Rivelazione di segreti d’ufficio: precisazioni della Cassazione sul delitto

Quando è configurabile il delitto di cui all’art. 326 cod. pen.

Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

 (Riferimento normativo: Cod. pen., art. 326)

1. Il fatto

Il Tribunale di Palermo, pur limitandone la durata in quella di mesi sei, confermava una misura interdittiva consistente nella sospensione dal pubblico ufficio che era stata applicata ad una persona, indagata per il reato di cui all’articolo 326 cod. pen., dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato, proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, che deduceva i seguenti motivi: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente; 2) violazione di legge in riferimento agli articoli 275, 289 e 291 cod. proc. pen. poiché il giudice per le indagini preliminare, a fronte di una richiesta che invocava esclusivamente l’applicazione della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio ai sensi dell’art. 289 cod. proc. pen., aveva emesso una misura più grave nei confronti del ricorrente.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Era ritenuto fondato, con valore assorbente, il primo motivo di ricorso con la conseguenza che l’ordinanza impugnata e quella genetica erano annullate senza rinvio.

In particolare, gli Ermellini ritenevano come non fossero condivisibili le conclusioni alle quali il Tribunale era pervenuto sulla ritenuta configurabilità nei fatti, così come ricostruiti, del reato di cui all’art. 326 cod. pen..

A questo riguardo, si sottolineava come il Tribunale si fosse allineato alla ricostruzione dell’ordinanza genetica – pur avendo richiamato la giurisprudenza della Cassazione sulla natura giuridica del reato di cui all’art. 326 cod. pen. – non avendo fatto, ad avviso del Supremo Consesso, coerente applicazione alla vicenda concreta dei principi enunciati incorrendo, così, nel denunciato vizio di violazione di legge per erronea interpretazione del contenuto della norma incriminatrice contestata ai fini della sua applicazione al caso concreto.

Più nel dettaglio, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto che fosse apodittico il riferimento del Tribunale alla “generica” conoscenza della notizia della sussistenza del procedimento penale mentre l’inquadramento del reato di cui all’art. 326 cod. pen. come reato di pericolo concreto e la lettura della fattispecie incriminatrice alla stregua delle precisazioni della giurisprudenza e della nozione stessa di “rivelare” dettano i criteri di ricostruzione della condotta dell’agente ancorandoli alla verifica del pericolo effettivo per gli interessi protetti dalla norma incriminatrice della divulgazione della notizia, criteri che, sempre per la Corte di legittimità, si collocano su un piano diverso rispetto alle “ragioni“, nel caso pacificamente private, della richiesta di ottenere la copia dell’informativa e alla necessità di attivare, ai fini della acquisizione, la procedura di cui all’art. 116 cod. proc. pen. posto che la segretezza dell’indagine penale costituisce il presupposto stesso dell’esistenza del reato di cui all’art. 326 cod. pen. e, in tal caso, si è affermato in giurisprudenza, non è necessaria, ai fini della configurabilità del reato, la prova dell’esistenza di un effettivo pregiudizio per le indagini, posto che si tratta di un reato di pericolo concreto che tutela il buon andamento della amministrazione, che si intende leso allorché la divulgazione della notizia sia anche soltanto suscettibile di arrecare pregiudizio a quest’ultima o ad un terzo (Sez. 5, n. 46174 del 05/10/2004).

L’attività ricostruttiva, pertanto, per il Supremo Consesso, torna sulla precisa individuazione del concetto di rivelare e della nozione di pericolo effettivo (e non meramente presunto) che ne connota l’essenza, nozione, questa, che prescinde dalla individuazione di un danno ma che non si risolve nella mera rivelazione in sé e per sé della notizia da tenere segreta, imponendo la verifica, sulla base del caso concreto, della sua idoneità a creare pregiudizio agli interessi della pubblica amministrazione, nel caso quella giudiziaria, o del terzo, tenuto conto altresì del fatto che le Sezioni unite della Corte di Cassazione (S.U. n. 4694 del 27/10/2011) hanno chiarito che il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 326 cod. pen. importa, per la sua configurabilità sotto il profilo materiale, che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo, nel senso che sussiste il reato se dalla rivelazione del segreto possa derivare un danno alla pubblica amministrazione o a un terzo e che il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, qualora notizie d’ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle (e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta) ovvero a soggetti che, ancorché estranei ai meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute, fermo restando per tali ultime persone il limite della non conoscibilità dell’evoluzione della notizia oltre i termini dell’apporto da esse fornito.

Di conseguenza, alla stregua di quanto sin qui esposto, era ribadito il principio di diritto secondo il quale il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 326 cod. pen. importa, per la sua configurabilità sotto il profilo materiale, che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo effettivo, nel senso che sussiste il reato se dalla rivelazione del segreto possa derivare un danno alla pubblica amministrazione o a un terzo e che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta sicché il reato non sussiste nel caso in cui, trattandosi di notizie di ufficio ancora segrete, le stesse siano rivelate a persone che, in relazione al ruolo istituzionale pubblico rivestito, le abbiano già conosciute, fermo restando il limite della non conoscibilità dell’evoluzione della notizia oltre i termini dell’apporto da esse fornito.

4. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è configurabile il delitto di cui all’art. 326 cod. pen..

Difatti, in tale pronuncia, si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che tale illecito penale importa, per la sua configurabilità sotto il profilo materiale, che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo effettivo, nel senso che sussiste il reato se dalla rivelazione del segreto possa derivare un danno alla pubblica amministrazione o a un terzo e che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta sicché il reato non sussiste nel caso in cui, trattandosi di notizie di ufficio ancora segrete, le stesse siano rivelate a persone che, in relazione al ruolo istituzionale pubblico rivestito, le abbiano già conosciute, fermo restando il limite della non conoscibilità dell’evoluzione della notizia oltre i termini dell’apporto da esse fornito.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza (o meno) di codesto illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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