delle indagini) è riconosciuto il diritto di richiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale e, come detto, si applicano il secondo, il terzo e il quarto periodo del comma 5-quater nonché il comma 5-quinquies dell’articolo 415-bis” (così: la relazione illustrativa) fermo restando che allorquando, “a seguito dell’ordine emesso dal giudice, il pubblico ministero abbia notificato l’avviso di conclusione indagini, si prevede che «i termini di cui all’articolo 407-bis, comma 2, [siano] ridotti di due terzi»: ciò, naturalmente, in quanto nelle circostanze considerate non è parso ragionevole riconoscere al pubblico ministero la possibilità di fruire dell’intero termine di riflessione” (così: la relazione illustrativa).
Ciò posto, va inoltre evidenziato, sempre in relazione a questo comma, come si sia posta “la questione se l’iniziativa della parte che intenda rivolgersi al giudice debba ritenersi preclusa quando il Procuratore generale non si attivi e manchi l’ordine di deposito degli atti” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit., p. 43).
Orbene, è stato a tal proposito fatto presente che, se il “sistema attraverso il quale l’indagato e la persona offesa possono rivolgersi al giudice per superare la stasi processuale sul mancato adempimento della c.d. “discovery forzosa” sembra presupporre l’informazione ottenuta attraverso la notifica del decreto motivato con il quale il Procuratore generale ordina il deposito degli atti” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit., p. 43).
Pur tuttavia, seppure “l’attivazione del Procuratore generale sia resa possibile dalle comunicazioni settimanali effettuate dalle segreterie del pubblico ministero ex art. 127 disp. att. c.p.p., il codice nulla prevede in caso di inerzia” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit., p. 43).
Ciò posto, in relazione a tale stato delle cose, è stato osservato che “la mancanza di sanzione processuale all’inerzia del Procuratore generale (che potrebbe essere determinata anche da problemi organizzativi relativi al numero delle comunicazioni settimanali delle segreterie del pubblico ministero) sembra rimediabile in via interpretativa in forza del favor jurisdictionis espresso dalla legge delega e dal Legislatore delegato, per cui sembra potersi ritenere che l’indagato e la persona offesa – comunque venute a conoscenza della scadenza dei termini senza che siano stati adottati gli atti previsti dall’art. 415-ter, comma 3, c.p.p. – possano ugualmente adire il giudice” (Procura generale della Corte di Cassazione, op. cit., p. 43).
4. Il comma quarto
Al comma quarto è infine disposto che, prima “della scadenza dei termini previsti dall’articolo 407-bis, comma 2, quando ricorrono le circostanze di cui al comma 5-bis dell’articolo 415-bis, il pubblico ministero può presentare richiesta motivata di differimento del deposito e della notifica dell’avviso di deposito di cui al comma 1 al procuratore generale” (primo periodo), fermo restando che sulla “richiesta il procuratore generale provvede ai sensi del comma 5-ter dell’articolo 415-bis” cod. proc. pen. (secondo periodo) che, come è noto, prevede quanto segue: “Entro venti giorni dal deposito della richiesta del pubblico ministero, se ne ricorrono i presupposti, il procuratore generale autorizza con decreto motivato il differimento per il tempo strettamente necessario e, comunque, per un periodo complessivamente non superiore a sei mesi o, se si procede per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, non superiore a un anno. In caso contrario, il procuratore generale ordina con decreto motivato al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell’avviso di cui al comma 1 entro un termine non superiore a venti giorni. Copia del decreto con cui il procuratore generale rigetta la richiesta di differimento del pubblico ministero è notificata alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di volere essere informata della conclusione delle indagini”.
Ad ogni modo, le “disposizioni del presente comma non si applicano quando il pubblico ministero ha già presentato la richiesta di differimento prevista dal comma 5-bis dell’articolo 415-bis” cod. proc. pen. (art. 415-ter, co. 4, terzo periodo, cod. proc. pen.) a norma del quale: “Il pubblico ministero, prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell’articolo 405, può presentare richiesta motivata di differimento della notifica dell’avviso di cui al comma 1 al procuratore generale presso la corte di appello: a) quando è stata richiesta l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita; b) quando la conoscenza degli atti d’indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l’incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato ovvero, nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività di indagine specificamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all’accertamento dei fatti, all’individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca”.
Dunque, in virtù di codesta norma di legge, è disposto “che il pubblico ministero possa presentare, prima della scadenza dei termini di riflessione, istanza motivata di differimento della notifica dell’avviso di deposito degli atti di indagine alla persona indagata e alla persona offesa” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 73) tenuto conto che: 1) sulla “richiesta di differimento provvede il procuratore generale presso la Corte d’appello il quale dovrà basare la propria decisione esclusivamente sulle circostanze evidenziate dal richiedente” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 73); 2) nel “caso di accoglimento di tale istanza da parte del procuratore generale, deve ritenersi che il giudice, adito dall’indagato o dalla persona offesa ex art. 415-ter, comma 3, non dovrebbe accogliere la richiesta” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 73); 3) “la richiesta di differimento della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari non è cumulabile con la richiesta relativa al differimento dell’avviso di deposito degli atti di indagine” (Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, op. cit., p. 73 e p. 74).
Quindi, tale precetto normativo, così formulato, “si preoccupa di coordinare il differimento della discovery patologica e quello della discovery ordinaria, ossia conseguente alla scelta del pubblico ministero di esercitare l’azione penale (l’esordio dell’art. 415-bis continua a prevedere l’invio dell’avviso di conclusione se il pubblico ministero «non deve formulare richiesta di archiviazione»), stabilendo che la prima non si attiva quando il pubblico ministero ha già presentato la richiesta di differimento dell’avviso di conclusione prevista dal comma 5-bis dell’art. 415-bis” (M. GIALUZ, op. cit., p. 48).
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