RIFORMA DEI REATI TRIBUTARI: PIU’ PREGI CHE DIFETTI

Redazione 28/08/00
dell’Avv. Bruno Sechi

Con il Dlgs 74/00, il Governo ha onorato un altro impegno legislativo, dettato dalla legge delega 205/99 sulla riforma dei reati tributari.

Quest’ultima è stata concepita principalmente nel senso di concentrare il potere sanzionatorio penale sulle fattispecie “effettivamente” lesive dell’interesse fiscale o erariale ( interesse alla riscossione delle imposte ), e di attribuire alla esclusiva competenza dell’autorità amministrativa, con la tecnica della depenalizzazione, le ipotesi di violazioni formali, “prodromiche” cioè preparatorie alla dichiarazione e, quindi, alla evasione fiscale (per es. omessa fatturazione, omessa registrazione dei corrispettivi,irregolare tenuta delle scritture contabili, omesso versamento di ritenute etc…. che non concretizzano evasione fiscale, ma mere irregolarità formali, lesive dell’ “interesse alla trasparenza tributaria”).

Trattasi, in altri termini, di reati di mero pericolo “ astratto” rispetto all’interesse fiscale.

Molte di queste figure di reato fino al dlgs 74/00 hanno trovato collocazione nel titolo I del D.L. 429/82 convertito in legge dalla l. 516/82.

L’anticipazione eccessiva della tutela penale aveva una sua ragione che consisteva nell’offrire al giudice penale gli strumenti per intervenire prontamente nel campo dell’illecito penal-tributario, senza dover “dipendere” dagli accertamenti degli Uffici finanziari.

Cioè si trattava di sgomberare dal campo di applicazione la c.d. “pregiudiziale tributaria”, che, ab contrario, comportava la paralisi dell’azione giudiziaria, fino alle risultanze degli accertamenti amministrativi.

Il meccanismo della pregiudiziale, introdotto dall’art. 56 del Dpr 600/73, se da un lato era stato ispirato da una esigenza di maggiore precisione nella determinazione dei redditi e dell’imposta ( rectius della relativa ricostruzione ), delegando la funzione ispettiva esclusivamente all’ Amministrazione finanziaria, dall’altro lato rinviava eccessivamente nel tempo la celebrazione dei processi penali, causando un dispendio inutile di risorse e una perdita della efficacia ed effettività della sanzione penale.

La l. 516/82 non ha risolto l’inconveniente della eccessiva lungaggine dei procedimenti penali, poiché il già esiguo esercito dei giudici si è trovato sommerso da una impressionante mole di lavoro costituito, soprattutto da reati bagattellari, che solo in rari casi, venivano regolarmente sanzionati, a discapito di quella “attenzione dovuta” verso le forme gravi di criminalità tributaria.

Il dlgs 74/00 ha scongiurato il ritorno al passato della pregiudiziale tributaria, confermando il principio dell’autonomia ( o del doppio binario ) tra il procedimento penale e processo tributario ( art. 20 ).

Ad una esigenza di politica di diritto criminale, incentrata sulla pena come extrema ratio, si affianca un’altra esigenza , strettamente collegata alla prima, di rendere la macchina giudiziaria piu’ celere.

Il Dlgs in esame disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Il provvedimento contiene 7 fattispecie delittuose: 4 in materia di dichiarazione ( art. 2: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3: dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, art. 4: dichiarazione infedele; art.5: omessa dichiarazione ); 3 fattispecie in materia di documenti e pagamento di imposte ( art. 8: emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10: occultamento o distruzione di documenti contabili; art. 11: sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte).

TITOLO II

Ora passiamo alla analisi del Dlgs 74/00 prendendo come base di partenza le “nuove” fattispecie di reato.

Il titolo I prevede delitti in materia di dichiarazione la quale costituisce il momento decisivo e concreto della realizzazione dell’evasione fiscale. Per tale motivo, si assiste, in tale ambito ad un particolare inasprimento della leva sanzionatoria.

Tutte le figure delittuose racchiuse nel titolo I sono, inoltre, accomunate, dalla necessaria sussistenza del dolo specifico di evasione fiscale ( “ al fine di evadere le imposte…….” ), e dal superamento di soglie di punibilità, riferite a determinati importi dell’imposte evasa, ad esclusione del reato di cui all’art. 2.

Le fattispecie in questione si perfezionano con l’elemento psicologico del dolo specifico. Il legislatore ha ritenuto opportuno sanzionare pesantemente quei comportamenti mirati materialmente e psicologicamente alla realizzazione dell’evasione.

Ciò denota, a differenza del dolo generico, una maggiore appartenenza psicologica del fatto reato.

Quindi, ad una maggiore e piu’ dettagliata rappresentazione e volizione del fatto, corrisponde un’altrettanto maggiore risposta repressiva del legislatore.

Seguendo l’esposizione del dlgs in oggetto, troviamo il delitto costituito dalla dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

La frode è costituita dalla utilizzazione, in sede di dichiarazione, delle fatture o altri documenti falsi.

In concreto, la dichiarazione annuale mendace, consistente nella indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere supportata dalle corrispondenti documentazioni contabili, che, per presunzione legale, ingenerano nell’Amministrazione finanziaria l’errore nella funzione di accertamento del reddito.

Ai fini della punibilità, le fatture false devono essere registrate nelle scritture contabili obbligatorie o conservate dall’autore ai fini probatori nei confronti dell’Amministrazione.

La pena prevista è la reclusione da un minimo edittale di 1 anno e 6 mesi ad un massimo di 6 anni, con la possibilità dell’attenuazione fino a 2 anni, qualora l’importo fittizio dichiarato sia inferioe a £. 300 milioni.

Dalla norma in questione si possono evidenziare dei termini che sono ben enucleati all’art. 1: il fine di evadere le imposte ricomprende anche la volontà precisa del soggetto ad ottenere un rimborso non dovuto o il riconoscimento di un fittizio credito di imposta, anche in favore di terzi.

La definizione offerta dall’art. 1 in merito al dolo specifico, indica anche l’ipotesi, sanzionabile, della condotta dolosa per assicurare ad altri la realizzazione dell’evasione d’imposta.

Nella realtà, infatti, è molto diffusa la figura del prestanome o delle società ( c.d. cartiere ), che svolgono il preciso compito di “ coprire “ l’evasione fiscale altrui.

Gli elementi passivi, oggetto della dichiarazione fraudolenta ex art. 2 sono le “componenti” espresse in cifra che determinano il reddito o le basi imponibili, considerate ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi.

All’art. 3 viene inquadrata la disciplina della dichiarazione fraudolenta medianta altri artifici.

Questa ipotesi delittuosa si discosta dalla precedente per i seguenti elementi aggiuntivi:

· la falsa rappresentazione contabile o mendacità contabile può consistere nella indicazione di elementi passivi fittizi o/e elementi attivi inferiori a quelli reali;

· l’autore della violazione deve tenere una condotta fraudolenta tale da ostacolare l’amministrazione nella funzione di accertamento della predetta mendacità; in altri termini, gli artifizi contabili devono essere idonei ad indurre in errore l’Amministrazione in tale funzione. Mentre, nell’ipotesi di cui all’art. 2 la mendacità deve essere supportata dalle fatture false, nel caso in esame , invece, da comportamenti seguiti secondo modalità sistematiche. Infatti, sulla base delle indicazioni della relazione governativa al Dlgs di riforma e della circolare n° 114000 datata 14/04/00 del Comando generale della Guardia di Finanza, le violazioni meramente formali, quali l’omessa fatturazione, le omesse registrazioni nei libri contabili, la irregolare tenuta dei libri contabili, pur non concretando fatti-reato, costituiscono mezzi fraudolenti ai sensi dell’art. 3, qualora vengano commesse in modo sistematico, nell’ambito di un piu’ ampio disegno diretto alla evasione di imposte. Questo fenomeno può riscontrarsi, in particolare, nelle ipotesi di tenuta parallela di “contabilità nera”;

· un altro elemento, distintivo della presente ipotesi, sono le 2 soglie di punibilità che devono sussistere congiuntamente: l’imposta evasa, a tal fine, deve essere superiore all’importo di £ 150 milioni in relazione alla singola imposta e gli elementi attivi non dichiarati, anche mediante la indicazione degli elementi passivi fittizi, devono superare il 5% di quelli dichiarati, o, comunque, superare £. 3 miliardi. A questo punto è opportuno tener presente la definizione di imposta evasa offerta dall’art. 1 del presente dlgs, in virtu’ del quale si intende per imposta evasa la “differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”. Il meccanismo della doppia soglia di punibilità , trova la sua ratio nella esigenza di assoggettare alla sanzione prevista i piu’ rilevanti fenomeni di evasione, con la conseguenza pratica di escludere dal proprio campo di applicazione i redditi medio-bassi.

Da una prima lettura della norma, balza immediatamente all’attenzione la previsione delle soglie di punibilità, il cui superamento fà azionare la leva sanzionatoria.

Si discute circa la natura delle predette soglie, considerate da alcune fonti autorevoli ( v. relazione governativa al Dlgs di riforma ) quali elementi costitutivi del reato; da altri, invece, sono concepite come condizioni di punibilità e, pertanto, elementi esterni alla fattispecie.

Il dibattito assume, a mio avviso, un importante connotato pratico in ordine alla problematica dell’elemento psicologico, costituito dal dolo specifico.

Quest’ultimo, secondo l’opinione consolidata, deve comprendere gli elementi essenziali del fatto reato.

Se si reputano le soglie di punibilità quali elementi costitutivi, si dovrà pure ammettere che il soggetto, nel tenere la condotta fraudolenta, debba agire con lo scopo di evadere le imposte per importi superiori alle soglie di riferimento.

In altri termini, il superamento delle soglie di punibilità devono risultare oggetto del dolo specifico.

L’art. 4 disciplina la dichiarazione infedele che contenga delle indicazioni false per ciò che concerne gli elementi attivi ( che devono essere inferiori a quelli effettivi ) o gli elementi passivi fittizi.

Rispetto alle due figure di reato esposte in precedenza, l’ipotesi di cui all’art. 4 non costituisce una manifestazione fraudolenta della volontà del reo. Infatti, la norma non indica, tra gli elementi del delitto, la fraudolenza o mezzi fraudolenti nella condotta.

Non si tratta di una dimenticanza del legislatore, ma di una precisa scelta di politica di diritto criminale, tesa a disciplinare, con minor rigore repressivo, le ipotesi residuali di dichiarazioni mendaci. Esse, cioè, non sono connotate da quella particolare “insidiosità”, altamente lesiva della funzione di accertamento dell’Amministrazione e dell’interesse erariale.

Questo aspetto è confermato dalla clausola di riserva ( “Fuori dai casi previsti dagli artt. 2 e 3 “ ) che introduce l’art. 4, dalla previsione di una pena inferiore (reclusione da 1 a 3 anni), e dall’innalzamento delle due soglie di punibilità ( £. 200 milioni e 10%, o comunque sopra i 4 miliardi ).

L’art. 5 prevede l’ipotesi classica di evasione fiscale, realizzata mediante l’omessa dichiarazione dei redditi, ma non per questo da considerare come l’ipotesi piu’ grave e lesiva dell’interesse erariale.

Infatti, la condotta omissiva, nel reato di cui all’art. 5, parimenti alla ipotesi di dichiarazione infedele, non è caratterizzata da intenti e mezzi fraudolenti, idonei ad indurre in errore l’Amministrazione nella funzione di accertamento reddituale.

Se la pena prevista per i reati di cui agli artt. 4 e 5 è la medesima ( minimo 1, massimo 3 anni di reclusione ), l’ipotesi della omessa dichiarazione è subordinata ad una sola condizione di punibilità, rappresentata dal superamento della soglia parti a £. 150 milioni per ogni singola imposta.

Il meccanismo sanzionatorio è attenuato dalla previsione al co. 2 di alcune cause di non punibilità, mutuandole dall’art. 1 co. 1 del D.L. 429/82, convertito nella l. 516/82: presentazione della dichiarazione entro 90 gg. dalla scadenza del termine, dichiarazione non sottoscritta o non redatta in uno stampato conforme al modello.

In conformità al principio ispiratore della riforma dei reati tributari, teso alla depenalizzazione dei reati prodromici, di carattere meramente formale, l’art. 6 del dlgs 74/00 esclude la punibilità delle ipotesi di tentativo di dichiarazioni fraudolente ( artt. 2 e 3 ), di dichiarazione infedele ( art. 4 ). Il legislatore ha ritenuto inutile riferire la esclusione del tentativo alla ipotesi di cui all’art. 5, poiché si ricava dal sistema la non rilevanza penale alla omissione della omissione.

L’art. 7 “ affronta” una problematica molto spinosa sotto il profilo tecnico. Infatti, ai sensi dell’articolo suindicato, non concretizzano i reati di dichiarazione fraudolenta ex art. 3 e di dichiarazione infedele ex art. 4, le rilevazioni contabili, effettuate in difformità ai criteri di determinazione dell’esercizio di competenza , ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile; inoltre, non presentano rilevanza penale quelle rilevazioni e valutazioni estimative effettuate secondo criteri indicati nel bilancio.

Occorre precisare che le rilevazioni contabili e le valutazioni estimative possono costituire un’arma molto sottile utilizzata allo scopo di impedire all’Amministrazione finanziaria l’attività di ricostruzione della posizione reddituale, e, quindi, di ledere l’interesse fiscale.

Infatti, in linea generale, e in virtu’ di una lettura ab contrario dell’art. 7, possiamo affermare che il legislatore considera le rilevazioni contabili e le valutazioni estimative illegittime, sorrette dal dolo di evasione, secondo una presunzione legale iuris tantum..

Infatti, la norma de qua prevede l’esclusione della rilevanza penale delle predette rilevazioni, qualora siano state effettuate o “ sulla base di metodi costanti di impostazione contabile” o secondo criteri che siano “ stati comunque indicati nel bilancio”.

Il legislatore, cioè, ha escluso la compresenza della “insidiosità” della condotta, qualora il medesimo autore “ manifesti”, con le modalità suddescritte, il percorso della sua condotta irregolare. In tal modo, l’Amministrazione dovrebbe essere in grado di esercitare correttamente la propria funzione di accertamento fiscale, proprio sulla base dei criteri realmente seguiti dall’autore.

La condotta così tenuta sarebbe, pertanto, incompatibile con una volontà fraudolenta.

La relazione governativa al Dlgs riconosce nella previsione in esame delle ipotesi di esclusione del dolo specifico di evasione, in virtu’ di una presunzione legale iuris et de iure, che, è tipico di un sistema garantista come il nostro. La prima ipotesi di esclusione della punibilità summenzionata è soggetta ad una piu’ ampia valutazione discrezionale del giudice: il metro di valutazione del giudice è rappresentato dai metodi costanti di impostazione contabile.

Ma con questa definizione che cosa intende realmente il legislatore? Sarà opportuno attendere auspicabili indicazioni in merito da parte degli organismi preposti.

Il co. 2 dell’art. 7 prevede una ipotesi di esclusione della punibilità il cui accertamento in sede penale, dovrà necessariamente affidarsi alle perizie contabili dell’Ufficio: infatti, ai sensi del comma in esame, non costituiscono fatti punibili le singole valutazioni estimative che risultano essere inferiori al 10% di quelle corrette.

Nelle operazioni di verifica del superamento delle soglie di punibilità, non si computano gli importi “ compresi in tale percentuale”.

Si tatterebbe, a mio avviso, di una sorta di “ bonus penale”; in altri termini, come precisa il Comando Generale della Guardia di Finanza, nella circolare suindicata,, la verifica del superamento delle soglie di punibilità risulta dalle differenze al netto del 10% di cui sopra.

Il Titolo II contiene, inoltre, 3 figure di reato in materia di documenti e pagamento di imposte.

L’art. 8 disciplina l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Ad una prima lettura, la norma parrebbe reintrodurre un tipico reato prodromico a carattere meramente formale, rispetto alla dichiarazione. Ma la falsa rappresentazione contabile in essi contenuta, unitamente al dolo specifico di evasione, è vista con particolare attenzione dal legislatore, con la previsione della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.

E’ naturale, quindi, che, secondo la regola della esperienza, la documentazione contabile mendace, supportata dal dolo specifico di evasione, verrà utilizzata in sede di dichiarazione del reddito da parte del soggetto “ beneficiario” dell’emissione. Non può parlarsi di un reato prodromico o di un reato di mero pericolo astratto, ma di un fatto che, a mio avviso, crea le condizioni concrete affinché l’evasione possa realizzarsi.

Il perfezionarsi della condotta di emissione fraudolenta di fatture crea una situazione obiettiva di difficoltà all’accertamento fiscale da parte dell’Amministrazione, con grave lesione del relativo interesse.

Il co. 2 enuclea un principio di grande rilevanza pratica: “l’emissione o il rilascio di piu’ fatture per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato”. Di conseguenza, non si applicherà la disciplina piu’ severa ex art. 81 cp sul concorso formale e sul reato continuato.

L’esigenza che si vuole soddisfare con la previsione in esame consiste nell’evitare tanti procedimenti penali quanti sono le fatture emesse, ed evitare un elevato dispendio di energie, i rischi concreti di una paralisi giudiziaria e la perdita di effettività della pena.

Il legislatore ha concentrato la sua attenzione sulla condotta complessiva di emissione di cui all’art. 8, realizzata nel medesimo periodo di imposta, attribuendo ad essa una omogenea rilevanza penale. Ciò che è lesivo non è la singola emissione di una fattura di non rilevante entità, ma il comportamento dell’attore, unitariamente considerato.

Il co. 3 prevede una circostanza attenuante ( pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni ), che si realizza qualora l’importo “ fittizio “, indicato nei documenti emessi, sia inferiore a £. 300 milioni.

L’art. 9, rappresenta, a mio avviso, una sorta di norma di chiusura rispetto alle previsioni di cui agli artt. 2 e 8.

Poiché la dichiarazione fraudolenta ex art. 2 e l’emissione di fatture ex art. 8 sono due reati ben distinti e autonomi normativamente, il legislatore ha precisato che non è ammissibile l’ipotesi di concorso nel reato dell’emittente e dell’utilizzatore ai sensi dell’art. 110 c.p., relativamente ai predetti delitti. Il legislatore deroga all’art. 110 c.p. nel rispetto di un principio cardine di civiltà giuridica, costituito dal divieto del ne bis in indem che impone di non punire due volte la stessa persona per lo stesso fatto.

Il legislatore fa in modo che l’utilizzatore di fatture emesse da altri per operazioni inesistenti non risponda anche a titolo di concorso ex art. 110 cp con l’emittente del reato di cui all’art. 8.

Analoga esclusione è da applicare all’emittente relativamente all’ipotesi di cui all’art. 2.

Un’altra ipotesi di reato ( art. 10 ) in materia di documenti è costituito dall’occultamento o distruzione di documenti contabili”, sorretto dallo scopo preciso ( dolo specifico ) di evadere le imposte o di consentire ad altri l’evasione.

La condotta fraudolenta deve essere tale da impedire all’Amministrazione fiscale l’accertamento e la determinazione della situazione reddituale del soggetto.

Il legislatore esplicita il carattere insidioso e fraudolento che deve connotare la condotta in questione ( “ occulta e distrugge…… in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari ); la norma prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni, sempre che, in virtu’ della clausola di riserva, il fatto non concretizzi un reato piu’ grave (per es. : bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 1° co. n° 2 R.D. n° 267/42 ).

Per ultimo il Dlgs in esame, all’art. 11, detta la disciplina dell’ipotesi di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, che si realizza con l’alienazione simulata o mediante il compimento “ di altri atti fraudolenti su beni idonei a rendere inefficace, anche parzialmente la procedura di riscossione coattiva “.

Anche questa fattispecie di reato è contraddistinta dal dolo specifico di evitare il pagamento di imposte. A mio avviso, possiamo definirlo una forma di inadempimento tributario fraudolento.

TITOLO III

Il Titolo III del presente Dlgs è intitolato “ Disposizioni comuni”; l’art. 12 contiene l’elencazione delle pene accessorie che scattano nel caso di condanna per uno dei delitti previsti dal dlgs in oggetto. Ciò che occorre rimarcare è la previsione secondo la quale la condanna per uno dei delitti di cui agli artt. 2,3,8 importa anche l’interdizione dai pubblici uffici da 1 a 3 anni.

Gli artt. 13 e 14 prevedono 2 distinte circostanze attenuanti che si aggiungono a quelle previste dall’art. 2 co. 3 e dall’art. 8 co.3.

All’art. 13 è prevista la circostanza attenuante del pagamento del debito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado; il pagamento può essere effettuato anche nell’ambito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento.

Affinché la circostanza sortisca il suo effetto diminuente ( riduzione della pena principale fino alla metà e non applicazione delle pene accessorie ), l’autore deve anche provvedere al pagamento delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, anche se queste non fossero applicabili in virtu’ del principio di specialità ex art. 19.

Per evitare “ scappatoie pecuniarie “, il legislatore ha previsto la non applicabilità della diminuente ai fini della applicazione della pena sostitutiva pecuniaria.

L’altra circostanza attenuante, che produce i medesimi effetti benefici della precedente, è costituita dal pagamento di una somma di danaro, a titolo di equa riparazione, nel caso di estinzione del debito tributario, in forza della prescrizione o della decadenza.

Infatti, stante il principio di autonomia dei procedimenti tributari e penali, fissato dall’art. 20 e che permea tutto l’impianto della riforma, l’estinzione del debito tributario non annulla il procedimento penale, perché il reato rimane ancora in vita. In altri termini, la prescrizione del debito tributario non coincide automaticamente con la prescrizione del reato.

Nell’ipotesi in esame si attribuisce all’imputato un potere di iniziativa il cui esercizio consiste nel formulare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, la richiesta del pagamento di una somma, da esso indicata a titolo risarcitorio.

Il giudice, sulla base di una valutazione discrezionale e sentito il PM , decide sull’accoglimento della richiesta.

In caso di esito positivo, il giudice, con ordinanza, fissa un termine non superiore a 10 gg, che l’imputato deve rispettare se intende beneficiare della circostanza attenuante.

Anche nell’ipotesi in esame si applica il divieto di cui all’art. 13 co. 3.

L’art. 15 del presente Dlgs intitolato “ Violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie “ prevede , a mio avviso, una ipotesi di errore di diritto scusabile ai sensi dell’art. 5 c.p.

Infatti, la norma in questione esclude subitamente che si tratti di una ipotesi di errore sul fatto che costituisce reato, causato da errore su legge extrapenale ex art. 43 co. 3; la formula giustificativa dell’errore di diritto è ampia: non è punibile, a titolo di uno dei delitti previsti dal presente decreto, la violazione di norme tributarie che dipendono da “ obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione”; l’obiettiva incertezza della norma e della sua applicazione esclude a priori la colpevolezza.

Il problema è stabilire quando la predetta incertezza è caratterizzata dall’elemento di obiettività richiesta dalla legge.

Alcuni autori, giustamente, trovano nella sentenza della Corte Costituzionale n° 364/88 il fondamentale strumento di interpretazione dell’art. 5 cp.

Infatti, secondo la sentenza suindicata, è scusabile l’errore o l’ignorantia legis, quando il cittadino abbia assolto al massimo il dovere di informazione giuridica e a causa di “ un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e conseguentemente della liceità del comportamento tenuto”.

L’art. 15 del Dlgs di riforma apre il ventaglio delle possibilità di errore scusabile ex art. 5 cp. nel campo penal-tributario, con l’aggiunta delle obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro contenuto di applicazione.

L’art. 16 è strettamente collegato con l’art. precedente, anche se , rientrando tale ipotesi nella categoria dell’errore di diritto scusabile, non corrisponde all’art. 15; l’art. 16 stabilisce che non è punibile la condotta che si è uniformata al parere o ai pareri del Ministero delle Finanze ( nell’esercizio del diritto di interpello ) o del Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive, anche in virtu’ del meccanismo del silenzio-assenso.

Questa ipotesi di errore scusabile è ben enucleato dalla sentenza suindicata n° 364/88 nel punto in cui parla del “ comportamento positivo degli organi amministrativi”.

L’art. 17 amplia le cause di interruzione della prescrizione dei delitti previsti dal Dlgs 74/00, con la previsione del verbale di constatazione e l’atto di accertamento delle relative violazioni.

L’art. 18, in sintonia con il c.p.p., stabilisce, quale criterio per la determinazione della competenza giurisdizionale per territorio, il luogo di consumazione del reato che , per presunzione legale, coincide con il domicilio fiscale del contribuente. Il criterio sussidiario è costituito dal luogo di accertamento del reato.

TITOLO IV

Il Titolo IV disciplina i “ rapporti tra il sistema tributario e quello penale in forza di 2 principi fondamentali: il principio di specialità ex art. 19 e il principio di autonomia ex art. 20, nel rispetto del divieto del ne bis in idem sostanziale.

L’art. 19 stabilisce che nell’ipotesi in cui un medesimo fatto è disciplinato dalle disposizioni del presente dlgs e da una disposizione tributaria non penale, si applica la disposizione speciale.

Il principio di specialità è stato introdotto dall’art. 15 cp per disciplinare i rapporti tra leggi penali che regolano al stessa materia.

L’art. 19 del Dlgs di riforma estende tale principio ai rapporti tra disposizioni penali contenute nel Titolo II del medesimo decreto e le disposizioni che prevedono sanzioni amministrative.

Ma, a ben vedere, si tratta di una ripetizione della piu’ ampia disposizione contenuta nell’art. 9 l. 689/81.

L’art. 19 dà un segnale forte in favore della politica di armonizzazione del diritto tributario penale al sistema penale generale.

Alla base del principio di specialità v’è la necessità di evitare che una persona venga punita due volte per il medesimo fatto.

Il principio esprime il divieto del ne bis in idem sostanziale che attiene alla concreta applicazione della sanzione prevista. Una forzatura del principio in questione creerebbe situazioni di impunibilità: il co 2 dell’art. 19 prevede l’applicabilità, in ogni caso, della sanzione amministrativa nei confronti dei soggetti di cui all’art. 11 del Dlgs 492/97, qualora gli autori materiali del fatto non siano passibili della sanzione predetta.

I soggetti di cui all’art. 11 sel dlgs suindicato, sono le persone fisiche, le società nell’interesse delle quali ha agito l’autore della violazione.

Ricordiamo che, nell’ambito delle sanzioni amministrative, il legislatore ha previsto la responsabilità solidale tra i soggetti suelencati e l’autore materiale del fatto.

Il co. 2 dell’art. 19 rappresenta una deroga al principio di specialità di cui al co.1, tesa a soddisfare una esigenza superiore,legata alla effettività della sanzione e alla stessa credibilità del sistema. La deroga assicura, infatti, la irrogazione e applicazione effettiva della sanzione amministrativa.

La disposizione in esame trova applicazione sia nel caso in cui all’autore della violazione non possa essere irrogata alcuna sanzione ( per es. nel caso di morte del medesimo ) sia nell’ipotesi di applicazione della disposizione penale speciale rispetto alla disposizione contenente la sanzione amministrativa.

In quest’ultimo caso, l’autore materiale del fatto,in sede penale potrebbe evitare la concreta applicazione della severa sanzione , attraverso gli istituti previsti dall’ordinamento (es. sospensione condizionale della pena ). La relazione governativa precisa che il co. 2 va incontro al timore che l’autore materiale sia stimolato a superare quelle soglie di punibilità , cioè a commettere reati e non mere violazioni amministrative, stante la maggiore efficacia in molti casi della sanzione amministrativa; il co. 2 compensa l’ipotesi di una eventuale impunibilità di fatto in sede penale dell’autore materiale, con la previsione dell’applicazione, in ogni caso, della sanzione amministrativa nei confronti delle persone o persone giuridiche summenzionate.

La disposizione dovrebbe costituire un deterrente, in particolare, per le persone o società che usano dei prestanomi.

Essa, inoltre, si applica qualora non si ravvisino gli estremi del concorso tra l’imprenditore o la società datrice e il preposto. La deroga di cui al co. 2 non costituisce una violazione del principio del ne bis in idem.

Nel testo del Dlgs 74/00 possiamo riscontrare un’altra previsione in deroga al principio di specialità: una di queste è rappresentata dalla disposizione contenuta nel co. 2 dell’art. 13, in forza del quale la circostanza attenuante potrà operare se il pagamento è comprensivo del debito tributario e delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie.

L’art. 20 regola i rapporti tra il procedimento penale e il processo tributario sulla base del principio di autonomia degli stessi. In forza di tale articolo “ il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende loa relativa definizione”.

La disposizione in esame completa la previsione di cui all’art. 3 c.p.p.

Il principio di autonomia costituisce, inoltre, l’antitesi della pregiudiziale tributaria, abbandonata ormai da tempo dal legislatore.

L’art. 21 costituisce una applicazione pratica dei principi di autonomia e specialità.

Qualora la violazione tributaria sia anche di rilevanza penale, “l’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative “, in virtu’ del principio di autonomia.

Il co. 2 prevede la sospensione dell’applicazione della sanzione amministrativa in pendenza del procedimento penale. E’ questa una disposizione tesa ad assicurare il rispetto del principio del ne bis in idem sotteso al principio di specialità.

Infatti, la sanzione amministrativa troverà una applicazione effettiva nell’ipotesi di sentenza irrevocabile di proscioglimento o di provvedimento di archiviazione, in base ai quali si escluda la rilevanza penale del fatto.

In tal caso, il fatto, non costituente reato, sarà soggetto a sanzione amministrativa.

La disposizione di cui la co.2 è, a mio avviso, una norma di garanzia in favore del principio di specialità; argomentando ab contrario, infatti, nell’ipotesi di condanna penale definitiva, si applicherà concretamente la pena irrogata dal giudice penale, con esclusione della sanzione amministrativa. La norma in esame, nella ipotesi di una condanna penale definitiva applica il principio di specialità in favore della norma penale.

TITOLO V

Il Titolo V contiene una serie di disposizioni di coordinamento e finali: all’art. 23 è prevista una deroga al segreto istruttorio al fine di consentire alla Guardia di Finanza di trasmettere la documentazione agli Uffici tributari, nella fase delle indagini preliminari, previa autorizzazione del PM.

Gli artt. 24 e 25 chiudono il testo legislativo abrogando una serie di norme penal-tributarie: nell’art. 24 sono depenalizzate le manomissioni o le alterazioni degli apparecchi misuratori, salvo che i fatti non costituiscano reato, l’art. 25 contiene una elencazione delle norme abrogate.

Tra queste spicca il Titolo I del D.L. 429/82 convertito nella l. 516/82; si tratta di norme che contengono figure di reato consistenti in violazioni formali, denominati reati prodromici e che, per effetto dell’art. 25, sono depenalizzati.

Il co.2 dell’art. 25 contiene una disposizione di chiusura che, negli intenti del legislatore, dovrebbe eliminare le incertezze applicative del Dlgs di riforma: stabilisce che “ è abrogata ogni altra disposizione incompatibile con il presente decreto”.

Non essendo contenuta alcuna norma transitoria, gli operatori del diritto hanno immediatamente riscontrato delle difficoltà interpretative del presente dlgs che sembrano dissiparsi in seguito alle ultimissime pronunzie giurisprudenziali.

Il problema concerne l’applicazione dell’art. 2 cp sulla successione delle leggi penali nel tempo.

La prima battuta d’arresto del Dlgs si è verificata in occasione della sentenza della Cassazione n° 6228/00 sulla frode fiscale mediante utilizzazione di fatture false e commessa sotto la vigenza della l. 516/82. La Cassazione afferma che il dlgs 74/00 all’art. 2 ( dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ) non prevede una abolitio criminis della frode fiscale mediante utilizzazione di fatture false ex art. 4 lett.d l. 516/82, ma concretizza il fenomeno particolare della abrogazione parziale- sostituzione della frode fiscale suindicata con la nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta, quale ipotesi di reato speciale rispetto alla precedente.

L’elemento specializzante è costituito dalla dichiarazione, secondo la Corte, la fattispecie di cui all’art. 2 del dlgs 74/00 è “ricollegabile alla frode fiscale “relativamente all’elemento psicologico. Infatti, ammette la Corte, “l’elemento specializzante è insita nella condotta tipica di cui all’art. 2 lett. D l. 516/82 ( utilizzazione ed emissione di fatture false ), posta in essere a titolo di dolo eventuale”. In altri termini, l’autore materiale del fatto, accetta il rischio che le fatture false vengano successivamente trasfuse nell’atto di dichiarazione del reddito, realizzando in tal modo una condotta fraudolenta, inquadrabile ai sensi dell’art. 2 dlgs 74/00. Tale articolo risulta contenere una disposizione piu’ favorevole al reo, qualora le indicazioni contabili non superino l’importo di cui al co. 3 ( £. 300 milioni ).

In tal caso si applicherebbe la circostanza attenuante della pena ( reclusione da 6 mesi a 2 anni ) e il termine di prescrizione piu’ breve.

Successivamente la giurisprudenza di merito ha reagito a questo tentativo della Corte di Cassazione di reintrodurre i c.d. reati prodromici.

Con ordinanza del 31/05/00 il Gup del Tribunale di Cagliari ha affermato che tra le disposizioni della l. 516/82 che prevedono l’utilizzazione di fatture false e l’art. 2 dlgs 74/00, non sussiste un rapporto di successione di leggi nel tempo, ma una autentica abrogatio crimins, che colpisce il reato di mera utilizzazione di fatture false.

Può, semmai, afferma il Gup, verificarsi il fenomeno della successione delle leggi ex art, 2 co 3 cp tra l’ipotesi di cui all’art. 4 lett. f l. 516/82 ( frode fiscale mediante indicazioni contabili mendaci nella dichiarazione dei redditi ) e l’art. 2 del dlgs.

Il Gup del Tribunale di La Spezia, con sentenza di non luogo a procedere dello 02/06/00, precisa che l’art. 4 co. 1 lett.d l. 516/82 risulta abrogato dall’art. 2 del dlgs di riforma ( abolitio criminis ).

Ma la Corte di Cassazione, con la sentenza dello 03/07/00 n° 7632, ha decisamente cambiato opinione in relazione alla questione in esame ha stabilito che la mera utilizzazione di fatture false, in precedenza sanzionato penalmente dalla l. 516/82, è stato abrogato dall’art. 2 del Dlgs .

La Cassazione così ha sentenziato: “ Pertanto, il mero inserimento in contabilità di fatture per operazioni inesistenti non è piu’ punibile, neanche a titolo di tentativo, sicchè la continuità dell’illecito potrà ravvisarsi soltanto quando l’utilizzazione abbia costituito in concreto l’attività fraudolenta di supporto per l’indicazione di elementi passivi fittizi.

Senorbì-Cagliari, lì 18/07/00

Avv. Bruno Sechi

Redazione

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