Il caso, di recente esaminato dalla Corte di Cassazione Sezione VI Penale, con sentenza 24-01-2018 n. 3356, verte proprio in ambito di relazioni interpersonali.
Nella fattispecie, un soggetto, peraltro utilizzatore di cocaina, telefonava alla moglie, ingiuriandola (anche sul posto di lavoro), minacciandola e costringendola a fuggire da casa: la moglie e la figlia, peraltro, intraprendevano un percorso psicoterapeutico.
In primis, va ricordato che, in base alla Carta Costituzionale, la salute, intesa come integrità psico-fisica, costituisce un diritto, tutelato nella prima parte della stessa lex suprema: ciò in quanto è la stessa vita in generale ad essere protetta, quale diritto inviolabile della persona e peraltro come principio-pilastro dello Stato, essendo quest’ultimo fondato sul principio di solidarietà sociale, oltreché politica ed economica (art. 2).
Segnatamente, la salute, intesa in termini di benessere psico-fisico, è garantita per la persona sia in quanto singolo sia come componente di una comunità.
Sotto il profilo sostanziale, l’ordinamento italiano, in sede penale, punisce, all’art. 572 c.p., i c.d. “maltrattamenti”: con tale termine si intendono quelle condotte caratterizzate da intenzionalità e reiterazione che ledono ed offendono l’integrità fisica ed il patrimonio morale del soggetto, creando molteplici sofferenze morali e compromettendo il decoro e la dignità personale.
Sul piano formale, è da notare che tale reato si configura anche quando il rapporto è di mero fatto ovvero in assenza di matrimonio e, precisamente, per qualsiasi tipo di relazione purché stabile nonché persino in caso di separazione legale: ciò in quanto, in tali casi, perdura il vincolo familiare e, quindi, la necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell’educazione, nell’istruzione e nell’assistenza morale dei figli minori e di osservare l’obbligo di reciproco rispetto.
In altri termini, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile in danno di una persona legata all’autore della condotta da una relazione sentimentale che abbia comportato un’assidua frequentazione della di lei abitazione e, quindi, anche nei confronti di persona non più convivente “more uxorio”: deve, cioè, trattarsi di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale (Cass. Sez. 5 Pen. 17/03/2010 n. 24688) ovvero una stabilità relazionale dipendente dai doveri connessi alla filiazione (Cass. Sez. 6 Pen. 20-04-2017 n. 25498 e 08-07-2014 n. 33882, Cass. Sez. 2 Pen. 23/04/2015 n. 30934).
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