Con sentenza n N. 28401 del 19 DICEMBRE 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto che la non imputabilità del mancato trasferimento della residenza, per effetto della sopravvenienza di un impedimento oggettivo, imprevedibile ed inevitabile, esclude, di per sé, la decadenza dall’agevolazione, senza che possano esser, a tal fine, richiesti ulteriori comportamenti (in tesi, il reperimento di altro immobile) a carico del contribuente. Sono, per contro, irrilevanti le motivazioni soggettive relative al mancato trasferimento della residenza .
Nel caso di specie la CTR, in riforma della decisione della CTP, ha accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di liquidazione con il quale erano state recuperate a tassazione le ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali, non avendo il contribuente provveduto a trasferire, entro il termine di legge, la propria residenza nel comune ove era ubicato l’immobile acquistato, con i benefici “prima casa”. I giudici d’appello affermano che l’agevolazione va mantenuta tutte le volte in cui l’inosservanza all’obbligo di trasferimento della residenza è dovuto a causa di forza maggiore, ed il trasferimento è intervenuto entro un termine ragionevole, comunque, non superiore ai tre anni, requisiti che nella specie sono stati reputati sussistenti
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la statuizione della CTP, affidato ad un unico motivo deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, nota II bis, n. 1 lett. A), della Tariffa, parte prima, allegata al dPR n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, co 1, n. 3 cpc.
Gli Ermellini hanno dichiarato preliminarmente che l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa”, in tutte le formulazioni succedutesi nel tempo (originariamente prevista dalla L. n. 168 del 1982, art. 1, comma 6, poi, dal D.L. n. 12 del 1985, art. 2, convertito nella L. n. 118 del 1985, nonché dalla L. n. 415 del 1991, art. 3 ed ora dall’art. 1, comma 1 e nota 2A bis, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) postula che l’acquirente abbia la residenza anagrafica (o presti attività lavorativa) nel comune in cui è ubicato l’immobile acquistato ovvero – nella previsione di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, co 131, quale modificato dalla L n. 388 del 2000, art. 33, co 12- che si impegni, in seno all’atto d’acquisto, a stabilirla in detto comune entro il termine di diciotto mesi.
La Corte di Cassazione sulla base di tali considerazione è giunta alla conclusione che il ritardo nel completamento dei “lavori di ristrutturazione” dell’appartamento è da valutare come “causa di forza maggiore”. Ciò comporta “la non imputabilità” al contribuente del mancato trasferimento della residenza, proprio perché dovuto a “un impedimento oggettivo, imprevedibile e inevitabile”.
Passaggio logico successivo, concludono i giudici della Cassazione, è escludere, con buona pace del Fisco, “la decadenza dall’agevolazione .Infatti anche se la realizzazione dell’impegno di trasferire la residenza, che rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio richiesto costituisce, quindi, un vero e proprio obbligo del contribuente verso il fisco, non può, però, non tenersi conto della sopravvenienza di un caso di forza maggiore, e cioè di un ostacolo all’adempimento dell’obbligazione, caratterizzato dalla non imputabilità alla parte obbligata, e dall’inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento.
In conclusione poichè il trasferimento della residenza da parte del contribuente era avvenuto in un tempo “ragionevole” e ricompreso entro “il termine triennale di decadenza del potere accertativo, gli Ermellini hanno comunque ribadito che il ritardo era dovuto ad una causa di forza maggiore consistente appunto nel mancato completamento dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento acquistato.
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