Approfondimento sullo scambio elettorale politico mafioso con analisi dell’art. 416-ter c.p. e della recente giurisprudenza di legittimità.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale
Indice
1. La norma: contesto storico in cui nasce l’art. 416-ter c.p.
L’obiettivo perseguito dal legislatore del 1992, attraverso l’introduzione dell’art. 416 ter (id est, scambio elettorale politico-mafioso), era quello di attribuire specifica rilevanza penale al fenomeno del voto di scambio, realizzato attraverso l’erogazione di denaro da parte del politico al sodalizio criminale che gli avesse promesso voti.
La norma fu introdotta nell’ordinamento italiano all’alba della strage di Capaci; così, il giorno 8 giugno dello stesso anno viene varato il “super decreto antimafia” (id est, decreto Martelli). La ratio della norma è chiara e si preannuncia forte: fare terra bruciata attorno alle mafie, estendendo l’area del penalmente rilevante avverso tutte quelle condotte, dirette ed indirette, prodromiche all’insediamento delle associazioni mafiose in una determinata zona territoriale, anche attraverso collaborazioni ed alleanze con soggetti che rivestono una qualifica pubblica (in questo caso, il candidato politico locale).
Era chiaro già allora che servissero degli autonomi interventi legislativi idonei a scongiurare quei rapporti sinallagmatici fra criminalità organizzata e politica, sin dalla loro instaurazione. È proprio il legame tra mafia e politica (su tutti i livelli, sia essa locale, regionale e nazionale) che la norma mira, o quantomeno auspicava [1], a smantellare, in quanto attività essenziale alla sopravvivenza delle attività economiche della mafia stessa.
2. Evoluzione normativa
Originariamente, la norma puniva chiunque accettasse la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al III comma dell’art. 416 bis c.p. in cambio dell’erogazione di denaro.
Ben presto ci si rende conto, però, della inadeguatezza strutturale e della incapacità della norma di far breccia nel fenomeno della contiguità politico-mafiosa. Essa così recitava: “La pena stabilita dal primo comma dell’art. 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio dell’erogazione di denaro”.
Lo scambio era tra la promessa di voti e l’erogazione di denaro. Pertanto, poteva verificarsi solo nel caso in cui il politico desse soldi al mafioso in cambio della promessa di ottenere voti intercettati con l’esercizio del metodo mafioso. L’art. 416 ter c.p., dunque, puniva unicamente il politico, sorpreso – per così dire – con la valigetta in mano.
Una prima importante modifica – ma piuttosto tardiva (sono stati necessari ben ventidue anni) – avviene con la l. n° 62 del 2014 che riforma completamente e strutturalmente la norma, dove da reato-scambio diviene reato-contratto, prevedendo la punizione del solo accordo tra le parti e facendo riferimento non solo al denaro, ma anche ad altra utilità.
Resta ferma, dunque, la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al III comma dell’art. 416 bis c.p., in cambio della erogazione o della promessa di denaro o di altra utilità.
Viene punito per la prima volta anche il mafioso; pur tuttavia, detta disposizione non ha risolto il problema relativo ai voti procurati dai mafiosi all’interno della stessa cosca di appartenenza, giacché, in questi casi, non si utilizza certamente il metodo mafioso.
Attraverso una analisi del testo, ci si renderà subito che a mutare è l’oggetto della controprestazione, il quale dal mero denaro si amplia e ricomprende una qualsiasi “altra utilità” [2]: questa è un’aggiunta importante, perché la corresponsione del denaro non basta più; vi sono ipotesi – abbastanza notevoli e sicuramente più frequenti – in cui il candidato non corrisponde esclusivamente denaro, bensì, vantaggi differenti e del tutto più proficui (contributi pubblici, appalti, autorizzazione, concessioni, ecc.). Tutti quei vantaggi, dunque, che fuoriescono dalla logica clientelare cd. “legale”, frutto del clientelismo politico che consente, a chi ne usufruisce, di vedere soddisfatta una propria richiesta in cambio del voto.
Viene finalmente data una risposta alla esigenza di effettività della risposta sanzionatoria penalmente rilevante al fenomeno del voto di scambio cd. “illegale” (quello di cui in esame), “conformando la fattispecie astratta alla realtà criminale nelle sue più frequenti manifestazioni concrete” [3].
Ancora, viene anticipata la soglia di rilevanza penale della condotta al momento dello scambio di promessa o della sua accettazione: in deroga all’art. 115, in cui non si viene puniti per il solo fatto di accordarsi, la norma diviene, pertanto, un reato di pericolo astratto.
Viene introdotta la modalità attraverso cui il politico ed il mafioso si accordano: il “metodo mafioso” è ora ritenuto uno strumento di procacciamento dei voti, di cui la associazione mafiosa si avvale per imporre il proprio potere ed il proprio dominio.
Ma il metodo mafioso resta solo uno dei requisiti modali dell’accordo: in quanto “ai fini della consumazione del reato è indispensabile che politico ed esponente della cosca stipulino un accordo che abbia ad oggetto il procacciamento dei voti attraverso il metodo mafioso, non è invece necessario che le preferenze elettorali siano state effettivamente ottenute avvalendosi di intimidazione ed assoggettamento” [4].
Con la riforma del 2019, attraverso la legge n° 43, si assiste ad un significativo mutamento del precetto penale e del corrispettivo trattamento sanzionatorio: si punisce chiunque accetti la promessa di procurare voti anche a mezzo intermediari, cosicché sia il mafioso sia il politico vengano puniti se agiscono tramite soggetti terzi.
Si precisa che il mafioso, ora, può procurare sia i voti dei soggetti intimiditi attraverso l’utilizzo del metodo mafioso, sia i voti degli stessi mafiosi.
Il reato risulterà integrato non solo quando lo scambio riguarda il denaro od altre utilità, ma anche quando il politico promette l’asservimento di se stesso agli interessi dell’associazione criminale.
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3. Oggetto dell’accordo
Oggetto dell’accordo sono la promessa di voti realizzata attraverso il metodo mafioso e la erogazione o la promessa di erogazione di denaro o altre utilità.
Per quel che attiene alla promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis, è necessario che il promittente garantisca il suo impegno a procacciare voti facendo ricorso al metodo mafioso.
Vi è da notare come il legislatore, in sede di riforma, ha espunto dalla norma: “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze delle associazioni”.
Come alcuni autori hanno fatto notare, tale espressione difettava in punto di determinatezza, non presentando la locuzione “disponibilità” di descrizione alcuna in tutto il Codice penale positivo. E tutto ciò non è avvenuto per caso: infatti “il termine «disponibilità» appare vago, inafferrabile, non compatibile con la necessaria determinatezza dell’illecito penale” [5], rendendo l’aggiunta solo ulteriormente ridondante e superflua, oltreché difficile da dimostrare.
4. I soggetti attivi
Se da un lato abbiamo la sicurezza di cosa debba intendersi per candidato politico, altrettanto non può dirsi per il militante – attivo o orbitante [6]– della associazione di tipo mafioso.
In perfetta continuità con il dettato del 2014, anche il testo dell’art. 416 ter riformulato dal legislatore nel 2019 ha esteso maggiormente l’ala soggettiva: oltre al politico candidato alle elezioni e all’esponente dell’associazione mafiosa, infatti, si prevede espressamente la responsabilità dei rispettivi intermediari.
Il procacciatore dei voti, viene specificato, può essere ora sia un appartenente alle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p. e sia un soggetto che, pur non appartenendo alla consorteria mafiosa, si impegni a procurare il consenso elettorale mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis c.p.
Pertanto, per soggetti attivi del reato debbano intendersi sicuramente il candidato politico alle consultazioni elettorali, eventualmente l’intermediario del candidato, l’esponente o concorrente esterno dell’associazione mafiosa, eventualmente l’intermediario della stessa e poi, come per anni si è ritenuto [7], il soggetto che agisce uti singulus ma che si impegni ad utilizzare il metodo.
A riguardo, la dottrina si è divisa tra chi ha ritenuto che la specificazione agli intermediari fosse del tutto superflua [8] e chi, al contrario, ha ritenuto la stessa di grande rilevanza: il giurista Cisterna, invero, ha evidenziato l’opportunità del riferimento, specificando che il punto di forza della novella “è dato dall’aver affiancato all’originario procurement dei voti con il metodo mafioso anche l’ipotesi in cui la promessa sia solo proveniente da «parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416 bis». La scelta è strategia e punta ad evitare che la punizione della condotta di scambio evapori in presenza delle cd. mafie silenti per le quali il ricorso al metodo della intimidazione e dell’assoggettamento si rende meno evidente e meno sistematico” [9].
Coloro che considerano sostanzialmente pleonastico la neo-introdotta estensione agli intermediari pongono a sostegno del proprio assunto la considerazione che la responsabilità penale del procacciatore poteva essere ugualmente dedotta dalla natura comune del reato di scambio elettorale politico-mafioso ovvero dal ricorso all’art. 110 c.p.
Infatti, Amarelli sostiene che già il ricorso alla formula comune “chiunque” rendeva protagonisti nel patto della vicenda entrambi i soggetti e che l’aggiunta “direttamente o a mezzo intermediari” altro non è che un inessenziale locuzione che non produce affatto quel dichiarato effetto espansivo dell’area di operatività della fattispecie, così come “sbandierato dal legislatore” [10].
All’inverso, si potrebbe consentire, in tal modo, un ampliamento dell’ambito applicativo del reato a quei soggetti che operano in contesti diversi dalla classica mafia stragista del meridione, in cui le modalità operative sono meno apertamente intimidatorie.
5. Aggravante dell’elezione
Il legislatore del 2019, come anticipato, ha introdotto un nuovo comma che prevede un aumento fisso della pena base qualora chi ha accettato la promessa dei voti “a seguito dell’accordo di cui al primo comma, è risultato eletto nella relativa consultazione elettorale”: ciò che emerge, ictu oculi, è la totale assenza di qualsiasi nesso causale fra l’accordo stipulato in relazione al procacciamento dei voti e la effettiva elezione.
Lapalissiano sarebbe aggiungere quanto questa nuova introduzione sia foriera di violazione del principio di indeterminatezza.
Non è specificata – nemmeno nella relazione di accompagnamento della riforma – alcuna verifica in ordine alla esistenza di un qualsivoglia collegamento fra l’attività di procacciamento e la vittoria elettorale [11].
Partendo dal dato empirico della segretezza del voto, è di difficile accertamento il legame tra i consensi che riceve un determinato politico con quelli espressi dai soggetto che, all’opposto, sono vittime (ma non per forza, o almeno non in modalità evidente; meglio dire frutto di) attività di procacciamento di voti mafiosi.
Conseguenza di questo legame, però, è l’irrogazione di una pena che va da un minimo di quindici ad un massimo di anni ventidue e mesi sei.
Pertanto, oltre alla violazione del principio di indeterminatezza, al difficilissimo (forse meglio dire impossibile) accertamento circa il legame che lega i consensi, si aggiunge a tale giuridica nefandezza anche un trattamento sanzionatorio quantomai sproporzionato ed incongruo rispetto alla gravità del fatto.
6. La responsabilità del mafioso che promette voti
Ulteriore aspetto da attenzionare è l’indagine sulla responsabilità di chi, direttamente o indirettamente coinvolto nella consorteria mafiosa, promette voti in cambio di tornaconti.
È decisivo comprendere se si è in presenza di un concorso apparente di norme o di un concorso di reati e, soprattutto, se tramite l’accordo, a titolo di quale reato debba rispondere il promittente che abbia in qualche modo rafforzato l’organizzazione criminale (così, come giurisprudenza recente in ordine al concorso esterno).
Nel ribadire che la struttura plurisoggettiva impropria, così come formulata dal legislatore del 1992, non teneva conto del mafioso, la medesima struttura embrionale implicava una precisa scelta politico-criminale in ordine alla esclusione del concorso di reati fra l’art. 416 bis c.p. e l’art. di cui al 416 ter c.p.: dunque, la illecita influenza esercitata da parte del clan all’interno della stessa consorteria mafiosa era incriminata esclusivamente ai sensi della norma di cui all’art. 416 bis c.p.. Oltre all’assoggettamento, peraltro, tra le parti dell’accordo alla medesima risposta sanzionatoria.
Estendendosi il campo dei soggetti attivi già nel 2014, prevedendo l’incriminazione anche del promittente dei voti, si è, automaticamente, avuta una sostanziale duplicazione della sanzione penale per l’esponente mafioso.
Per citare uno dei più grandi garantisti della storia repubblicana italiana, si potrebbe ovviare all’annosa questione, ritenendo che il nuovo II comma, indicando un generico “chi” promette i voti al candidato delle elezioni, “non farebbe necessariamente riferimento ad un associato di mafia, quanto – piuttosto – eleverebbe chiunque ad interlocutore della parte politica […]”, pertanto, riferendosi sia a “soggetti estranei alla consorteria mafiosa, sia a membri di essi che agiscano uti singuli, sia ancora intermediarti portatori della volontà della cosca di impegnarsi in una azione di sponsorizzazione elettorale” [12].
Ai fini della risoluzione del problema, in un’ottica di riequilibrio, nel precedente assetto normativo le soluzioni adottare furono diverse: tra chi propendeva per ricondurre il reato sotto l’ala della norma di cui all’art. 416 bis c.p. e chi, invece, propendeva per un concorso di reati in capo al mafioso che procacciasse voti, emergeva con maggior vigore la tesi di coloro che optavano per un concorso apparente di norme, che si basava proprio sul rapporto di sussidiarietà. Concorso apparente di norme che, in base al principio citato di sussidiarietà, si risolveva con l’applicazione del più grave delitto di associazione mafiosa ex art. 416 bis c.p.
7. La recente giurisprudenza di legittimità
La Sesta Sezione della Corte di legittimità si è recentemente pronunciata in riferimento alla tematica in esame [13].
Breve ricostruzione dei fatti: nel capo di imputazione vi era una serie di intercettazioni tra Tizio (candidato politico alle elezioni comunali) e Caio (già condannato in passato per il delitto di cui all’art. 416bis), nelle quali Caio si impegnava a procacciargli voti in vista della imminente tornata elettorale in cambio di favori personali (in quanto Tizio avrebbe fatto parte della sezione urbanistica).
In una delle intercettazioni presenti nel compendio indiziario, Caio prometteva circa una ventina di voti, precisando che si trattassero di voti “della famiglia”, intesa dal Gip come cosca mafiosa.
Avverso l’ordinanza di custodia cautelare, la difesa di Caio propone riesame al Tribunale della Libertà, il quale accoglieva l’istanza nella parte in cui asseriva l’assenza degli elementi del reato di cui all’art. 416 ter, poiché l’indagato Caio aveva agito uti singulus e non, invece, in nome della organizzazione mafiosa, difettando dell’elemento costitutivo quale quello dell’accordo tra politico ed associazione mafiosa.
Innanzitutto, la Corte evidenzia come il legislatore avesse previsto, quale elemento costitutivo della fattispecie, l’illecito accordo tra il tra il candidato politico con un soggetto intraneo all’associazione mafiosa e che la stessa giurisprudenza si fosse già cristallizzata attorno all’idea che il compendio probatorio a fondamento dell’incriminazione di cui all’art. 416 ter si differenziasse proprio dal caso in cui il soggetto che si impegnava a procurare i consensi fosse estraneo al sodalizio, e dunque, agendo uti singulus.
Infatti, nella nota sentenza Zappalà già si era già affermato che, ai fini della configurabilità del delitto de quo, qualora il soggetto operante uti singulus si impegnasse per il procacciamento dei voti, fosse necessaria “la prova della pattuizione delle modalità di procacciamento del consenso con metodo mafioso” [14], specificando che la prova potesse essere ritenuta manifesta laddove il promittente fosse già un intraneo che agisse in rappresentanza e nell’interesse della consorteria, posto che fosse proprio la cd. “fama criminale” del soggetto a far sì che fosse adempiuto il reclutamento dei voti medesimi.
E, dunque, affinché il soggetto, che agisca uti singulus al procacciamento dei voti, sia penalmente responsabile ai sensi dell’art. 416 ter, deve necessariamente operare attraverso il metodo mafioso previsto dalla norma immediatamente precedente, posto che si faccia comunque portavoce di quella che è la volontà criminale della consorteria mafiosa.
La Corte non manca di sollevare come anche nella sentenza Tallini aveva affermato che la medesima circostanza che taluni militanti di un’associazione mafiosa confidassero nel contributo di questi non implica, per ciò solo, che questi avesse realmente piena considerazione all’interno del clan medesimo.
Inoltre, vero è che l’indagato era inserito in vari ambienti della realtà cittadina e, pertanto, in grado di stringere rapporti con esponenti politici di rilievo così come delle organizzazioni operanti sul territorio, ma, altrettanto vero è che la valutazione operata dal Tribunale viene soggetta a censure in quanto “occorrono elementi specifici, idonei a dar conto della consapevolezza e della volontà del soggetto di operare a vantaggio del clan in cambio di un ausilio di tipo elettorale” [15].
Avuto specifico riguardo al soggetto promittente, gli Ermellini concordano sulla circostanza che egli possa essere sia membro effettivo e stabilmente inserito nella consorteria mafiosa e che questi operi in nome e per conto della stessa, sia un affiliato che operi da solo (id est, uti singulus), ma in questa specifica ipotesi è fondamentale che, in quanto soggetto estraneo, debba necessariamente operare nelle forme, nei modi e con gli scopi previsti dall’art. 416 bis c.p.
Ulteriore elemento che in sede di legittimità ha sollevato la Corte ha riguardato proprio la modalità mafiosa – “quale nota modale espressa già nel pactum sceleris” [16] – che muta considerevolmente a seconda del profilo personologico della parte promittente: la responsabilità penale del candidato viene graduata a seconda della “natura e della posizione del suo interlocutore”; poiché se la controparte “è un membro, magari di vertice, della cosca mafiosa che si presenti quale portavoce della stessa, la parte dell’accordo relativa alle modalità di procacciamento dei voti può sostanzialmente darsi per desunta”.
Dunque, muta considerevolmente l’elemento soggettivo in capo al candidato che si rivolge ad un determinato soggetto, consapevole del ruolo di questi all’interno della consorteria.
Ad opposte considerazioni, invece, deve giungersi con riguardo al caso in cui il promittente sia un soggetto che agisca uti singulus oppure un extraneus alla medesima consorteria mafiosa: “in questi casi, la prova del dolo del promissario deve essere più rigorosa, essendo quindi necessaria una dimostrazione chiara ed immediata della pattuizione relativa al metodo mafioso del procacciamento del voto”.
Come notano gli Ermellini, in questi casi effettivamente manca una “garanzia” che il soggetto operi effettivamente e permanentemente in una associazione mafiosa stabile e strutturata, e pertanto idonea a procacciare i voti necessari ai fini di una vittoria delle elezioni, con la conseguenza che “il patto sul modus operandi deve investire un grado di consapevolezza più elevato nell’animo del promissario”, prova del dolo che nel caso di specie non è stato in alcun modo dimostrato nel caso de quo.
- [1]
Sulla inadeguatezza della norma si vedano, G. AMARELLI, La contiguità politico-mafiosa. Profili politico-criminali, dommatici ed applicativi, Roma, 2017; A. CAVALIERE, Lo scambio elettorale politico-mafioso, in I delitti contro l’ordine pubblico, a cura di S. MOCCIA, in Trattato di diritto penale, Napoli, 2006; M.T. COLLICA, Scambio elettorale politico-mafioso: deficit di coraggio o questione irrisolvibile?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999; G. FIANDACA, Accordo elettorale politico-mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa. Una espansione incontrollata del concorso criminoso, in Foro it., 1996.
- [2]
Il riferimento esclusivo al denaro permetteva, dal 1992 al 2014, di lasciare fuori dalla portata normativa tutti quei vantaggi di carattere patrimoniale che non rientrassero nella sfera del mero denaro.
- [3]
C. VISCONTI, Verso la riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso: andiamo avanti, ma con giudizio, 17 giugno 2013.
- [4]
Cassazione Penale, Sezione VI, 9 settembre 2014, n. 37374.
- [5]
P. MOROSINI, La riforma dello scambio elettorale politico-mafioso, 8 maggio 2014. L’Autore opera alcuni approfondimenti, prendendo spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione del 12 luglio del 2005, n° 33748 e specifica che in quella sede, i giudici di legittimità, “nell’assecondare esigenze di profilassi giudiziaria, hanno affermato che ancorare il precetto penale a concetti come «disponibilità» o «vicinanza» significa veicolare nel processo intuizioni, precomprensioni, giudizi etici. Insomma, il concetto di «disponibilità» viene considerato quanto di più ambiguo e in contrasto con i cardini di un sistema penale costituzionalmente orientato”.
- [6]
N.d.r.
- [7]
Prima della sentenza della Cassazione penale, Sez. VI, 6 aprile 2023, n. 14631.
- [8]
G. AMARELLI, L’ennesima riforma dello scambio elettorale politico-mafioso tra molte ombre e nessuna luce, in Dir. pen. proc., 2019.
- [9]
A. CISTERNA, Modifica all’art. 416 ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso (commento alla l. 21 maggio 2019 n. 43), in Guida al dir., 2019.
- [10]
G. AMARELLI, L’ennesima riforma dello scambio elettorale, 2019, op. cit.
- [11]
Sulla violazione del principio di determinatezza si veda: I. MERENDA – C. VISCONTI, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis tra teoria e diritto vivente, in, E. Mezzetti e L. Luparia Donati, La legislazione antimafia, Bologna, 2020.
- [12]
G. FIANDACA, Scambio elettorale politico-mafioso: un reato dal destino legislativo e giurisprudenziale avverso?, in Foro it., 2015
- [13]
Con sentenza del 06/04/2023, n° 14631
- [14]
[1] Cass. Pen., Sez. I, 30/11/2015, sent. n° 19230, Zappalà. In senso conforme: Cass. Pen., Sez. VI, 19/05/2015, sent. n° 25302, Albero.
- [15]
Cass. Pen., Sez. VI, 29/07/2021, sent. n° 29841, Tallini.
- [16]
La sentenza è quella citata in oggetto: Cass. Pen., Sez. VI, 6/04/2023, n°14631.
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