La Corte di Cassazione ha recentemente rimesso alle Sezioni Unite la questione attinente l’acquisizione di messaggi su chat di gruppo con sistema cifrato.
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Indice
1. I fatti
La rimessione della III Sezione Penale alle Sezioni Unite è scaturita dal ricorso presentato dall’imputato avverso l’ordinanza del Tribunale di Potenza, Sezione del Riesame, che rigettava l’istanza proposta contro l’ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Potenza in relazione ad ipotesi di reato riguardanti le fattispecie di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309/90 del 1990.
Le indagini scaturivano dal coinvolgimento di alcuni dei soggetti indagati in attività investigative nell’ambito di un contesto di riciclaggio internazionale, divenute successivamente oggetto di apposito coordinamento della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.
Alcuni indagati facevano uso di “criptofonini anti-intercettazione“, cioè smartphone che usano metodi di crittografia capace di proteggere i sistemi di comunicazione, solitamente basati sullo stesso hardware dei telefoni normali, ma con l’aggiunta di sistemi di cifratura superiori.
Il ricorso in oggetto si articola in quattro motivi, sintetizzabili come segue:
– vizio in relazione agli artt. 234-bis e 191 cod. proc. pen.: premesso che i dati informatici presenti sul server e relativi a conversazioni già intercorse integrerebbero documenti informatici, si osserva che, tuttavia, la relativa acquisizione non sarebbe riconducibile nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 234-bis cod. proc. pen. Ciò in quanto i dati informatici in questione, ottenuti dall’Autorità giudiziaria quali dati conservati all’estero presso l’Autorità giudiziaria francese, non sarebbero stati acquisiti, così come consentito dalla suindicata disposizione, direttamente presso un privato avente sede in altro Stato e con il suo consenso, senza attivazione di alcuna rogatoria, bensì sarebbero stati acquisiti mediante Ordine Europeo di Indagine, per la cui emissione è imposto dall’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE che l’atto di indagine richiesto debba essere emesso alle stesse condizioni di un caso interno analogo;
– violazione di norme processuali ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 91 cod. proc. pen. e in relazione agli artt. 27 Cost. e 6 della CEDU, con inutilizzabilità dei dati acquisiti. Si era evidenziata la circostanza per cui, qualificando le chat come prova documentale, si determinava l’effetto di mettere a disposizione delle parti e di sottoporre alla valutazione eventuale del Tribunale del riesame, solo la fase terminale del processo di acquisizione della prova, articolato nella acquisizione prima e nella decifratura poi, del contenuto dei messaggi ottenuti inizialmente dall’autorità estera in forma criptata, in assenza di elementi per poter verificare il profilo afferente alla formazione dei dati prelevati. Pertanto, per la legittima utilizzazione di una prova assunta da un’Autorità straniera, quale quella in esame, sarebbe stata necessaria la messa a disposizione dell’intero compendio investigativo, in particolare dei files delle chat criptate;
– erronea applicazione dell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei reati contestati all’indagato;
– con il quarto motivo è stata proposta, invece, questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia Europea con il seguente quesito: “se l’art. 6 paragrafo 1 della Direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all’ordine europeo di indagine penale, letto alla luce degli artt. 7, 8, e 11 nonché 52 par. 1, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve esser interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’acquisizione di dati elettronici relativi al traffico e relativi all’ubicazione già in possesso della autorità di esecuzione e la acquisizione di dati elettronici relativi al traffico e relativi alla ubicazione contenuti in basi di dati della polizia o delle autorità giudiziarie, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sulla ubicazione di apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo”.
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2. Acquisizione di messaggi su chat di gruppo criptata: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione osserva che il ricorso debba essere rimesso alle Sezioni Unite in quanto, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., può emergere un contrasto giurisprudenziale in ordine alle seguenti questioni:
a) se in tema di mezzi di prova l’acquisizione di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato presso A.G. straniera che ne ha eseguito la decrittazione, costituisca acquisizione di “documenti e di dati informatici” ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. a mente del quale “è sempre consentita l’acquisizione di documenti e dati informatici conservati all’estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest’ultimo caso, del legittimo titolare” o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. o sia riconducibile in altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
b) se inoltre, tale acquisizione debba essere oggetto, ai fini della utilizzabilità dei dati in tal modo versati in atti, di preventiva o successiva verifica giurisdizionale della sua legittimità da parte della Autorità giurisdizionale nazionale.
La Suprema Corte osserva come quella in oggetto non sia propriamente attività rientrante nella nozione di operazioni di intercettazioni, perché non riguardante la captazione e la registrazione di dati comunicativi in itinere dal mittente al destinatario, ma di una vera e propria “decriptazione“.
In questa prospettiva, si è anche osservato che non assume rilevanza, ai fini del vaglio di legittimità del tipo di acquisizione in esame, “la questione se i dati stessi siano stati acquisiti dalla magistratura straniera ex post o in tempo reale“.
Ad avviso della Corte “è, tuttavia, opportuno in ogni caso evidenziare, costituendo essa un punto nodale di contrasto, la premessa delle suesposte conclusioni, secondo la quale
l’operatività dell’art. 234-bis cod. proc. pen. ‘può ritenersi giustificata esclusivamente nell’ipotesi di acquisizione di documenti e dati informatici, intesi come elementi informativi “dematerializzati”, che preesistevano rispetto al momento dell’avvio delle indagini da parte dell’autorità giudiziaria francese ovvero che erano stati formati al di fuori di quelle investigazioni: nel caso portato all’odierna attenzione di questa Corte, di contro, risulta in maniera sufficientemente chiara che quella acquisita è stata documentazione di attività di indagine della autorità straniera’. Si tratta di un’affermazione che, nella misura in cui debba interpretarsi nel senso di delimitare la predetta fattispecie ex art. 234-bis cod. proc. pen. alla sola acquisizione di dati informatici in ogni caso estranei, nella loro formazione, a qualsivoglia coinvolgimento di autorità investigative, appare entrare in contrasto con il diffuso e diverso indirizzo sopra esposto, secondo cui ciò che invece importa, per la rilevanza della norma citata, è che i flussi di comunicazione non fossero più in corso al momento in cui sono stati chiesti i dati e (a maggior ragione) quando quei dati furono trasmessi“.
Inoltre, è di interesse anche sottolineare che “l’acquisizione all’estero di documenti e dati informatici inerenti a corrispondenza o ad altre forme di comunicazione debba essere sempre autorizzata da un giudice: sarebbe davvero singolare ritenere che per l’acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico sia necessario un preventivo provvedimento autorizzativo del giudice, mentre per compiere il sequestro di dati informatici riguardanti il contenuto delle comunicazioni oggetto di quel traffico sia sufficiente un provvedimento del pubblico ministero. Tanto si sostiene anche alla luce della illustrata valenza della posizione assunta dalla Corte costituzionale in ordine all’estensione applicativa delle garanzie previste dall’art. 15 Cost., in materia di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (Corte cost., sent. n. 170 del 2023), considerata anche in collegamento con le posizioni assunte in materia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ricondotto “sotto il cono di protezione dell’art. 8 CEDU”, ove pure si fa riferimento alla “corrispondenza” tout court, i messaggi di posta elettronica (Corte EDU, sent. 5/09/2017, Barbulescu c. Romania, § 72; Corte EDU, sent. 3/04/2007, Copland c. Regno Unito, § 41), gli SMS (Corte EDU, sent. 17/12/2020, Saber c. Norvegia, § 48) e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet (Corte EDU, sent. Barbulescu, cit., § 74)“.
3. Rimessione alle Sezioni Unite
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ritiene che sussista una duplice questione di diritto che pare idonea a dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale che, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen. , considerata anche la particolare rilevanza della questione, giustifica la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte invitate, dunque, a decidere sulle seguenti questioni:
a) se in tema di mezzi di prova l’acquisizione di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato presso A.G. straniera che ne ha eseguito la decrittazione, costituisca acquisizione di “documenti e di dati informatici” ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. a mente del quale “è sempre consentita l’acquisizione di documenti e dati informatici conservati all’estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest’ultimo caso, del legittimo titolare” o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. o sia riconducibile in altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
b) se inoltre, tale acquisizione debba essere oggetto, ai fini della utilizzabilità dei dati in tal modo versati in atti, di preventiva o successiva verifica giurisdizionale della sua legittimità da parte della Autorità giurisdizionale nazionale.
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Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2023
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