1. premessa: spunto e oggetto dell’indagine;
2. risultato e discrezionalità tecnica; rafforzamento del sindacato debole? a) Il caso elettrodotto; i criteri dell’azione amministrativa qualificano anche il suo scopo; b) il caso della base americana presso l’aeroporto di Vicenza; i limiti di operatività della discrezionalità si specificano sul piano degli effetti;
3. risultato e responsabilità erariale; la verifica preventiva dell’impatto sulla realtà secondo economicità ed efficacia; responsabilità per risultato non realizzabile;
4. risultato vertice politico e scelta del dirigente; la previsione del risultato neutralizza e tecnicizza la fiducia, conforma l’electio del dirigente ed è garanzia di imparzialità;
5. risultato “insopportabile” e discrezionalità “ridotta a zero”;
6. considerazioni in limine: risultato e merito;
7. i requisiti del risultato (possibilità, determinatezza/determinabilità, liceità) come declinazione dei criteri dell’azione amministrativa
1. Premessa: spunto e oggetto dell’indagine
Il presente lavoro trova matrice e spunto nelle riflessioni della dottrina che si è occupata di amministrazione di risultato1. Dottrina che ha evidenziato la acquisita rilevanza giuridica del risultato, la sua dimensione di elemento dell’ordinamento giuridico, di scopo ultimo dell’azione dei pubblici poteri, capace di incidere, modificandola, sulla realtà esteriore2 e la conseguente necessità per l’amministrazione di assumere un diverso modus operandi, che superi la logica meramente esecutiva, sostituendola con quella della responsabilità (del senso di responsabilità)3, e di collocarsi in una dimensione creativa4, in cui sembra aumentare lo spazio libero (o discrezionale) della p.A., non più stretta nei rigidi legami della legge 5.
La medesima dottrina ha, tuttavia, avvertito che non si tratta di libertà assoluta, atteso il dovere della p.A. di prendere in considerazione e di rispettare i diritti fondamentali e le rilevanti iniziative economico-sociali6, nel perseguimento dei fini dettati dalla legge (art. 1 l. 7.8.1990 n. 241) e degli obiettivi delineati dalla funzione di indirizzo politico (art. 4 d.lgs 30.3.2001 n. 165), assumendosi la responsabilità degli effetti delle proprie decisioni7.
La logica di risultato – che ha ampliato lo spazio libero irrinunciabile8 della p.A. – sembra, quindi, anche circoscriverlo entro nuovi ambiti, parametrati sulla previsione degli effetti che si produrranno o sulle conseguenze prodotte9.
È però necessario verificare quale sia la portata di detti nuovi ambiti, se e come essi costituiscano o possano costituire confine della discrezionalità (o della libertà, in una prospettiva più allargata) amministrativa e dunque se – a ben vedere – il risultato, quale scopo ultimo dell’azione amministrativa e nella sua dimensione di out-put previsto o prodotto, costituisca anche stringente parametro di valutazione delle scelte amministrative o – per meglio dire – confine tracciabile dello spazio riservato alla p.A.10.
E ciò anche alla luce della giurisprudenza che legge il processo amministrativo in termini di utilità concrete da conseguire e/o da conservare, dando rilievo prioritario all’effettiva soddisfazione del ricorrente, come essa si concretizza (o può concretizzarsi) sul piano degli effetti, dell’out-put scaturente dalla decisione amministrativa 11.
Nel tentativo di rispondere all’interrogativo, sono stati individuati alcuni settori di peculiare interesse, nei quali l’azione amministrativa o si caratterizza tradizionalmente per la presenza di un margine decisionale sostanzialmente intoccabile dal giudice, quali sono quelli della discrezionalità tecnica (con riferimento agli atti), quello della responsabilità erariale (per quanto attiene ai comportamenti) e quale è il settore della dirigenza (con particolare riguardo al momento della scelta del dirigente), dove a seguito della c.d. privatizzazione e della contaminazione con la logica di impresa, alla p.A. sono riconosciuti poteri analoghi (se non identici) al privato datore di lavoro12, con conseguente presumibile aumento della sfera di intangibilità delle decisioni, connesso alla maggiore libertà di organizzazione di cui gode la parte datoriale privata.
2. Risultato e discrezionalità tecnica; rafforzamento del sindacato debole?
La sindacabilità della discrezionalità tecnica è argomento ampiamente affrontato e dibattuto in dottrina13. Note sono le divergenze tra gli orientamenti in ordine ai limiti che in proposito incontra il sindacato giurisdizionale.
Per una prima – oramai risalente – corrente di pensiero, la discrezionalità tecnica atterrebbe al merito della scelta amministrativa. Pertanto l’oggetto del sindacato sarebbe costituito solo dal l’iter logico seguito dalla p.A. sotto l’aspetto estrinseco e formale. È il c.d. controllo estrinseco.
Secondo questa prospettazione, l’esame giurisdizionale circa la spettanza o meno del bene rivendicato (o di cui si rivendica la conservazione) dovrebbe arrestarsi in presenza di valutazioni tecniche, pena lo sconfinamento del giudice nel merito amministrativo. Il sindacato sarebbe possibile solo in presenza di elementi sintomatici di eccesso di potere quali l’illogicità manifesta e l’errore di fatto14
Consolidata in dottrina e giurisprudenza è, invece, la c.d. tesi del controllo intrinseco. La discrezionalità tecnica non attiene al merito, difettandovi completamente la scelta dell’interesse da perseguire sulla base di canoni di mera opportunità politica-amministrativa. Essa coinvolge una valutazione relativa all’analisi dei fatti, ancorchè opinabili in base a criteri scientifici e tecnici utilizzabili15 e non una ponderazione comparativa dell’interesse pubblico con gli altri che con questo entrano in contatto.
La valutazione è effettuata direttamente dal legislatore e la p.A. – avvalendosi di regole e conoscenze tecniche – deve unicamente verificare la sussistenza dei presupposti di fatto a cui la legge subordina l’esercizio del potere16.
In questa prospettiva, il fatto attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento e – ancorchè opinabile – non sfocia in una questione di opportunità, antecedente o successiva ad una scelta di merito17.
Pertanto “il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo”18.
L’orientamento de quo si è poi rafforzato con l’introduzione nel processo amministrativo della consulenza tecnica d’ufficio, che consentirebbe un accesso diretto al fatto da parte del giudice.
Come osservato da Cintioli19, tale introduzione ha consolidato le certezze dell’interprete circa il carattere intrinseco del sindacato della discrezionalità tecnica, non più riconducibile all’area del merito.
Quanto invece alla questione su quale sia il tipo di sindacato intrinseco consentito, il dibattito si è diviso in un sindacato di tipo forte – che consentirebbe un potere sostitutivo del giudice rispetto alla valutazione tecnica amministrativa ritenuta inattendibile – ed uno di tipo debole, limitato ai profili della ragionevolezza e della coerenza tecnica. Pertanto nel caso in cui il consulente d’ufficio giunga a conclusioni diverse da quelle della p.A., ma non ne evidenzi l’erroneità, la determinazione pubblica non potrebbe essere sostituita.
All’esito dell’indagine tecnica, il potere giurisdizionale deve solo verificare se la scelta amministrativa sia attendibile e ragionevole, deve cioè solo appurare che essa rientri nel novero delle soluzioni ragionevolmente possibili secondo le conoscenze specialistiche applicate, senza possibilità di preferire la soluzione tecnica emersa dal processo20.
Tra i due tipi di sindacato intrinseco, la giurisprudenza ha preferito quello debole, seppur precisando che, in ogni caso, non si è inteso porre dei limiti alla cognizione del giudice sui fatti oggetto di indagine o sulle valutazioni svolte dalla p.A. nell’applicare alla vicenda concreta la regola tecnica, ma solo ribadire che se si ritiene attendibile e ragionevole la scelta oggetto di giudizio, essa va esente da censure e l’organo giurisdizionale non può sostituire la sua scelta alla determinazione amministrativa21.
Deve quindi escludersi che la logica di risultato consenta un sindacato forte della discrezionalità tecnica22.
Resta però da valutare se – a ben vedere – la prospettiva di risultato comporti comunque un rafforzamento del sindacato debole23.
In altre parole, occorre verificare se tale prospettiva consenta un sindacato che – ancorchè circoscritto nei limiti della attendibilità e della ragionevolezza tracciati dalla giurisprudenza – in realtà permetta un controllo più penetrante dell’azione amministrativa, qualora assuma a suo oggetto specifico il prodotto del provvedimento, la trasformazione della realtà scaturente (o che può scaturire) dalla decisione pubblica sottoposta all’attenzione del giudice.
Un campione giurisprudenziale interessante ai fini che ci occupano è offerto da recenti pronunce in tema di allocazione di opere pubbliche.
3. Il caso elettrodotto; i criteri dell’azione amministrativa qualificano anche il suo scopo
Al riguardo, occorre precisare che in passato il giudice amministrativo ha ritenuto che la scelta del tracciato di un’opera pubblica – ed in particolare di un elettrodotto – costituisca manifestazione di un giudizio, se non di merito vero e proprio, di discrezionalità tecnica, la quale può essere sindacata in sede di legittimità solo sotto i profili della manifesta illogicità o irrazionalità; al di là di ciò il sindacato sull’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica finirebbe per interferire con valutazioni di vero e proprio merito amministrativo. Il che si è tradotto – in buona sostanza – nell’impossibilità di sindacare la scelta allocativa24.
Orbene, tali canoni valutativi di riferimento sembrano trovare nuova linfa e maggiore concretizzazione se adoperati in una prospettiva di risultato, inteso quale out-put prodotto e/o producibile dalla statuizione amministrativa.
Con decisione 28 agosto 2009 n. 68625 il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha rigettato l’appello della Enel Distribuzione s.p.a. per la riforma della sentenza 22.9.2000 n. 1748 del T.A.R. Sicilia, Catania, I di accoglimento del ricorso proposto da alcuni proprietari avverso il decreto assessoriale autorizzante l’occupazione da parte dell’Enel dei loro terreni per la realizzazione di una linea di trasporto dell’energia elettrica.
In particolare i proprietari – tramite censure di eccesso di potere, difetto di motivazione e travisamento dei fatti, disparità di trattamento, manifesta irrazionalità per contraddittorietà ed illogicità – avevano contestato il tracciato della linea elettrica, rilevando l’inspiegabile deviazione con il conseguente allungamento in corrispondenza dei propri fondi, in assenza di validi motivi di ordine logico e morfologico ed in mancanza di adeguata analisi comparativa con diverse soluzioni tecniche, meno gravose per l’Ente.
Il giudice di prime cure – con decisioni interlocutorie – disponeva consulenza tecnica per accertare lo stato dei luoghi, se la deviazione contestata fosse indispensabile per non interferire con costruzioni preesistenti ovvero se fossero possibili soluzioni tecniche alternative senza considerevole aggravio dei costi per l’ente costruttore. Dalla consulenza emergeva sia l’evitabilità della deviazione – essendo possibili tracciati alternativi – sia che una delle soluzione proposte in alternativa, oltreché fare salvo il terreno dei ricorrenti, apportava anche un vantaggio di natura economica per l’Enel, per risparmio sulla lunghezza dei conduttori e sul numero di tralicci.
Pertanto il T.A.R. emetteva decisione di accoglimento, contestata in appello poiché il giudizio scaturito dal ricorso introduttivo avrebbe riguardato, non aspetti di legittimità, bensì la cognizione di profili di merito, inibita al giudice amministrativo.
Il supremo consesso siciliano – come anticipato – però ha confermato la sentenza gravata, sottolineando, tra l’altro, che nel caso in esame non pare possano sussistere dubbi sul fatto che il Giudice di prime cure abbia giudicato esclusivamente sulla legittimità del provvedimento impugnato, valutandone la logicità e l’imparzialità ed omettendo qualsiasi esame sulla convenienza od opportunità dell’atto, ritenuto lesivo dai ricorrenti, in chè consiste il giudizio di merito26.
Il sindacato operato è rimasto nei limiti della cognizione di legittimità del provvedimento. Ed ad una prima lettura, lo scrutinio della decisione sembra fondato ancora sui parametri tradizionali del sindacato intrinseco debole. Tuttavia, deve osservarsi che la statuizione è stata ritenuta illogica e violativa del principio di imparzialità (laddove prevedeva una deviazione e conseguente allungamento interessanti il fondo dei ricorrenti) una volta che essa è stata raffrontata, comparata con le alternative possibili, che ne hanno dimostrato la non indispensabilità, la non convenienza economica per l’Ente costruttore e – nota il giudice di appello – la sua non corrispondenza al principio di proporzionalità ed al canone di buona amministrazione, atteso che ai sensi dell’art. 121, comma 2, r.d. 11775/1933 l’impianto e l’esercizio delle conduzioni elettriche devono essere eseguiti in modo da arrecare il minor pregiudizio possibile al fondo servente.
L’attendibilità e la ragionevolezza della decisione sono state valutate sul piano delle conseguenze da essa scaturenti, del risultato producibile e del suo impatto sulla realtà: possibilità di soluzioni alternative economicamente più convenienti e meno invasive per il privato.
E stando così le cose, pare potersi affermare che la verifica giurisdizionale rivolta all’out-put amministrativo – pur restando nel limiti sopra cennati del sindacato debole intrinsec – trovi in detto out-put un parametro di valutazione più forte, di corrispondenza (non tanto e non solo del provvedimento, quanto piuttosto) del prodotto, del risultato ai criteri dell’attività amministrativa (economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza). Criteri che, proprio perché caratterizzanti l’attività27 complessivamente intesa (e non l’atto), inevitabilmente devono qualificare anche lo scopo a cui la medesima attività tende.
Ed è ciò che è avvenuto nella vicenda che precede dove l’illogicità e l’inattendibilità della scelta amministrativa sono state riscontrate dalla dimostrata sua non corrispondenza al principio di imparzialità e di economicità, come emersa sul piano dell’efficacia, ossia del risultato che la decisione produceva.
4. Il caso della base americana presso l’aeroporto di Vicenza; i limiti di operatività della discrezionalità si concretizzano sul piano degli effetti
Con ordinanza 18 Giugno 2008 n. 43528, il T.A.R. Veneto, I, ha accolto la domanda cautelare annessa al ricorso proposto dal Codacons per l’annullamento della determinazione con la quale la direzione generale del Ministero della Difesa aveva autorizzato l’insediamento nell’aeroporto di Vicenza delle strutture americane.
Anche in questo caso il giudice ha posto la propria attenzione sul risultato scaturente dalla decisione impugnata, censurata (tra l’altro) sotto il profilo dei sui effetti sulla realtà circostante (in particolare sul reticolo idrologico e sulle risorgive esistenti). Il T.A.R., invero, ha configurato il pregiudizio lamentato in ordine all’impatto del consistente insediamento (e della connessa antropizzazione) sulla situazione ambientale, del traffico, dell’incremento dell’inquinamento e in ordine al rischio di danneggiamento ed alterazione delle falde acquifere. E ciò – si badi – senza disporre consulenza tecnica di ufficio.
Anche in quest’occasione l’illogicità della scelta amministrativa è emersa considerando i risultati da questa prodotti o producibili, che ne hanno mostrato l’inattendibilità, concretizzando e specificando sul piano degli effetti i limiti entro cui l’amministrazione deve applicare il concetto giuridico indeterminato costituito dalla norma tecnica29.
5. Risultato e responsabilità erariale; la verifica preventiva dell’impatto sulla realtà secondo economicità ed efficacia
La prospettiva di risultato acquista particolare valenza qualora dal carattere discrezionale o meno della scelta amministrativa – dalla sussistenza o meno di uno spazio libero riservato – dipenda la sussistenza della responsabilità erariale30.
Al riguardo la giurisprudenza contabile – in linea con quella amministrativa – ha sempre sostenuto che il sindacato della discrezionalità impone al giudice solo di verificare se la p.A., nell’effettuare una determinata scelta, abbia rispettato i criteri previsti dall’ordinamento per la fattispecie contemplata in astratto, senza operare alcuna sostituzione sul piano valutativo degli interessi (discrezionalità pura). Quanto allo scrutinio della decisione tecnica, ancora una volta i limiti sono tracciati dalla ragionevolezza e dalla attendibilità della determinazione.
Che sia discrezionalità pura o tecnica, anche in questo caso si tratta di un sindacato volto ad assicurare solo il rispetto delle condizioni e dei presupposti per il legittimo esercizio del potere31. E ciò sebbene nel giudizio di responsabilità l’accertamento riguardi non l’illegittimità dell’atto, bensì la illiceità dei fatti produttivi di danno erariale, all’interno dei quali il provvedimento rileva come accadimento, quale fatto anch’esso costitutivo della lesione patrimoniale arrecata alla p.A32.
Nonostante, dunque, sia specificamente un sindacato che opera sul piano degli effetti (rectius: sulla prevedibilità degli effetti, come si vedrà breve), anche il giudice contabile si trova innanzi ai medesimi limiti di quello amministrativo.
Tuttavia, alcune recenti pronunce si muovono in una prospettiva parzialmente diversa, che – pur all’interno dei confini tradizionali di sindacato – valorizza la previsione dell’impatto della decisione discrezionale sulla realtà e delle modificazioni che essa comporta33. Previsione che sembra divenire il metro della razionalità e dalla logicità della scelta effettuata34, che – seppur non paragonabile con altre alternative, pena la sostituzione del giudice alla p.A. – deve comunque essere ex se giustificabile.
Secondo questa giurisprudenza contabile35, lo scrutinio della conformità a legge dell’attività amministrativa va verificata anche sotto l’aspetto funzionale, ossia in relazione alla congruenza (o proporzionalità) dei singoli atti compiuti. L’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali (art. 1, comma 1 l. n. 20/1994) deve, infatti, essere correlata con l’art. 1 l. n. 241/1990 e quindi “l’esercizio della attività amministrativa, che comunque coinvolge l’impiego di risorse pubbliche, deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia. Da ciò deriva … che la valutazione della razionalità e della congruità dei comportamenti non deve essere effettuata ex post, ma ex ante; al momento, cioè, in cui gli amministratori hanno operato ed in relazione alle concrete esigenze da perseguire” 36.
È, in altri termini, un sindacato che, date le necessità in concreto da soddisfare, investe – a ben guardare – la previsione degli effetti scaturenti dalla determinazione amministrativa, sotto il profilo della convenienza (economicità), della congruità e della capacità di raggiungere il fine legislativamente fissato (efficacia). Dando dunque rilievo – si ripete – al risultato prefigurato e previsto dall’amministrazione che – per non divenire fonte di danno erariale, – deve essere conforme ad economicità ed efficacia, pena l’irrazionalità della scelta discrezionale per inidoneità a priori (e dunque anche a posteriori) nel raggiungimento del fine determinato dalla legge, come concretizzatosi nelle necessità rilevate dall’amministrazione37.
Responsabilità per risultato non realizzabile
Con decisione 24.11.2008 n. 364 la Corte dei Conti, sez. giurisd. d’appello della Regione Sicilia38 si è pronunciata sull’ipotesi di danno erariale derivante da conferimento d’incarico di progettazione.
Il Commissario straordinario di un comune, nei due mesi successivi al suo insediamento, accertata la necessità di realizzare un ricovero per minori e vista la relazione del locale ufficio tecnico attestante l’impossibilità di redigere il progetto, conferiva incarico di progettazione e direzione lavori a due professionisti esterni. L’opera veniva altresì inserita nel programma triennale dei lavori pubblici e per la sua realizzazione veniva chiesto e concesso anche un finanziamento regionale.
Ma, una volta consegnati gli elaborati progettuali, apposto il visto di conformità urbanistica, acquisiti i prescritti pareri e chiesto l’accreditamento delle somme, l’Amministrazione comunale (non più retta dall’organo straordinario) revocava l’incarico di progettazione per constatata inattuabilità dell’opera.
Sul sito interessato, infatti, era già stata prevista la realizzazione di una scuola, con relativi e precedenti affidamento di incarico di progettazione ed espletamento della gara per l’esecuzione dei lavori.
Il comune, quindi, rifiutava il pagamento dei professionisti che, ricorsi al giudice ordinario, si vedevano riconosciute le spettanze, seppur nei limiti dell’arricchimento senza giusta causa.
Quanto pagato dalla p.A. a tale titolo era reputato dalla procura erariale fonte di danno imputabile al Commissario straordinario, ritenuto in primo grado esente da responsabilità in ragione del brevissimo lasso di tempo – appena due mesi – tra la sua nomina e il conferimento dell’incarico di progettazione.
Di diverso avviso è stato il giudice di appello, che ha identificato l’antigiuridicità della condotta (conferimento dell’incarico, inserimento nel programma triennale di lavori e richiesta di finanziamento) giudicata gravemente negligente perché posta in essere senza la preventiva verifica della fattibilità dell’opera, ritenuta dalla corte condizione minima e imprescindibile per il conferimento di un incarico di progettazione e direzione dei lavori per la realizzazione dell’opera stessa, se si vuole evitare … il rischio di effettuare una spesa di denaro inutile perfettamente inutile.
La scelta discrezionale (conferimento d’incarico a progettista esterno), ancorchè effettuata nei limiti imposti dal legislatore (impossibilità per gli uffici di redigere il progetto) è stata sindacata sul piano della previsione degli effetti – rectius: della mancata previsione – evidenziando la sua intrinseca contrarietà a ius in termini di economicità e di efficacia.
4. Risultato, vertice politico e scelta del dirigente.
La costante evolutiva che ha caratterizzato negli ultimi trenta anni il pubblico impiego è certamente ravvisabile nella tendenza al superamento della contrapposizione tra lavoro pubblico e lavoro privato: con il passaggio da un modello burocratico ad un modello manageriale39.
Si è così concepita la sostituzione delle tradizionali figure del pubblico impiego con schemi privatistici, in modo da far penetrare nell’area pubblicistica norme e tecniche nate nella logica dell’efficienza manageriale40, per uniformare al meglio nel diritto comune del lavoro41 le posizioni giuridiche dei dipendenti, sia pubblici, che privati, verso la costruzione di un modello basato sulla tendenziale parità degli attori e sul restringimento dell’autorità quale diretto riflesso della pubblicità42.
Ma tale restringimento, lungi dal dare ingresso ad un sindacato più forte della determinazione amministrativa (che – si ricorda, qualora riguardi l’organizzazione del degli uffici e del personale – non si muove più su un piano di supremazia), sembra attribuirle nuovi e più estesi margini di libertà insindacabile, con tutti gli intuibili riflessi in termini di tutela (sostanziale e processuale) del personale.
E ciò non solo perché è venuto meno il sindacato di merito sostitutivo in precedenza attribuito al giudice amministrativo, ma anche perché il potere esercitato – almeno prima facie – in quanto contaminato dalla logica aziendale, sembra fuoriuscire dalla sfera della discrezionalità, per giungere verso i lidi dell’autonomia (privata) negoziale43, di per sé estranea alla logica estrinsecativa delle ragioni della scelta effettuata, in una dimensione in cui i motivi (la motivazione) rilevano solo in caso di illiceità, senza alcuna possibilità di far ricorso ai tradizionali canoni valutativi dell’attività amministrativa44.
Nella (nuova) ottica privatistica, sembrano non più essere pertinenti – o quantomeno non avere valore assorbente – né la tradizionale qualificazione in termini di interesse legittimo (puro) attribuita alla posizioni della dirigenza, né i tradizionali canoni di comportamento ai quali deve attenersi la p.A. nell’esercizio (corretto) delle sue potestà discrezionali, le quali, in quanto “privatizzate” tendono a sfuggire agli usuali canali di controllo dell’eccesso di potere.
E difatti, anche in dottrina ed in giurisprudenza si afferma sempre più spesso che oramai – con riguardo al rapporto con i propri dipendenti – l’Amministrazione “non è più titolare di un potere amministrativo e”, quindi, “… di … una potestà discrezionale”, ma esercita le sue prerogative all’interno di un ambito di valutazione e di scelta contrattualmente attribuito alla parte datoriale45.
Ma – si rimarca – il restringimento della sfera pubblica non ha comportato una limitazione della “libertà” della Amministrazione46.
Lo spazio libero della p.A. – dopo la riforma iniziata nel 1993 – sembra, infatti, trovare nuovi e più ampi confini, all’interno di un rapporto con il proprio personale (in particolare la dirigenza) sempre più basato sull’intuitus personae, sulla fiducia tra vertice politico e dirigenza47.
Si è dato vita ad un sistema che – sulla falsariga del modello aziendale privato e privilegiando la sintonia tra indirizzo politico e gestione – ha riconosciuto agli organi di indirizzo politico la possibilità di scegliere il dirigente ritenuto più idoneo al conseguimento degli obiettivi prestabiliti e che – stante il carattere temporaneo degli incarichi dirigenziali e la deroga al dettato dell’art. 2103 cod. civ. – non solo non consente al dirigente di rivendicare il consolidamento (e la conservazione) delle posizioni via via assunte nell’organizzazione amministrativa, ma lo lascia, altresì, in balia dei suddetti organi di indirizzo. Con conseguente precarizzazione della dirigenza e politicizzazione dei suoi vertici48, nonché compromissione dell’autonomia costituzionalmente riconosciutale.
Ciò detto – ai fini che ci occupano – l’indagine deve concentrarsi su un aspetto fondamentale del rapporto tra politica e dirigenza: il momento della scelta, del conferimento dell’incarico; onde verificare se ponendo l’accento sul risultato (prevedibile, previsto e prodotto) sia possibile uno scrutinio più incisivo della determinazione pubblica datoriale, ancorandola a parametri di obiettività.
La previsione del risultato neutralizza e tecnicizza la fiducia, conforma l’electio del dirigente ed è garanzia di imparzialità
Come appena detto, il progressivo (e per certi versi, inesorabile) accostamento tra dirigente pubblico e manager privato ha preso le mosse dalla necessità di costruire la macchina amministrativa secondo un disegno aziendale, in cui valore preponderante è dato alla fiducia riposta dall’organo di indirizzo nel suo manager/dirigente per la realizzazione del programma di governo.
Ma in che termini debba intendersi l’elemento fiducia, l’intimo contatto tra direzione e gestione e, soprattutto, su quali basi esso debba fondarsi?
A tal riguardo, sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno avvertito la necessità di ricondurre il rapporto fiduciario in termini fisiologici e di ancorare i suoi presupposti a caratteri oggettivi, di obiettivo riscontro, nella consapevolezza del necessario inserimento di detto rapporto all’interno di un circolo virtuoso teso al perseguimento dell’interesse pubblico.
Non è mancato, invero, chi ha avvertito che la relazione fiduciaria tra vertice politico e dirigenza debba essere intesa non in termini di affinità partitica o di contiguità, bensì in termini di continuità49, quale mezzo, tenuto conto di dati obiettivi, che assicuri – appunto – una continuità dell’azione amministrativa, intesa quale corrispondenza costante tra l’agire della p.A. con i fini individuati dal vertice politico, che non può sopportare cambiamenti estemporanei, determinati da eventi contingenti o da scelte del momento dettate da logiche di parte. Si tratta quindi di fiducia nel miglior esercizio delle funzioni pubbliche, da valutare secondo un giudizio fondato secondo i normali criteri della fedeltà del pubblico impiegato rispetto agli organi di vertice e della sua neutralità rispetto alla persone titolari di quegli organi ed all’avvicendarsi al Governo delle correnti politiche50.
Il rapporto fiduciario non può, dunque, basarsi tout court su un intuitus personae, fondato su affinità di idee personali o politiche, o generica compatibilità o simpatia, ma deve consistere – per quanto è possibile agli uomini – nella ricerca di dati obiettivi, con riferimento alla probabilità di svolgimento ottimale di mansioni pubbliche per un periodo di tempo indipendente dalle vicende governative51. È fiducia tecnica, basata sulla conoscenza del dirigente, delle sue qualità, della sua esperienza e preparazione professionale, della sua cultura: ossia su parametri in base ai quali è possibile giungere ad una ragionevole previsione che l’azione del dirigente sarà capace di perseguire i risultati prefissati, di realizzare la direttiva ricevuta, ossia conforme e coerente con gli obiettivi politici fissati in sede di indirizzo ed espletata da una posizione di imparzialità e neutralità52.
Il che implica – parimenti – un dovere del ceto politico di agire secondo imparzialità e buon andamento, prescindendo da logiche di parte e di procedere al conferimento degli incarichi dirigenziali secondo un giudizio prognostico – che sulla base degli obiettivi programmati, dei risultati previsti – dia adeguate garanzie che la funzione pubblica sarà esplicata nel miglior modo possibile. Con esplicitazione delle ragioni serie e di spessore53e che inducono verso la scelta di un determinato dirigente (anche in luogo di un altro). Ragioni che devono riguardare – si ribadisce – la fissazione degli obiettivi, ossia i risultati che il vertice politico prefigura e l’idoneità del dirigente scelto a conseguirli, nel rispetto dei criteri regolanti l’azione amministrativa.
Ed è in questa prospettiva che si muove – ad esempio – l’ordinanza 2.9.2009 n. 20854 del T.A.R. Molise, I sezione, in tema di nomina di un direttore generale di A.S.L.. Decisione il cui valore esemplare è ancor più significativo trattandosi nella specie di alta dirigenza, ambito nel quale l’intuitus personae è ancor più accentuato.
Un’associazione di categoria delle imprese del settore sanitario è ricorsa la giudice amministrativo avverso la deliberazione di giunta regionale molisana di nomina del nuovo direttore generale di una a.s.l.. ritenuta dall’associazione ricorrente lesiva del proprio interesse a che il settore de quo sia organizzato secondo imparzialità e buon andamento in quanto la scelta del dirigente era stata effettuata senza indicazione degli obiettivi da realizzare.
Ed il T.A.R. ha accolto l’istanza cautelare annessa all’impugnativa, atteso che la nomina del direttore generale … in assenza di specifici obiettivi da perseguire, incide sull’imparzialità dell’organo di vertice della A.S.L. rispetto ai possibili condizionamenti da parte dell’organo politico, nonché – soprattutto – sulla efficienza, efficacia ed economicità della gestione, verificabili solo attraverso la puntuale predeterminazione degli obiettivi gestionali55.
La necessaria previsione del risultato a cui è tenuto il vertice politico caratterizza ontologicamente il potere di scelta del dirigente e lo conforma imponendogli un precipuo dovere di esplicitare in modo puntuale e dettagliato gli obiettivi gestionali da affidare, consentendo al giudice di verificare l’ancoraggio della electio a parametro obiettivo.
5. Risultato “insopportabile” e discrezionalità “ridotta a zero”
L’individuazione del risultato come confine tracciabile e certo dello spazio libero riservato all’amministrazione implica – a questo punto – il problema di individuare l’ampiezza di detto spazio.
Dalla giurisprudenza citata in precedenza emerge, infatti, che l’ampiezza dello spazio libero riservato è tanto più circoscritta quanto più l’azione amministrativa si allontana dai criteri di efficacia ed economicità che la devono reggere, come statuito dall’art. 1 legge n. 241/1990, all’interno di una relazione, per così dire, inversamente proporzionale.
Orbene, vi è allora da chiedersi, se lo spazio decisionale riservato alla p.A. sia in toto eliminabile, qualora la relazione in parola venga portata alle sue estreme conseguenze 56.
In tal senso sembra muoversi la decisione 16 dicembre 20009 n. 305 del T.R.G.A., Trento57, pronunciatosi su un diniego di annullamento di un permesso di costruire in sede di autotutela.
Nella specie, la ricorrente aveva più volte segnalato al Comune alcune differenze dimensionali e di distanza dal proprio confine tra l’edificio preesistente, completamente demolito, e quello in fase di ricostruzione.
Avviato il procedimento per l’(eventuale) annullamento del titolo concessorio, il responsabile del locale U.T.C. – pur avendo riconosciuto il contrasto della nuova fabbrica con le norme di attuazione del P.R.G. – ne disponeva l’archiviazione per insussistenza di un apprezzabile interesse pubblico all’eliminazione del titolo.
Nell’impugnare l’ archiviazione la ricorrente aveva sostanzialmente lamentato la totale mancanza di comparizione di tutti gli interessi in gioco, compresi quelli suoi propri quale controinteressata a detta determinazione.
Ed il T.A.R. ha ritenuto fondata la censura in parola, circoscrivendo lo spazio libero della p.A. (spazio notevole in sede di autotutela) in ragione del risultato prodotto, guardando la vicenda sotto la lente dell’efficacia e dell’economicità (intesa come minimo mezzo) e ponendo l’accento sulla mancata considerazione di elementi che, nella specie, necessariamente dovevano far parte dell’out-put amministrativo.
Il giudice amministrativo ha, infatti, affermato che (anche) il potere di autotutela va vagliato alla luce dei principi fissati dalla legge sul procedimento amministrativo e che esso – ai sensi dell’art. 21 nonies l. 241/1990 – va sì esercitato entro un termine ragionevole, ma anche tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, individuati dal legislatore quali componenti necessari del risultato da prodursi58.
Vi è dunque un obbligo di graduazione degli interessi in gioco; il che impone in primis di definire la soglia di quello pubblico da annullare, da raffrontare successivamente con quello dei destinatari del provvedimento di autotutela e quello degli eventuali contro interessati, posti quest’ultimi sul medesimo piano e da considerarsi congiuntamente59.
E nella vicenda in esame – in cui numerose erano state le richieste di intervento da parte ricorrente affinché l’abuso fosse represso e si era aperto un procedimento in tal senso – dalla sopra citata graduazione è emerso che alla posizione del controinteressato (da tempo esposto al rischio di un intervento repressivo), si contrapponevano congiuntamente sia l’interesse al ripristino della legalità violata sia quello della ricorrente, il cui affidamento in una tempestiva sanzione dell’abuso rafforzava l’interesse pubblico a disporre l’annullamento in via di autotutela, “sicché dal loro stretto connubio si costituisce – ragionevole essendo il tempo dell’intervento del quale era stato dato tempestivo avviso – un indeclinabile obbligo di farvi corso.
Nella specie pare, quindi, poter ravvisare una positiva consonanza tra l’obbligo di graduazione prescritto dall’art. 21 nonies della L 7.8.1990 n. 241 … ed un suo possibile esito, con l’indirizzo elaborato dalla giurisprudenza tedesco-federale … che perviene in cosimili casi alla “Reduzierung auf null” (riduzione a zero) della discrezionalità amministrativa; effetto quest’ultimo che si costituisce in ogni vicenda nella quale la persistenza in giuridica vita del provvedimento amministrativo illegittimo sia “schlechthinunertraglich” e cioè semplicemente insopportabile. In tali peculiari vicende, la graduazione degli interessi pubblici e privati coinvolti può dunque autorizzare la conclusione che la preminente soglia da riconoscersi a taluno di essi, pubblici o privati che siano, possa così incisivamente astringere l’esercizio della discrezionalità, riducendo la potestà pur in astratto prevista ad un mero obbligo, del tutto analogamente a quanto ricorre in un tratto d’attività amministrativa strettamente vincolata”60.
6. Considerazioni in limine: risultato e merito
L’analisi – come emerge dalle sue premesse – non ha la pretesa di indagare anche il c.d. merito amministrativo61.
Senonchè in un contesto amministrativo ed ordinamentale al cui centro è posto l’obiettivo da raggiungere e la legittimità formale si pone sullo sfondo, nel quale il sindacato giurisdizionale sembra rafforzarsi poiché ancorato al parametro oggettivo del risultato (previsto o prodotto), e il controllo del giudice sembra spingersi fino a valutare anche i contenuti dell’agire discrezionale, l’area riservata del merito insindacabile pare interessata da un progressivo fenomeno di erosione62.
“Se si richiede alla P.A. di raggiungere, nel rispetto della legalità, determinati risultati di interesse pubblico, non si può valutare il suo comportamento senza tener conto anche della sostanza, cioè degli effetti in concreto del suo agire”63.
Come rilevato di recente, l’attenzione e la propensione al risultato implicano un generale ripensamento dei confini del merito insindacabile, limitato – ad esempio – ai soli atti assunti dalle autorità politiche nell’esercizio delle loro potestà di indirizzo64.
Non è certamente questa la sede per l’esame della problematica in parola.
Ciò che preme rilevare, infatti è che nel rapporto tra risultato e merito quest’ultimo sembra assumere contorni circoscritti al momento ed al motivo soggettivo della scelta65 la quale può, tuttavia, essere ricondotta ad oggettività proprio attraverso il suo prodotto, il risultato, in un relazione di autonomia assimilabile a quella tra artefice e (progetto dell’) opera d’arte66.
7. I requisiti del risultato (possibilità, determinatezza/determinabilità, liceità) come declinazione dei criteri dell’azione amministrativa
La ricerca di un parametro oggettivo che segni il confine dello spazio libero della p.A.. peccherebbe di astrattezza se non fosse capace di individuare i tratti essenziali del medesimo parametro, i requisiti minimi che lo devono caratterizzare e che devono sussistere già in potenza per sostanziarlo, individuarlo e misurarlo come entità a sé stante (ancorchè ancora in fieri), capace di impattare sulla realtà in tutta la sua portata modificativa, una volta che da progetto esso si fa prodotto67.
In proposito, sovviene attenta dottrina la quale ha precisato che “il risultato come progetto e come oggetto dovrà innanzitutto possedere i requisiti propri dell’oggetto degli atti che, sebbene contenuti nel codice civile in riferimento ai contratti, si presentano tuttavia quali norme di diritto comune … Si tratta innanzitutto della possibilità e della determinatezza (o della determinabilità) dell’oggetto che deve sicuramente contraddistinguere il risultato – cose, persone, azioni, – come oggetto del provvedimento disegnato dalle decisioni che lo precedono e lo accompagnano …. Anche il terzo requisito, la liceità, appare riferibile sul piano dell’azione amministrativa all’oggetto del provvedimento e alla sua costruzione”68.
Possibilità, determinatezza e liceità che – avverte la dottrina sopra richiamata – si traducono in norme di comportamento dei poteri pubblici – con divieto di porre in essere atti privi di oggetto (o con oggetto impossibile e/o indeterminato) e dovere di prefigurare (progetti di) risultati possibili determinati e leciti – la cui inosservanza si traduce in vizi del risultato69 rilevanti sul piano processuale, in una nuova prospettiva in cui la conformità al principio di legalità diviene attributo del risultato stesso e non più del provvedimento.
Ed essi (requisiti) – in quanto caratterizzanti il comportamento ed il prodotto amministrativo – sembrano avere la propensione a divenire declinazione70 in concreto dei criteri dell’azione amministrativa71:
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in questo senso può essere letta la vicenda decisa dalla Corte dei Conti illustrata in precedenza, nella quale la decisione amministrativa – sindacata sul piano della previsione degli effetti (rectius: della mancata previsione) – è stata ritenuta contraria a ius in termini di economicità e di efficacia in quanto il suo progetto di risultato non poteva tradursi in prodotto, o per meglio dire non aveva il requisito della possibilità;
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o ancora, se si fa riferimento alla nomina del direttore generale censurata dal T.A.R. Molise per mancata indicazione puntuale e dettagliata degli obiettivi gestionali da raggiungere, ossia per indeterminatezza dell’oggetto;
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o ancora, alla vicenda della base americana presso l’aeroporto di Vicenza, nella quale la decisione ed il suo progetto di risultato sono stati scrutinati sotto il profilo dell’“impatto del consistente insediamento (e della connessa antropizzazione) sulla situazione ambientale, del traffico, dell’incremento dell’inquinamento e in ordine al rischio di danneggiamento ed alterazione delle falde acquifere”, evidenziandone i (possibili) ingiusti danni che ne potevano scaturire, vale a dire la sua tendenziale illiceità;
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oppure al caso dell’elettrodotto la cui allocazione è stata ritenuta non conforme al minimo mezzo ed al criterio di economicità perché sacrificava ingiustamente le posizioni del privato e comportava costi inutili ed evitabili, svelando un (pr)oggetto illecito e non esattamente e giustamente determinato.
1 L. IANNOTTA, Previsione e realizzazione del risultato nella pubblica Amministrazione: dagli interessi ai beni, in D.A. n. 1/1999 p. 57 ss. in particolare p. 72. Per l’A. l’Amministrazione di risultato consiste ne le cose ben fatte e le persone soddisfatte, Merito, discrezionalità nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), in D.P.A. n. 1/2005 p. 37. In tal senso vd. anche R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, Bari Editori Laterza, 2002, p. 151, il risultato apprezzabile nel suo rilievo più squisitamente sostanziale (e quindi anche oltre la soglia della legalità in senso meramente formale), sarà dato dalla soddisfazione e dal rispetto dei beni della vita a opera delle pubbliche amministrazioni, nel senso che tali valori debbono essere assunti come norma fondamentale di orientamento e di indirizzo dell’azione dei pubblici poteri. E con ciò si realizza il passaggio dagli interessi ai beni, ossia la trasformazione in senso oggettivo della pubblica amministrazione, il suo transitare (quasi) da forma giuridica deputata ad assicurare la tutela delle situazioni soggettive del privato a struttura obiettivizzata, perché volta a curare quegli interessi pubblici e/o collettivi che sono interpretati nel procedimento … e che si materializzano anche nella garanzia obiettiva dei beni della vita che pertengono alla sfera della persona o che ne rappresentano, comunque, le aspettative non rinunciabili. Vi è, naturalmente sullo sfondo il conflitto (possibile) fra le ragioni del Nomos e quella della Giustizia, fra le pretese della Legge e le mitezze del diritto. Secondo G. PASTORI, La disciplina generale dell’azione amministrativa, in Annuario 2002 dell’Associazione dei professori di diritto amministrativo, Milano 2003, p. 34, il perseguimento del risultato è insito nella idea stessa di amministrazione. Sull’amministrazione di risultato, cfr. anche A. ROMANO TASSONE, Analisi economica del diritto e “amministrazione di risultato”, in D.A. n. 1/2007 p. 63 ss; Amministrazione “di risultato” e provvedimento amministrativo, in M. IMMORDINO, A. POLICE (a cura di) Principio di legalità e Amministrazione di risultati. Atti del convegno di Palermo 27-28 febbraio 2003, Torino; Sulla formula amministrazione per risultati, in Studi in onore di E. Casetta, Torino, 2001; F. LEDDA, Dal principio di legalità al principio d’infallibilità dell’amministrazione, in FA, 1997 p. 3303 ss.; F. PUGLIESE, Risorse finanziarie, consensualità ed accordi nella pianificazione urbanistica, in D.A. n. 1/1999, p. 13 ss.; G. CORSO, Amministrazione di risultati, in Annuario dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2002, p. 127 ss.; M. CAMMELLI, Amministrazione di risultato, in Annuario dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2002, p. 107 ss.; C.E. GALLO, Entusiasmi e prudenze nel reinventare il diritto amministrativo, in Not. Giur. Reg., 1999, p. 102 ss.; R. FERRARA, Procedimento amministrativo, semplificazione e realizzazione del risultato: dalla libertà dall’amministrazione alla libertà dell’amministrazione?, in Diritto e Società, 2000 p. 101 ss.; M.R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, Giappichelli, 2003; per un’analisi complessiva M. IMMORDINO, A. POLICE (a cura di) Principio di legalità e Amministrazione di risultati. Atti del convegno di Palermo 27-28 febbraio 2003, Torino, Giappichelli, (con contributi di: A. ROMANO TASSONE, Amministrazione “di risultato” e provvedimento amministrativo, cit. – M. IMMORDINO, Certezza del diritto e amministrazione di risultato – F. MERUSI, La certezza del risultato nell’Amministrazione del mercato – S. PERONGINI, Principio di legalità e risultato amministrativo – E. PICOZZA, Principio di legalità e risultato amministrativo, ovvero del nuovo diritto pubblico italiano – M. D’ORSOGNA, Teoria dell’invalidità e risultato – V. CERULLI IRELLI, Invalidità e risultato amministrativo – A. BARTOLINI, Nullità e risultato – A. ZITO, Il risultato nella teoria dell’azione amministrativa – G. CORSO, Il risultato nella teoria dell’azione amministrativa – A. POLICE, Amministrazione di “risultati” e processo amministrativo – D. SORACE, Sul risultato nel processo amministrativo: i due tipi di interesse legittimo e la loro tutela risarcitoria – R. LA BARBERA, Amministrazione di risultati e principio di responsabilità – I. M. MARINO, Responsabilità dell’Amministrazione e risultati – F. DE LEONARDIS, Responsabilità dell’Amministrazione e risultati – M. L. BASSI, Scelte di finanza pubblica e risultati – V. CAPUTI JAMBRENGHI, Scelte di finanza pubblica e risultati – F. FIGORILLI, Semplificazione amministrativa e amministrazione di risultati – M. A. SANDULLI, Semplificazione amministrativa e amministrazione di risultati – S. COGNETTI, Procedura amministrativa e amministrazione di risultati – R. FERRARA, Il procedimento amministrativo visto dal “terzo” – A. CONTIERI, Amministrazione consensuale e amministrazione di risultato – D. D’ORSOGNA, Una terapia sistemico-relazionale per la pubblica amministrazione: l’operazione amministrativa – E. FOLLIERI, Attività liberalizzate e amministrazione di risultati – M. CAMMELLI, Attività liberalizzate e amministrazione di risultati – L. GIANI, Regolazione amministrativa e realizzazione del risultato – C. CELONE, Legalità, interpretazione adeguatrice e risultato amministrativo nell’attività di regolazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici – M. RAGUSA, Risultati e servizi pubblici – M. R. SPASIANO, Organizzazione e risultato amministrativo – A. OLMEDA GAYA, Estrategia de modernización de las administraciones públicas: responder al cambio con el cambio – N. PALANTONIO, Controllo di gestione e amministrazione di risultati – C. MARZUOLI, Brevi note in tema di controllo di gestione e amministrazione di risultati – C. MODICA, L’«amministrazione per risultati» nella giurisprudenza amministrativa – S. RAIMONDI, L’amministrazione di risultati nella giurisprudenza amministrativa – S. PENSABENE LIONTI, L’amministrazione di risultati nella giurisprudenza amministrativa – L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative). A livello legislativo l’idea di amministrazione di risultato correlata alla soddisfazione dei bisogni dei singoli e della collettività è oramai inequivocabilmente affermata dal c.d. decreto Brunetta (d.lgs 27.10.2009 n. 150 (vd. in particolare art. 3 e 5).
2 L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), D.P.A. n. 1/2005 p. 3 e ss..
3 F. PUGLIESE, Nuove regole e nuova responsabilità. (Anche) per gli appalti e la gestione di lavori forniture e servizi, in Scritti recenti sull’Amministrazione consensuale: nuove regole, nuova responsabilità, Napoli, 1997, p. 13 ss..
4 In siffatta prospettiva, la p.A. – tenuta a prefigurare e preconsiderare l’impatto sulla realtà delle proprie decisioni – per realizzare la sua mission di servizio alla persona umana, deve assumere un atteggiamento attivo, capace di non arrestarsi innanzi agli ostacoli burocratici e formali dello schema legislativo di riferimento, entrare in una dimensione interpretativa e creativa che le consenta di “costruire” la regola giusta del caso concreto, innanzitutto attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme, ma anche compulsando il potere legislativo a modificare e/o ritirare il comando normativo qualora esso sia non applicabile e non modificabile. La mission dell’Amministrazione è puntualmente definita da U. ALLEGRETTI, Amministrazione e Costituzione, in Amministrazione pubblica e Costituzione, Cedam,, p. 11: I compiti dello stato sono felicemente espressi dalla Costituzione, nella maniera più diretta, esplicita e consapevole, attraverso le formulazioni … degli art. 2 e 3. Consistono, tutti insieme, nel riconoscimento, garanzia e perfezionamento dei diritti dell’uomo, della dignità e dello sviluppo della persona, considerata singolarmente e nei gruppi in cui si organizza. Dunque questo è anche il grande compito cui partecipa l’amministrazione: servire gli uomini. Sull’Amministrazione creatrice cfr. S. PIRAINO, La funzione amministrativa fra discrezionalità e arbitrio, Giuffrè Editore 1990, p. 86: Il ruolo creativo dell’azione amministrativa si coglie nel processo di valutazione degli interessi in conflitto, poiché attraverso tale valutazione la pubblica amministrazione ricava dalla norma di legge il contenuto più completo specifico che essa forma per il caso particolare; M. R. SPASIANO, Spunti di riflessione in ordine al rapporto tra organizzazione pubblica e principio di legalità: la regola del caso, in D.A. n. 1/2000 p. 131 ss., in particolare p. 138: la concreta tutela apprestata dalla p.a. ad uno specifico bene della vita non può che essere il portato di un’opera di conformazione del potere ai fatti della realtà, mediante l’individuazione di un interesse finale che non è necessariamente dato dalla somma algebrica degli interessi generali e di quelli particolari individuati, ma sovente presenta caratteri propri che lo differenziano da ciascuno degli interessi parziali, con la conseguente enfatizzazione del ruolo creativo della pubblica amministrazione o quantomeno di compartecipazione creativa dell’ordinamento complessivo; del medesimo autore vd. anche Funzione amministrativa e legalità di risultato, Giappichelli Editore, Torino, 2003. Sulla lettura costituzionalmente orientata delle norme da parte della p.A. sia consentito il richiamo a S. TIRELLI, Diritto fondamentale al ricongiungimento dei genitori con i figli, in appendice a L. IANNOTTA, Principio di legalità e Amministrazione di risultato, in C. PINELLI (a cura di), Amministrazione e legalità: fonti normative ed ordinamenti, Milano 2000, Giuffrè Editore.
5 R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, Bari, Editori Laterza,2002: il concetto di discrezionalità … identifica e riassume la stessa idea di amministrazione pubblica … in mancanza di una quota, pur graduale e quindi anche minima e relativa, di potere discrezionale in capo agli apparati amministrativi faccia difetto – e quindi manchi del tutto – l’amministrazione pubblica così come essa è idai più modernamente intesa e soprattutto positivamente strutturata (p. 42-43) … Ogni discorso sulla discrezionalità amministrativa non può, naturalmente, non focalizzarsi introno al rapporto fra legge e attività amministrativa puntuale … il potere discrezionale delinea e misura, sul piano quali-quantitativo, la libertà delle pubbliche amministrazioni, libertà che si esprime e si manifesta anche sul piano dell’attribuzione della potestà normativa in senso tecnico agli apparati di governo e di amministrazione (p. 68).
6L. IANNOTTA, Costruzione del “futuro” delle decisioni e Giustizia nell’Amministrazione di risultato, in L. IANNOTTA (a cura di), Economia, diritto e politica nell’amministrazione di risultato, Torino, G. Giappichelli, 2003, p. 7; M. R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, G. Giappichelli, 2003, p. 172 ss..
7 L’amministrazione di risultato scardina lo schema esecutivo e lo sostituisce con lo schema della responsabilità degli effetti. Si tratta di libertà implicante responsabilità e con essa l’obbligo di cercare e trovare la norma giusta: L. IANNOTTA, Previsione e realizzazione del risultato nella pubblica Amministrazione: dagli interessi ai beni, in D.A. n. 1/1999, p. 101. L. IANNOTTA, Diritto comune dello sviluppo: rispetto e soddisfazione dei diritti, efficacia ed economicità delle decisioni, in A. Flora (a cura di), Mezzogiorno e politiche di sviluppo. Regole, valori, capitale sociale, ESI, Napoli, 2002, p. 66: Il rapporto con la legge nell’Amministrazione di risultato sembra passare da un atteggiamento applicativo (a volte esecutivo), ancorchè con margini di libertà interpretativa o di discrezionalità, alla libertà responsabile (implicante appunto verifica della economicità, giustizia, giuridicità, costituzionalità delle conseguenze) preliminare all’applicazione.
8 R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, Bari, Editori Laterza,2002, p. 68: lo Spierlraum … la relativa libertà di gioco di cui godono gli apparati nel quadro dei processi cognitivo-valutativi e decisionali, è ineliminabile, potendo essere semmai circoscritto ed assoggettato ad opportune forme di controllo, soprattutto di origine e natura giudiziale, come è noto.
9 L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), D.P.A. n. 1/2005, p.23: il risultato delineato nella decisione, emergendo a conclusione dell’esercizio del potere amministrativo e di tutte le facoltà, competenze e apporti che lo caratterizzano (in ogni singola vicenda) appare verificabile in sé e in rapporto alla sua idoneità a tradursi in risultato concreto tecnicamente valido e rispettoso dei diritti (in senso ampio), senza sostituzioni o invasioni (ma comunque con forte riduzione del merito, con la trasformazione della discrezionalità e con l’ampliamento – peraltro già in atto – del controllo per così dire tecnico sui progetti di risultato scaturiti dalle arti amministrative). In altri termini il controllo anche e soprattutto giudiziario sembra poter e dover riguardare il risultato definito e concretizzato dall’Amministrazione (totalmente o a frammenti) per accertarne la determinatezza, la possibilità, la funzionalità, la validità tecnica e la giustizia, quand’anche emerso da scelte libere e riservate. Un parametro basato sulla previsione degli effetti sembra idoneo anche a limitare la discrezionalità del legislatore. In tale prospettiva è possibile leggere C. Cost. 26.2.2010 n. 80 (in http://www.lexitalia.it/p/10/ccost_2010-02-26-5.htm) secondo la quale se è vero che il legislatore nella individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili gode di discrezionalità, è anche vero che detto potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati. Pertanto vanno dichiarate illegittime quelle norme che incidono proprio sul nucleo indefettibile di garanzie delle persone disabili che costituisce limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore. Nella specie è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 414, l. n. 244/2007 nella parte in cui escludeva la possibilità, già contemplata dalla l. n. 449/1997, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente. L’impossibilità della assunzione in deroga – secondo la Corte – pregiudicava l’effettivo esercizio del diritto fondamentale del disabile all’istruzione.
10 L’interrogativo pare avere facile soluzione se lo si limita al piano legislativo. Basti in proposito fare riferimento al criterio dell’efficacia ex art. 1 l. 7.8.1990 n. 241, oppure al secondo comma dell’art. 21 octies della medesima legge secondo il quale il momento patologico dell’azione amministrativa (il vizio) assume effettiva rilevanza solo se incide sul contenuto del provvedimento o, per meglio dire, solo se modificativo dell’impatto che la decisione avrebbe potuto avere sulla realtà. L’articolo de quo sancisce che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Cfr. A. ROMANO TASSONE, Giudice amministrativo e interesse legittimo, in D.A. n. 2/2006 p. 290: il tanto discusso art. 21 octies della l. n. 241 del 1990 .. non fa altro che parametrare la tutela dell’annullamento, anche in negativo, sulle meritevolezza intrinseca della pretesa alla realizzazione dell’interesse materiale di base del ricorrente. Circa l’ampiezza del sindacato del giudice amministrativo sul risultato scaturente dall’azione amministrativa cfr.T.A.R. Veneto, 4.4.2008 n. 857, in il Foro Amministrativo T.A.R. n. 4/2008 p. 968: con riguardo all’ampio sindacato del giudice in ordine alla effettiva ineluttabilità dell’atto adottato, di cui all’art. 21 octies, comma 2, seconda parte, essa va esclusa tutte le volte che anche una minima statuizione ivi contenuta avrebbe potuta essere modificata dall’apporto procedimentale del soggetto pacificamente pretermesso.; in giurisprudenza vd. anche T.A.R. Veneto, III, 3.7.2009 n. 2103 in F.A. TAR n. 7-8/2009 p. 2036; T.A.R. Lazio, Roma, III quater, 14.7.2009 n. 7003 in F.A. TAR n. 7-8/2009 p. 2155. Sull’art. 21 ocities cfr. anche L. FERRARA, I riflessi sulla tutela giurisdizionale dei principi dell’azione amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento: verso il tramonto del processo di legittimità?, in D.A. n. 3/2006 p. 600 ss.; dello stesso A. La partecipazione tra illegittimità e “illegalità”. Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in D.A. n. 1/2008 p. 103; G. BERGONZINI; Art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, in D.A. n. 2/2007 p. 231 ss.; G. CARLOTTI, Il nuovo procedimento amministrativo (leggi n. 15 e n. 80 del 2005), Padova, Cedam, 2005; E. FOLLIERI, la giurisdizione del giudice amministrativo a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e dell’art. 21-octies della l. 7 agosto 1990 n. 241, in www.giustamm.it; D. CORLETTO, Vizi “formali” e poteri del giudice amministrativo,in D.P.A. n. 1/2006 p. 33 ss.; G. SALA, Procedimento e processo nella nuova legge 241, in D.P.A. n. 3/2006 p. 572 ss. in particolare p.582 e ss sulla valorizzazione del risultato dell’attività amministrativa; F. VOLPE, La non annullabilità dei provvedimenti amministrativi illegittimi, n D.P.A. n. 2/2008 p. 319 ss; L. IANNOTTA, La conoscenza della fondatezza della domanda nella giurisprudenza amministrativa dopo le riforme del 2005 della legge 241 del 7 agosto 1990, in Diritto e processo amministrativo n. 2/2009, a cui si rimanda anche per un’analisi più approfondita della giurisprudenza; A. PUBUSA, La legge 241 novellata: antinomie e ipotesi ricostruttive, in Diritto e processo amministrativo 2007, p. 571 ss.; N. LONGOBARDI, La motivazione del provvedimento amministrativo dopo la l. n. 15 del 2005 in Diritto e processo amministrativo n. 4/2008 p. 1023 ss.; A. FABRI, Natura sostanziale o processuale del diritto di annullamento per vizi formali o procedimentali, in Diritto e processo amministrativo 2008 p. 1045 ss.. Sulla tematica della irregolarità/invalidità del provvedimento ante riforma 2005 cfr. anche F.G. SCOCA, Vizi formali, vizi sostanziali e procedimento amministrativo italiano, Relazione al X convegno biennale di diritto amministrativo dell’AGATIF, Brescia 23 ottobre 2003; G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, in Annuario 2002 dell’Associazione Italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano 2003 p. 79 ss.; A. ROMANO TASSONE, Osservazioni su invalidità e irregolarità degli atti amministrativi, in Annuario 2002 dell’Associazione Italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano 2003 p. 101 ss.; A. POLICE, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c.d. formali e vizi sostanziali, in D.A. n. 4/2003, p. 735. Ancora potrebbe segnalarsi la disciplina in tema di valutazione della dirigenza e connessa responsabilità: cfr. F.G. SCOCA, Attività amministrativa, voce in Enc. Del Dir. (VI aggiornamento) Milano 2002, p. 100 nota 117, il quale evidenzia che l’attenzione ai risultati si denota per la prima volta nella disciplina della dirigenza amministrativa – D.P.R. 748/1972 – ove in sede di responsabilità dirigenziale, si fa riferimento ai risultati negativi dell’organizzazione del lavoro e dell’attività dell’ufficio: art. 19, 3° comma. L’affermazione piena della rilevanza dei risultati si ha peraltro con le riforme degli anni ’90: sempre in tema di disciplina della dirigenza amministrativa si prevedono procedure di verifica dei risultati conseguiti: art. 20 D.Lgs n. 29 del 1993: v. ora l’art. 20 D.Lgs n. 165 del 2001. Quella riguardante le funzioni di controllo attribuite alla Corte dei Conti, nella cui legge di riforma delle funzioni di controllo (legge n. 20 del 1994) si stabilisce che la Corte accerta la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi, e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa. Da ultimo si veda anche il c.d. decreto Brunetta che inequivocabilmente fa riferimento alla performance, posta in relazione – peraltro – con il soddisfacimento del destinatario dei servizi e degli interventi della p.A.: cfr. artt. 3 e 5 d.lgs 27.10.2009 n. 150.
E prima facie, la risposta può dirsi agevole anche sul versante processuale. L’ingresso della realtà fattuale, degli interessi umani e dei beni nella loro materialità all’interno del procedimento e del processo amministrativo, impongono non solo all’Amministrazione, ma anche al giudice amministrativo, l’adozione di decisioni idonee a risolvere conflitti e comporre interessi reali e concreti), non più preordinati per legge, bensì dalla effettiva rilevanza da essi assunta nel loro reciproco incontro-scontro. Cfr. L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel processo amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, in D.P.A. n. 2/1998 p. 327 ss; dello stesso autore vd anche Previsione e realizzazione del risultato nella pubblica Amministrazione: dagli interessi ai beni, in DA n. 1/1999, p. 57 ss. Scienza e realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministrativo tra essere e divenire, in DA n. 4/1996, p. 579 ss.; Principio di legalità e amministrazione di risultato, in C. PINELLI (a cura di), Amministrazione e legalità, Giuffrè Editore, 2000, p. 37 ss.. G. SORRENTINO, Vizio di incompetenza e processo amministrativo di risultato, in D.P.A. n. 1/2000, p. 62 ss, al quale si rimanda anche per un’analisi della giurisprudenza a breve citata. Sia consentito anche il richiamo a S. TIRELLI, Conciliazione e amministrazione di risultato, in L. IANNOTTA (a cura di), Economia, diritto e politica nell’amministrazione di risultato, Torino, G. Giappichelli, 2003, p. 204 a cui si rimanda anche per l’ulteriore bibliografia ivi in proposito citata. I concreti e definiti beni della vita si impongono all’attenzione del giudice, il quale è tenuto alla piena considerazione del risultato a cui tende l’azione amministrativa e che – al contempo – tende a qualificare e svelare anche la domanda del ricorrente (G. SORRENTINO, Vizio di incompetenza e processo amministrativo di risultato, cit. p. 91) in termini di tutela di un interesse meritevole di protezione e non di annullamento di un atto amministrativo (L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel processo amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, in D.P.A. n. 2/1998 p.: l’originaria impostazione che vedeva nell’annullamento dell’atto il petitum naturale del ricorso e nel conseguimento del bene l’effetto indiretto dell’azione sembra essere destinata al superamento, ancorché graduale, in una nuova realistica visione che fa dell’attribuzione (conservazione e/o acquisizione) di un bene giuridico il normale e naturale petitum del ricorso. Nella medesima prospettiva E. FOLLIERI, Il processo, in D.P.A. n. 1/2004 p. 84 ss.; F. PUGLIESE, Le nuove disposizioni in materia di giustizia rimodellano gli istituti processuali e l’attività amministrativa, in D.P.A. n. 3/1999 p. 615).
Il soggetto che promuove il processo amministrativo, infatti, non tende come risultato finale al soddisfacimento del pubblico interesse compromesso da un uso scorretto del potere da parte della pubblica Amministrazione, quanto piuttosto ad assicurare il risultato favorevole a cui aspira e cioè il bene della vita il cui mantenimento risulta pregiudicato dal provvedimento amministrativo e nei cui confronti la corretta reiterazione del potere amministrativo si presenta strumentale per rimuovere la lesione arrecata alla propria sfera giuridica, così Cons. Stato, V, 7.7.1995 n. 661, in Cons. St., 1995 p. 1009; cfr. anche Cons. Stato, V, 19.1.1995 n. 40, in Cons. St., 1995, I, p. 77 che ad esempio ha ammesso l’esecuzione di giudicato rispetto ad una sentenza che aveva dichiarato inammissibile il ricorso e quindi non aveva dichiarato l’annullamento dell’atto o l’illegittimità del comportamento, ritenendo l’uno e l’altra inidonei a ledere la posizione sostanziale del ricorrente: la vera domanda che il ricorrente pone al giudice al di là dell’annullamento tende proprio al ristabilimento della sfera giuridica singolare che risulta lesa. Il concorrente al pubblico concorso, il partecipante alla gara di appalto, il proprietario del terreno che ne rivendica la edificabilità, sono soggetti che, attraverso il giudizio e sia pure tramite il corretto uso del potere amministrativo, perseguono specifici beni della vita, quali il posto di lavoro, la stipula del contratto, l’aumento di valore dell’immobile ecc… Contestare che una pronuncia che affermi o neghi la possibilità di conseguire tali risultati attenga in realtà a beni della vita, non appare del tutto coerente con la tutela assicurata agli interessi legittimi dagli artt. 103 e 113 della Costituzione e neppure in consonanza con l’attuale tendenza di attribuire sempre maggiore effettività alla giustizia amministrativa.
11 Come sembra confermare quella giurisprudenza che individua l’interesse sostanziale all’impugnazione nel bene della vita a cui il ricorrente aspira: Cons. Stato, V, 27.7.1989 n. 456, in Cons. St., I, p. 930 ss.; IV, 18.1.1993 n. 110; VI, 26.7.1986 n. 555; V, 22.2.1988 n. 101; dichiara inammissibile il ricorso volto a censurare il vizio meramente formale del provvedimento disancorato dalla prospettazione di un interesse sostanziale; dichiara inammissibili i motivi di ricorso dal cui accoglimento non deriva alcun vantaggio per la parte che li deduce: Cons. Stato, VI, 25.5.1979 n. 394 e TAR Toscana, II, 30.5.1994 n. 202; Cons. Stato, IV, 29.9.1981 n. 728, in Cons. St., 1981, I, p. 919 ss.; TAR Trentino Alto Adige – Bolzano, 18.5.1992 n 108, in TAR, 1992, I, p. 108; esclude dall’ambito di operatività della garanzia costituzionale di tutela giurisdizionale posta dagli artt. 24 e 113 Cost. gli interessi emulativi in quanto rivolti esclusivamente ad impedire l’ampliamento della altrui sfera giuridica: TAR Lazio, III, 14.11.1997 n. 2724, in TAR, 1997, I, p. 4284; Csi 14.8.1995 n. 269, in Cons. St., 1995, I, p. 1145 che qualifica illegittimi quegli interessi processuali ai quali non corrisponde un interesse sostanziale; sancisce il dovere del privato di identificare il bene che potrebbe essere sacrificato dall’azione dei pubblici poteri: TAR Piemonte, II, 16.4.1994 n. 130, in TAR, 1994 p. 2420 e ss.; Cons. Stato, IV, 11.4.1991 n. 257, in Cons. St., 1991, I, p. 605, nonchè Cons. Stato, VI, 18.7.1995 n. 754, in Cons. St., 1995, I, p. 1110 e ss che dichiara inammissibile il ricorso proposto avverso atti di approvazione di opera pubblica poiché i ricorrenti “si sono limitati ad affermare di essere proprietari di terreni interessati dal tracciato autostradale”, senza specificare i pregiudizi in concreto subiti (tutte le decisioni sopra citate sono riportate in G. SORRENTINO, Vizio di incompetenza e processo amministrativo di risultato, cit.); riduce la portata caducatoria di una sentenza di primo grado, perché non corrispondente al risultato concreto di effettivo vantaggio per il ricorrente Cons. Stato 23.7.2002 4025 Comune di Scalea ed altri c/ P.: con tale sentenza il Consiglio di Stato si è definitivamente pronunciato sul ricorso di una sig.ra avverso gli atti di un concorso bandito dal Comune di Scalea. La sig.ra, dopo aver preso parte alla selezione ed espletate le prove, in sede di accesso agli atti aveva riscontrato che alcuni dei concorrenti classificatisi in graduatoria in posizione più favorevole e (poi rivelatisi) utile ai fini dell’assunzione, non possedevano i necessari di partecipazione richiesti dal bando. E difatti tali concorrenti – nonostante il chiaro e contrario avviso da parte dell’ufficio preposto all’istruttoria delle pratiche – senza alcuna motivazione erano stati ammessi dalla Commissione esaminatrice, la quale peraltro non aveva nemmeno provveduto a predeterminare i criteri di valutazione dei titoli posseduti. Avverso tal comportamento illegittimo ed al fine di ottenere la esclusione dei concorrenti che illegittimamente la precedevano e conseguentemente ricoprire una posizione utile per l’assunzione, la sig.ra ha proposto ricorso al T.A.R. Calabria, il quale, però, dalla riscontrata fondatezza delle censure sollevate, faceva discendere la caducazione dell’intera procedura selettiva, raggiungendo dunque un risultato che seppur corrispondente ad una visione di stretta legalità non soddisfaceva in realtà la vera domanda della ricorrente.
Avverso tale sentenza hanno poi proposto appello alcuni dei controinteressati. Ed in quell’occasione, il Consiglio di Stato, pur condividendo l’impostazione del giudice di prime cure, ha ritenuto non necessario annullare l’intero concorso, poiché non corrispondente al risultato maggiormente satisfattivo per la signora -volto all’assunzione attraverso l’utilizzo della posizione spettantele in graduatoria a seguito dell’esclusione dei concorrenti illegittimamente ammessi – ma solo che la Commissione esaminatrice ripetesse l’operazione relativa alla valutazione dei titoli dei candidati in precedenza illegittimamente ammessi, dando puntuale contezza delle ragioni di una loro eventuale ammissione. Operazione – nota il Consiglio di Stato – di difficile attuazione, visto che la carenza dei titoli era già stata riscontrata in sede di istruttoria. Un ulteriore esempio in tal senso è ravvisabile in T.A.R. Abruzzo, 11.7.1998 n. 496 che, in materia di impugnativa di PRG, ha dato ingresso prioritario ai motivi rivolti ad ottenere una più favorevole destinazione di zona rispetto a quelle tendenti all’integrale caducazione del piano. Secondo F. PUGLIESE, Le nuove disposizioni in materia di giustizia rimodellano gli istituti processuali e l’attività amministrativa, in DPA n. 3/99, p. 615 ss., “il giudizio amministrativo tende primariamente ad assicurare il risultato …l’azione di adempimento trova cittadinanza nella reintegrazione in forma specifica”. In giurisprudenza cfr. da ultimo Cons. Stato, V, 27.1.2009 n. 375 in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.i/p/91/cds5_2009-01-27.htm, secondo il quale l’ordine delle censure non può prescindere dal principio dispositivo che regola il processo amministrativo e determina la necessità di esaminare prima le censure dal cui accoglimento derivi un qualche effetto satisfattivo delle pretese del ricorrente; Cons. Stato, VI, 25.1.2008 n. 213 in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.i/p/81/cds6_2008-01-25.htm. Per una ricognizione dei misuratori del grado di soddisfazione – ancorchè in una prospettiva economico-aziendalistica – cfr. A. Parasuraman, V. A. Zeithaml, L.L. Berry, “SERVQUAL: A Multiple Item Scale for Measuring Consumer Perceptions of Service Quality“, Journal of Retailing, 64, spring, pp. 12-40, 1988; Reassessment of Expectations as a Comparison Standard in Measuring Service Quality: Implication for Future Research, Journal of Marketing, 58, 1, pp. 111-124, 1994; V. Mittal,P. Kumar,, M. Tsiros, Attribute-Level Performance, Satisfaction, and Behavioral Intentions over Time, Journal of Marketing, 63, pp. 88-101, 1999; L. L. Olsen, M. D. Johnson, Service Equity, Satisfaction, and Loyalty: From Transaction-Specific to Cumulative Evaluations, Journal of Service Research, 5, february, pp. 184-195, 2003.
12 Cfr. art. 5, comma 2, d.lgs n. 165/2001: le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
13 Per una ricognizione complessiva sulla discrezionalità cfr.. F.G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. Trim. dir. Pubbli., 2000, p. 1045 ss.; A. PUBUSA, Merito e discrezionalità amministrativa, in Dig. Disci. Pubbl, vol. IX; con riferimento alla discrezionalità tecnica D. CAROLIS, L’annullabilità del provvedimento amministrativo, in F. CARINGELLA, D. DE CAROLIS, G. DE MARZO (a cura di), Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, Giuffrè Editore, 2005, Tomo II, p. 1105 ss; cfr. anche F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in F. CARINGELLA, M. PROTTO (a cura di), Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Milano, Giuffrè Editore, 2002,S. BACCARINI, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in D.P.A. n. 1/2001 p. 80 ss.; M. E. SCHINAIA, Il ruolo del giudice amministrativo sull’esercizio della discrezionalità tecnica della pubblica Amministrazione, in D.P.A. n. 4/1999 p. 1101, il quale avverte che la discrezionalità sia un carattere dell’attività amministrativa, quasi sempre presente nei suoi provvedimenti per la necessità che ha l’Amministrazione di adeguarli continuamente alle mutevoli esigenze della realtà. Ed è ben per questo … che la discrezionalità non può essere considerato un male da esorcizzare al punto da eliminarla, dovendo invece essere considerata un bene da salvaguadare (p. 1107); D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, Cedam 1995.
14 Cons. Stato, V, 4.10.1993 n. 978, in F.A. 1993 p. 2072; VI, 5.11.1993 n. 801 in Cons. Stato, 1993, I, p. 1459; VI, 29.5.1995 n. 518 in F. A. 1995, p. 1026; VI, 22.6.1998 n. 463 in Cons. Stato, 1998, I, p. 935; VI, 15.5.2000 n. 2776, in Giur. it., 2000, p. 1933.
15 Cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, II, 19.4.2006 n. 465, in Lexitalia.it, p. htpp://www.lexitalia.it/p/61/taremiliabo2_2006-04-19.htm; Cons. Stato, IV, 9.4.1999 n. 601, in DPA n. 1/2000, p. 182 con nota di M. DELSIGNORE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche: nuovi orientamenti del Consiglio di Stato; F. BENVENUTI, Introduzione al Tema, e F. G. SCOCA,Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, entrambi in V. PARISIO (a cura di) Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998, rispettivamente p. 3 e p. 107.
16 Per un’analisi della discrezionalità tecnica di tipo non funzionale ma volta e ricostruire il presupposto dell’azione cfr. F. VOLPE, Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto amministrativo, in D.A. n. 4/2008, p. 791 e ss. in particolare p. 813: i fatti oggetto di valutazione tecnica debbano essere ricondotti nella categoria dei presupposti del provvedimento. … Se l’interesse in concreto ad emanare il provvedimento è collegata tecnica; se la valutazione, a sua volta, è il prodotto di un’attività posta in essere dall’autorità amministrativa, allora è consequenziale riconoscere che, nelle ipotesi di discrezionalità tecnica, spetta sostanzialmente alla pubblica amministrazione ravvisare quando esista in concreto l’interesse tutelato. In altri termini, nei casi di valutazione tecnica, la legge opera nei riguardi dell’amministrazione una sorta di delega a formare il proprio (cioè della legge) presupposto formale di applicazione.
17 Cons. Stato, IV, 9.4.1999 n. 601, in DPA n. 1/2000, p. 182 con nota di M. DELSIGNORE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche: nuovi orientamenti del Consiglio di Stato. Cfr. anche . F. VOLPE, Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto amministrativo, in D.A. n. 4/2008, p. 791 e ss
18 Così Cons. Stato, IV, 9.4.1999 n. 601, cit..
19 F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in F. CARINGELLA, M. PROTTO (a cura di), Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Milano, Giuffrè Editore, 2002, p. 920, vd. in particolare p. 924: la mera conoscenza del dato tecnico non è più argomento sufficiente ad ascrivere la determinazione amministrativa nel campo del merito insindacabile per l’ovvia considerazione che sarebbe altrimenti del tutto superflua una norma che consente al giudice di avvalersi dell’ausilio di un terzo imparziale per la conoscenza di aspetti specialistici, patrimonio esclusivo di professionisti del settore scientifico interessato. per un inquadramento in termini limitativi della consulenza tecnica, però, cfr. F. VOLPE, Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto amministrativo,p. 833, secondo il quale la consulenza avrebbe valenza accertativa e non valutativa.
20 F. CINTIOLI, Tecnica e processo amministrativo, in D.P.A. n. 4/2004 p. 983 e ss; nello stesso numero della medesima rivista cfr. anche F. MERUSI, Variazioni su tecnica e processo, p. 973 e ss.; D. CAROLIS, L’annullabilità del provvedimento amministrativo, cit. p. 1110.
21 Cons. Stato, VI, 2.3.2004 n. 926, in Diritto & Formazione, 2004, p. 997 con nota di D. DE PRETIS, Antitrust, valutazioni tecniche e controllo giurisdizionale; Cons. Stato, VI, 19.6.2008 n. 3066, in Lexitalia.it, p. htpp://www.lexitalia.it/p/82/cds6_2008-06-19-2.htm.
22 Un esempio di sindacato forte è offerto dall’ordinanza cautelare n. 746/2009 del T.A.R., Puglia, I, Lecce, che ha disposto direttamente l’ammissione agli orali per l’esame di avvocato di un candidato che aveva conseguito agli scritti valutazione insufficiente, sulla base del giudizio fortemente positivo e pianamente condiviso espresso dai pareri pro veritate (così l’ordinanza de qua), esibiti dal ricorrente. È evidente che in questo caso, infatti, il giudice ha potuto verificare l’ingiustizia del risultato prodotto dalla p.A., paragonandolo – sotto il profilo tecnico – con quello che sarebbe scaturito da una corretta applicazione delle regole tecniche specifiche. Tale decisione è stata riformata in sede di appello dal Consiglio di Stato, con ordinanza della IV sezione 11.11.2009 n. 5622, che ha ritenuto illegittimo il pronunciamento del giudice di prime cure, statuendo – sostanzialmente – che unico organo competente ad esprimere giudizi tecnici in merito fosse la commissione esaminatrice. La pronuncia cautelare di secondo grado è riportata su Lexitalia.it, p. htpp://www.lexitalia.it/p/92/cds4_2009-11-11.htm.
23 Secondo Cons. Stato, VI, 17.12.2009 n. 8175 in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.i/p/10(cds6_2009-12-17.htm, in tema di attività di vigilanza: con riferimento alle valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. “concetti giuridici indeterminati”, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione. Si tratta, quindi, di un sindacato certamente non debole, attraverso il quale il principio di effettività della tutela giurisdizionale è coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere in materie rimesse ad Autorità indipendenti, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità sia stato correttamente esercitato. L’effettività e la pienezza della tutela proprie del giudizio di risultato e l’attrazione nel giudizio amministrativo dei diritti fondamentali ha sollecitato la riflessione della migliore dottrina sulla nozione di interesse legittimo, oramai equiparato ad una situazione di diritto piena, ancorchè correlata ad un pubblico potere, la cui discrezionalità ed autoritatività sono sempre più sfumate. Proprio in rapporto ai poteri dell’Autorità amministrative indipendenti si è affermato che l’interesse legittimo non è incompatibile con la nozione di diritto fondamentale ma si prospetta come una sua manifestazione quando si tratta di tutelare un diritto fondamentale nei confronti dell’esercizio del potere (F. MERUSI, Giustizia amministrativa e autorità indipendenti, in Annuario AIPDA 2002 p. 175 e ss. e p. 180. v. F.G. SCOCA e F. DEGNI, Autorità amministrative indipendenti e sindacato giurisdizionale: il complesso rapporto tra esercizio del potere ed effettività della tutela, in AA.VV. Authorities imparzialità e indipendenza (a cura di L. PAGANETTO), Roma 2007 p. 25 e ss, già citati da L. IANNOTTA. La conoscenza della fondatezza della domanda nella giurisprudenza amministrativa dopo le riforme del 2005 della legge 241 del 7 agosto 1990, in Diritto e processo amministrativo n. 2/2009). Sulla trasformazione dell’interesse legittimo e sulla sua equiparazione al diritto soggettivo cfr. anche L. IANNOTTA, L’interesse legittimo nell’ordinamento repubblicano, in D.P.A. n. 4/2007 p. 935, in particolare p. 944: l’interesse legittimo è diventato diritto: un diritto che da diritto soggettivo dell’ordinamento amministrativo si sarebbe trasformato in diritto soggettivo tout court. In tal senso precursore è poi A. ROMANO, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono diritti, in D.A. 1998 p. 1 ss.; sulla correlazione tra consistenza dell’interesse legittimo e tutela accordatagli cfr. A. ROMANO, Interesse legititmo e ordinamento amministrativo, in Atti del 150° Anniversario del Consiglio di Stato, Milano 1983.
24Cfr. Cons. Stato, IV, 14.5.2001 n. 2661 in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/private/cds4_2001-2661.htm; Cons. Stato, IV, 9.4.1999 n. 606, in http://www.lexitalia.it/private/cds4_1999-606.htm.
25 In Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/p/92/cga_2009-08-28-3.htm.
26 Così CGA, sez. giurisd., 28.8.2009 n. 686 cit..
27 Lo Zingarelli 2008, Vocabolario della Lingua Italiana, definisce il termine attività quale insieme di azioni, comportamenti e decisioni proprie di un individuo o di una categoria di individui, tesi alla realizzazione di uno scopo. Secondo G. D’AURIA, Responsabilità dell’Amministrazione e responsabilità del funzionario, in Il Foro Amministrativo, C.d.S. n. 12/2008, p. 3495 dopo la l. n. 241 del 1990 (e la novella della l. n. 15 del 2005), i criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza che debbono ispirare anche l’attività discrezionale pura valgono a maggior ragione per l’attività amministrativa che si svolge mediante valutazioni tecniche. In giurisprudenza cfr. Cons. Stato, IV, 22.7.2005 n. 3917, in Foro It, 2006, III, 402; Cass. 29.9.2003 n. 14488 in Foro It., 2004, I, 2765; Cass. 28.3.2006 n. 7024 in Foro It., 2007, I 2484 (tutte richiamate da G. D’AURIA, cit., a cui si rimanda anche per l’analisi delle numerose pronunce della Corte dei Conti). In particolare secondo tale ultima decisione i criteri dell’economicità e dell’efficacia hanno acquistato dignità normativa assumendo rilevanza sul piano della legittimità (e non dell’opportunità) dell’azione amministrativa. In proposito cfr. anche C. Conti, sez. giurisd. Lombardia, 24.3.2009 n. 165 (citata anche infra) che richiama l’art. 1 l. n. 241/1990, affermando che l’esercizio dell’attività amministrativa discrezionale deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia.
28 In Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/private/tarveneto1_2008-06-18.htm. La vertenza si è conclusa con sentenza n. 3619/2008 che ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile, in ragione della natura intemedia attribuita agli atti impugnati con determinazione governativa ed in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e per cessazione della materia del contendere a seguito di dichiarazioni in tal senso del Codacons.
29 Degna di nota in questa prospettiva è Cons. Stato, VI, 10.9.2009 n. 5455 in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/p/92/cds6_2009-09-10-7.htm che proprio in tema di sindacato della discrezionalità tecnica pone l’attenzione sul risultato prodotto, statuendo che le valutazioni espressione di discrezionalità tecnica possono essere censurate in sede giurisdizionale soltanto quando risulti la loro palese inattendibilità anche sotto il profilo tecnico. Quando cioè risulti che il risultato raggiunto dall’Amministrazione, a prescindere dalla sua fisiologica opinabilità, si colloca comunque al di fuori da quei limiti di naturale elasticità sottesi al concetto giuridico indeterminato che l’Amministrazione è chiamata ad applicare, risultando, così, in tutto o in parte inattendibile. Inattendibilità che … oggi può essere scrutinata dal giudice amministrativo non solo sotto il profilo estrinseco e formale (alla luce del comune buon senso), ma anche sotto il profilo intrinseco, cioè in base alle stese regole tecniche applicate dall’Amministrazione. Un giudizio di inattendibilità che può essere condotto, quindi, non solo come accadeva in passato, con gli “occhi del profano” anche con gli” occhi dell’esperto” (ed in tal senso depone inequivocabilmente la possibilità di nominare, anche nella giurisdizione di legittimità, il consulente tecnico). Da ultimo vd. anche Cons. Stato, VI, 18.12.2009 n. 8399, in Lexitalia.it p. http:/www.lexitalia.it/p/92/cds6_2009-12-18-l.htm. secondo il quale, nonostante i limiti oggettivi della opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica, nonché l’impossibilità per il giudice di sostituirsi all’Amministrazione, il giudice amministrativo non è per questo tenuto a limitare il proprio apprezzamento ad un esame estrinseco della valutazione discrezionale, secondo i noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria, dovendo invece l’oggetto del giudizio estendersi alla esatta valutazione del fatto, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie applicabile.
30 G. D’AURIA, Responsabilità dell’Amministrazione e responsabilità del funzionario, in Il Foro Amministrativo, C.d.S. n. 12/2008, p. 3495. Per l’A. in virtù dell’assunzione normativa dei criteri di economicità, efficacia ed efficienza il potere discrezionale è garantito in maniera uniforme avanti a tutte le giurisdizioni (p. 3497). Per un inquadramento generale cfr. F. MERUSI, Pubblico e privato nell’istituto della responsabilità amministrativa, ovvero la riforma incompiuta, in D.A. n. 1/2006 p. 1 ss.; D. SORACE, La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione della pubblica amministrazione: compatibilità, adattabilità o esaurimento del ruolo?, in D.A. n. 2/2006 p. 249 ss.
31 G. D’AURIA, Responsabilità dell’Amministrazione e responsabilità del funzionario, in Il Foro Amministrativo, C.d.S. n. 12/2008, p. 3495, a cui si rimanda anche per le numerose pronunce giurisprudenziali relative agli orientamenti menzionati nel testo.
32Conti, sez. giurisd. Lombardia, 24.3.2009 n. 165, in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/p/91/ccontilomb_2009-03.htm.
33C. Conti, sez. giurisd. Lombardia, 24.3.2009 n. 165, cit.: nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile gli atti della pubblica amministrazione non vengono in rilievo come tali e cioè come espressione della volontà dell’amministrazione, ovvero come concreto esercizio del potere funzionale di cui l’autorità emanante è investita, ma come fatti giuridici, idonei a modificare la realtà giuridica e a produrre perciò i conseguenti effetti; pertanto al giudice contabile è consentito vagliare l’attività discrezionale degli amministratori verificandone sia la corrispondenza ai criteri (oltre che di legittimità anche) di razionalità e di congruità, sia le compatibilità con le finalità di pubblico interesse perseguite dall’ente onde poter stabilire se la scelta stessa risponda a quei criteri di prudenza e ponderatezza cui deve ispirarsi l’azione dei pubblici apparati.
34 C. Conti, sez. giurisd. Toscana, 12.9.2006 n. 505: l’insindacabilità delle scelte amministrative trova un limite nell’accertamento delle condizioni di legge per il suo esercizio e nel principio di ragionevolezza, cui deve costantemente improntarsi l’operato della Amministrazione e che riassume in sé quelli dell’economicità e del buon andamento costituzionale.
35 Ancora C. Conti, sez. giurisd. Lombardia, 24.3.2009 n. 165, ma vedi anche la giurisprudenza citata nel testo.
36 Così C. Conti, sez. giurisd. Lombardia, 24.3.2009 n. 165, cit.. Cfr. anche Cass. SS.UU. 20.3.2006 n. 7024, in Il Foro Amministrativo – CdS, n. 6/2006 p. 1744.
37 Sulla connessione tra previsione degli effetti ed i criteri di economicità ed efficacia cfr. R. LA BARBERA, Il rilievo giuridico della previsione degli effetti: dal procedimento autorizzatorio di gestione del vincolo paesaggistico alla funzione amministrativa procedimentalizzata, in D.A. n. 3-4/2000, p. 574: Il punto centrale della questione riguarda il modo in cui la legge n. 241 del 1990 ha tenuto in considerazione la previsione degli effetti. Innanzi tutto, i due principi generali dell’efficacia e dell’economicità che reggono tutta quanta l’attività amministrativa sono strettamente connessi con la previsione degli effetti. L’amministrazione di risultato, prefigurata dalla legge 241, è un’amministrazione che deve realizzare non un risultato qualsiasi, ma un’efficace soddisfazione dell’interesse pubblico concreto di economicità, che implica una valutazione dei mezzi più adeguati senza dispendio di risorse economiche, temporali, di struttura e di personale.
38 In Il Foro Amministrativo – CdS n. 11/2008 p. 3177 ed in Lexitalia.it, con commento di M. PERIN, Sussiste la responsabilità amministrativa per l’affidamento di un incarico di progettazione rilevatosi inutile per l’impossibilità di realizzare il progetto, p. http://www.lexitalia.it/p/82/ccontiappregsic_2008-11-24.htm.
39 Sull’evoluzione storica del pubblico impiego vd. S. CASSESE, L’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, Il Mulino, 1974; e La formazione dello stato amministrativo, Milano, Giuffrè, 1976; G. MELIS, Burocrazia e socialismo nell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino, 1990; e Due modelli di amministrazione tra liberismo e fascismo: burocrazie tradizionali e nuovi apparati, Roma, Pubblicazioni degli archivi di Stato, 1988; M. SALVATI, Il regime e gli impiegati, Bari, Laterza, 1992. Per la teoria generale del pubblico impiego cfr. A. AMORTH, Contributo alla teoria del rapporto di pubblico impiego, Milano, Giuffrè, 1936; Santi ROMANO, Diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1937, pp. 187 ss.; Sullo statuto degli impiegati civili dello Stato vd. BENNATI e DI GIAMBATTISTA, Lo stato giuridico e la carriera degli impiegati civili dello stato, Napoli, 1975
40B. IACONO, La tipologia dei rapporti di lavoro, in M. RUSCIANO e L. ZOPPOLI (a cura di), L’impiego pubblico nel diritto del lavoro, Torino, Giappichelli, 1994, p. 149.
41M. RUSCIANO., L’unificazione normativa del lavoro pubblico e del lavoro privato, DLRI, 1989, p. 143; dello stesso Autore vd. anche, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1978.
42 Cfr. Trib. Roma, 4.3.2002, in Riv. Personale ente locale, 2002, all. 5.32: In seguito alla contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego … la p.a. adotta misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro per cui non può più adottare unilateralmente modifiche o ancor peggio risoluzioni, rescissioni, revoche del contratto di lavoro, potendo conseguire il suddetto risultato solo con il ricorso all’autorità giudiziaria con gli strumenti del diritto comune. Cfr. anche Corte App. L’Aquila, 8.1.202 in Dir. Lav., 2002, II, p. 65
43 Per le implicazioni derivanti dalla distinzione tra discrezionalità ed autonomia negoziale, sia consentito il richiamo a S. TIRELLI, Alternativa meritevole e principio di risultato: spunti in tema di (auspicabile) doverosità di accordo tra amministrazione e soggetto privato, in Seminario sulle opere di Francesco Pugliese, in corso di pubblicazione.
44 Cass. Civ. sez. lav., 28.7.2003 n. 11589 in Ius & lez, La Tribuna: nell’ambito del rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni regolato, dopo la cosidetta privatizzazione, dalle norme del diritto privato, l’atto del datore di lavoro incidente sulla prestazione lavorativa è un atto paritetico … privo di efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo; di conseguenza, il giudice del lavoro ne rileva i vizi secondo le categorie proprie del diritto civile(inesistenza, nullità, annullabilità, inefficacia) ed i motivi soggettivi rilevano solo in caso di illicieità (artt. 1418 e 1345), mentre non sono applicabili né la distinzione tra vizi di legittimità e di merito elaborata dalla giurisprudenza amministrativa, né i vizi di legittimità dell’incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.
45 Cfr. A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, Cedam, 1998, p. 231 e 232; F. PANARIELLO, L. GIUGLIANO e V. AMIRANTE, Commento all’art. 68, in A. CORPACI, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI (Commentario a cura di), La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, cit., p. 1450. In giurisprudenza vd. Cass., SS.UU., 24.2.2001 n. 41, , in Gior. di Dir. Amm. n. 8/2001 con commento di D. IARIA, La Cassazione e gli interessi legittimi nel rapporto di lavoro pubblico, p. 805 ss.. Secondo la Cassazione, una volta fondato il rapporto di lavoro su base paritetica, ad esso rimane estranea ogni connotazione autoritativa discrezionale, pertanto quand’anche la lesione lamentata dal prestatore di lavoro derivi dall’esercizio di poteri discrezionali dell’amministrazione datrice di lavoro, la situazione soggettiva lesa dovrà classificarsi …come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, all’ampia categoria dei diritti di cui all’art. 2907 cod. civ. Sulla compatibilità dell’interesse legittimo con i principi del diritto privato è nota oramai Cass., SS.UU., 2.11.1979 n. 5688, in Giust. civ., 1980, I, p. 357 con nota di F. PIGA ed ampiamente commentata anche con riferimento alla giurisprudenza successiva da L. IANNOTTA, Atti non autoritativi ed interessi legittimi, Napoli, 1984, p. 75 ss..
46 È appena il caso di precisare che – ai fini che occupano – non interessa tanto la natura (pubblica o privata) del potere esercitato dall’amministrazione. Ciò che interessa è se il sindacato in termini di risultato di detto potere ne renda la verifica più stringente.
47Cfr. la giurisprudenza citata nelle note precedenti. Si tratta di un sistema che, benché nella sua originaria configurazione prevedesse determinati parametri oggettivi e soggettivi sui quali orientare la decisione datoriale pubblica (quali: la natura e le caratteristiche dei programmi da realizzare; le attitudini e le capacità professionali del singolo dirigente, anche in relazione ai risultati conseguiti in precedenza; il criterio della rotazione degli incarichi che di norma deve essere applicato; la necessità di attingere essenzialmente al personale interno; l’apertura al personale esterno, il quale, comunque, deve possedere una particolare e comprovata qualificazione professionale, un’esperienza pregressa di incarichi dirigenziali almeno quinquennale o una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica obiettivamente desumibile: cfr. art. 19 d.lgs 165/2001, nel testo previgente alle modifiche introdotte dalla legge n. 145/2002; cfr. anche F. FIGORILLI, Giurisdizione piena del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione, Giappichelli Editore, Torino, 2001) ha attribuito al vertice politico ampia libertà nella scelta (e nella conferma) dei (propri) dirigenti, ai quali non sono più riconosciute, all’interno dell’organigramma, posizioni funzionali precostituite, non trovando applicazione – con espressa deroga rispetto alla disciplina privatistica applicabile – l’art. 2103 cod. civ.. Di talchè lo ius variandi dell’organo politico non dovrebbe trovare limite in un diritto del dirigente a vedersi assegnata la titolarità di un ufficio, oppure a vedersi confermato nell’incarico in precedenza attribuitogli o – almeno – di essere adibito a funzioni equivalenti (quanto ad importanza e prestigio) a quelle in precedenza svolte (Cfr. Trib. Catania, ordinanza 9.5.2000; Trib. Potenza, ordinanza 29.12.1999).
48 Le espressioni in corsivo sono di S. CASSESE, La controriforma della burocrazia, in Il Sole-24 Ore, 21 febbraio 1999, p. 1. Vd. anche S. BATTINI, Il personale, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, parte generale, Milano, Giuffrè Editore, 2000, p. 481; M. CLARICH, Riflessioni sui rapporti tra politici e amministrazione, in D.A. n. 3-4/2000 p. 361. In proposito, quantomeno lungimirante deve considerarsi quella dottrina (A. ROMANO, Pubblico impiego e contrattazione collettiva, aspetti pubblicistici. Relazione al XXV Convegno di studi di scienza dell’Amministrazione, Varenna – 1979, in Giur. Cost. 1980, I, p. 886) che, con riguardo alle intuitive differenze tra la posizione del titolare di un ufficio che esercita potestà pubbliche e quella dell’addetto allo stesso ufficio, nonché nell’ambito dei non titolari di funzioni, tra coloro che concorrono alla formazione della volontà e alla realizzazione dell’azione degli enti pubblici e coloro che ne restano estranei, ha proposto una privatizzazione parziale del rapporto con la pubblica Amministrazione, riferita cioè solo a coloro che si trovano in posizione di sostanziale estraneità rispetto all’organizzazione ed ai fini dell’ente; sulle esigenze di differenziazione vd. anche G. COCCO, Disciplina differenziata e specialità del rapporto di pubblico impiego, Roma, 1984, p. 91 ss.
49M. R. SPASIANO, Riflessioni sparse in ordine alla nomina ed alla risoluzione del contratto dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, in Riv. Amm. Regione Campania n. 2/1996, p. 132 e 133; Circa il rapporto tra politica e dirigenza, dello stesso autore vd. anche L’organizzazione comunale. Paradigmi di efficienza e buona amministrazione, Napoli, 1995, p. 97 ss.; vd. anche F. FIGORILLI, Giurisdizione piena del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione, Torino, Giappichelli Editore, 2001, p. 204. A parere di C. VIDETTA, Impiego pubblico (voce), in Dig. Disc. Pubbl. (Aggiornamento), 2000, p. 336, il rapporto di fiducia che lega la dirigenza al Governo è in contraddizione con un contesto normativo … che mira a valorizzare la distinzione tra momento politico e momento di gestione. Contra O. FORLENZA, Pronte le regole per la dirigenza statale: l’amministrazione cerca la via che porta in Europa, in Guida al Diritto, 1998 n. 16, p. 86: Ove ciò non fosse si avrebbe un ministro politicamente responsabile dei risultati … della gestione, ma impossibilitato a scegliersi ex ante i dirigenti più idonei a realizzare il programma da egli stesso delineato.
50 Cfr. TAR Lazio, II ter, 8.4.2003 n. 3276, in Giustizia Amministrativa n. 2/2003 p. 549 ss, che sebbene riferita ai casi di spoils system ex art. 6 l. 145/2002 (possibilità per il primo Governo di una nuova legislatura di confermare o revocare le nomine degli organi di vertice conferite dal Governo precedente nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura) esprime considerazioni aventi carattere senz’altro generale. In questa prospettiva da ultimo vd. C. Cost. 5.3.2010 n. 81 (in http://www.lexitalia.i/p/10/ccost_2010-03-05-1.htm), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 161, d.l. 3.10.2006 n. 262 (conv. In l. 24.11.2006 n. 286) nella parte in cui dispone che gli incarichi dirigenziali a personale non appartenenti ai ruoli della p.A. cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. Secondo la Corte la previsione di una cessazione automatica ex lege e generalizzata degli incarichi dirigenziali interni a livello generale viola, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità e, in particolare, il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa; questi principi valgono anche in presenza di incarichi dirigenziali conferiti al personale non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23 d.lgs n. 165/2001. In tali casi, infatti, la mancanza di un previo rapporto di servizio con l’amministrazione conferente non è idonea ad incidere sulle regole di distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti e conseguentemente sull’applicabilità dei principi costituzionali sopra richiamati.
51 Le parti in corsivo sono tratte da Cons. Stato, IV, 6.4.1993 n. 393, in CS 1993, I, p. 486 ss; in termini cfr. anche Cons. Stato, IV, 5.2.1999, n. 120, in FA, 1999 p. 318. In dottrina vd anche L. TORCHIA, La responsabilità dirigenziale, Padova, CEDAM, 2000 p. 945.
52 Cfr. ancora TAR Lazio, II ter, 8.4.2003 n. 3276 cit. Pone l’accento sull’imparzialità anche C. Cost. 23.3.2007 n. 103 in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/p/71/ccost_2007-03-23.htm secondo la quale la contrattualizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica non implica che la p.A. abbia la possibilità di recedere liberamente dal rapporto stesso. Se così fosse si verrebbe ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo ed imparziale la propria attività gestoria.
53 Ancora TAR Lazio, II ter cit.
54 In Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/p/92/tramolise_2009-09-02o.htm, con commento di K. PALLADINO, Direttori generali Asl e politica.
55 Il corsivo è tratto dall’ordinanza in commento.
56 Secondo R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, Bari, Editori Laterza, 2002, p. 68: lo Spierlraum … la relativa libertà di gioco di cui godono gli apparati nel quadro dei processi cognitivo-valutativi e decisionali, è ineliminabile, potendo essere semmai circoscritto ed assoggettato ad opportune forme di controllo, soprattutto di origine e natura giudiziale, come è noto.
57 In Lexitalia.it, p. http:/www.lexitalia.it/p/92/trga_2009-12-16.htm.
58 Cfr. M. TIBERII, L’autonomia giuridica del risultato nell’annullamento d’ufficio, in L. IANNOTTA (a cura di), Economia, diritto e politica nell’amministrazione di risultato, G. Giappichelli Editore, Torino, 2003, p. 259 ss., in particolare p. 272-273: In un’ottica sostanziale … ciò che infatti costituisce l’oggetto principale della comparazione non sono gli atti da una parte, e le norme dall’altra, bensì i beni coinvolti, pubblici e privati, in una dimensione materiale, con i vantaggi o gli svantaggi, i pregiudizi, cioè i danni che a questi beni possono essere arrecati. Prima di procedere, dunque, all’annullamento occorre verificare se per la collettività vi sia ancora interesse al perseguimento dell’assetto originario – considerato ideale, dalla norma, al momento dell’adozione del provvedimento – piuttosto che alla conservazione di ciò che è stato eseguito per effetto dell’atto illegittimo.
59 Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, III, 9.7.2009 n. 1789,
60 Il corsivo è della sentenza in commento. Per riferimenti cfr. Corte di Giustizia 19.9.2006 in C-392/04 e C-422/04. Sulle connessioni tra risultato ed autotutela ed – in particolare – sulla nuova configurazione e doverosità della revoca nell’amministrazione di risultato cfr. M. IMMORDINO, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Giappichelli Editore, Torino, 1999, p. 153 ss.
61 Sul concetto di merito come area libera cfr. A. PUBUSA, Merito e discrezionalità amministrativa, in Dig. Disc. Pubbl. Vol. IX; vd. anche A. ROMANO TASSONE, Sulle vicende del concetto di merito, in D.A. n. 3/2008, p. 517 e ss. a cui si rimanda anche per la bibliografia ivi citata.
62 In tal senso cfr. G. CARUSO, Merito insindacabile e giudice amministrativo (note a margine di una codificazione leggera), in Lexitalia.it, p. http://www.lexitalia.it/p92/caruso_codificazione.htm
63 Così G. CARUSO, Merito insindacabile e giudice amministrativo (note a margine di una codificazione leggera), cit.
64 Ancora G. CARUSO, Merito insindacabile e giudice amministrativo, cit., ma vd. anche A. ROMANO TASSONE, Sulle vicende del concetto di merito, in particolare pp. 551 ss.
65 Cfr. A. ROMANO TASSONE, Sulle vicende del concetto di merito, cit..
66 In tal senso L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), cit. p. 42 e 43.
67 Cfr. L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), cit. p. 43 ss. Sulla necessità di parametri oggettivi di valutazione delle scelte amministrative cfr. anche G. D’AURIA, Responsabilità dell’amministrazione e responsabilità del funzionario, in F.A. Cons. Stato n. 11/2008 p. 3497 ss. La misurazione dell’attività amministrativa è oramai sancita nel più volte richiamato d.lgs 27.10.2009 n. 150, secondo il quale: Ogni amministrazione è tenuta a misurare e valutare la perfomance (art. 3, comma 2); Le amministrazioni pubbliche adottano metodi e strumenti idonei a misurare, valutare e premiare la perfomance individuale e quella organizzativa secondo criteri strettamente connessi al soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi (art. 3, comma 4); Il ciclo di gestione della perfomance si articola nelle seguenti fasi: a) definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori; b) collegamento tra gli obiettivi e allocazione delle risorse; c) monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi correttivi; d) misurazione e valutazione della perfomance, organizzativa e individuale; utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito; f) rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi (art. 4, comma 2); Gli obiettivi sono: a) rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività, alla missione istituzionale, alle priorità politiche ed alle strategie dell’amministrazione; b) specifici e misurabili in termini concreti e chiari; c) tali da determinare un significativo miglioramento della qualità dei servizi erogati e degli interventi; d) riferibili ad un arco temporale determinato, di norma corrispondente ad un anno; e) commisurati ai valori di riferimento derivanti dagli standard definiti a livello nazionale e internazionale, nonché da comparazioni con amministrazioni omologhe;f) confrontabili con le tendenze della produttività dell’amministrazione con riferimento, ove possibile, almeno al triennio precedente; g) correlati alla quantità e alla qualità delle risorse disponibili (art. 5, comma 2).
68 Così L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), cit. p. 45 e 46.
69 Tale è il senso che pare possa attribuirsi alla nullità del provvedimento per mancanza degli elementi essenziali ex art. 21 septies l. n. 241/1990; sulla nullità in diritto amministrativo e sulle relazioni con l’amministrazione di risultato vd. M. TIBERII, La nullità e l’illecito. Contributo di diritto amministrativo, ESI, 2003. Esempi di vizio di risultato sono ricavabili da L. IANNOTTA, La conoscenza della fondatezza della domanda nella giurisprudenza amministrativa dopo le riforme del 2005 della legge 241 del 7 agosto 1990, in Diritto e processo amministrativo n. 2/2009, p. 36 ss. del dattiloscritto.
70 Intesa sia in senso letterale quale flessione, quale procedimento morfologico di attribuzione alla radice (il criterio dell’azione) degli affissi e delle desinenze per predicarla; sia in senso figurato quale abbassamento graduale verso il piano materiale, precipitato in concreto del requisito definito in astratto.
71 L. IANNOTTA, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), cit, p. 47, sostiene, ad esempio, che dalla necessaria liceità dell’oggetto del provvedimento deriva che la sua conformazione dovrà avvenire rispettando e sacrificando comunque nella minor misura possibile le cose e le persone toccate dai risultati dell’azione amministrativa, per evitare innanzitutto di agire in modo illecito ed ingiusto (art. 2043 c.c.) e di subire conseguentemente azioni risarcitorie e condanne dopo l’annullamento dell’atto che, nonostante la caducazione, sopravvive proprio nel suo risultato, corrispondente, come si è visto, all’oggetto.
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