Il diritto internazionale può essere inteso come il diritto della comunità degli Stati. Questo complesso sistema normativo, derivando dalla collaborazione degli Stati si pone al di sopra dello Stato stesso, il quale, con proprie norme, anche di rango costituzionale (si pensi all’art. 10 della Costituzione italiana), ne riconosce il primato e conseguentemente si impegna a rispettarlo[1].
E’ nota la distinzione che esiste tra il diritto internazionale o diritto internazionale pubblico, come da taluno viene anche definito[2], e il diritto internazionale privato[3]. Quest’ultimo è costituito da tutte quelle norme interne[4] che servono ad individuare la legge più idonea a disciplinare una determinata fattispecie, ossia la legge vigente nello Stato ove il rapporto è meglio localizzato. Entro i confini del diritto internazionale privato ritroviamo pure quelle norme che provvedono a circoscrivere verso l’esterno i rami pubblicistici dell’ordinamento statale[5].
Il movimento verso la riforma del diritto internazionale privato si è manifestato in Italia negli anni sessanta[6], ma è stato necessario attendere fino al 1995 per l’emanazione di una legge organica di riforma dell’intera materia. Si tratta della legge n. 218 del 31 maggio 1995 intitolata “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”, la quale, introducendo soluzioni profondamente innovative rispetto al sistema previgente, ha il merito di aver allineato il sistema italiano di conflitto a quelli degli altri Paesi europei ponendo fine ad una situazione di isolamento normativo[7].
Una delle principali novità della legge italiana di riforma è data dall’accoglimento, all’ultimo momento, della regola del rinvio da parte dell’art. 13, il quale, al 1° comma, stabilisce che quando negli articoli successivi è richiamata la legge straniera, si tiene conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato: a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio; b) se si tratta di rinvio alla legge italiana.
L’introduzione di una norma come quella contenuta nell’art. 13 della legge di riforma ha attribuito al nostro sistema di diritto internazionale privato un dinamismo ed un’elasticità sconosciuti alla precedente codificazione. Il rinvio, infatti, consente di “correggere” il richiamo alla legge sostanziale applicabile, effettuato in prima battuta dalle nostre norme di conflitto, mediante la possibilità di tener conto delle regole di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero richiamato[8].
2. Il problema del rinvio
Il problema del rinvio consiste nel domandarsi se il richiamo fatto dalla norma di conflitto del foro ad un ordinamento straniero si riferisca alle sole norme materiali di tale ordinamento o se, invece, includa anche le norme di conflitto dello stesso[9].
Occorre considerare, infatti, che l’ordinamento giuridico richiamato non contiene soltanto norme di diritto sostanziale, ma anche norme di diversa natura, come quelle di diritto internazionale privato, le quali costituiscono un nucleo a sé stante nell’ambito della normazione propria dell’ordinamento straniero richiamato[10].
Ne consegue che tutte le volte in cui la norma interna di diritto internazionale privato designa un dato ordinamento straniero come competente a regolare un fatto o un rapporto giuridico si pone il problema di stabilire se si deve tenere conto di qualunque valutazione che tale ordinamento ne faccia e, quindi, anche di quella per cui, considerando il fatto o il rapporto a sé estraneo, ne sottoponga la disciplina, mediante una propria norma di diritto internazionale privato, ad un ordinamento diverso; oppure se è sottinteso che la norma interna di conflitto intanto richiama quell’ordinamento straniero in quanto esige che da esso solo si desumano le norme regolatrici. Nel primo caso opererà il rinvio alle norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero richiamato; nel secondo queste ultime saranno escluse dal rinvio, dato che il loro funzionamento condurrebbe all’applicazione di una legge sostanziale diversa da quella voluta[11].
Il problema si pone esclusivamente nei casi in cui la norma di diritto internazionale privato che disciplina lo stesso fatto nell’ordinamento richiamato fa uso di un diverso criterio di collegamento rispetto a quello del foro, ossia quando si constata che l’ordinamento straniero cui rinvia la norma di conflitto del foro richiama un’altra legge[12].
Si parla di rinvio indietro o rinvio di primo grado quando la legge designata dalle norme di conflitto italiane rinvia al diritto del foro. Si parla, invece, di rinvio oltre o rinvio di secondo grado quando la norma di conflitto straniera designa una legge terza[13].
Il problema del rinvio non si pone quando la norma di conflitto del foro e quella dell’ordinamento richiamato sono identiche, né quando i due criteri di collegamento ritenuti divergenti giungono a designare la medesima legge, né, infine, quando il richiamo internazionalprivatistico opera verso il diritto interno dello stesso ordinamento del foro, dal momento che in questo caso è chiaro che esso si riferisce alle sole disposizioni di diritto materiale del foro[14].
Gli Stati possono, dunque, risolvere il problema del rinvio, in via legislativa o giurisprudenziale, ammettendo il solo rinvio indietro, oppure ammettendo tanto il rinvio indietro quanto il rinvio oltre, o ancora escludendo il rinvio. Optando per l’accoglimento del rinvio oltre, poi, questo potrà essere ammesso limitatamente all’ordinamento di un secondo o di un terzo Stato oppure senza limiti finché non si pervenga ad un ordinamento che non ammette il rinvio [15].
Nel corso del tempo gli Stati si sono avvalsi in pratica di tutte queste possibilità tenendo conto non solo degli argomenti addotti dalla dottrina, ma anche e soprattutto delle caratteristiche delle loro legislazioni. E’ chiaro, infatti, che la questione del rinvio non può essere considerata come fine a se stessa, dovendo essere inserita nel sistema di diritto internazionale privato dello Stato di cui si tratta.
3. Il rinvio nel diritto comparato
Se si escludono le anticipazioni avutesi nelle due decisioni del 21 febbraio 1652 e del 26 maggio 1663 del Parlamento di Rouen, che hanno, più che altro, un interesse storico [16], può dirsi che il dibattito dottrinale intorno all’ammissibilità del rinvio ebbe inizio in Francia, sul finire del XIX secolo, in occasione del famoso caso Forgo [17]. François-Xavier Forgo era un bavarese di nascita illegittima, deceduto in Francia dove risiedeva da molti anni, senza avervi mai acquistato legalmente il domicilio. Apertasi la successione ab intestato [18] in Francia, nel 1869, gli ingenti beni mobili del Forgo furono reclamati, in forza del diritto bavarese, dai parenti collaterali della madre. A quell’epoca la giurisprudenza francese si era pronunciata in favore della regola secondo cui la successione mobiliare è disciplinata dalla legge del domicilio del de cuius [19]. Con una prima serie di decisioni i giudici francesi stabilirono che la successione doveva essere regolata dalla legge dell’ultimo domicilio del defunto[20]: pertanto, poiché Forgo, al momento della morte, era domiciliato in Francia, si sarebbe dovuto applicare la legge francese e, di conseguenza, attribuire l’eredità allo Stato francese, in assenza di parenti dotati di vocazione successoriale[21]. In senso opposto si pronunciò la Corte di cassazione francese, investita della questione dall’Amministrazione pubblica francese. La cassazione, a sezioni unite, dopo aver sottolineato che l’eredità era costituita esclusivamente da beni mobili situati in Francia, che Forgo abitava da lungo tempo in Francia e che la successione doveva essere regolata dal diritto bavarese, dal momento che egli non aveva mai acquisito un domicilio di diritto in Francia, proseguì dicendo che, siccome secondo il diritto bavarese si deve applicare in materia di statuto personale la legge del domicilio o della residenza abituale e, in materia di statuto reale, la legge del luogo ove i beni mobili e immobili si trovano, nel caso di specie la legge francese è la sola applicabile « senza che sia necessario indagare se per la legge bavarese la materia delle successioni non testamentarie dipende dallo statuto personale o dallo statuto reale »[22]. Inoltre, poiché a quell’epoca il codice civile francese stabiliva che gli unici soggetti che potevano succedere al figlio naturale erano esclusivamente i fratelli e le sorelle, e non anche gli altri parenti collaterali, i beni ereditari vennero devoluti allo Stato francese, rappresentato dall’Amministrazione del demanio [23]. Così decidendo, dunque, la Corte di cassazione ha accettato il rinvio indietro operato alla legge civile francese dalle norme bavaresi di diritto internazionale privato[24].
Il modo in cui il caso Forgo è stato deciso è sintomatico della tendenza dei giudici a dichiarare applicabile la legge straniera richiamata ogniqualvolta essa faccia rinvio, con le sue norme di diritto internazionale privato, all’ordinamento del foro[25]. Anzi, la ragione principale per cui il rinvio indietro viene comunemente preferito dalle legislazioni dei vari paesi va ricercata proprio nel fatto che esso, a differenza del rinvio oltre, consente ai giudici di applicare la propria legge in luogo di quella straniera con la quale essi, di regola, non hanno molta confidenza[26].
Bisogna considerare, inoltre, che normalmente l’accoglimento del rinvio indietro conduce ad un circolo vizioso inestricabile, in quanto, se si accetta il sistema del rinvio, che consiste nel prendere in considerazione la legge straniera complessivamente considerata, tenendo conto sia delle sue norme materiali che delle sue norme di conflitto, si dovrebbe considerare totale anche il rinvio disposto dall’ordinamento straniero richiamato in prima battuta all’ordinamento del foro. Ma poiché la norma di conflitto del foro richiamata dalla legge straniera rinvia a sua volta alla legge straniera viene a crearsi quella che la dottrina ha definito come un gioco di specchi o una partita di tennis internazionale[27]. Nel caso Forgo i giudici non hanno spiegato né nella motivazione della sentenza, né nella massima come mai il circolo vizioso sia stato interrotto in favore del rinvio al diritto materiale francese, ma può condividersi l’opinione sostenuta da una parte della dottrina secondo cui soltanto in questo modo i giudici avrebbero potuto applicare la propria legge[28].
A differenza di quelli francesi, i giudici inglesi si sono mostrati fin dall’inizio favorevoli all’accoglimento della regola del rinvio, che hanno ritenuto ammissibile in tutte le sue specificazioni, facendo ricorso ad una tecnica tutta loro, comunemente designata come teoria del “doppio rinvio” o del “tribunale straniero” o come foreign court theory, e che consiste nell’applicare la legge che avrebbe applicato il giudice del Paese richiamato dalle norme di conflitto del foro se fosse stato investito della questione[29].
I prodromi di questa teoria si trovano nel famoso caso Collier v. Rivaz, deciso con la sentenza del 3 agosto 1841 dalla Prerogative Court of Canterbury[30]. Si trattava della validità formale di alcuni codicilli contenuti nel testamento di un suddito britannico il quale, secondo il diritto inglese, era domiciliato in Belgio al tempo della morte[31]. Tali codicilli erano redatti secondo le forme richieste dal diritto materiale inglese e non, invece, secondo le forme richieste dalla legge belga che avrebbe dovuto applicarsi quale lex domicilii[32]. La Prerogative Court of Canterbury, però, nella persona di Sir Herbert Jenner si pronunciò nel senso della validità dei codicilli affermando che i giudici inglesi, nelle particolari circostanze del caso, dovevano decidere come se si trovassero in Belgio[33]. E poiché venne accertato, sulla base delle testimonianze di esperti uditi nel corso del giudizio, che i giudici belgi avrebbero fatto ricorso al diritto inglese, fu proprio questo diritto ad essere applicato, con la conseguenza che i codicilli furono dichiarati formalmente validi[34].
In questa sentenza ed in altre che ne seguirono i giudici hanno finito, dunque, con l’applicare il loro diritto interno dando luogo, in pratica, ad un vero e proprio rinvio indietro[35], anche se nel loro modo di ragionare era implicita la possibilità di un doppio rinvio come venne alla luce alcuni anni dopo nel caso Annelsey[36], deciso nel 1929 dal giudice Russel e nel caso Ross[37], deciso nel 1930 dal giudice Luxmoore: in entrambi venne, infatti, utilizzata la medesima tecnica giudiziaria consistente nell’accertare come si sarebbero comportati i giudici dello Stato il cui diritto era indicato dalla norma di conflitto inglese[38].
In Germania, ancora prima del caso Forgo, la questione del rinvio era sorta nel caso Krebs c. Rosolino[39], deciso con la sentenza del 21 marzo 1861 dalla Corte Suprema (Oberappellationsgericht) delle Città libere della Confederazione germanica, sedente in Lubecca. Si trattava anche in questo caso della successione mobiliare di una donna domiciliata in Magonza al tempo della morte, ma cittadina di Francoforte. I figli chiedevano che fosse applicata la legge di Magonza che garantiva loro il diritto alla legittima, mentre la controparte invocava l’applicazione della legge di Francoforte che escludeva questo diritto. La Corte, dopo aver statuito che il diritto del luogo in cui la donna aveva avuto il suo ultimo domicilio dovesse essere applicato « nella sua totalità »[40], provvide a distribuire i beni successori così come lo avrebbero fatto i tribunali del domicilio e poiché il diritto di Magonza richiedeva l’applicazione della legge nazionale, la successione venne distribuita secondo le norme di diritto sostanziale di Francoforte.
In questa sentenza sembra che i giudici di Lubecca abbiano fatto applicazione della foreign court theory[41]. Tuttavia, nel momento in cui il diritto internazionale privato tedesco venne codificato, l’art. 27 della legge introduttiva al codice civile tedesco del 1898 (che è la prima norma scritta in tema di rinvio) accolse il solo rinvio indietro, già affermatosi nella giurisprudenza francese, limitatamente alle seguenti materie: capacità, matrimonio, rapporti patrimoniali tra coniugi, divorzio e successioni[42]. Il testo di detto articolo è stato progressivamente ampliato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tedesche, le quali, mediante interpretazione estensiva, sono giunte ad ammettere non solo il rinvio indietro, ma anche il rinvio oltre e ad applicarlo anche in materie diverse da quelle espressamente elencate[43].
Per quanto riguarda gli altri Paesi, può dirsi che il rinvio è preso in considerazione in una o in entrambe delle forme descritte dalla stragrande maggioranza delle recenti codificazioni nazionali di diritto internazionale privato[44].
4. Il dibattito dottrinale sul rinvio
Il dibattito dottrinale intorno al rinvio ha avuto un’intensità mai riscontrata per nessun altro problema della disciplina[45].
La dottrina meno recente, secondo la quale le norme di diritto internazionale privato hanno la funzione di delimitare la competenza normativa dell’ordinamento del foro rispetto agli ordinamenti stranieri, auspicava l’accoglimento del rinvio, considerato come un mezzo idoneo ad eliminare i conflitti positivi[46] e negativi[47] fra i vari ordinamenti[48].
Tale tesi può considerarsi superata. Attualmente, infatti, la dottrina è concorde nel ritenere che le norme di diritto internazionale privato sono dirette ad inserire nell’ordinamento richiamante norme materiali straniere in ordine alla regolamentazione di rapporti di diritto privato[49]. Nessun conflitto fra ordinamenti è, pertanto, ipotizzabile.
Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la dottrina prevalente era contraria al rinvio. Con l’affermarsi del metodo nazionale e, talvolta addirittura nazionalistico, di trattazione dei problemi della disciplina, si era diffusa, tra gli studiosi, la convinzione secondo cui l’accoglimento del rinvio avrebbe avuto lo stesso significato di un’abdicazione di sovranità da parte dello Stato del foro in favore del legislatore straniero[50].
Secondo questa parte della dottrina, inoltre, il richiamo ad una legge straniera operato dalle norme interne di conflitto per la risoluzione di determinate controversie, deve essere inteso come riferito alle sole norme sostanziali di quel diritto. Di conseguenza, l’interprete che applichi le norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero richiamato dalla norma di conflitto del foro in luogo delle norme materiali, non farebbe altro che contravvenire ad una chiara, ancorché implicita, volontà del legislatore[51].
A questa tesi, la dottrina più recente favorevole al rinvio ha obiettato che nel diritto internazionale privato non si pongono questioni di sovranità, ma di regolamento concreto di rapporti privati[52].
Un altro argomento addotto dagli autori contrari al rinvio è quello secondo cui esso conduce facilmente ad un circolo vizioso oppure ad una serie illimitata di riferimenti[53].
Questa tesi non può essere condivisa. Infatti, la serie di rinvii successivi non può essere molto lunga, dato che, da una parte, i criteri di collegamento possibili sono pochi e tendono a ripartirsi per lo più tra due o tre Stati, uno dei quali, peraltro, è quello del foro, dall’altra, quest’ultimo, per potersi dichiarare competente a conoscere della questione, deve necessariamente presentare un collegamento di qualche tipo con la fattispecie[54].
La dottrina favorevole al rinvio ritiene che esso sia un mezzo per realizzare l’armonia internazionale delle decisioni tra i Paesi interessati, ossia l’applicazione della stessa legge quale che sia il giudice adito[55]. Tale argomento è stato accolto anche da parte di alcuni autori che, pur condividendo in linea di principio l’atteggiamento negativo della dottrina meno recente nei confronti del rinvio, lo hanno ammesso limitatamente ai casi in cui esso conduca, in pratica, all’armonia internazionale delle soluzioni[56].
In realtà, che il rinvio conduca all’uniformità delle soluzioni è vero soltanto in linea di principio, dal momento che nessun coordinamento è possibile quando il rinvio è accolto da entrambi gli ordinamenti interessati[57]. Limitandoci al rinvio indietro, che viene generalmente ammesso, basterà considerare il caso della successione mobiliare di un francese domiciliato in Italia, in ordina al quale, in forza del rinvio, che oggi entrambi gli ordinamenti ammettono, il giudice francese applicherà la legge francese e il giudice italiano quella italiana[58].
Ancora più complicata è la situazione che si verifica quando uno Stato che segue il criterio della nazionalità per lo statuto personale applica le legge del domicilio e lo Stato che segue il criterio del domicilio applica quella della nazionalità. Si pensi, per esempio, al caso della successione di un inglese domiciliato in Italia: qui il giudice italiano giungerebbe ad applicare, mediante il gioco del rinvio, la soluzione inglese, posto che le norme inglesi, richiamate dall’ordinamento italiano, che segue il criterio della nazionalità, rinvierebbero, a loro volta, alla legge italiana, in quanto legge del domicilio. Per contro, se il rinvio fosse accolto anche dall’ordinamento inglese, il giudice inglese applicherebbe al medesimo caso la soluzione italiana, ossia la legge nazionale inglese cui rinviano le norme di conflitto italiane. In questo caso, come risulta chiaramente dall’esempio fatto, il rinvio non realizza alcun coordinamento tra sistemi, ma un semplice scambio di soluzioni, dal momento che ciascun giudice, anziché applicare la norma sostanziale straniera designata dalle proprie norme di conflitto, applica la legge materiale del foro[59].
Per poter giungere ad applicare la medesima legge materiale che applicherebbe il giudice straniero, realizzando così la tanto auspicata uniformità di soluzioni, occorre che uno dei due Paesi che vengono in considerazione accolga in materia di rinvio una soluzione opposta a quella dell’altro. In altre parole è necessario che uno accetti il rinvio e l’altro no[60].
Per raggiungere il risultato dell’uniformità delle soluzioni, il giurista olandese Meijers seguì una strada diversa da quella del rinvio. Egli, infatti, dopo aver riscontrato che la questione del rinvio si pone più che altro a causa della discordanza dei criteri di collegamento adottati dai vari Stati per regolare le questioni di statuto personale, suggerì di eliminare queste difficoltà mediante la stipulazione di accordi internazionali. In tali accordi, gli Stati avrebbero dovuto determinare quale dei due criteri di collegamento che vengono generalmente in considerazione, quello della nazionalità e quello del domicilio, doveva avere la prevalenza[61].
In applicazione di queste proposte vennero elaborati il Progetto di legge uniforme degli Stati del Benelux (art. 15 del testo incorporato nel Trattato dell’11 marzo 1951; art. 11 del testo riveduto incluso nel nuovo Trattato del 3 luglio 1969) e la Convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955 per regolare i conflitti tra la legge nazionale e la legge del domicilio[62]. Sebbene nessuno di essi sia mai entrato in vigore per difetto di ratifica, i due progetti hanno suscitato l’interesse degli studiosi, in quanto prevedono come possa essere praticamente favorita l’armonia delle soluzioni, senza attendere che si produca da sola per via legislativa o giurisprudenziale, nell’ambito dei vari sistemi di diritto internazionale privato[63].
La tecnica adottata nei due strumenti non tende a dare una nuova disciplina del rinvio, ma ad evitare che si producano le condizioni per il suo sorgere[64]. Secondo Meijers, infatti, i singoli Stati, nel risolvere i conflitti di leggi, non dovrebbero necessariamente ricorrere al criterio di collegamento adottato dal loro sistema di diritto internazionale privato, ma dovrebbero ammettere che i loro giudici, nei casi in cui sia possibile raggiungere l’uniformità delle soluzioni, ricorrano, in via sussidiaria, all’altro principio, ancorché ciò possa costituire una deroga al modo di essere del loro diritto internazionale privato complessivamente considerato[65].
Dopo aver considerato i vari argomenti espressi, nel corso del tempo, dalla dottrina in favore e contro il rinvio, occorre accennare ai dibattiti che si sono avuti in seno all’Institut de droit international, che è il consesso che riunisce i più autorevoli internazionalisti delle varie parti del mondo.
L’Institut de droit international, dopo essersi espresso a forte maggioranza contro il rinvio nella sessione di Neuchâtel del 1900[66], aveva ripreso ad occuparsi della questione nella sessione di Amsterdam del 1957, nella quale il relatore Maridakis aveva presentato due proposte. La prima ribadiva l’atteggiamento negativo assunto dall’Institut nella sessione del 1900[67]; la seconda temperava la soluzione negativa disponendo che « è desiderabile che le regole di diritto internazionale privato, le quali stabiliscono che lo stato della persona fisica ed i suoi rapporti di famiglia e di successione sono regolati secondo il diritto in vigore nello Stato della nazionalità o del domicilio ammettano un’eccezione qualora particolari circostanze impongano di applicare il diritto di un altro Stato, quale sistema più appropriato »[68].
Nessuna delle due proposte ebbe il consenso dell’Institut, cosicché i lavori in materia non ebbero ulteriore seguito[69].
Note:
[1] Cfr. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1997, p. 3.
[2] Cfr. CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 4.
[3] Il termine “diritto internazionale privato” fu coniato dal giurista nordamericano Joseph Story, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti e professore di diritto, il quale nella sua opera Commentaries on the Conflicts of Laws, Boston, 1834, scriveva: «This branch of public law may be fitly denominated private international law, since it is chiefly seen and felt in its application to the common business of private persons, and rarely rises to the dignity of national negotiations, or national controversies».
[4] Le norme di diritto internazionale privato non hanno d’internazionale che il nome: esse, infatti, costituiscono un settore dell’ordinamento giuridico statale (cfr. PACCHIONI, Elementi di diritto internazionale privato, Padova, 1931, p. 111 ss., pp. 126-127; PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, parte II, Roma, 1932, pp. 50-51; MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, parte generale e contratti, Torino, 1996, p. 2; CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 4; BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova, 1999, p. 11; per la dottrina straniera v. HOLLAND, Elements of Jurisprudence, Oxford, 1924, p. 432; DICEY, Conflicts of Law, London, 1927, p. 1-13; WHEATON’S, Elements of International Law, London, 1929, vol. I, pp. 9-10, p. 206; OPPENHEIM, International Law, London, 1928, vol. I, p. 5). La presenza dell’aggettivo “internazionale” si spiega se si tiene presente il contenuto della disciplina che pone l’ordinamento dello Stato in relazione con gli ordinamenti stranieri seguendo le linee delle relazioni fra soggetti giuridici privati (cfr. BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 11).
[5] Pensiamo, ad esempio, alle norme che stabiliscono in quali casi la legge penale si applica ai reati commessi fuori dal territorio o dagli stranieri (artt. 3 ss. c.p.) o quando la giurisdizione civile dei giudici italiani può essere esercitata (cfr. CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 3).
[6] Cfr. POCAR, Il nuovo diritto internazionale privato, Milano, 1997, p. 3; BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 44. Le ragioni principali del fenomeno della codificazione (o meglio della ricodificazione del diritto internazionale privato, a più di cento anni dalla prima ondata di codificazioni nazionali) in Italia così come in Europa vanno ricercate, da un alto, nel costante incremento della internazionalizzazione di tutti i settori della vita sociale ed economica, che ha determinato la pressante richiesta di una maggiore certezza e prevedibilità del diritto applicabile alle relazioni tra i privati caratterizzate da elementi di internazionalità e, dall’altro, nell’intensificazione e nel progresso degli studi eseguiti nel campo del diritto internazionale privato negli ultimi decenni che hanno contribuito a mettere in evidenza i limiti e l’inadeguatezza delle vecchie legislazioni nazionali e nello sviluppo di indirizzi e di orientamenti scientifici, che pur nella loro diversità, hanno offerto basi sufficientemente solide all’opera di revisione delle legislazioni (cfr. DAVÌ, Le questioni generali del diritto internazionale privato nel progetto di riforma, in Riv. dir. int., 1990, pp. 557-558).
[7] Cfr. BOSCHIERO, Appunti sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, Torino, 1996, p. 177.
[8] Cfr. MUNARI, Art. 13, in Legge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Commentario, a cura di Cian, Maffei Alberti e Schlesinger, in Le nuove leggi civili commentate, 1996, p. 1019.
[9] Cfr. GRASSETTI, voce Rinvio (Teoria del) (Diritto internazionale privato), in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1957, vol. XV, p. 1178. Ad esempio, trattandosi di determinare la capacità di un inglese domiciliato in Italia, la norma di conflitto italiana richiama la legge nazionale, che è quella inglese, la quale, assumendo invece come criterio di collegamento la legge del domicilio, designa la legge italiana: in tal caso, la legge richiamata dalle norme di conflitto inglesi è quella de foro, ma potrebbe trattarsi anche di una legge terza nell’ipotesi che l’inglese risulti domiciliato in un altro Stato (cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 176).
[10] Cfr. MONACO, voce Rinvio nel diritto internazionale privato, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991,vol. XXVII, p. 1.
[11] Cfr. MONACO, voce Rinvio nel diritto internazionale privato, cit., p. 1.
[12] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 176.
[13] Cfr. GRASSETTI, voce Rinvio (Teoria del), cit., p. 1178; VITTA, Diritto internazionale privato, Torino, 1972, vol. I, pp. 333-334; BALLARINO, voce Rinvio (diritto internazionale privato), in Enc. dir., Milano, 1989, vol. XL, p. 1005; Id., Diritto internazionale privato, cit., p. 255; MONACO, voce Rinvio nel diritto internazionale privato, cit., p. 1; MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, cit., p. 115; BOSCHIERO, Appunti, cit, p. 176; POCAR, Il nuovo diritto internazionale privato, cit., p. 32; PICONE, La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova, 1998, p. 122. Per la dottrina straniera v. LEWALD, La theorie du renvoi, RC 29 (1929), pp. 519-616; SPERDUTI, Théorie du droit international privé, RC 122, 1967, vol. III, p. 224 ss.
[14] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 176.
[15] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 334.
[16] Le decisioni del Parlamento di Rouen sono state discusse e criticate da FROLAND nella sua opera Mémoires concernant la nature et la qualitè des statuts, Paris, 1729, vol. I, pp. 478-480 e vol. II, pp. 1333-1334 e 1338-1339. Si veda a tal proposito NIBOYET, Froland, les conflits de qualifications et la question du renvoi, Revue de droit international privé, 1926, pp. 1-25.
[17] Sul caso Forgo, che provocò tre sentenze della cassazione francese, rispettivamente del 5 maggio 1875, del 24 giugno 1878 e del 22 febbraio 1882, v. LABBÉ, Du conflit entré la loi nationale du juge saisi et une loi étrangère relativement à la détermination de la loi applicable à la cause, in Clunet, 1885, pp. 5-16 ; LAINÉ, La théorie du renvoi en droit international privé, in Revue du droit international privé et droit pénal international, 1906, pp. 605-643 ; Id., ivi, 1907, pp- 43-72, 313-339, 661-674 ; Id., ivi, 1908, pp. 729-758 ; Id., ivi, 1909, pp. 12-40 ; PHILONENKO, L’affaire Forgo (1874-1882), Contribution a l’étude du droit international privé français, in Clunet, 1923, p. 281 ss. ; LEWALD, La théorie du renvoi, cit., p. 539 ; FRANCESCAKIS, La théorie du renvoi et les conflits de systémes en droit international privé, Paris, 1958, p. 227 ss. ; VITTA, Diritto internazionale privato, cit., pp. 335-336 ; BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1006 ; Id., Diritto internazionale privato, cit., p. 257 ; MAYER, Droit international privé, Paris, 1994, p. 150 ss. ; BOSCHIERO, Appunti, cit., pp. 179-180, nota n. 9 ; MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, cit., pp. 114-115. Il principio del rinvio era stato applicato ancor prima del caso Forgo da tre sentenze inglesi e da una tedesca ; esse, però, erano passate praticamente inosservate. Non è un caso, infatti, che la letteratura giuridica inglese e tedesca si servano ancora prevalentemente del termine francese “renvoi” tradotto, con il termine corrispondente, in altre lingue come l’italiano, lo spagnolo, ecc. (cfr. BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1006).
[18] Nella successione legittima o intestata (ab intestato), la legge determina un sistema completo di categorie di succedibili, che vanno dai più stretti congiunti fino allo Stato, il quale è chiamato a raccogliere l’eredità nei casi estremi quando manchino altri eredi testamentari o legittimi, oppure tutti vi abbiano rinunziato (cfr. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1997, XXX, ed., p. 820).
[19] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., vol. I, p. 335; BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1006; Id., Diritto internazionale privato, cit., p. 257; MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, cit., p. 115.
[20] Così argomentò la Corte d’appello di Bordeaux dando ragione ai parenti collaterali bavaresi (cfr. BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1006).
[21] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 179, nota n. 9.
[22] Cfr. Cour de Cassation civ., 24 juin 1878, in Clunet, 1879, p. 285 ss. Cfr. Anche VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 336; MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, parte generale, cit., p. 115; BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 179, nota n. 9.
[23] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., vol. I, p. 336.
[24] E’ significativa la massima di questa pronuncia della cassazione che mette in evidenza il rinvio dal diritto francese a quello bavarese e da questo, di nuovo, al diritto francese: « Una successione mobiliare è regolata dalla legge francese quando le norme di diritto internazionale privato della legge straniera designata dalla norma di conflitto francese declinano l’offerta di competenza fatta loro e rinviano al diritto interno francese » (cfr. Grands arrêts de la jurisprudence française de droit international privé, Paris, 1992).
[25] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, vol. I, cit., p. 336. In un rapporto divenuto famoso del Consigliere Denis alla “Chambre des requêtes”, la quale nel caso Soulié non esitò a confermare con sentenza del 9 marzo 1910 la giurisprudenza sul caso Forgo favorevole al rinvio, era scritto: « Les tribunaux français doivent considérer la loi française comme préférable, meilleure, plus équitable, renfermant une conception plus élevée du droit […] J’aime mieux que les tribunaux français, quand cela leur est permis, jugent d’après la loi française que d’après une loi étrangère qu’ils ne connaissent pas. J’aime mieux la loi française que la loi étrangère » (in Clunet, 1912, p. 1009 ss.).
[26] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 180.
[27] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 180; BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 256.
[28] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 180. In dottrina è stato anche sostenuto che tra le ragioni che possono aver guidato i giudici francesi ad interrompere il circolo vizioso in favore del loro diritto interno vi sia stato il desiderio di assicurare allo Stato francese «un’opulenta eredità» (cfr. MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, cit., p. 115).
[29] Cfr. MENDELSSOHN-BARTHOLDY, Renvoi in Modern English Law, Oxford, 1937; DE NOVA, Considerazioni sul rinvio in diritto inglese, in Riv. dir. int., 1938, p. 388 ss.; VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 338; BALLARINO, voce Rinvio, cit., pp. 1006-1007; Id., Diritto internazionale privato, cit., pp. 257-258; BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 189. L’affermazione secondo cui la regola del rinvio è accolta dalla giurisprudenza anglo-americana non è condivisa dal Grassetti, il quale in un interessante articolo del 1934, dopo aver preso in considerazione numerosi casi giurisprudenziali (tra i quali possiamo ricordare i casi Collier v. Rivaz, riprodotto in LORENZEN, Cases on the Conflicts of Laws, St. Paul, Minn., 1909, p. 17 ss., In re Annelsey, in Law Reports, Chancery Division, vol. I, 1926, pp. 692-709, In re Ross, in Law Reports, Chancery Division, vol. I, 1930, pp. 377-406, In re Askew, in Law Reports, Chancery Division, vol. II, 1930, pp. 259-278, e Collins v. Attorney General, in Times Law Reports, vol. 47, 1931, pp. 484-485), giunge alla conclusione secondo cui le Corti inglesi non decidono in base all’accoglimento o meno del rinvio, come principio proprio del diritto inglese, ma, ispirandosi a criteri pratici, pervengono talvolta a risultati analoghi, talvolta a risultati opposti, a seconda che il rinvio formi parte o meno dell’ordinamento richiamato in prima battuta (cfr. GRASSETTI, La dottrina del rinvio in diritto internazionale privato e la “common law” anglo-americana, in Riv. dir. int., 1934, pp. 3-41, 233-261 e 350-375).
[30] Si tratta della prima decisione in materia di rinvio (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 338). Il testo della sentenza è riprodotto in CURTEIS, Report of Cases argued and determined in the Ecclesiastical Courts, London, 1840, vol. I, p. 856 ss.
[31] Nel secolo scorso accadeva spesso che cittadini inglesi si stabilissero a vivere nelle grandi città europee come Parigi, Roma o Firenze. Essi, però, non acquistavano quasi mai la cittadinanza del Paese in cui si erano stabiliti e vivevano in colonie di connazionali. Al momento di fare testamento si servivano della forma prescritta dal diritto inglese, consistente nel redigere un documento alla presenza di due testimoni, convinti che la validità dell’atto sarebbe stata giudicata secondo il diritto inglese. Quest’ultimo, invece, stabiliva che la validità del testamento relativo a beni mobili dovesse essere giudicata prendendo come parametro le leggi vigenti nel Paese dove il testatore ha avuto il suo ultimo domicilio. Ne discendeva che tutte le volte in cui queste ultime non riconoscevano la forma inglese di testamento (è il caso dell’Italia), esso era invalido. Per aggirare l’ostacolo si ricorse allora all’espediente del rinvio: si escluse, infatti, l’applicabilità del diritto italiano, il quale sottoponendo gli atti di ultima volontà alla legge nazionale della persona, “rinviava” alla legge inglese, in quanto legge nazionale del de cuius (cfr. BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1007).
[32] In questo caso, dunque, il problema del rinvio deriva, come spesso accade, da una questione di qualificazioni, dal momento che nei due diversi Paesi che vengono in considerazione è diverso il concetto di domicilio. Per il diritto inglese, infatti, il domicilio si acquista animo et de facto e, cioè, con una residenza prolungata unita all’intenzione di stabilirsi in quel luogo, senza bisogno di alcuna autorizzazione governativa. Le cose stavano diversamente in Belgio, dove nel 1829, vigeva ancora il codice civile francese, il cui art. 13 subordinava l’acquisizione del domicilio all’ottenimento di una apposita autorizzazione governativa (cfr. GRASSETTI, La dottrina del rinvio, cit., p. 16, nota n. 2). Occorre considerare, inoltre, che al tempo della decisione in esame era principio consolidato di common law quello secondo cui la forma del testamento doveva essere regolata dalla legge in vigore al tempo della morte. Soltanto con l’emanazione del Will Act (comunemente chiamato Lord Kingsdown’s Act) del 1861 si stabilì che «nessun testamento o altra disposizione di ultima volontà sarà ritenuta nulla per un susseguente cambiamento di domicilio del testatore». Di conseguenza era sufficiente che per la validità del testamento che esso ottemperasse alle forme prescritte dall’una o l’altra delle due leggi, o quella dell’ultimo domicili del testatore, o quella del luogo in cui egli aveva il proprio domicilio alla data della redazione dell’atto (cfr. WESTLAKE, Private International Law, 1925, p. 85 ss., p. 121 ss.). Il Will Act venne emendato nel 1963 per adeguare l’ordinamento inglese alla Convenzione dell’Aja del 1961 sulla forma dei testamenti (cfr. BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1006).
[33] La Prerogative Court of Canterbury precisamente affermò: «The Court sitting here must consider itself sitting in Belgium under the particolar circumstances of the case» (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 339; BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1007).
[34] Cfr. GRASSETTI, La questione del rinvio, cit., pp. 16-17; VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 339; BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1007. In dottrina è stato acutamente osservato che per i giudici inglesi il rinvio « non è altro che uno strumento mediante il quale suppliscono a quella che considerano come la propria virtuale mancanza di giurisdizione in una certa materia, mancanza alla quale rimediano facendo, in pratica, subentrare quella del tribunale straniero appropriato » (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 340).
[35] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 339.
[36] La sentenza, decisa dalla Chancery Division della Alta Corte di Giustizia, è pubblicata in Law Reports, Chancery Division, 1926, vol. I, pp. 692-709. Si trattava della validità formale del testamento di una donna inglese domiciliata in Francia al tempo della morte, la quale aveva lasciato dei beni mobili in Francia ed in Inghilterra e aveva disposto di tutti i suoi averi diseredando le figlie, mediante un testamento redatto in Francia, ma secondo le forme prescritte dalla legge inglese. Si dovevano applicare le disposizioni sostanziali del diritto inglese che non riconosce la legittima e decidere, dunque, per la validità del testamento, oppure si dovevano applicare le disposizioni sostanziali del diritto francese e limitare il potere di disposizione ad un terzo dei beni della testatrice, considerando il resto come quota di legittima? Il giudice, tenendo conto di come la questione sarebbe stata risolta da un suo collega francese, dichiarò applicabile il diritto materiale francese; i tribunali francesi avrebbero, infatti, ammesso il rinvio indietro dal diritto inglese, legge nazionale del de cuius al proprio diritto (cfr. GRASSETTI, La questione del rinvio, cit., pp. 28-29; VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 339).
[37] La sentenza è pubblicata in Law Reports, Chancery Division, 1930, vol. I, pp. 377-406. Si trattava, come nel caso Annelsey della validità formale del testamento di una donna inglese domiciliata in Italia, la quale aveva lasciato, oltre ai beni immobili situati in Italia, delle ingenti quantità di beni mobili in Italia e in Inghilterra. Il figlio, diseredato dal testamento, chiese alla Corte inglese che si applicassero alla successione le norme sostanziali del diritto italiano, che gli riconoscevano il diritto alla legittima. Il giudice, tuttavia, dopo aver esaminato quasi tutte le decisioni rilevanti ed aver stabilito che i tribunali inglesi sono solo chiamate a stabilire in che modo avrebbero deciso le Corti della lex domicilii, nel caso di specie applicò le disposizioni sostanziali della legge inglese, dichiarando valido il testamento e respingendo ogni domanda dell’attore (cfr. GRASSETTI, La questione del rinvio, cit., p. 34; VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 339).
[38] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 339. Per un commento alla giurisprudenza inglese sul rinvio e della foreign court theory v. BATE, Notes on the Doctrine of Renvoi in Private International Law, Londra, 1914; DE NOVA, Considerazioni sul rinvio in diritto inglese, cit., pp. 388-426; FRANCESCAKIS, La théorie, cit., p. 105 ss.; LEWALD, La théorie, cit., p. 550 ss.; MENDELSSOHN-BARTHOLDY, Renvoi in Modern English Law, cit..
[39] Il testo della sentenza è pubblicato in Suffert’s Archivi für Entscheidungen der obersten Gerichte in den deutschen Staaten, Monaco, 1861, vol. 14, n. 107.
[40] Per indicare il “rinvio totale” i tedeschi usano il termine Gesamtverweisung (cfr. BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1007).
[41] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 338.
[42] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 338; BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1007.
[43] Cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 338. Prima dell’emanazione della legge introduttiva al codice civile, i tribunali, sia pure con oscillazioni, erano generalmente contrari al rinvio. Successivamente all’emanazione di detta legge, invece, l’atteggiamento dei giudici è mutato e il rinvio ha finito con l’essere accettato anche oltre i limiti stabiliti dal succitato art. 27. L’interpretazione estensiva di questo articolo si fonda sulla considerazione secondo cui le relative disposizioni devono essere considerate come meramente esemplificative. Attualmente il rinvio viene applicato anche in materia di forma degli atti, di obbligazioni e di diritti reali (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 338).
[44] Ammettono il rinvio in ciascuna delle due forme descritte, oltre alla Francia, alla Gran Bretagna ed alla Germania, il Belgio, l’Austria (§ 15 della legge 25 ottobre 1941), Israele (§ 64, 2° comma, del Palestine Order-in-Council, 1922 e il § 4, 3° comma, lett c) della legge sulle successioni del 1964), la Polonia (art. 4 della legge 12 novembre 1965), la Turchia e la Repubblica di Slovenia (legge 30 giugno 1999, che ha sostituito la legge del 15 luglio 1982 della Federazione jugoslava). Escludono in linea di principio il rinvio, salvo importanti eccezioni, la Svizzera e la Lousiana. Il rinvio è ammesso nella sola forma del rinvio indietro in Spagna, Ungheria e Giappone (art. 29 della legge 21 giugno 1898). Tra i Paesi che non ammettono assolutamente il rinvio, esclusa ormai l’Italia, possiamo ricordare la Grecia, l’Olanda, il Québec, i Paesi scandinavi e la maggior parte dei Paesi musulmani. In alcuni casi si è preferito codificare soluzioni meno rigide in materia di rinvio, senza presunzioni in favore o contro, ma subordinando la sua operatività al raggiungimento nel caso specifico di risultati ragionevoli ed equi, discrezionalmente apprezzati dai giudici. L’art. 8, 2° comma, del secondo Restatement americano, per esempio, subordina l’applicazione del rinvio alla coincidenza con gli obiettivi della norma di conflitto del foro disponendo: « When the objective of a particolar choice-of-law rule is that the forum reaches the same result on the very facts involved as would the courts of another State, the forum will apply the choice-of-law rules of the other State, subject to considerations of praticability and feasibility » (cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., pp. 177-178).
[45] Cfr. BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 258.
[46] Il conflitto positivo si ha quando, in una certa situazione, la norma di diritto internazionale privato di ciascuno dei due Stati attribuisce competenza alle proprie norme sostanziali. Così avviene, ad esempio, se un italiano muore con l’ultimo domicilio in Francia, lasciando soltanto dei beni mobili. Una controversi giudiziaria relativa alla sua successione verrebbe risolta da un tribunale italiano in base alle norme del nostro codice civile in applicazione della norma per la quale le successioni mobiliari ed immobiliari sono sottoposte alla legge nazionale del de cuius (art. 46, n. 1). Il giudice francese deciderebbe, invece, la questione in base alle norme del codice civile francese facendo applicazione della norma di diritto internazionale privato francese che applica alle successioni mobiliari la legge dell’ultimo domicilio del defunto. In tal caso il rinvio non servirebbe a nulla, dal momento che ciascuno dei due giudici pronuncia a modo proprio (cfr. BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 259).
[47] Il conflitto negativo si presenta quando la norma di diritto internazionale privato di ciascuno dei due Stati coinvolti nel caso attribuisce la competenza alle norme sostanziali dell’altro. Così accadeva, prima della riforma, se un francese moriva con domicilio in Italia, lasciando soltanto beni mobili. In questa ipotesi, tanto l’Italia quanto la Francia consideravano applicabile la legge dell’altro Stato: una soluzione uniforme può essere data dal rinvio che la Francia accettava e l’Italia, allora, no (cfr. BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 260).
[48] Cfr. VON BAR, Theorie und Praxis des internationalen Privatrecht, Hannover, 1889, vol. I, p. 278 ss.
[49] Cfr. MONACO, voce Rinvio nel diritto internazionale privato, cit., p. 2.
[50] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 178; BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 259.
[51] Cfr. DECLEVA, Sul problema del rinvio nel diritto internazionale privato, in Annali triestini, 1942, pp. 188-195, secondo il quale ammettere il rinvio equivale ad accogliere un criterio di differenziazione dei fatti posto dalla norma di conflitto straniera; si inserirebbe, così, nella classe dei fatti specificati dalla norma di diritto internazionale privato, una successiva discriminazione non prevista dal legislatore, discriminazione non riconducibile in alcun modo e dal punto di vista positivo alla sua volontà normativa. Per contro, in un altro studio, questo stesso Autore ha affermato che un’eventuale norma che accogliesse il rinvio darebbe luogo ad un ulteriore criterio di collegamento e, cioè, ad un concorso di criteri di collegamento in correlazione funzionale tra loro (cfr. DECLEVA, Sulla norma che statuisce l’accoglimento del rinvio nel diritto internazionale privato, Trieste, 1943, pp. 24-25).
[52] Cfr. MONACO, voce Rinvio nel diritto internazionale privato, cit., p. 2; BALLARINO, voce Rinvio, cit., p. 1007.
[53] Questo fenomeno è stato spiegato dalla dottrina ricorrendo ad immagini pittoresche. Il Kahn paragonava il rinvio ad un “gabinetto degli specchi” (cfr. KAHN, Abhandlugen zum Internationalem Privatrecht, München, 1928, vol. I, p. 124 ss.), il Buzzati ad un lawn tennis internazionale (cfr. BUZZATI, Il rinvio nel diritto internazionale privato, Milano, 1959, p. 77), il Bartin ad un animale che si morde la coda (cfr. BARTIN, Principes de droit international privé, Paris, 1930, vol. I, p. 211 ss.). Altri ancora hanno parlato di perpetuum mobile, di chassé-croisé, di carosello giuridico, ecc. (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., vol. I, p. 354, nota n. 44).
[54] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 184. Come è stato acutamente osservato dalla dottrina, l’argomento del circolo inestricabile è puramente logico e non è suscettibile di ostacolare seriamente la scelta che al riguardo un legislatore pragmatico intende effettuare in materia di rinvio: egli, infatti, quando vuole può « far scendere dalla giostra… dei rinvii circolari » (cfr. DE NOVA, Historical and Comparative Introduction, cit., p. 512). Questo argomento è stato abbandonato perfino dalla dottrina più recente contraria al rinvio (cfr. MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale, cit., p. 959). Del resto, l’’argomento del circolo inestricabile non ha più molto senso, de jure condito, dal momento che è la stessa disciplina positivamente prevista dall’art. 13, 1° comma, lett. b) della legge n. 218 del 31 maggio 1995, a far ritenere che il richiamo internazionalprivatistico operato da altri ordinamenti verso il nostro è limitato alle sole disposizioni materiali del foro.
[55] Cfr. BATIFOL, LAGARDE, Traité de droit international privé, Paris, 1993, t. I, p. 497 ss., per i quali è possibile concepire senza contraddizione che il legislatore, dettando lui stesso la propria norma di conflitto, preveda, quanto meno in certi casi, un coordinamento eventuale della propria norma di conflitto con quella straniera. Non vi sarebbe, in tal caso, alcun abbandono della norma di conflitto del foro « parce que la règle étrangère n’entre pas en jeu par miracle, mais par la désignation de notre règle de conflit; il y a donc coordination des deux règles ». Nello stesso senso v. DAVÌ, Le questioni, cit., p. 597; BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 183; BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., pp. 260-261.
[56] Cfr. PAGENSTECHER, Der Grundsatz des Ent scheidungseinklangs im internationalen Privatrecht – Ein Beitrag zur Lehre vom Renvoi, Akademie der Wissenschaften, Wiesbaden, 1951, pp. 357-420; LEWALD, Théorie, cit., p. 573 ss..
[57] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 181; BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 260. Questo argomento, inoltre, se può valere per il rinvio oltre, non è decisivo per il rinvio indietro, che viene comunemente accettato dagli Stati solo in quanto consente al giudice di applicare la propria legge in luogo di quella straniera, secondo quello che è stato definito “le point de vue egoïste ou nazionaliste” (cfr. VON OVERBECK, Les questions générales du droit international privé à la lumière des codifications et projects récents (Cours général de droit international privé), in Recueil des cours, 1982 – III, t. 176, p. 134).
[58] Cfr. BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 260.
[59] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 181; BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 260. Un espediente per risolvere questo problema è stato escogitato dalla giurisprudenza inglese con la foreign court theory, applicata tuttavia assai di rado. V. anche, supra, par. 3.
[60] Cfr. BOSCHIERO, Appunti, cit., p. 181.
[61] Cfr. MEIJERS, Bulletin Institut Intermèdiaire International (Leida), 1938, p. 191-231; Id., The Benelux Convention on Private International Law, AJCL, 1953, pp. 1-11.
[62] Sulla Convenzione dell’Aja del 1955 v. BORUM, in Liber Amicorum Algot Bagge, Stoccolma, 1955, pp. 16-21; MATIČ, in Yearbook AAA, 35 (1965), pp. 195-202.
[63] Sia il Progetto di legge uniforme tra gli Stati del Benelux che la Convenzione dell’Aja del 1955 stabiliscono che quando la legge dello Stato di cui una persona è cittadina e quella dello Stato in cui è domiciliata dispongono entrambe che, in questioni di statuto personale, debba venire applicata la legge nazionale, oppure la legge domiciliare, tale convergenza sia rispettata dai giudici di tutti gli Stati parti (in tal senso v. l’art. 11, 3° comma, del Progetto del Benelux e l’art. 2 della Convenzione dell’Aja). Quando, invece, la legge dello Stato di cui la persona è cittadina e quella dello Stato in cui è domiciliata facciano cadere le questioni di statuto personale sotto leggi diverse (l’una sotto la legge nazionale e l’altra sotto quella domiciliare) i due strumenti prevedono una disciplina non del tutto identica. Infatti, mentre il Progetto del Benelux (art. 11, 2° comma, del testo del 1969) rende applicabile la legge domiciliare solo nel caso che la persona di cui si tratta sia domiciliata nello Stato del foro, per la Convenzione dell’Aja (art. 1), la legge domiciliare è applicabile solo quando ciò sia prescritto dalla legge dello Stato di cui la persona è cittadina e anche nel caso in cui essa sia domiciliata in uno Stato che accolga il criterio della nazionalità (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., pp. 358-359).
[64] Lo stesso Meijers negava che le sue proposte avessero a che fare con il rinvio. A torto, dunque, la Convenzione dell’Aja del 1955 viene talvolta indicata come “Convenzione sul rinvio”. L’accostamento a questo istituto, in realtà, è dovuto al fatto che si è in presenza di una tecnica che rende inutile il rinvio, una di quelle, insomma, che una parte della dottrina ha ricompresso tra i c.d. pseudo rinvii, costituiti da « some confusing subjects that are, or seem to be, related to renvoi » (cfr. DE NOVA, Introduction, cit., p. 524).
[65] Cfr. MEIJERS, Bulletin, cit., p. 195.
[66] Nella sessione di Neuchâtel del 1900, l’Institut aveva accolto, con 21 voti contro 6, una risoluzione contraria al rinvio. Nella sessione di Oslo del 1932, il rinvio venne, invece, ammesso, anche se soltanto relativamente alla capacità di minori, alienati, ecc, a compiere atti patrimoniali inter vivos (v. Ann. Institut, 1932, p. 566 ss.). Nel 1952 la questione venne ripresa e fu istituita un’apposita Commissione. Il relatore di quest’ultima, Maridakis (autore del codice civile greco, contrario al rinvio), nel suo rapporto, si espresse contro il rinvio ed il suo punto di vista, benché non sottoposto a votazione formale, venne individualmente approvato dalla maggioranza dei membri della Commissione stessa. Tuttavia con la risoluzione del 6 settembre 1965, approvata nel corso della sessione di Varsavia, l’Institut scioglieva la Commissione, riservandosi di esaminare l’opportunità di crearne una nuova (cfr. VITTA, Diritto internazionale privato, cit., p. 352, nota n. 41).
[67] Il contenuto essenziale della proposta Maridakis era il seguente: « Quando la norma di diritto internazionale privato designa come applicabile il diritto di un determinato Stato, si intende con ciò il diritto materiale in vigore in tale Stato, ad esclusione delle norme di diritto internazionale privato dello Stato medesimo ».
[68] Cfr. Ann. Institut., 1957, vol. II, p. 17 e 53.
[69] Nella sessione di Varsavia del 1965, infatti, la questione fu definitivamente abbandonata, in quanto « au cours des dernières années le sujet s’est développé et élargi parce que des nouvelles questions… dignes d’une étude spéciale et détaillé… ne sont pas ancore suffisamment elucidées pour faire l’objet d’une Résolution » (cfr. Ann. Institut., 1965, Vol. II, p. 145 ss.).
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