Indice:
- Cenni storici sulle norme in tema di sanzioni tributarie
- La vigente normativa in tema di sanzione tributaria
- Applicabilità del sistema sanzionatorio tributario alle persone giuridiche
- La sanzione amministrativa applicabile alla persona giuridica in presenza di amministratori di fatto
- Volume dedicato
Cenni storici sulle norme in tema di sanzioni tributarie
La sanzione amministrativa in ambito tributario trova la propria ratio in una ricerca storica tesa a conciliare gli aspetti particolari non rinvenibili in altri settori con i principii generali che regolano la disciplina sanzionatoria.
Con legge n. 4/1929 sono state approvate «le norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie», che hanno inaugurato la regolamentazione sul fronte delle violazioni fiscali o tributarie. La legge n. 4/1929 ha posto in essere una disciplina regolatoria in maniera stabile fino alla seconda metà del secolo scorso[2].
Successivamente è stata introdotta una storica riforma tributaria a partire dagli anni ’70 diversificando le previsioni sanzionatorie amministative in ragione della peculiarità di ogni singolo tributo. Allo stesso tempo la predetta riforma ha attribuito agli uffici amministrativi la potestà di irrogare le relative sanzioni pecuniarie e la sopratassa a conclusione del procedimento di controllo.
Il sistema sanzionatorio in questione entrò subito in crisi tanto che ci volle una legge ad hoc sulle sanzioni amministrative (la famosa L. 24.11.1981, n. 689) che introdusse una disciplina generale delle sanzioni comminate dalla pubblica amministrazione, ma con un quadro di riferimento di tipo penalistico nell’esercizio dell’attività da parte della stessa pubblica amministrazione.
Alla fine del secolo scorso ci fu una organica riorganizzazione della materia, attraverso la riforma dei due sistemi in esame così da ottenere il totale riallineamento ai principi generali del diritto sanzionatorio. In attuazione quindi della delega contenuta nell’art. 3, co. 133, L. 26.1.1996, n. 662, si è proceduto alla riforma delle sanzioni amministrative, attraverso l’emanazione dei d.lgs. nn. 471, 472, 473 del 1997. Con il d.lgs. 18.12.1997, n. 472 è stata introdotta una disciplina sui principi generali (delle sanzioni amministrative) non tanto distante da quella contenuta nella L. n. 689/1981 ed ispirata ai principi del diritto punitivo mediante l’equiparazione della sanzione tributaria ai principi generali della sanzione amministrativa, così come pensata dal legislatore del 1981.
Dal quadro giuridico descritto risulta evidente che il comparto amministativo sanzionatorio è giuridicamente indipendente, tanto da ravvisarvi una sorta di divieto di applicabilità della disciplina penalistica nel caso la normativa specifica risultasse incompleta o lacunosa. Occorre evidenziare che le due sanzioni (amministrativa e penale) non sono cumulabili secondo il principio di specialità della norma laddove applicabili entrambe al caso concreto.
Anche nel diritto tributario il criterio formalmente prescelto per applicare la sanzione al caso concreto è quello che si riferisce al principio di specialità, secondo i dettami di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 74/2000. Il criterio in questione però privilegia sostanzialmente la sanzione penale rispetto a quella amministrativa, essendo l’applicabilità di quest’ultima resa possibile in via residuale solo nel caso in cui il processo o il procedimento penale non si concludano con una condanna del contribuente. Nella realtà è possibile applicare sia le sanzioni amministrative e penali, senza la violazione del principio del ne bis in idem, sul presupposto che la funzione delle sanzioni amministrative è diverso dalla funzione della sanzione penale[3].
La vigente normativa in tema di sanzione tributaria
Come già accennato, allo stato attuale la sanzione amministrativa tributaria è disciplinata dal d.lgs. n. 472/1997 che regola i principi generali della materia, e dai d.lgs. nn. 471 e 473 del 1997.
L’art. 3 del d.lgs. n. 472/1997 fissa un principio fondamentale su cui poggia il sistema, ovverosia, «nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso»[4]. Il divieto di retroattività in questione subisce due importanti deroghe a favore del trasgressore, entrambe espressamente previste nella disciplina sanzionatoria tributaria: l’abolitio criminis e il favor rei.
L’abolitio criminis si verifica al venir meno della norma con la sua abrogazione, nel qual caso un comportamento contra legem cessa di essere tale. Ne discende che se la sanzione è stata già irrogata in via definitiva, sopravvive solo il debito residuo. Presupposto per l’applicabilità di tale istituto è che all’abrogazione della norma che contempla la fattispecie punitiva al caso concreto non venga reintrodotta una nuova disciplina sanzionatoria di una medesima condotta.
Il principio del favor rei, invece, opera in caso di successione di norme in relazione a un’identica fattispecie. Tale principio si traduce nell’applicazione di una sanzione più favorevole qualora in una successione di leggi quella posteriore sia più favorevole al trasgressore. Occorre evidenziare tuttavia che vi è un limite di applicabilità di tale principio nel caso in cui la condanna si sia cristallizzata attraverso un provvedimento definitivo.
Si è aperto un vivace dibattito sulle sanzioni fiscali da comminarsi alle persone giuridiche atteso che la disciplina in analisi prevedeva che le sanzioni erano a carico delle società o enti con personalità giuridicha secondo i dettami di cui al D.lgs n. 472/1997 senza che detta norma abbia previsto le modalità di applicazione di queste sanzioni.
Il sistema previgente aveva fissato il principio della responsabilità soltanto in capo alla persona fisica autrice o coautrice dell’illecito. Tale principio era stato mutuato dal modello afflittivo delle sanzioni penali e delle sanzioni amministrative (secondo quanto dettato dalla legge n. 689 del 1981) e dunque il legislatore fiscale, sulla base di tale modello, aveva disegnato il sistema sanzionatorio esclusivamente sulla punibilità delle persone fisiche essendo esse e solo esse in grado di commettere il fatto con dolo o colpa.
Applicabilità del sistema sanzionatorio tributario alle persone giuridiche
ll D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, ha completamente ribaltato il sistema sanzionatorio attribuendo alla sola persona giuridica la applicabilità delle sanzioni amministrative e giammai alla persona fisica autrice o coautrice della violazione (art. 7).
Attraverso il meccanismo della solidarietà tra più soggetti, (ovvero la persona fisica e la società con o senza personalità giuridica che avrebbero tratto beneficio dalla commissione dell’illecito), si assisteva a due forrme di responsabilità, una diretta e l’altra indiretta e quindi la possibilità per il fisco di chiamare a rispondere tanto l’uno, persona fisica, che l’altra, società o ente.
L’art. 7 del D.L. 269 del 2003 ha letteralmente ribaltato il sistema attraverso l’introduzione della responsabilità diretta ed esclusiva delle persone giuridiche; la persona fisica con ruoli di rappresentanza della persona giuridica, dunque, viene esclusa da tale forma di responsabilità.
Vi è tuttavia da osservare che, non essendovi alcun riferimento normativo riguardo al beneficio alla società o ente conseguente alla commissione dell’illecito, tale criterio viene sostituito da quello afferente al dato oggettivo del collegamento della sanzione fiscale al rapporto fiscale proprio della società o ente, presupponendo che tale collegamento sia idoneo a individuare anche il soggetto destinatario del beneficio.
Dal quadro ricostruttivo dalla norma emerge, inoltre, che non tutte le società o enti rientrano nel nuovo sistema normativo, ma solo quei soggetti dotati di personalità giuridica, mentre rimangono esclusi gli organismi privi di tale personalità. Ne discende che rappresentanti persone fisiche, segnatamente, di enti e società privi di personalità giuridica, continuano a essere sottoposti alle sanzioni ex D.lgs 472/1997; le categorie appartenenti a organismi dotati di personalità giuridica, viceversa, ne rimangono esclusi, sebbene risultino gli autori materiali dell’illecito.
Sembra che l’incomprensibile elemento discriminante per escludere o ammettere la responsabilità sia la connotazione da darsi alla società o ente, ovverosia se priva o dotata di personalità giuridica. Detto criterio, lungi dall’introdurre condizioni di parità di trattamento tra persone fisiche autrici dell’illecito, è fonte di una grave discrepanza e disuguaglianza inammissibili nell’ordinamento di uno Stato democratico.
In ogni caso, la legge delega n.80 del 2003 e, in maniera ancora più netta, il D.lgs 231/2001, contengono elementi di maggiore chiarezza a riguardo. La prima trasferisce il centro di imputazione della responsabilità dalla persona fisica al soggetto beneficiario dell’illecito, senza fare menzione alcuna circa le veste giuridica che riveste la società o ente, ovvero, in altre parole, non fa alcuna distinzione tra enti privi e enti dotati di personalità giuridica.
La seconda, intitolata “Della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, fa esplicito riferimento agli enti forniti di personalità giuridica, alle società ed associazioni anche prive di personalità giuridica (art.1, comma 2 D.Lgs. 231/01) ed è quindi volta a ristabilire l’equilibrio tra soggetti che pur appartenenti a enti con diversa disciplina civilistica, vengono accomunati sotto il profile dell’illecito fiscale, applicando ad entrambe le categorie il principio del trasferimento di responsabilità in capo all’ente che rappresentano.
Riguardo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, il legislatore non ha esitato ad apprestare schemi di prevenzione del reato tesi ad escludere la responsabilità dell’ente che li abbia attuati, non solo, ma che abbia ben vigilato sulla puntuale attuazione degli stessi. Non si tratta dunque di colpevolezza intesa nel senso classico come elemento psicologico del dolo o della colpa grave, bensì della possibilità di muovere un rimprovero per la mancata adozione dei modelli di prevenzione previsti dalla legge e che si sostanzia nella c.d. culpa in vigilando.
Dopo le argomentazioni tese a chiarire la responsabilità delle società o enti con personalità giuridica sottoposti a sanzione, è il caso ora di affrontare il tema posto dal comma 3 dell’art. 7 D.L. 269/03 che prevede l’applicazione delle disposizioni del D.Lgs. 472 del 1997, “in quanto compatibili”[5].
Analizzando nel dettaglio le norme del citato D.Lgs. 472/97, continuano ad applicarsi alle società o enti con personalità giuridica, senza che residuino dubbi in proposito, l’art. 2 (con esclusione del comma 2 che fissa il principio della applicabilità della sanzione solo alla persona fisica autrice o coautrice dell’illecito) e l’art. 3 (principio di legalità). Lo stesso dicasi in ordine alle disposizioni disciplinanti il ravvedimento operoso (art. 13), la cessione di azienda e la trasformazione, fusione e scissione delle società (artt. 14 e 15), quelle che dettano le procedure di irrogazione delle sanzioni (artt. 16, 16 bis e 17), quelle relative alla tutela giurisdizionale (artt. 18 e 19), quelle concernenti l’iscrizione di ipoteca e il sequestro conservativo (art. 22), e, per finire, le disposizioni sulla sospensione dei rimborsi e sulla riscossione delle sanzioni ( artt. 23 e 24)
Di contro, l’’art. 4 che prevede la punibilità del fatto solo se posto in essere da persona capace di intendere e di volere, fa evidentemente riferimento alla sanzionabilità delle persone fisiche, per cui quest’ultima non è da ritenersi ricadere nel regime della disciplina di responsabilità delle persone giuridiche.
Sempre in tema di responsabilità dell’ente, sembra non poter trovare applicazione anche l’art.5 del D.Lgs. 472/1997, che rende punibili le sole condotte poste in essere con dolo o colpa. La norma infatti richiama la colpevolezza quale atteggiamento psicologico del soggetto responsabile, non riscontrabile nelle azioni poste in essere dalle persone giuridiche.
Nel caso di pluralità di illeciti commessi dalla società o ente con una sola azione od omissione, si ritiene che possa trovare applicazione anche per le persone giuridiche la regola che prevede l’irrogazione della sanzione per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, escludendo il cumulo delle sanzione.
La sanzione amministrativa applicabile alla persona giuridica in presenza di amministratori di fatto
E’ da analizzare infine il tema della applicabilità della sanzione amministrativa riferibile alla persona giuridica, in presenza di amministratori di fatto della società.
A tal proposito, la Suprema Corte di Cassazione con Ordinanza n. 25284/2018[6] prende spunto dai criteri di interpretazione letterale, di specialità e di successione nel tempo. Si legge nell’Ordinanza: «Invero, l’art. 7 D.L. n. 269 del 2003, rubricato significativamente “Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”, dispone, al primo comma, che “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, e, al terzo comma, che “Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”. Nessun distinguo, quindi, è previsto con riferimento agli amministratori di fatto. Né una soluzione diversa può essere desunta dall’art. 9 del D.Lgs. n. 472 del 1997, che disciplina in termini generali il concorso di persone nella violazione tributaria, ma non si pone come deroga all’art. 7 D.L. n. 269 del 2003, posto che questo, da un lato, è stato introdotto successivamente all’art. 9 citato, e, dall’altro, prevede l’applicabilità delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997 solo «in quanto compatibili». Nel medesimo senso, del resto, si pone, sia pur indirettamente, un precedente della giurisprudenza di legittimità».
Sulla questione è tornata di recente la Corte di Cassazione con Sentenza 22 maggio 2020, n. 9450, precisando che «Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del D.L. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in L. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili[7]»
La circostanza che tale costante orientamento giurisprudenziale sia maturato prevalentemente in materia di amministratore di fatto della persona giuridica contribuente non ne esclude la pertinenza anche a fattispecie nelle quali il preteso concorrente non è collegato alla prima da alcun rapporto organico, neppure meramente fattuale. L’esclusione del concorso sanzionabile di terzi concorrenti nella violazione della contribuente persona giuridica è fondata, a monte, sull’inequivoco dato testuale del ridetto art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, il quale esprime in maniera inequivoca la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente.
Conclude la Suprema Corte affermando che: “nel caso in esame non vengono in rilievo i presupposti fattuali sulla base dei quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in alcuni casi che, nonostante il dettato dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, trovi applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione commessa nell’interesse esclusivamente proprio, e sia quindi sanzionabile la persona fisica autrice della violazione che non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale.”
Pertanto, anche se in alcuni casi la giurisprudenza aveva individuato una responsabilità a carico dell’amministratore di fatto che aveva perseguito un interesse proprio o che abbia artificiosamente costruito una società per fini illeciti e personali, dimostrando in tal caso che la persona giuridica è una mera fictio creata nell’interesse della persona fisica[8], con tale ultima sentenza la Cassazione torna sui suoi passi affermando che la responsabilità sanzionatoria ricade esclusivamente sulla persona giuridica, richiamando il disposto letterale del D.L. 269/03.
Ebook consigliato
|
Note
[2] Del Federico, L., Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, 90
[3] Boria, P., L’interesse fiscale, Torino, 2002
[4] Fantozzi, Diritto tributario, Torino, 2003. Sull’applicazione del divieto di retroattività, per la giurisprudenza, Cass. 15/10/2001 n. 12543; Cass. 20/12/2002 n. 18160
[5] Sulla mero rinvio all’applicabilità delle norme previste dal D.Lgs. 472/97 anche alle persone giuridiche in quanto compatibili, diversa dottrina ha auspicato un intervento normativo dettagliato a riguardo. In tal senso, Del Federico, L., Sanzioni amministrative relative a persone giuridiche e favor libertatis, in Giust. tributaria, 2007
[6] Mutuando la precedente sentenza sul tema n. 9122 del 23/04/2014
[7] Cass. 25/10/2017, n. 25284; nello stesso senso cfr. Cass. 28/08/2013, n. 19716; Cass. 11/3/2016, n. 4775; Cass. 08/03/2017, n. 5924; Cass. 07/11/2018, n. 28331; Cass. 18/04/2019, n. 10975.
[8] Cass. 18/04/2019, n. 1/0975; Cass. 08/03/2017, n. 5924 e Cass. 28/08/2013, n. 19716
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento