A tale conclusione si era giunti in primo luogo a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 190/2014, art. 1, comma 665 (Legge di stabilità 2015, vigente dal 1 gennaio 2015) la quale ha stabilito che “I soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990, che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, e successive modificazioni”.
Successivamente è giunta la decisione final della Commissione Europea n. C 2015/5549 del 14 agosto 2015 con la quale è stato statuito che le misure legislative che istituiscono i benefici in favore dei soggetti colpiti dal sisma (e da altre calamità naturali quali l’alluvione del 1994 e la cenere vulcanica del 2002) fossero state adottate in violazione dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e, di conseguenza, ha concluso che esse “costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno” (punto 133 della decisione).
Dal quadro sopra delineato sembrava abbastanza chiaro ed evidente che il rimborso del 90% delle somme versate a titolo di imposte dirette (per l’IVA tale diritto era già stato escluso con ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 15 luglio 2015) non poteva essere erogato in favore delle imprese.
Rimaneva in ogni caso dubbio il riconoscimento del diritto al rimborso in favore dei soggetti economici non impresa ossia i lavoratori autonomi in quanto non espressamente contemplati nella normativa nazionale ma riconducibili, sulla base del diritto comunitario, nella categoria dei soggetti economici utilizzati dalla Commissione Europea nella propria decisione final.
Invero, l’art.1 della Raccomandazione CE n. 361/2003 considera impresa “ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica”. Tale definizione è stata recepita anche dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, che definisce “impresa” qualsiasi entità che esercita un’attività economica, consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato. Sono ininfluenti lo status giuridico dell’impresa, le sue modalità di finanziamento, e la circostanza che il soggetto sia stato costituito o meno per conseguire degli utili. Con riferimento a soggetti che non perseguono scopi di lucro, essi rientreranno nella normativa in materia di aiuti di stato qualora l’offerta di beni e servizi avvenga in concorrenza con quella di altri operatori che perseguono uno scopo di lucro.
Tuttavia, ad una lettura più approfondita della decisione comunitaria sopra richiamata emergevano dei dubbi circa l’esclusione tout court dal diritto al rimborso dei soggetti economici.
Invero, la Commissione Europea ai punti da 134 a 136 della decisione aveva espressamente statuito che:
- a) che una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è 3 Corte di Cassazione – copia non ufficiale concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese, oppure perché il
beneficio è in linea col regolamento c.d. “de minimis” applicabile, oppure perché è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o ad un regolamento di esenzione);
- b) che l’Italia è tenuta ad annullare tutti i pagamenti di aiuti in essere, con effetto alla data di adozione della decisione, e a partire dalla data della decisione nessuna delle norme in esame nel presente giudizio può essere usata come base di riferimento per la futura concessione o il futuro pagamento di aiuti;
- c) che, per quanto attiene agli aiuti individuali già versati prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione, il regime va considerato compatibile con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 2, lettera b), TFUE, a condizione che possa essere stabilito un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alla calamità naturale e l’aiuto di Stato concesso, evitando i casi di sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa; inoltre, ogni compensazione relativa a tali danni, ottenuta da una qualsiasi fonte, deve essere dedotta ed è necessario escludere ogni tipo di cumulo tra gli aiuti previsti dal regime qui in esame ed eventuali aiuti previsti da altre misure per i medesimi costi; che la Commissione, infine, ha esentato l’Italia dall’obbligo di recuperare gli aiuti relativi a regimi illegali concessi per le calamità naturali risalenti ad oltre dieci anni prima della sua decisione, con l’unica eccezione degli aiuti fruiti da beneficiari non aventi, al momento della calamità, una sede operativa nell’area colpita.
Orbene, proprio prendendo spunto da queste statuizione della decisione della Commissione Europea, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 22377 del 26 settembre 2017, si è pronunciata in ordine alla spettanza del diritto al rimborso del 90% delle imposte dirette versate da un’impresa destinataria delle misure agevolative per i soggetti alluvionati del 1994.
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto di non dover escludere la possibilità della concessione del rimborso poiché la decisione della Commissione Europea, pur ritenendo incompatibile sul piano generale il regime delle agevolazioni, ha lasciato ferma la legittimità dell’intervento legislativo allorquando l’aiuto individuale rientri nei limiti del regolamento c.d. “de minimis” applicabile (punto 115 della decisione), ovvero possa beneficiare della deroga prevista dall’articolo 107, paragrafo 2, lettera b), TFUE (punto 132 della decisione).
Dunque, secondo la pronuncia in esame, il diritto al rimborso può essere riconosciuto anche ai soggetti esercenti attività di impresa (ed a maggior ragione, dunque, anche ai liberi professionisti) nel caso in cui sussistano presupposti di fatto per l’applicabilità del regolamento “de minimis” (la cui prova è a carico del soggetto che invoca il beneficio: arg. ex Cass. n. 6756 del 2012), tenendo conto, in specie, che la regola “de minimis”, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza (arg. ex Cass. n. 11228 del 2011).
Alle stesse conclusioni (e stavolta in materia di rimborso sisma 90) della Suprema Corte è giunta anche la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia – Sezione Staccata di Catania con la recente sentenza n. 3677/13/2017 depositata (curiosamente anch’essa) in data 26 settembre 2017.
Anche in questo caso i giudici di appello hanno ritenuto di dover riconoscere il diritto al rimborso del 90% delle imposte dirette versate da un soggetto economico (libero professionista) nel rispetto del limite del regime “de minimis” per le stesse motivazioni già illustrate dalla Corte di Cassazione.
Altro punto in comune delle due decisioni sopra richiamate è quello dell’applicazione della decisione della Commissione Europea ex officio ossia anche in assenza di una esplicita eccezione mossa in tal senso dal contribuente in quanto, sia secondo i giudici di legittimità che secondo i giudici di merito siciliani, la decisione della Commissione Europea costituisce ius superveniens applicabile direttamente dal Giudice Nazionale.
Un punto di forte differenziazione tra le due pronunce, al contrario, si rinviene nel fatto che la Suprema Corte (correttamente), a differenza della C.T.R. Sicilia, ha subordinato il riconoscimento del diritto al rimborso alla prova (a carico del contribuente) dell’applicabilità del regolamento “de minimis” alla fattispecie concreta. I giudici siciliani, invece, hanno semplicemente attenzionato l’importo del rimborso (peraltro applicando il limite massimo di €. 200.000,00 pur se entrato in vigore successivamente al momento giuridico della concessione dell’aiuto) senza richiedere al contribuente l’ulteriore (e necessaria) autocertificazione (dichiarazione di responsabilità) di non aver usufruito di altri aiuti ed agevolazioni nell’anno della concessione dell’aiuto e nei due precedenti.
A tal proposito, si ricorda che il principio della regola “de minimis” si basa sul fatto che lo Stato e le altre Amministrazioni pubbliche possono erogare aiuti alle imprese di piccola entità, definiti dalla UE “de minimis”, che si presume non incidano sulla concorrenza in modo significativo.
Le pubbliche autorità possono quindi erogare aiuti alle imprese di qualsiasi dimensione, in regime “de minimis”, senza obbligo di notifica, nel rispetto delle condizioni di cui, attualmente, al regolamento UE della Commissione n. 1407/2013. L’importo totale massimo degli aiuti di questo tipo ottenuti da un’impresa non può superare, nell’arco di tre esercizi, i 200.000 euro (Quest’ultimo limite, fra l’altro, è stato sostituito dal 1° gennaio 2007 dal nuovo regolamento CE 1998/2006 che ha anche incrementato il limite degli aiuti da 100.000 a 200.000 euro). Ciò significa che per stabilire se un’impresa possa ottenere un’agevolazione in regime “de minimis” e l’ammontare dell’agevolazione stessa, occorrerà sommare tutti gli aiuti ottenuti da quella impresa, a qualsiasi titolo (per investimenti, attività di ricerca, promozione all’estero, ecc.), in regime “de minimis”, nell’arco di tre esercizi finanziari (l’esercizio finanziario in cui l’aiuto è concesso più i due precedenti). L’impresa che richiede un aiuto di questo tipo dovrà quindi dichiarare quali altri aiuti ha ottenuto in base a quel regime e l’amministrazione concedente verificare la disponibilità residua sul massimale individuale dell’impresa.
Nel caso un’agevolazione concessa in “de minimis” superi il massimale individuale a disposizione in quel momento dell’impresa beneficiaria, l’aiuto non potrà essere concesso nemmeno per la parte non eccedente tale tetto.
L’aiuto si deve ritenere erogato nel momento in cui sorge per il beneficiario il diritto a ricevere l’aiuto stesso. Al fine della quantificazione degli aiuti “de minimis”, è necessario tenere presente che gli aiuti di stato devono essere considerati concessi nel momento in cui all’impresa è accordato, a norma del regime giuridico nazionale applicabile, il diritto giuridico di ricevere gli aiuti (non è rilevante né il momento della presentazione della domanda da parte del beneficiario, né quello dell’effettiva corresponsione dell’aiuto, ma piuttosto rileva la decisione definitiva che stabilisce il diritto a ricevere l’aiuto).
Sulla base di quanto sopra esposto, dunque, si può sicuramente affermare che la certezza del diritto torna a “tremare” a distanza di ben 27 anni dagli eventi sismici.
Il principio giuridico affermato, con le differenze sopra esposte, sia dalla Corte di Cassazione nonché dalla C.T.R. Sicilia e ricavato dalla decisione della Commissione Europea potrebbe obbligare, ancora una volta, tutti gli operatori giuridici coinvolti nella vicenda dei rimborsi del sisma 1990 a rivedere le determinazioni fino ad ora assunte e quelle da assumere.
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