Rimborso anticipato dei finanziamenti: credito ai consumatori dopo sentenza CGEU Lexitor

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Sentenza C-383/18 Lexitor

Linee orientative banca d’Italia

Con la recente sentenza C-383/18 del caso “Lexitor”, testo disponibile in calce al presente articolo, la Corte di Giustizia Europea (CGUE) ha evidenziato necessità di maggiore trasparenza in tema di concessione di credito al consumo nei rapporti tra clientela e intermediari.

Basandosi esclusivamente sulla direttiva Europea 2008/48/CE sul credito al consumo, la CGUE ha portato a termine una disputa relativa all’obiettivo dei diritti del consumatore alla riduzione dei costi in caso di rimborso anticipato del credito finanziato. Con riferimento all’articolo 16, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva UE sul credito al consumo (vale a dire “ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, tale riduzione consistente negli interessi e nei costi per la durata residua di il contratto “), la Corte di giustizia ha chiarito che i consumatori hanno anche diritto a una riduzione dei costi che non dipendono dalla durata di un contratto di credito. Indipendentemente dal fatto che l’interpretazione da parte della Corte di giustizia europea della direttiva sul credito al consumo dell’UE sia corretta, la sua decisione pone i tribunali austriaci in grave difficoltà nell’applicazione del diritto interno in applicazione dell’articolo 16 della direttiva.

Indipendentemente dai fatti processuali ed alla corretta interpretazione da parte della Corte di giustizia europea della direttiva sul credito al consumo dell’UE, la sua decisione pone i tribunali italiani in una situazione delicata nell’applicazione del diritto interno implementando l’articolo 16 della direttiva. Inoltre é importante sottolineasre che vi sono discussioni nell’ordinamento italiano secondo cui i principi enunciati dalla Corte di Giustizia rappresenterebbero una protezione così sproporzionatamente favorevole ai consumatori da intaccare gli equilibri nel sistema del credito.

La decisione

Nella sua decisione, la Corte di giustizia ha optato per una interpretazione funzionale alla tutela degli interessi dei consumatori ed esaminato la formulazione dell’articolo 16 della direttiva UE sul credito al consumo concludendo che è impossibile determinare l’esatta entità della riduzione dei costi totali del credito, poiché diverse traduzioni della direttiva suggeriscono risultati diversi. Sulla base di un’interpretazione teleologica della disposizione, la Corte di giustizia ha ritenuto che l’efficacia del diritto del consumatore a una riduzione dei costi totali sarebbe compromessa se si riferisse solo ai costi identificati dai creditori come dipendente dalla durata di un contratto (in inglese recurring). La tutela dei consumatori da parte della Corte Europea risiederebbe nel fatto che gli stessi appunto sarebbero la parte che potrebbe soffrire di un abuso di potere negoziale da parte dell’intermediario: prassi che la Corte confermerebbe in quanto essi incrementano i costi cd. upfront, ovvero quelle spese sostenute una tantum dai consumatori per ottenere il finanziamento (perché non rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento) per ridurre invece i costi recurring per i quali viene ammesso il rimborso pro rata temporis.

Nell’analisi dell’avvocato generale Hogan è stato osservato che le disposizioni della direttiva non stabiliscono il metodo di calcolo della riduzione che deve essere utilizzato dagli Stati membri, ma piuttosto offre agli Stati membri un certo margine di manovra sulla questione. Nel fare ciò, tuttavia, devono rispettare i principi stabiliti nella direttiva in merito all’obbligo di coprire interessi e costi. Hogan ha inoltre analizzato che la possibilità di chiedere un risarcimento in conformità con le disposizioni della direttiva è intesa solo a compensare le spese sostenute a seguito del rimborso anticipato del credito quando l’ente creditizio deve intraprendere operazioni specifiche. L’audizione del parere dell’avvocato generale Hogan nella sua pronuncia pregiudiziale decisa il 23 maggio 2019 ha proposto alla Corte di giustizia (Prima Sezione) di rispondere alla seguente domanda: se un consumatore ha effettuato un rimborso anticipato, se la riduzione a cui quel consumatore ha il diritto di riguardare costi per i quali l’importo non dipende dalla durata del contratto di credito e se uno Stato membro può limitare la riduzione semplicemente all’importo delle spese che sarebbero state risparmiate dall’ente creditizio a seguito di rimborso.

A seguito del parere dell’avvocato generale Hogan e del giudice del rinvio, la Corte di giustizia europea ha esaminato la capacità delle banche di determinare unilateralmente i costi e la struttura delle commissioni dei contratti di credito. Il collocamento di costi che non dipendono dalla durata del contratto al di fuori del campo di applicazione dell’articolo 16 della Direttiva UE sul credito al consumo potrebbe comportare commissioni una tantum più elevate da pagare al momento della conclusione del credito per ridurre i costi in base alla durata del contratto, riducendo così l’impatto di un rimborso anticipato commissioni da riscuotere (incluso un margine di profitto) per tale credito. Infine, la Corte di giustizia ha ritenuto che includere costi, che sono indipendenti dalla durata del contratto, è improbabile che siano sproporzionatamente svantaggiosi per i creditori i cui interessi sono tutelati dall’articolo 16, paragrafo 2, e dall’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva UE sul credito al consumo.

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Banca d’Italia: linee orientative

La Banca d’Italia, a conferma pure della complessità di questi problemi, si è espressa qualche mese successivo alla sentenza della Corte Europea attraverso una comunicazione, disponibile in calce a questo articolo, che ambisce ad essessere un punto di riferimento per gli intermediari che offrono contratti di credito a consumatori.

I criteri di rimborso ai consumatori sono individuati dall’Autorità in due punti:

In relazione ai nuovi contratti di credito ai consumatori, che comprendono quelli di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, Banca d’ Italia si aspetta e richiede, in caso di rimorso ancipato, di assicurare alla clientela la riduzione del “costo totale del credito” includendovi tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte.

Per “costo totale del credito” si intende il complesso di interessi ed altri costi, ad eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in forza al contratto di credito concluso e di cui il finanziatore conosce (si veda definizione art. 121, co. 1, lett. e), TUB).

L’importo del costo totale deve essere espresso in percentuale annua sull’importo totale del credito, nel tasso annuo effettivo globale (TAEG).

Per ragioni di trasparenza, Banca d’Italia richiede che i criteri di riduzione dei costi dovranno formare oggetto di specifica informativa al cliente:

nell’ambito dell’informativa precontrattuale (da fornire al consumatore prima che sia vincolato da un contratto di credito o proposta irrevocabile)

nelle condizioni contrattuali sul diritto di rimborso anticipato e sulla relativa procedura.

Con riferimento ai contratti in essere invece, gli intermediariari devono determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. In merito ai costi upfront chiaramente definiti ed indicati in apposite sezioni e clausole contrattuali come non rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento, l’Autorità rimette agli intermediari la determinaione del criterio di rimborso che necessariamente dovrà essere propozionale rispetto alla durata.

Nelle linee orientative la Banca d’Italia conclude segnalando la facoltà per gli intermediari di ridefinire conseguentemente gli accordi con le reti distributive dei mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria.

L’arbitrato bancario finanziario

A seguito della sentenza della CGUE, sul tema è intervenuta in data 11 dicembre 2019 una decisione del collegio di coordinamento dell’Arbitrato bancario finanziario, secondo cui tutti i costi anticipatamente sostenuti dal cliente in fase di erogazione del prestito, e non goduti per via dell’avvenuta estinzione anticipata dello stesso, devono essere rimborsati al cliente in proporzione della quota non goduta e sia in caso si tratti di spese recurring che di spese upfront.

Vedendo i punti di diritto, possiamo dire quindi che il Collegio di Coordinamento conclude ritenendo che l’art.125-sexies Testo Unico Bancario vada letto e applicato nel senso indicato dalla CGUE, “come se dicesse cioè (anzi, come se avesse detto fin dalla sua origine) che il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge anche i costi upfront, al di là di ogni differenza nominalistica o sostanziale, pur esistente, con gli altri costi”. Il Collegio di Coordinamento fornisce poi gli strumenti logico-giuridici per interpretare il criterio di riduzione applicabile ai costi upfront, tra cui l’esigenza di depurare il contratto dalla clausola che, sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari, in quanto contraria a norma imperativa – e perciò affetta da nullità (di protezione) rilevabile di ufficio.

Da ultimo, il collegio di coordinamento enuncia quindi un articolato principio di diritto, sul presupposto che l’art.125-sexies TUB debba essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi upfront.

Prime giurisprudenza italiana

La seconda sezione Civile del Tribunale di Napoli ha affrontato per prima in Italia la questione ed ha ritenuto che la direttiva EU 2008/48 secondo interpretazione della sentenza CGUE Lexitor non abbia efficacia immediata/diretta nei rapporti privati. La seconda sezione civile del Tribunale di Napoli ha inoltre sostenuto che l’Italia non abbia correttamente trasposto nel diritto nazionale la direttiva EU 2008/48, potendo quindi “dar luogo ad una responsabilità dello Stato italiano per erronea trasposizione della Direttiva, che comunque non sarebbe direttamente applicabile nei rapporti tra privati.”

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