E’ questo il principio affermato di recente dalla VI Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2431, depositata il 16 aprile 2020, che ha inteso dare continuità all’orientamento già espresso dalla medesima VI Sezione con la pronuncia n. 2337/2017.
I Giudici di Palazzo Spada, a sostegno dell’enunciato principio, adducono l’assunto per il quale «il provvedimento che prescrive la demolizione o la riduzione in pristino di un immobile oggetto di sequestro è affetto “da vizio di nullità ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.) e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendosi intendere la possibilità giuridica dell’oggetto del comando”. Ne consegue che solo “il venir meno del sequestro…consente ex se all’Amministrazione di ingiungere o di reiterare la demolizione”», con ciò rimandando integralmente a quanto già più ampiamente sostenuto con la richiamata sentenza n. 2337 del 2017.
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L’ingiunzione della demolizione
Tale pronuncia era approdata alla formulazione del principio in parola sulla base delle seguenti argomentazioni:
«l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando (il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’art. 334 c.p.), difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile (C.G.A.R.S., Sezioni Riunite, parere n. 1175 del 9 luglio 2013 – 20 novembre 2014, sull’affare n.62/2013).
«In quest’ordine di idee, l’ordine di una condotta giuridicamente impossibile si rivela, quindi, privo di un elemento essenziale e, come tale, affetto da invalidità radicale, e, in ogni caso, per quanto qui rileva, inidoneo a produrre qualsivoglia effetto di diritto (…)».
«6. – L’affermazione dell’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato, per quanto tralatiziamente ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, non può, infatti, essere convincentemente sostenuta sulla base dell’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso, ai fini dell’ottenimento del dissequestro e della conseguente attuazione dell’ingiunzione.
«Tale argomentazione dev’essere, infatti, radicalmente rifiutata: sia perché riferisce a un’eventualità futura, astratta e indipendente dalla volontà dell’interessato la stessa possibilità (giuridica e materiale) di esecuzione dell’ingiunzione, mentre, come si è visto, l’impossibilità dell’oggetto attiene al momento genetico dell’ordine e lo vizia insanabilmente all’atto della sua adozione; sia perché, assiomaticamente, finisce per imporre al privato una condotta priva di qualsivoglia fondamento giuridico positivo; sia, infine, perché si risolve nella prescrizione di una iniziativa processuale (l’istanza di dissequestro) che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’indagato (o dall’imputato) nel processo penale, peraltro interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa (basti porre mente, in proposito, al caso che il mantenimento del sequestro penale –sub specie probatorio, ex art. 253 c.p.p. – risulti funzionale ad assicurare, per il seguito delle indagini o per il dibattimento, la prova che quanto realizzato non fosse abusivo, o non fosse conforme a quanto contestato o ritenuto dalla pubblica accusa, ovvero avesse altre caratteristiche scriminanti o anche solo attenuanti l’illiceità penale del fatto ascritto)».
«(…) non può esigersi – e, giuridicamente, non lo si può soprattutto in difetto di un’espressa previsione di legge in tal senso, stante anche il divieto di prestazioni imposte se non che per legge, ex art. 23 Cost. – che il cittadino impieghi tempo e risorse economiche per ottenere la restituzione di un bene di sua proprietà, ai soli fini della sua distruzione».
I casi decisi dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, con entrambe le sentenze n. 2431/2020 e n. 2337/2017 citate, riguardano le ipotesi in cui l’ordine di demolizione (e di riduzione in pristino stato) sia stato adottato nella vigenza di un sequestro penale.
Nondimeno, veniva sottolineato nella pronuncia del 2017 che «sia per l’ipotesi che si ritenesse di poter prescindere dalla più persuasiva prospettazione, che si è sin qui illustrata, che qualifica in termini di nullità il vizio che affligge l’ordinanza di demolizione emanata nella pendenza del sequestro dell’immobile di cui trattasi; sia, comunque, con riferimento ai casi in cui l’ordine demolitorio o ripristinatorio sia stato adottato (e, in tal caso, validamente) in un momento in cui il bene non fosse sequestrato, ma venga invece sequestrato successivamente e nella pendenza del termine assegnato per ottemperare all’ingiunzione de qua – va ulteriormente indagato, per completezza di sistema, il tema dell’incidenza del sequestro penale (se non, in queste ipotesi, sulla validità) sull’efficacia dell’ordine di demolire e, derivativamente, sulla decorrenza o meno del termine a tal fine assegnato fintanto che il sequestro permanga efficace».
A tal riguardo, ad avviso della stessa pronuncia in parola, deve ritenersi che «finché il sequestro perdura, la demolizione (…) certamente non può eseguirsi», conseguendo necessariamente a questo rilievo che «per tutto il tempo in cui il sequestro perdura (e, qui si aggiunge, indipendentemente dalla condotta attiva o passiva serbata dall’autore dell’abuso rispetto al sequestro stesso), la non ottemperanza all’ordine di demolizione non può qualificarsi non iure, appunto a causa della già rilevata oggettiva impossibilità giuridica di procedervi». Ciò non può «non implicare, come conseguenza giuridicamente necessaria, l’interruzione o, quantomeno, la sospensione del decorso del termine assegnato per demolire, per tutto il tempo in cui il sequestro rimane efficace. Detto termine, dunque, inizierà nuovamente a decorrere – per intero ovvero per la sua parte residua, secondo che si opti per l’interruzione o per la sospensione di esso in costanza di sequestro – solo allorché il sequestro venga meno, per qualunque ragione» (in termini, Cons. Stato n. 2337/2017, cit.).
Siffatto indirizzo giurisprudenziale, che pure ha trovato non poche adesioni in altre recenti pronunce (cfr., tra le altre, T.a.r. Sardegna, sez. II, 25/3/2020, n. 196; T.a.r. Sicilia, Catania, sez. I, 2/3/2020, n. 502; C.G.A.R.S., sez. riunite, parere n. 85 del 23/3/2020; T.a.r. Lazio, Latina, sez. I, 18/10/2019, n. 616; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II-bis, 14/5/2018, n. 5342), rimane allo stato minoritario, risultando prevalente l’opinione per la quale la sottoposizione a sequestro penale preventivo di una costruzione abusiva da parte della competente autorità giudiziaria non esime il destinatario dell’ingiunzione demolitoria dall’ottemperanza alla stessa, ben potendo essere richiesto in sede penale il dissequestro del bene al solo fine di provvedere alla demolizione, così da evitare il provvedimento di acquisizione (fra molte, Cons. Stato, sez. II, 3/2/2020, n. 866; Cons. Stato, sez. VI, 28/1/2016, n. 283; 9/7/2013, n. 3626; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II-quater, 4/1/2019, n. 139; T.a.r. Puglia, Bari, sez. III, 9/4/2015, n. 577; T.a.r. Campania, Napoli, sez. II, 30/1/2015 n. 601).
Il dissequestro dell’immobile
Peraltro, secondo tale opinione dominante, l’esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del Comune, non rientrando il sequestro tra gli impedimenti assoluti che non consentano di dare esecuzione all’ingiunzione. In questi casi, ad avviso di tale orientamento (suffragato dalla costante giurisprudenza di legittimità penale: cfr., ex multis, Cass. pen., sez. III, 21/3/2017, n. 13653; sez. III, 26/9/2013, n. 42637; sez. III, 26/10/2011, n. 45704), costituisce onere del responsabile dell’abuso motivatamente domandare all’Autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile, secondo la procedura prevista dall’art. 85 disp. att. c.p.p. (in materia di restituzione delle cose sequestrate con imposizione di prescrizioni), al fine di ottemperare all’ingiunzione a demolire (cfr., Cons. Stato sez. IV, 16/1/2019, n. 398; 27/7/2017, n. 3728; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II stralcio, 4/6/2020, n. 5964; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 14/5/2020, n. 1802; sez. III, 31/10/2018, n. 6416; sez. VII, 4/5/2018, n. 3002; T.a.r. Abruzzo, sez. I, 31/1/2020, n. 31; T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 13/1/2020, n. 56).
Tanto «anche alla luce dei principi giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. sez. V, 21 aprile 2016, n. 46577/15) che ha comunque ritenuto l’ordine di demolizione una misura di difesa dell’ordinato sviluppo del territorio indispensabile in un ordinamento democratico» (così, Cons. Stato n. 3728/2017, cit.).
Per cui, secondo l’avviso maggioritario in esame, allorquando il manufatto sia stato sottoposto a sequestro penale il soggetto, che intenda evitare la sanzione dell’acquisizione gratuita legata ope legis alla scadenza del termine per ottemperare all’ordine di demolizione (nonché l’ulteriore sanzione pecuniaria di cui al comma 4-bis dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001), deve attivarsi positivamente (fornendone la relativa prova) e tenere un comportamento volto ad eliminare l’abuso perpetrato, sollecitando il dissequestro all’autorità giudiziaria allo scopo di poter provvedere al ripristino dello stato dei luoghi (Cons. Stato, sez. VI, 13/1/2020, n. 299; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 28/5/2020, n. 2067; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 22/8/2019, n. 10577; T.a.r. Calabria, Catanzaro, sez. II, 22/01/2019, n. 117; Cons. Stato, sez. VI, 28/1/2016, n. 335; sez. IV, 18/4/2014, n. 1994; sez. VI, 9/7/2013, n. 3626; sez. IV, 6/3/2012, n. 1260).
E’ poi ovvio che nel momento in cui il Giudice penale acconsenta al dissequestro, sul presupposto della cessazione delle esigenze probatorie che lo stesso sequestro intendeva assicurare, la demolizione deve essere eseguita senz’altro (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 7/5/2018, n. 2700), mentre «È solo a seguito dell’eventuale reiezione dell’istanza di dissequestro da parte del Giudice penale che è possibile configurare una effettiva impossibilità ad adempiere, sicché è solo la prova del comportamento attivo dell’interessato che può escludere l’inottemperanza» (così, T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 7/1/2020, n. 53; sez. III, 27/6/2019, n. 3526).
In termini analoghi è stato affermato che, pur essendo inescusabile l’inottemperanza in presenza di un sequestro delle opere disposto dall’Autorità giudiziaria, le sanzioni conseguenti a detta inottemperanza, tra cui anche l’acquisto coattivo dell’Amministrazione finalizzato alla demolizione d’ufficio dell’immobile, assumono «connotazione di illegittimità solo allorquando il destinatario dell’ordine a demolire abbia richiesto al giudice la revoca del sequestro allo scopo di poter procedere alla demolizione e questa ragione sia stata negativamente valutata dall’autorità giudiziaria» (T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 27/11/2017, n. 5576).
Tra i due illustrati orientamenti, insanabilmente polarizzati tra la tesi (maggioritaria) dell’irrilevanza del sequestro penale rispetto all’ordinanza amministrativa di demolizione e ripristino e la tesi (minoritaria) della nullità ex art. 21-septies L. n. 241/1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.) e della radicale inefficacia di detta ordinanza riguardante un immobile oggetto di sequestro, si segnala un terzo distinto orientamento (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 2/10/2019, n. 6592; 20/7/2018, n. 4418), che si propone di rappresentare, come espressamente è affermato nella pronuncia n. 6592/2019 cit., «un punto di equilibrio fra le opposte esigenze sopra delineate, ovvero fra l’interesse pubblico alla tutela del territorio, pure costituzionalmente rilevante, e quello privato alla difesa penale» valorizzato dalle citate sentenze n. 2337/2017 e n. 2431/2020 (le quali, per vero, non si limitano solo all’apprezzamento di tale profilo, ma riconnettono la predicata nullità alle evidenze più ampie ed articolate da esse specificatamente elencate).
Ad avviso di tale distinto orientamento, che si può definire “intermedio”, «il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino, il che appare logico se si considera che diversamente la tutela del territorio verrebbe a dipendere da circostanze non nel dominio dell’amministrazione istituzionalmente preposta, che anzi potrebbe esserne all’oscuro. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza infatti in altro modo, ovvero ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorra sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre» (in termini, Cons. Stato n. 6592/2019, cit.).
«Deve, pertanto, ritenersi che l’ingiunzione comunque non possa produrre i suoi effetti nei confronti del privato fino alla restituzione del bene ad esso sottratto. Da tale momento cominciano, infatti, a decorrere i 90 giorni per l’ottemperanza e, pertanto, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune si verifica solo ove non si sia data esecuzione all’ingiunzione entro tale nuovo termine» (così, Cons. Stato n. 4418/2018, cit.).
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