Rito abbreviato e limiti all’appello del PM in caso di riqualificazione del reato

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3092 del 2024 (ud. del 13 dicembre 2023), ha chiarito che il divieto posto dall’art. 443, co. 3 c.p.p. non si applica in caso di sentenza che ha riqualificato il reato da tentato a consumato.

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Corte di Cassazione – Sez. II – Sent. n. 3092/2024 (ud. 13/12/2023)

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Bari, in parziale riforma della decisione del Gup del Tribunale di Foggia, emessa ad esito di giudizio abbreviato, condannava gli imputati per concorso nel reato di estorsione consumata, originariamente contestato (e non tentata, come ritenuto dal Gup), confermando la condanna degli altri imputati per gli altri reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesione personale e danneggiamento e rideterminando per tutti le pene inflitte dal primo giudice.
Sono stati presentati due differenti ricorsi per gli imputati. I motivi di ricorso che in questa trattazione rilevano sono i seguenti: si denunciava la inosservanza dell’art. 443, comma 3 c.p.p. e la illogicità della motivazione sul punto. Nello specifico, si è ritenuto che la Corte territoriale abbia ritenuto ammissibile l’appello del PM sull’erroneo presupposto che la riqualificazione del reato da estorsione tentata a consumata, operata dal primo giudice, costituisse una modifica del titolo di reato sì da consentire l’impugnazione dell’accusa ai sensi della predetta norma.
Nel secondo ricorso, si rinviene motivo analogo: violazione della legge penale processuale (art. 443, comma 3, c.p.p.) in relazione alla inammissibilità dell’appello del PM. Si contestava che, erroneamente, la Corte di appello ha ritenuto che il primo giudice qualificando la estorsione come tentata e non consumata, avesse modificato il titolo del reato, ipotesi che si verifica solo quando cambia il nomen iuris, come si ricava dal disposto degli artt. 177 c.p. e 443 c.p.p.
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2. Rito abbreviato, limiti all’appello del PM e riqualificazione: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare la questione sottopostale, pone la sua attenzione, innanzitutto, sul motivo in esame, proposto in tutti i ricorsi.
La difesa, infatti, contesta l’ammissibilità dell’appello del PM, ritenuta dalla Corte territoriale e contestata dalle difese sulla base del disposto dell’art. 443, comma 3, c.p. che preclude al PM di “proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato“.
Secondo i ricorrenti, nel caso di specie, l’appello del PM non sarebbe stato consentito in quanto – diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata – la riqualificazione del reato da estorsione tentata a consumata, operata dal primo giudice, non ha integrato una modifica del titolo di reato.
La Corte di Cassazione osserva che “l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sull’autonomia delle due figure del delitto tentato e del delitto consumato consenta di aderire convintamente all’opposta tesi seguita dal giudice di appello: il primo, infatti, sebbene conservi lo stesso nome iuris della figura delittuosa consumata, costituisce una ipotesi autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e da una propria struttura, delineate dalla combinazione della norma incriminatrice specifica e della disposizione contenuta nell’art. 56 cod. pen. che rende punibili, con una pena autonoma, fatti altrimenti non sanzionabili“.
Sotto altro profilo, la Suprema Corte sottolinea che la inappellabilità, da parte del Pubblico ministero, della sentenza di condanna emessa all’esito di giudizio abbreviato, prevista dal comma 3 dell’art. 443 cod. proc. pen., costituisce una eccezione alla regola generale prevista dall’art. 593 cod. proc. pen. e fatta rivivere nella seconda parte del medesimo comma. Pertanto, la limitazione di appellabilità alle sole ipotesi di mutamento del titolo del reato deve essere interpretata in senso restrittivo.
Inoltre, la Cassazione chiarisce il significato dell’espressione “titolo del reato“: questa può avere significati diversi nell’ordinamento penale e processuale, cosicché essa, nella norma di rito, ha una accezione più ampia di quella letterale accolta dall’art. 117 cod. pen.: sulla base di questo si è affermato “che è ammissibile l’appello proposto avverso la sentenza di condanna che, a fronte della contestazione di due ipotesi di reato, ritenga l’assorbimento della fattispecie meno grave anziché il concorso formale tra i due reati o che riqualifichi il fatto da omicidio preterintenzionale a eccesso colposo di legittima difesa“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha optato per il rigetto di questo motivo di ricorso, affermando, in sostanza, che l’elaborazione giurisprudenziale (ampiamente richiamata in sentenza) riconosce l’autonomia delle due figure del delitto tentato e consumato. Inoltre, ha precisato che l’inappellabilità delle sentenze di condanna nel giudizio abbreviato è un’eccezione alla regola generale, e la limitazione all’appello riguarda solo i casi di mutamento del titolo del reato, interpretato in senso restrittivo.
Inoltre, in tema di qualificazione del reato, questa è stata giudicata corretta, in quanto la Corte di appello ha applicato il principio, costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “il delitto deve considerarsi consumato e non solo tentato allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto del reo ed alla restituzione del bene all’avente diritto”.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione inerente al riconoscimento delle attenuanti generiche, rigettando, per il resto, gli altri motivi.

Riccardo Polito

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