E’debuttato il 15 giugno 2013 – ponendolo al vaglio degli ordini e degli organismi di rappresentanza della categoria- il regolamento con cui la Cassa forense attua l’art. 21 commi 8-9 della legge 247/2012 che modifica l’ordinamento professionale degli avvocati ed impone la contestuale iscrizione agli albi e all’istituto.
E’ visibile sul sito della Cassa Nazionale Forense il comunicato, rivolto dal Presidente Avv. Alberto Bagnoli a tutti gli iscritti, recante il seguente titolo: Obbligo di iscrizione alla previdenza forense ai sensi dell’art.21 commi 8-9-10 della legge n.247/2012.
Fonte immagini: StudioCataldi.it
Il testo del comunicato in breve:
Il 2 febbraio 2013 è entrata in vigore la legge n. 247/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) che modifica il regime dell’iscrizione alla Cassa di Previdenza Forense; in particolare, con l’art. 21 comma 8 “l’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Forense e quindi l’iscrizione alla Cassa Forense, già obbligatoria per tutti gli iscritti agli Albi che esercitino la professione con carattere di continuità -cioè raggiungano prefissati limiti minimi di reddito o di volume d’affari professionali-, viene ora fatta coincidere con il momento dell’iscrizione agli Albi, a prescindere da tali parametri reddituali.”
La cancellazione dalla Cassa Forense sarà possibile soltanto nel caso di cancellazione dell’iscritto da tutti gli Albi Forensi.
Ai sensi del comma 10 del cit. art. 21 per tutti gli iscritti agli Albi non sarà ammessa l’iscrizione ad altra forma alternativa di previdenza obbligatoria e, quindi, alla gestione separata INPS“.
Il comma 9 dell’art. 21 affida alla Cassa Forense di emanare, entro un anno dall’ entrata in vigore della legge, un proprio regolamento che determini – per tutti gli iscritti, attuali e nuovi, con reddito inferiore a parametri reddituali da stabilirsi – i minimi contributivi dovuti, nonché eventuali condizioni temporanee di esenzione o diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.
In sintesi indico altri contestuali provvedimenti presi della Cassa Nazionale Forense: aliquota soggettiva minima ridotta a metà per i primi 5 anni di iscrizione ‘indipendentemente dall’età’; il dimezzamento di quella integrativa è esteso ‘a un ulteriore quinquennio’. Chi non supera la soglia reddituale di 10mila 300 euro è concesso per un decennio di pagare il 50% del contributo soggettivo minimo obbligatorio.
Uno sguardo ai contributi così come richiesti per l’anno 2013 dalla Cassa Nazionale Forense:
contributo minimo soggettivo * € 2.700,00
contributo minimo integrativo ** € 680,00
contributo per l’indennità di maternità € 132,00
(*) Il contributo soggettivo minimo è ridotto alla metà per i primi 5 anni di iscrizione alla Cassa, a condizione che l’istanza di iscrizione sia stata presentata dopo il 31/12/2008 e comporti una decorrenza anteriore al compimento del 35° anno di età;
(**) l’obbligo del contributo minimo integrativo è escluso per il periodo di praticantato con abilitazione al patrocinio e, a decorrere dal 2010, anche per i primi cinque anni di iscrizione all’Albo.
Si propone dunque una breve analisi del Regolamento approvando dell’art. 21 Legge di Ordinamento Forense.
Riassumendo, con la riforma l’iscrizione alla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza Forense” e quindi l’iscrizione alla Cassa Forense, viene ora fatta coincidere con il momento dell’iscrizione agli Albi, a prescindere da parametri reddituali.
In tale frangente normativo ha altresì stabilito che a chi non supera la soglia reddituale di 10mila 300 euro è concesso per un decennio di pagare il 50% del contributo soggettivo minimo obbligatorio.
A mio modesto giudizio la Cassa non potrà prescindere dai parametri reddituali nell’attribuzione dei contributi da versare, per non essere tacciata di illegittimità.
E’ buona norma sociale europea che le imposte vadano pagate in base al reddito, chicchesia non può vietare l’iscrizione ad altra forma alternativa di previdenza obbligatoria e, quindi, alla gestione separata INPS e nel contempo pretendere la potenziale costrizione all’indebitamento di alcuno per pagare contributi minimi predefiniti e svincolati dal reddito, seppure ridotti del 50%.
Prendiamo appunto il caso limite però possibile, in cui il legale, in base al dettato della Cassa Forense, abbia da sostenere un’imposta superiore addirittura al reddito ottenuto nell’anno solare.
Potrei ad ogni modo indicare tanti altri casi poco meno drammatici di quello avanzato, che Vi lascio comunque immaginare, in tempi di crisi della professione come quella che siamo un pò tutti costretti ad affrontare.
In un recentissimo articolo di Isidoro Trovato pubblicato dal Corriere della Sera sull’impoverimento dei giovani professionisti, viene “fotografata” la crisi. I giovani professionisti non sono più parte di categorie privilegiate e non conoscono caste di potenti. Tra i professionisti i più anziani vivono situazioni economiche migliori. I giovani annaspano anche per la crisi economica italiana in corso. L’Adepp ha fornito dati inequivocabili: il reddito medio dei professionisti under 40 è inferiore del 48,4% rispetto al reddito degli over 40. Tra le donne la differenza percentuale tra le diverse generazioni sale al 55,8%. Molti giovani professionisti faticano ad arrivare a fine mese. Avvocati e architetti in primis. Le cose vanno meglio per psicologi, biologi e geometri. I giovani professionisti non riescono più a far fronte alle spese previdenziali. Tra gli avvocati, ora che la riforma ha previsto l’iscrizione obbligatoria alla cassa di categoria, si parla di almeno 10mila avvocati che usciranno dagli ordini. E se le condizioni non saranno più morbide a rischiare sono 20mila. [1]
L’obbligo di doppia iscrizione (all’Albo ed alla Cassa Forense) ha creato non poche perplessità tra gli avvocati, già impoveriti dai nuovi parametri forensi e dal pagamento di un’assicurazione diventata obbligatoria.
Barbara LG Sordi nel suo articolo “Avvocati: nuovi poveri per legge?” riporta la posizione dell’Avv. De Tilla, presidente dell’Associazione Nazionale Giovani Avvocati, il quale ha espresso le sue perplessità definendo la previone della riforme come “un pasticcio legislativo”. Dichiara l’Avv. De Tilla: “Da un lato fissare contributi molto contenuti per chi ha redditi bassi rischierebbe di creare squilibrio negli assetti economici dell’Ente, dall’altro fissarli ridotti ma non troppo significherebbe vessare colleghi fino ad oggi non iscritti che guadagnano poco o niente anche per effetto della crisi e a farne le spese sarebbero prevalentemente i giovani”.
L’obbligatorietà della doppia iscrizione è una certezza, mentre allo stato ancora nebuloso appare la definizione dei parametri per i versamenti, su cui si dibatte largamente in questi giorni.
Il lavoro é diminuito in maniera consistente, grazie proprio all’alto tasso di concorrenzialità unito alla crisi economica, crisi che spesso porta i cittadini a rinunciare all’assistenza di un professionista.
Nel mentre migliaia di neo-avvocati, ma non solo loro, attendono una riqualificazione del loro ruolo professionale, dopo le numerose penalizzazioni subite.
Sull’ elevato numero di avvocati va rilevato che sono tanti perchè i nostri governanti hanno chiuso ogni sbocco alternativo; in primis l’ apertura al notariato o nella pubblica amministrazione.
Il vero problema non è l’ elevato numero di avvocati, che comunque garantisce una certa concorrenza, ma l’ assenza di sbocchi dopo la laurea in giurisprudenza.
La differenza con l’Italia non è tanto di mercato, quanto piuttosto culturale. Sul problema ha così esposto criticamente l’Avv. Castaldi in una recente intervista: “Tanti risponderebbero: di mercato! E darebbero le solite cifre sul sovraffollamento della professione e l’inefficienza della macchina giudiziaria. Io penso invece che se siamo arrivati a questo punto il problema è innanzitutto culturale. Si è voluto perpetuare uno schema professionale, culturale e direi antropologico che valeva, forse, negli anni Sessanta.”
Da più parti si auspica di non dover assistere a ciò che già sta accadendo in altri settori, con chiusure continue di attività individuali e strapotere di poche realtà; nel settore legale si chiamano “law firms“, super-studi a cui associarsi nella speranza di vedere il lavoro in crescita e le spese in crollo verticale. Nell’attesa di arrivare ai fatidici 70 anni (in salute, ovviamente) per poter finalmente riavere parte degli oboli versati in Cassa e godersi un meritato riposo”.
Tornando al regolamento forense, in vari punti trattati, sul piano interpretativo giuridico-legislativo, il regolamento appare non tenere conto del dettato normativo in materia, esaminiamo alcuni punti.
Stabilisce il Regolamento: “La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali”.
Ciò dovrebbe significare che più bassi sono i parametri reddituali, propozionalmente più bassi dovrebbero essere i contributi da versare.
Unico riferimento legittimo possibile è pertanto la condizione della redditualità.
Il regolamento approvando fa invece riferimento all’età più o meno avanzata, al numero di anni di iscrizione all’albo ed in base a questi parametri diminuisce in proporzione i contributi da versare.Ciò appare in evidente contrasto con la norma che invece radica la diminuzione dei contributi alla sola consistenza dei parametri reddituali.
In base alla legge – e non al regolamento, che è fonte normativa di rango inferiore-, due soggetti lavoratori di diversa età anagrafica devono pagare lo stesso se hanno il medesimo parametro reddituale.
Così come un soggetto di 30 anni (o con 5 anni di iscrizione all’albo) con un parametro reddituale più alto di uno di 50 anni (e/o che ha 20 anni di iscrizione all’albo) dovrebbe pagare di più secondo la legge.
Il Regolamento in esame non tiene conto dei parametri imposti dalla legge e fa l’opposto dando priorità all’età o agli anni di iscrizione all’albo.
Per questi motivi la questione rischia di andare al vaglio dei Ministeri Vigilanti, i quali potranno disporre rinvio al punto di partenza; rischia altresì la cassazione di qualunque autorità giudiziaria.
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