La riforma dei reati contro la violenza sessuale della legge n. 66 del 15 febbraio 1996
La legge numero 66 del 15 febbraio 1996 meglio nota come “legge contro la violenza sessuale” ha rappresentato un rilevante intervento riformistico sull’originario dettato normativo presente all’interno del Codice Rocco, il quale – nella materia oggetto della presente trattazione – ricalcava pedissequamente quanto disposto dal Codice Zanardelli del 1889[1]. La riforma in questione è stata innanzitutto espressione della rivoluzione culturale e sociale riguardante la sessualità della donna nella società moderna[2]. Non a caso l’intervento di riordino è stato sostenuto non solo da tutte le forze politiche del tempo ma anche da rilevanti e qualificati movimenti culturali[3].
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1. I meriti della riforma
La riforma de qua ha avuto svariati meriti sul piano del diritto sostanziale.
In primo luogo, essa ha fornito una nuova e più idonea collocazione alle fattispecie criminose contrarie alla libertà sessuale, inserendole tra i delitti contro la libertà individuale contenuti all’interno del Libro II, Titolo XII, Capo III del Codice Penale[4]. Infatti, attraverso la legge numero 66 del 1996, non solo sono stati inseriti ben otto nuovi articoli volti a disciplinare la materia de qua ma è stato anche abrogato il Capo I del Titolo IX del Libro II del Codice Penale nonché gli articoli 530, 539, 541, 542, 543 del Codice Penale[5]. Il legislatore, dunque, ha inteso rimarcare che i reati in tema di violenza sessuale non devono avere per oggetto una non meglio identificata moralità pubblica ovvero un ormai evanescente buon costume, ma il bene primario e inalienabile della libertà personale[6]. Invero, il Codice Rocco, nella sua originaria stesura, era molto chiaro nel disciplinare il corpo e la sessualità femminile. Infatti, nella sua visione patriarcale, esso scindeva completamente il corpo e la mente della donna, giacché il corpo della donna – come nella visione di ancien régime – era visto come res di proprietà dell’uomo; non a caso lo scopo ultimo della donna era quello di contrarre matrimonio come anche dimostrato dal fatto che la pena per il ratto a fine di libidine era aggravata nel caso in cui la donna fosse stata coniugata (ex articolo 523 del Codice Penale)[7]. Detta parcellizzazione del corpo femminile era ben visibile all’interno delle originarie previsioni penalistiche, ed, in particolare, nella distinzione tra atti di libidine e di violenza carnale[8].
Indi per cui è possibile affermare che la nuova collocazione prevista con la legge numero 66 del 1996, ha riconosciuto ai delitti di violenza sessuale un posizionamento più aderente con lo spirito dei tempi e ponendo al centro la persona e la sua libertà individuale, e non più la moralità pubblica e il buon costume[9].
In secondo luogo, la legge di riforma ha unificato le fattispecie di “violenza carnale”, dell’articolo 519 del Codice Penale, e di “atti di libidine violenta”, dell’articolo 521 del Codice Penale, nel nuovo delitto di “violenza sessuale” del neo-articolo 609 bis del Codice Penale, il quale presenta una formula ampia e omnicomprensiva[10]. Tale unificazione risulta essere di vitale importanza allo scopo di eliminare modalità di accertamento, spesso umilianti e insidiose nei confronti la persona offesa, volte ad individuare l’esatta fattispecie da applicare al caso concreto[11]. Tali indagini, infatti, sottoponevano le vittime ad una esperienza traumatica, motivo per il quale erano spesso responsabili dell’atteggiamento riluttante delle donne a denunciare le violenze subite[12]. Grazie alla legge di riforma – ma soprattutto grazie alla prassi giurisprudenziale evolutiva antecedente e ispiratrice della riforma stessa – oggi sotto il termine “atti sessuali” sono ricomprese tutte le pratiche di congiungimento carnale nonché tutte le altre forme di comportamenti libidinosi[13].
In terzo luogo, grazie alla riforma de qua è stato introdotto il reato di violenza sessuale di gruppo all’articolo 609 octies del Codice Penale.
In quarto luogo, la legge di riforma attraverso l’introduzione dell’articolo 609 quater del Codice Penale ha previsto l’incriminazione degli atti sessuali – violenti e abusivi – nei confronti dei minori[14]. La riforma in questione si è resa necessaria a causa dell’obsolescenza della disciplina originaria prevista all’interno del Codice Rocco ed in particolare all’interno dei suoi articoli 519, comma secondo, numero uno e 520, i quali prevedevano de facto la criminalizzazione delle manifestazioni sessuali tra minori[15].
In quinto luogo, la riformulazione della fattispecie della corruzione di minori nel neo-articolo 609 quinquies del Codice Penale che sostituisce l’ormai anacronistica disposizione dell’articolo 530 del Codice Penale[16].
In sesto luogo, la previsione, all’interno dell’articolo 609 ter del Codice Penale, di una serie di aggravanti – poi ulteriormente ampliate – nel caso in cui gli atti sessuali siano commessi: su minore di anni quattordici; mediante uso di armi, narcotici, stupefacenti o altre sostanze; mediante simulazione delle qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizi o da parte di persona travisata; su di una persona sottoposta alla limitazione della libertà personale; nei confronti di chi non abbia compiuto diciotto anni nel caso in cui il colpevole sia l’ascendente, il genitore o il tutore; all’interno o in prossimità di un istituto di istituzione o formazione frequentato dalla persona offesa; su donna in stato di gravidanza; nei confronti del coniuge e così via[17].
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2. Le critiche del mondo dottrinale
Tuttavia, nonostante i menzionati meriti della legge numero 66 del 1996 buona parte della dottrina ha criticato le disposizioni normative ivi contenute[18]. Infatti, deve essere considerato che nel ventennio precedente alla riforma – con grandi meriti dell’opera di interpretazione evolutiva posta in essere dalla giurispudenza e dalla dottrina – la lettura dei reati in questione era stata correttamente adeguata mutatis mutandis ai valori sociali ed ideologici della società contemporanea[19]. Invero, già da decenni la dottrina penalistica aveva disvelato le problematicità della collocazione dei reati sessuali all’interno del Titolo IX del Codice Penale, dedicato ai delitti contrari alla moralità pubblica al buon costume e – sempre a tal proposito – la giurisprudenza “aveva superato la difficoltà di concepire la libertà individuale come specie del genere moralità pubblica, individuando come unico bene giuridico tutelato quello di natura individuale della dignità umana e della libertà di autodeterminazione della donna nella sfera sessuale”[20]. Ciò detto, appare dunque lecito pensare che la portata innovativa della legge numero 66 del 1996, segnatamente l’aspetto dell’individuazione del bene giuridico tutelato, presenta un valore prettamente dichiarativo e non sostanziale, dato che esso già da tempo veniva individuato nella libertà autodeterminazione nella sfera sessuale[21]. Pertanto, l’obiettivo principale della nuova legge – che parte della dottrina ha definito “tipica legge manifesto”[22] – è destinato a subire un ridimensionamento; anzi, paradossalmente autorevole dottrina ha sostenuto che la nuova intitolazione costituirebbe un regresso rispetto alla precedente situazione normativa così come codificata nel diritto vivente[23].
Altra parte della dottrina – pur riconoscendo pregi e difetti della legge oggetto di analisi – si è acutamente interrogata sulla idoneità di porre in essere “solo” un nuovo corpus normativo allo scopo di contenere il dilagante fenomeno della violenza sessuale. Detta dottrina ha evidenziato che: “in tale settore, più che in altri, le pulsioni naturali vengono sempre più esaltate in una sorta di immaginario collettivo che privilegia la forza, la bellezza, la potenza fisica, il fascino, la seduzione. Tutte cose di per sé positive, ma che necessitano di essere collocate in un orizzonte culturale ben più solido di quello che nel momento storico che viviamo si può registrare, dopo la scomparsa delle ideologie, che ha trascinato con sé gran parte degli ideali che ad esse sottendevano.
Ben venuta sia la legge, ma non sarebbe inopportuno che anche la scuola, a cominciare da quella materna, educhi ad una sessualità ragionevole ed armoniosamente collocata in una formazione ed in una educazione fatta anche di valori solidi e duraturi nel tempo. Insomma, i mores devono sorreggere la lex e se il binomio non si ricompatta è inutile farsi illusioni sulla auctoritas della seconda, perché il proliferare dei procedimenti penali relativi alle fattispecie di cui agli art. 609 bise seguenti c.p. potrebbe essere il segno di altrettante delusioni e di un continuo rammarico, in questo, come in altri settori della vita sociale d’oggi”[24].
Gli interrogativi presentati e l’assenza dei presidi che tale dottrina riteneva necessari allo scopo di generare una riduzione del fenomeno della violenza sessuale risultano essere tematiche ad oggi non risolte e oggetto di quotidiano dibattito. Resta certo che l’adeguata repressione penale non accompagnata da interventi educativi volti a prevenire le condotte delittuose de qua tende a produrre solo effetti repressivi e non un auspicabile cambiamento culturale.
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- [1]
Si veda, L. Goisis, La violenza sessuale: profili storici e criminologici. Una storia di “genere”, in Diritto penale contemporaneo, 31 ottobre 2012, p. 12.
- [2]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, Bologna, Zanichelli editore, 2019, p 236.
- [3]
Cfr., A. Giarda, La repressione penale della violenza sessuale tra legge e costume, in Corriere giuridico. Leggi d’Italia Legale,1996, p. 1.
- [4]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 237
- [5]
Cfr., A. Giarda, La repressione penale della violenza sessuale tra legge e costume, in Corriere giuridico. Leggi d’Italia Legale, cit., p. 1
- [6]
Cfr., A. Giarda, La repressione penale della violenza sessuale tra legge e costume, in Corriere giuridico. Leggi d’Italia Legale, cit., p. 1.
- [7]
Cfr., L. Goisis, La violenza sessuale: profili storici e criminologici. Una storia di “genere”, in Diritto penale contemporaneo, cit., p. 12
- [8]
Cfr., L. Goisis, La violenza sessuale: profili storici e criminologici. Una storia di “genere”, in Diritto penale contemporaneo, cit., p. 12.
- [9]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 237.
- [10]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 237
- [11]
Cfr., N. Mazzacuva, Delitti contro la persona: le altre ipotesi di tutela, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Milano, Monduzzi editoriale, 2016, p. 662.
- [12]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 238.
- [13]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 237.
- [14]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 238.
- [15]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 238.
- [16]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 239.
- [17]
Cfr., N. Mazzacuva, Delitti contro la persona: le altre ipotesi di tutela, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, cit., p. 670.
- [18]
Cfr., S. Di Pinto, “Amore per la forza” e diritto penale: dalla violenza carnale alla violenza sessuale, in Osservatorio Penale, 31 marzo 2014, p. 15.
- [19]
Cfr., S. Di Pinto, “Amore per la forza” e diritto penale: dalla violenza carnale alla violenza sessuale, in Osservatorio Penale, cit., p. 15.
- [20]
Così, AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 240.
- [21]
Cfr., S. Di Pinto, “Amore per la forza” e diritto penale: dalla violenza carnale alla violenza sessuale, in Osservatorio Penale, cit., p. 15.
- [22]
Si veda, S. Di Pinto, “Amore per la forza” e diritto penale: dalla violenza carnale alla violenza sessuale, in Osservatorio Penale, cit., p. 15; si veda, AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 241.
- [23]
Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte speciale. Volume II, tomo primo. I delitti contro la persona, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 241.
- [24]
Così., A. Giarda, La repressione penale della violenza sessuale tra legge e costume, in Corriere giuridico. Leggi d’Italia Legale, cit., p. 3.
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