Il fatto
A chiarirlo la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 38793 del 22 agosto 2018, respingendo il ricorso del presidente del consiglio di amministrazione di una s.r.l. , esercente attività di ristorazione, condannato ex art. 515 c.p. a quattro mesi di reclusione, poiché aveva venduto ai propri clienti una serie di alimenti congelati senza che vi fosse apposita indicazione.
La Cassazione, in proposito, affronta le censure di merito chiedendosi che se il menù del ristorante – recante la dicitura “Gentile cliente, la informiamo che alcuni prodotti possono essere surgelati all’origine o congelati in loco rispettando le procedure di autocontrollo ai sensi del Reg. CE 852/2004. La invitiamo quindi a volersi rivolgere al responsabile di sala per avere tutte le informazioni relative al prodotto che desiderate” – sia idoneo a rappresentare correttamente le pietanze al cliente o meno, determinando dunque il tentativo della frode in commercio, quale nella specie ravvisato.
La Cassazione: utilizzo dei surgelati da portare a conoscenza con la dovuta evidenza
E sul punto, gli Ermellini hanno confermato quanto adeguatamente motivato dai Giudici di secondo grado, seconda i quali il sistema predisposto dal gestore non era affatto sufficiente a fornire una puntuale informazione sulla qualità del prodotto venduto, in particolare sull’origine fresca, congelata o surgelata del prodotto, poiché l’iniziativa conoscitiva avrebbe dovuto essere presa dal cliente, il quale doveva essere ben accorto. In particolare, i giudici di merito avevano correttamente osservato che l’utilizzo di prodotti surgelati avrebbe dovuto essere portata a conoscenza del cliente con la dovuta evidenza, ad esempio apponendo asterischi al fianco dei prodotti o inserendo un’apposita avvertenza, collocata in grassetto prima della lista delle pietanze, e non già relegata, con carattere minuscolo, a margine delle pagine di presentazione del locale.
La buona fede impone un’informazione completa
Ed ancora, è stato congruamente motivato che, seppur non sussista uno specifico obbligo giuridico d’indicazione dello stato fisico del prodotto somministrato, comunque la buona fede del contratto avrebbe imposto un’informazione completa ed adeguata a favore del consumatore, tanto più che, nella specie, si tratta di un ristorante d’élite. E questo anche se la normativa comunitaria prevede l’equiparazione del prodotto fresco a quello congelato; un’equiparazione che però vale solo ai fini della disciplina igienico-sanitaria e non anche ai fini della disciplina civilistica.
Sussiste pertanto – concludono gli Ermellini – sia elemento oggettivo della condotta che l’elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo generico di aver fornito una informazione non adeguata per conformazione grafica e che sfuggiva dunque dell’avventore, peraltro – visti i prezzi dei prodotti e la loro presentazione nel menù – indotto a credere che il prodotto fosse fresco.
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