La vicenda
Una cooperativa sociale, che godeva di contributi pubblici per l’effettuazione del servizio, aveva assunto alle proprie dipendenze due laureate in psicologia, non iscritte all’Albo, per effettuare servizi e consulenze di natura psicologica.
L’Ordine degli psicologi territorialmente competente, dopo aver definito in maniera transattiva le posizioni risarcitorie con le due dottoresse, condannate in sede penale, anche al fine di evitare il ripetersi di simili situazioni di abusivismo, estremamente pericolose in ambienti caratterizzati da chiusura e facili monopoli e lesive dei diritti dei propri iscritti, rivolgeva analoga richiesta anche alla cooperativa che le aveva consapevolmente assunte, e la domanda risarcitoria, rigettata dal Tribunale in prima istanza, veniva poi accolta in appello come da provvedimento allegato.
I presupposti giurisprudenziali
Per lungo tempo la giurisprudenza aveva sostanzialmente negato che gli Ordini professionali potessero qualificarsi come soggetti passivi del delitto di esercizio abusivo della professione e costituirsi, quindi, parte civile come soggetti danneggiati, ma recentemente si era invece affermato l’orientamento opposto, stando al quale essi sono legittimati a costituirsi parte civile a tutela dell’interesse di natura patrimoniale del rispetto della leale concorrenza nell’ambito della categoria rappresentata (cfr. ad esempio Cass. Pen. n. 22144/2008 e più di recente Cass. Pen. n. 39339/2017).
La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello bolzanina, richiamandosi alla giurisprudenza più recente, ha chiarito anche in ambito civile che un Ordine professionale può assumere la veste di soggetto danneggiato da un esercizio abusivo della professione, in quanto rappresentante degli iscritti all’Ordine in quel determinato contesto territoriale, che sono di fatto direttamente stati danneggiati dal comportamento abusivo posto in essere.
La domanda risarcitoria è, infatti, legittima se non ha come unico fondamento l’asserita lesione degli interessi morali della categoria ma anche il pregiudizio di carattere patrimoniale che sia, pure indirettamente, derivato ai professionisti regolarmente iscritti dalla concorrenza sleale posta in essere in un determinato contesto territoriale dagli autori del fatto.
Nel caso di specie, poi, la circostanza che la cooperativa in questione avesse consapevolmente assunto personale privo dei requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio della professione di psicologo, obbligava quest’ultima al risarcimento dei danni sia morali, che patrimoniali conseguenti all’illecito, quantificati in maniera equitativa, stante l’impossibilità di concreta valutazione. La sentenza d’appello riforma integralmente la sentenza di prime cure, che aveva, invece, sostenuto la tesi opposta.
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