Il Garante per la protezione dei dati personali ha sancito che è illecito rilevare le presenze dei dipendenti attraverso l’acquisizione delle impronte digitali.
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Indice
1. I fatti
Un signore inviava un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali sostenendo di essere stato assunto da una società a tempo determinato e di aver svolto la sua attività lavorativa presso una sede di lavoro in cui era installato un sistema di rilevazione delle presenze basato sulla lettura delle impronte digitali, senza che fosse stata resa una informativa privacy o fosse stato richiesto il consenso degli interessati.
Preso atto del reclamo, il Garante inviava alla società una richiesta di informazioni e quest’ultima dichiarava di aver installato il sistema in questione a partire dal febbraio 2019 e che l’azienda che aveva provveduto all’installazione aveva assicurato che lo stesso fosse conforme alla normativa in materia di protezione dei dati personali, mentre l’ispettorato del lavoro territorialmente competente aveva assicurato che per la sua installazione non fosse necessaria l’autorizzazione di cui all’art. 4 dello Statuo dei lavoratori.
Per quanto riguarda le modalità di funzionamento del sistema, l’azienda evidenziava che il dispositivo in questione è una timbratrice marcatempo rilevatore delle presenze dotata di lettore biometrico (impronte digitali), attraverso cui il personale può certificare i propri ingressi e le uscite dal posto di lavoro attraverso l’impronta digitale ovvero, in alternativa, attraverso un ID univoco (numerico) associato ad ogni lavoratore e la relativa password assegnata. Le impronte digitali personali sono raccolte e memorizzate esclusivamente nella memoria interna del dispositivo stesso e sono rese indecifrabili, grazie al particolare algoritmo con la quale sono criptate. Inoltre le stesse sono non leggibili/esportabili per usi diversi, data la non accessibilità della memoria interna del dispositivo. Infine, le caratteristiche individuali del polpastrello sono vettorializzate in punti univoci e convertite dal terminale in un codice numerico complesso, utilizzando uno speciale algoritmo. Il numero di dipendente corrispondente pertanto è collegato a tale valore.
Per quanto riguarda le finalità dell’installazione, la società rilevava che lo stesso era stato utilizzato per rilevare le presenze dei dipendenti al fine di gestire il rapporto di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, l’informativa privacy, l’azienda rilevava che ai dipendenti era stata resa un’informativa, in cui era indicato che non erano trattati dati genetici o biometrici in quanto il dispositivo non memorizza in nessun caso le immagini dell’impronta digitale, elaborando solo un modello di riferimento anonimo e virtuale.
Infine, l’azienda comunicava che in data 30.04.2022 aveva provveduto a rimuovere il dispositivo in questione, sostituendolo con un sistema di controllo mediante badge, e aveva cancellato tutti i dati dei dipendenti.
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2. Acquisizione impronte digitali per rilevare presenze: la valutazione del Garante
Nel corso del procedimento, il Garante ha accertato che la società ha effettuato il trattamento dei dati biometrici da parte dei propri 13 dipendenti, attraverso il sistema di rilevamento delle impronte digitali installato presso le due unità lavorative e finalizzato a registrare le presenze dei dipendenti in servizio.
In particolare, per dati biometrici si intendono i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici.
Ebbene, il Garante ha ricordato che già in numerosi propri provvedimenti aveva evidenziato come si configura un trattamento di dati biometrici sia al momento della registrazione delle impronte dell’interessato, sia al momento in cui viene rilevata la sua presenza.
Ai sensi della normativa in materia di protezione dei dati personali, il trattamento dei dati biometrici di regola è vietato e viene consentito soltanto quando sussista una delle condizioni previste dall’art. 9 del Regolamento europeo per la protezione dei dati personali e – nell’ambito lavorativo – soltanto quando il trattamento è necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sul lavoro, ma solo se è autorizzato dal diritto dell’unione o di uno stato membro e via siano delle garanzia appropriate per i diritti fondamentali dell’interessato.
Secondo il Garante, se è vero che, nell’ambito lavorativo, le finalità di rilevazione delle presenze dei dipendenti e di controllo del rispetto dell’orario di lavoro rientrano nei casi previsti dal citato art. 9 del Regolamento europeo, è altrettanto vero che non esiste una disposizione normativa che ne preveda l’utilizzo, che possa ritenersi in linea con le caratteristiche richiesta dalle disposizioni in materia di privacy.
Pertanto, secondo il Garante non vi è allo stato una normativa che possa essere ritenuta un’idonea base giuridica per legittimare i titolari del trattamento a trattare i dati biometrici per finalità di rilevazione delle presenze dei dipendenti.
Per quanto riguarda l’informativa privacy, è stato accertato che nella comunicazione fornita ai dipendenti non vi era alcun riferimento al trattamento dei dati biometrici per rilevare le presenze. Pertanto, l’informativa non rispettava le modalità e le caratteristiche previste dalla normativa in materia di privacy.
3. La decisione del Garante
In considerazione di quanto sopra, secondo il Garante il trattamento dati in questione è stato effettuato in assenza di una idonea base giuridica e in assenza di una idonea informativa; pertanto è illegittimo.
Conseguentemente, il Garante ha ritenuto di applicare una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti del titolare del trattamento.
Per quanto riguarda la quantificazione della predetta sanzione, il Garante, da un lato, ha valutato la natura, la gravità e la durata, posto che il trattamento ha riguardato particolari categorie di dati e si è protratto per circa tre anni, nonché il fatto che la condotta della società ha comportato l’inosservanza di principi generali del trattamento dati. Dall’altro lato, il Garante ha valutato l’assenza di precedenti specifici a carico del titolare del trattamento nonché la cooperazione fornita da quest’ultimo nel corso del procedimento e il fatto di essersi conformato alle indicazioni del Garante. Infine, il Garante ha tenuto altresì conto dei ricavi conseguiti dalla società con riferimento al bilancio dell’anno 2022. Sulla base di tali presupposti, il Garante ha ritenuto di quantificare la sanzione amministrativa pecuniaria in €. 5.000 (cinquemila).
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A cura di Giuseppe Cassano, Enzo Maria Tripodi, Cristian Ercolano | Maggioli Editore 2022
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