CONTENZIOSO TRIBUTARIO – Ordinanza sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza – Seconda storica pronuncia: Agenzia delle Entrate ed Equitalia fermate dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano Sezione staccata di Brescia.
Autore: Avv. Francesco Piromalli del Foro di Brescia
COMM.TRIB.REG. DI MILANO – Sez. 65 ST. DI BRESCIA, Pres. G. Frangipane, Giudice M. Sacchi, Relatore G. Vicini, Ordinanza n. 995 del 16.06.2016, depositata il 07.07.2016.
Sospesa per la seconda volta in Italia dopo la riforma del processo tributario, la sentenza del Giudice d’appello relativa ad avvisi di accertamento cui era seguita una cartella esattoriale di oltre 2 milioni di euro, in pendenza di ricorso per Cassazione – Si tratta di un caso in cui l’Agenzia delle Entrate costituitasi ed opponendosi all’istanza ha dimostrato di non saper valutare il vero interesse erariale.
Un’ordinanza che anche in questo caso farà certamente clamore e che risulta essere la seconda in Italia in materia, la n. 995/2016 depositata il 07.07.2016 della Commissione Tributaria Regionale di Milano – staccata di Brescia – Sez. 65, che ha disposto su specifica istanza del difensore della società contribuente, avvocato Francesco Piromalli, la sospensione dell’esecuzione della sentenza di secondo grado, quindi degli atti originari di accertamento, ai sensi e per gli effetti del nuovo art. 62-bis, comma 1°, secondo periodo, D.Lgs. n. 546/92, aggiunto con le modifiche del D.Lgs. n. 156 del 24/09/2015, secondo cui “Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile”.
Tutto ciò è attuazione del diritto di difesa in recepimento dei principi affermati dalla giurisprudenza ed oramai conclamati nella novella legislativa (D.L. 24 settembre 2015, n. 156 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 SO n. 55/L del 07.10.2015) per il quale i rimedi sospensivi endoprocessuali rappresentano un corollario necessario all’esecutività ex lege di pronunce, che essendo soggette all’appello o al ricorso per cassazione presentano un’alta percentuale d’opinabilità; la parte soccombente in secondo grado dovrebbe subire l’esecuzione provvisoria, con danno grave ed irreparabile, pur avendo ragione in diritto;
Il legislatore delegato ha inteso prendere atto di un mondo tributario che vuole voltare pagina e tendere all’auspicata civiltà giuridica con l’approvazione del D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015.
Al riguardo è bene evidenziare che il potere riconosciuto al giudice di appello con riferimento alla sospensione della esecutività della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione, per la quale è richiesta l’esistenza di un grave e irreparabile danno, non può esplicarsi nella valutazione della sussistenza del fumus, alla stregua di quanto consentito al medesimo giudice d’appello ai sensi degli artt. 283 e 351 c.p.c., disposizioni quest’ultime che richiedono la valutazione dei gravi e fondati motivi, poiché tali motivi consistono nella delibazione sommaria della fondatezza dell’impugnazione della sua stessa sentenza, che risulta inibito al Giudice della sentenza impugnata.
Pertanto, gli aspetti riguardanti i motivi di impugnazione e, quindi, il fumus, esulano dalla valutazione dell’istanza avanzata ex art. 373 c.p.c., se non si vuole incorrere in eccezioni di costituzionalità della norma, per palese violazione dei principi di imparzialità del Giudice e del giusto processo ai sensi della Convenzione CEDU § 6 della Corte Europea.
In altri termini, ai fini della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado, ciò che va valutato ai sensi dell’art. 373 c.p.c. non è la fondatezza del ricorso per Cassazione, ma è l’accertamento del danno grave ed irreparabile quale conseguenza dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Il Giudice dell’istanza doveva (come correttamente ha fatto) solo prendere atto dell’intervenuta proposizione e pendenza del ricorso per Cassazione avverso la sentenza impugnata
Invero, in pendenza di un ricorso per Cassazione, come nel caso in oggetto, i giudici tributari, con la concessa sospensione dell’esecuzione dell’esecutorietà della sentenza, quindi degli atti di accertamento, hanno impedito all’Agenzia delle Entrate di richiedere il pagamento dell’imposta provvisoria ai sensi dell’art. 68 D.Lgs. n. 546 cit. sia per quanto riguarda l’iscrizione provvisoria iniziale del terzo sia per quanto riguarda le successive iscrizioni provvisorie a seguito della sentenza d’appello, come previsto dal succitato art. 68, comma 1°, lett. a), b) e c).
Si tratta per la seconda volta dell’applicazione pratica del succitato art. 62-bis, posto a maggior tutela del contribuente, rispetto alla precedente normativa processuale, ed è auspicabile che i giudici tributari di secondo grado la possano applicare sempre più in futuro, ovviamente in presenza dei presupposti del danno grave ed irreparabile, di cui al succitato comma 1, seconda parte, senza dover considerare il fumus boni iuris, ossia la verosimile sussistenza del proprio diritto, non richiesto in questa specifica fattispecie, come peraltro precisato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E del 29/12/2015.
Nella fattispecie alla società contribuente (vittoriosa in primo grado, ma soccombente nel secondo giudizio nonostante che l’accertamento sia stato eseguito dall’A.E. avvalendosi del raddoppio dei termini in difetto dei presupposti di legge) che aveva presentato ricorso innanzi alla Suprema Corte, dopo un precedente rigetto dell’analoga istanza, è stato sufficiente dimostrare la sussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile determinato dalla rilevante pretesa dell’amministrazione finanziaria, pretesa allo stato opinabile stanti le due contrastanti sentenze di merito.
Quanto ai requisiti voluti dalla norma: si è già detto che ai fini della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado, ciò che va valutato ai sensi dell’art. 373 c.p.c. non è la fondatezza del ricorso per Cassazione, ma è l’accertamento del danno grave ed irreparabile quale conseguenza dell’esecuzione della sentenza impugnata.[1]
Il danno grave ed irreparabile va valutato:
1) soggettivamente sulla sussistenza dell’eccezionale sproporzione fra il vantaggio per il creditore procedente ed il pregiudizio irreparabile patito dal debitore a seguito dell’esecuzione della sentenza;
2) oggettivamente sulla ricorrenza nella fattispecie scrutinata di un pregiudizio irreversibile ed insuscettibile di restitutio in integrum nel caso in cui la sentenza venga cassata.
In particolar modo integra indubbiamente il requisito di grave ed irreparabile danno la circostanza dell’impossibilità del debitore di poter far fronte all’esecuzione esattoriale che determina una situazione di decozione grave da condurre al sicuro fallimento della società (la morte del soggetto giuridico), con conseguente irreparabilità in modo irreversibile della condizione giuridica consumatasi senza alcuna soluzione ripristinatoria, soprattutto allorchè la sentenza impugnata venga poi cassata e quindi accolto il ricorso per Cassazione del debitore.
Invero, l’esecuzione per il notevole importo di cui alla sentenza del caso impugnata comporta la vera e propria rovina dell’attività sociale anche in ragione del venir meno dei finanziamenti bancari e dell’inevitabile arresto dell’attività sociale, con la conseguente impossibilità, all’esito del giudizio di Cassazione e per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, di riattivare la stessa attività;
Sotto tale aspetto, i Giudici dell’istanza, con ineccepibile onestà intellettuale e senso di giustizia, hanno saputo valutare e contemperare quale fosse (in fattispecie) l’effettivo interesse erariale, vale a dire:
– Da una parte, se l’interesse erariale potesse dirsi tutelato nel condurre la società al sicuro fallimento in conseguenza di una riscossione esattoriale insostenibile, senza alcuna possibilità per l’erario e per gli altri creditori di incassare alcunchè, stante la sensibile esposizione finanziaria della società con gli istituti di credito;
– Dall’altra se non fosse più opportuno, in attesa della decisione della Cassazione, concedere alla società istante la sospensione richiesta, consentendole in tal modo di continuane la sua attività, far fronte al regolare versamento dei tributi che derivano dai ricavi operativi, assolvere alle imposte sulle retribuzioni dei dipendenti, versare i contributi previdenziali ai dipendenti, versare l’Iva sui ricavi imponibili realizzati, mantenere lo stato occupazionale di ben trenta famiglie senza ricorrere agli ammortizzatori sociali che sarebbero a carico dell’erario. E, quindi, in questo caso, consentirle di produrre reddito tassabile ed iva da versare.
Non v’è dubbio che l’interesse erariale può ritenersi soddisfatto solo ed esclusivamente in questo secondo caso, ed i Giudici della C.T.R. della Lombardia con grande saggezza ed in tali termini hanno saputo orientarsi!
Tale provvedimento, secondo in Italia per quanto consta, segna forse l’inizio di una diversa visione delle esigenze delle imprese, in una situazione congiunturale grave del Paese ove la luce in fondo al tunnel sino ad oggi è stata solo quella della locomotiva della riscossione che ti viene addosso.
Per una migliore cognizione della vicenda cautelare, si riporta il testo della motivazione della menzionata Ordinanza C.T.R. Lombardia – Sez. 65 Brescia – n. 995/2016 (R.G.A. 1792/16):
– “…….omissis… Rilevato che a decorrere dal 01.01.2016 l’art. 62 bis D.Lgs. 546/1992 – applicabile anche ai giudizi pendenti – “La parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile”;
– Che la commissione non può pronunciarsi se la parte istante “non dimostra di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza”;
– Che nel caso di specie la pendenza del ricorso è documentata e non contestata;
– Che la proposizione di precedente istanza di sospensione non è ostativa alla sua nuova presentazione allorquando vengano fatte valere circostanze “che, a differenza di quelle allegate alla precedente istanza, risultavano corroborate da adeguata dimostrazione” (Cass. Civ., 17647/2009), rivelandosi che nel caso di specie il diniego era stato emesso dalla Commissione Tributaria Regionale sul presupposto che non era ancora iniziata alcuna azione esecutiva, ora invece avviata e che la nuova istanza poggia su presupposti diversi da quella precedente;
– Che nel caso di specie il “grave e pericolo danno” appare sussistere in relazione all’entità della pretesa tributaria, esposta nella cartella di pagamento per Euro 1.956.212,43 ed alle insufficienti disponibilità reddituali e finanziarie della società contribuente, come risultanti dalla documentazione prodotta;
– Che, in particolare, l’importo in discussione è ampiamente superiore al reddito annuo dichiarato dalla parte ed alle disponibilità risultanti dai conti correnti bancari;
– Che di conseguenza la parte potrebbe fare fronte alla pretesa erariale soltanto con una modificazione dello status quo e pervenendo ad una situazione di dissesto finanziario non più ripristinabile in caso di accoglimento del ricorso per cassazione;
Tanto premesso e rilevato, la Commissione
Ordina
La sospensione dell’esecuzione della sentenza in pendenza del ricorso per cassazione.
Brescia 16 giugno 2016
Il Presidente
[1] In particolare, la possibilità di estendere la tutela cautelare ai gradi di giudizio successivo al primo era stata accordata soltanto in forza di un intervento della Corte Costituzionale del 17.06.2010, sentenza n. 2170 (confermata dalla successiva sentenza del 10.04.2012, n. 109), che, attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 47 del D. Lgs. n. 546/1992, aveva esteso anche nel processo tributario l’operatività dei corrispondenti articoli 283 e 373 c.p.c..
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