Scioglimento dei comuni per mafia: un istituto da riformare?

Le elezioni comunali a Bari si sono concluse con la vittoria del candidato del centro sinistra Vito Leccese. Tuttavia nel comune capoluogo pugliese in precedenza era stata nominata una commissione di accesso antimafia che ha concluso i lavori in questi giorni. Tale nomina è stata determinata da un procedimento penale che ha portato all’esecuzione di 130 misure cautelari, tra cui una riguardante una consigliera comunale sottoposta alla misura della custodia cautelare degli arresti domiciliari oltre al commissariamento della municipalizzata del trasporto pubblico AMTAB. Da indiscrezioni giornalistiche si rileva che la Commissione di accesso avrebbe proposto quantomeno lo scioglimento della citata municipalizzata, ma non si può neanche escludere il commissariamento della stessa amministrazione comunale. Si pone, pertanto, il problema di verificare se l’attuale normativa, l’art. 143 del TUEL, che si basa su elementi meramente sintomatici, debba essere riformata come proposto anche da esponenti politici del centro-destra e del governo. Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

Indice

1. Il caso Bari e lo scioglimento dei comuni per mafia


Il Ministro dell’Interno in data 19 marzo 2024, a pochi mesi dalle elezioni comunali, ha nominato, per la prima volta in un capoluogo di Regione, una commissione di accesso finalizzata a verificare un’ipotesi di scioglimento del comune di Bari legata all’inchiesta c.d. “codice interno”. Alla vicenda abbiamo dedicato l’articolo Accesso antimafia al comune di Bari: la prima volta in un capoluogo di regione [1] Hanno fatto parte della citata commissione, che ha concluso i lavori di recente, il prefetto in quiescenza Claudio Sammartino già prefetto di Savona, Taranto, Reggio Calabria e Catania, il viceprefetto Antonio Giannelli, ora promosso prefetto e il maggiore dello Scico della guardia di finanza Pio Giuseppe Stola.[2]
Tale provvedimento è stato adottato in conseguenza dell’inchiesta che aveva portato a Bari all’arresto di oltre 130 persone, tra cui la ex consigliera comunale Maria Carmen Lorusso, eletta con il centro destra e poi passata con il centro sinistra, suo marito Giacomo Olivieri avvocato ed ex consigliere regionale, il padre di lei l’oncologo Vito Lorusso.[3]
Già nell’ottobre 2022 un’altra consigliera comunale di Bari Francesca Ferri, sempre eletta nel centrodestra, era stata arrestata e poi rinviata a giudizio con il suo compagno e l’ex consigliere regionale Nicola Canonico per presunto voto di scambio nella stessa tornata elettorale a Bari e nel vicino comune di Valenzano. Gli imputati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale per le elezioni di Bari e di voto di scambio elettorale politico-mafioso per quelle di Valenzano.
L’inchiesta di Bari ha determinato il commissariamento della municipalizzata del trasporto pubblico AMTAB nella cui sede si sarebbero svolti incontri tra esponenti della criminalità organizzata, anche se si deve rilevare che il Procuratore della Repubblica, in sede di conferenza stampa, ha riferito di ritenere sostanzialmente estranea l’amministrazione comunale all’indagine.
In relazione al provvedimento di accesso ispettivo nei confronti del comune di Bari, il Ministero dell’Interno ha  precisato che “lo stesso si è reso necessario in esito ad un primo monitoraggio disposto dal Viminale circa i fatti emersi a seguito dell’indagine giudiziaria che ha portato a più di cento arresti nel capoluogo  pugliese e alla nomina da parte del Tribunale, ai sensi del codice antimafia, di un amministratore giudiziario per l’Azienda Mobilità e Trasporti Bari spa, interamente partecipata  dallo stesso comune”.
Il Viminale ha poi riferito che “l’accesso ispettivo, disposto ai sensi di precise disposizioni di legge, a Bari come in diversi enti locali per analoghe circostanze, non è pregiudizialmente finalizzato allo scioglimento del Comune, bensì ad una approfondita verifica dell’attività amministrativa, anche a tutela degli stessi amministratori locali che potranno offrire, in quella sede, ogni utile elemento di valutazione”.
In questo clima di strisciante incertezza si sono svolte la campagna elettorale e le elezioni nel Comune in questione.
In conseguenza del ballottaggio, il candidato Vito Leccese è stato eletto sindaco di Bari. Il predetto sostenuto da una coalizione di centrosinistra ha ottenuto il 70,27% dei voti, superando il candidato di centrodestra Fabio Romito, fermo al 29,73% L’affluenza definitiva è stata del 37,53%; al primo turno aveva votato il 58,17% degli aventi diritto. Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

FORMATO CARTACEO

Le Riforme della Giustizia penale

In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2024

2. Le indiscrezioni sul contenuto della relazione della commissione di accesso di Bari


Preliminarmente si osserva che l’origine dell’istituto dello scioglimento per mafia dei Comuni risale all’ultimo decennio del secolo scorso; infatti, si era preso atto per il contrasto alla criminalità organizzata dell’insufficienza delle misure penalistiche anche se estese ai profili patrimoniali (confisca e sequestro).
Si tratta di una normativa con funzione preventiva e cautelare e non punitiva e sono stati sollevati profili di illegittimità costituzionale per il suo carattere altamente discrezionale in ordine ai presupposti; ma la Corte costituzionale[1] ha ritenuto legittimo l’istituto e successivamente la legge di riforma n. 94/2009 ha fornito adeguate indicazioni sui presupposti dello scioglimento, sulla scansione procedimentale, sulle attività da svolgere e sulla tempistica.[2]
Tale strumento si può considerare un’extrema ratio di prevenzione e di contrasto della criminalità organizzata, come sintesi tra i principi di libertà, garantiti dalle libere elezioni democratiche e quelli di imparzialità e buon andamento della vita amministrativa.
Infatti, lo Stato, con valutazione altamente discrezionale, attraverso Commissari straordinari, si sostituisce per un tempo determinato agli organi elettivi al fine del ripristino della legalità, del buon andamento e della trasparenza della gestione pubblica e la salvaguardia della corretta funzionalità dell’Amministrazione. In questo modo, le esigenze di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata prevalgono sui risultati delle libere consultazioni elettorali.
In base alla sua ultima formulazione, l’art. 143 del TUEL n. 267/2000, prevede “la possibilità di scioglimento dei consigli comunali (e provinciali)[3] in presenza di elementi concreti (valenza fattuale), univoci (non contradditori) e rilevanti (indicativi della presenza mafiosa), che rivelino collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare, ovvero forme di condizionamento degli stessi soggetti”.[4]
Ovviamente, poiché il D.Lgs. n.29/1993 ha attribuito pure all’apparato amministrativo la gestione dei Comuni, vi è l’estensione del controllo in presenza contestuale dei tre elementi anche ai segretari comunali, ai direttori generali e ai dipendenti dell’ente locale.
L’accertamento mira a verificare degli indici sintomatici valutati complessivamente, ricavabili da eventi afferenti all’attività dell’ente (alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o amministrativi) o da eventi attinenti ad una situazione ambientale di più ampia portata (grave pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica), che devono rivelare una patologia nella funzionalità dell’ente.
In primo luogo deve svolgersi un premonitoraggio informale a seguito di notizie apprese da qualunque fonte (ex multis, ispezioni parlamentari, annotazioni di polizia, provvedimenti giurisdizionali, notizie di stampa), ma ovviamente non ci si può basare solo su esposti o denunce anonimi. Nella fattispecie in esame l’origine della procedura deve rinvenirsi nel citato procedimento giurisdizionale denominato “codice interno”.
Pertanto, il Prefetto, avvalendosi di una Commissione di accesso, verifica la sussistenza dei presupposti per l’emanazione del provvedimento dissolutorio. Tale commissione viene nominata con i poteri attribuiti dal Ministero dell’Interno al Prefetto dalla legge n. 410/1991, ed è composta da tre funzionari della P.A., integrati da rappresentanti delle forze dell’ordine e/o da un gruppo tecnico, come avvenuto a Bari.
Viene, quindi, effettuata un’indagine ad ampio spettro in ambito preventivo e di difesa sociale che si realizza con l’accesso presso l’ente locale, gli enti pubblici e le società partecipate (nel caso in esame l’AMTAB di Bari) ed altri enti (come quelli sottoposti a controllo per il contrasto al riciclaggio); la relazione conclusiva deve essere redatta entro 3 mesi, prorogabili di altri 3 mesi come nel caso in questione.
La procedura prevede che, entro 45 giorni dalla trasmissione della relazione della Commissione di accesso, deve essere redatta da parte del Prefetto la relazione destinata al Ministero dell’Interno; in tal caso è necessaria l’integrazione con eventuali ulteriori elementi in possesso del Prefetto (ad esempio, ulteriori risultanze dell’attività di polizia o provvedimenti della magistratura).
E’ stabilito anche l’obbligo di convocare il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica ed è prevista l’acquisizione non obbligatoria di informazioni dal Procuratore della Repubblica anche in deroga all’art. 329 c.p.p. (segreto d’ufficio).
Il decreto di scioglimento e di nomina della Commissione straordinaria da parte del Presidente della Repubblica avviene su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro tre mesi dalla data della trasmissione della relazione prefettizia.
Le risultanze della relazione prefettizia non sono vincolanti per il Ministero e non vi è l’obbligatorietà di concludere l’iter procedimentale con uno scioglimento, ma con un provvedimento. Ecco perché anche nel caso del Comune di Bari in teoria il procedimento potrebbe concludersi con una archiviazione, come fatto presente anche dal Ministro dell’interno.
È necessaria anche la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del decreto di scioglimento, della proposta ministeriale e della relazione prefettizia per indicare alla cittadinanza le ragioni dello scioglimento ed è anche prevista la facoltà di secretare alcune parti con adeguata motivazione.
A seguito della pubblicazione del decreto di scioglimento nella Gazzetta Ufficiale cessano dalla carica i consiglieri, il Sindaco e i componenti delle giunte.
Successivamente, il Presidente della Repubblica nomina un collegio composto da tre membri scelti tra funzionari dello Stato e magistrati ordinari e amministrativi, che di solito non prestano servizio nella stessa provincia.
L’incarico ha una durata da 12 a 18 mesi, con possibilità proroga a 24 mesi disposta almeno 50 giorni prima della scadenza dello scioglimento; tali termini devono considerarsi perentori. Al riguardo si presume, come di solito avviene, che l’eventuale commissariamento in esame si protrarrà per due anni considerate anche l’importanza e l’estensione del Comune di Bari.
Per quanto concerne il contenzioso, il provvedimento è impugnabile dinnanzi al Giudice amministrativo, TAR del Lazio, per assicurare l’uniformità dell’indirizzo giurisprudenziale e una maggiore specializzazione dei giudici, con valutazione di legittimità (idoneità dell’attività istruttoria, veridicità dei fatti, motivazione logica).
Il lavoro della Commissione a Bari, secondo indiscrezioni giornalistiche, si è concentrato sulla gestione delle aziende municipalizzate e partecipate del Comune; e poi anche su alcune figure gestionali delle stesse società pubbliche e sui loro presunti rapporti con ambienti della criminalità organizzata della città.[5]
Un altro capitolo della relazione trasmessa al prefetto è dedicato alla gestione di alcuni municipi e ai loro presunti rapporti con ambienti della criminalità organizzata.
Per quanto riguarda direttamente il Comune di Bari, un aspetto importante dell’indagine prefettizia ha riguardato il capitolo legato alla polizia locale. In particolare, sono stati valutati i rapporti che due agenti avrebbero avuto con elementi della criminalità mafiosa barese ai quali si erano rivolti per essere vendicati di un oltraggio ricevuto in servizio da un automobilista, anziché procedere con la denuncia del conducente indisciplinato; i predetti agenti sono già stati licenziati.
Risulta anche che l’ex sindaco Antonio Decaro, ora europarlamentare, è stato chiamato in causa dal presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, per un presunto e in seguito smentito incontro con la sorella del boss di Bari vecchia Antonio Capriati.
Ma nella documentazione dell’inchiesta “Codice interno” citata, emerge anche un verbale con una dichiarazione resa da un pentito di mafia che aveva parlato di un presunto incontro, anche questo smentito, avvenuto qualche anno prima tra Decaro e un esponente di un clan mafioso della città; elementi questi ultimi che hanno portato l’ex primo cittadino a essere ascoltato dalla commissione nazionale antimafia per fornire spiegazione sulle due vicende.
Non si deve anche tralasciare che due consigliere comunali sono state arrestate per presunto reato di scambio elettorale di tipo mafioso e che tali vicende inevitabilmente hanno influenzato la vita amministrativa del Comune.
Infine, nella relazione ampio spazio è dedicato alle presunte infiltrazioni nella menzionata società di trasporto AMTAB per la quale, come già detto, la terza sezione del Tribunale di prevenzione di Bari ha notificato un provvedimento di commissariamento con nomina dell’amministratore giudiziario. Il provvedimento è stato adottato in seguito all’esame delle intercettazioni ambientali e telefoniche operate dalla squadra mobile della Questura di Bari dalle quali emergeva chiaramente che il clan Parisi riusciva a imporre alla società partecipata dei trasporti l’assunzione, sia pur temporanea, di persone legate, vicine e contigue al sodalizio criminale.
Alla luce degli elementi raccolti appare remota la possibilità che la vicenda si concluda con un decreto ministeriale di archiviazione del procedimento, mentre non si potrebbe escludere un provvedimento di commissariamento dell’intera macchina politico amministrativa del Comune, sulla base degli elementi raccolti dai commissari. La terza ipotesi è rappresentata dal commissariamento parziale dell’azienda municipalizzata finita sotto la lente della giustizia e di alcune parti della macchina amministrativa e gestionale della città.
Ci si chiede, infine, qualora la Commissione di accesso proponesse lo scioglimento, quale sarà il parere formale del Procuratore della Repubblica che necessariamente dovrà esprimere nell’ambito del Comitato Provinciale per la sicurezza pubblica convocato dal prefetto ai sensi della vigente normativa e a cui dovrà partecipare necessariamente considerato che lo stesso, in sede di conferenza stampa, ha riferito di ritenere sostanzialmente estranea l’amministrazione comunale all’indagine.

3. Conclusioni


La normativa antimafia per lo scioglimento dei Comuni nel nostro ordinamento costituisce una delle più avanzate al mondo, tant’è che dal 1991, data di entrata in vigore della legge n. 221/1991, al 26 maggio 2024 sono stati sciolti 384 Consigli comunali per infiltrazioni mafiose, di cui 25 annullati a seguito di ricorso giurisdizionale; a questi si aggiungono 7 aziende ospedaliere.
Tuttavia, secondo alcune forze politiche, l’art. 143 del TUEL è applicato da qualche anno in modo anomalo e non sono stati conseguiti gli obiettivi sperati per il contrasto alle mafie. Anche l’attuale governo ha proceduto a diversi scioglimenti, ma dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e di Mauro D’attis, coordinatore regionale per la Puglia di Forza Italia e Vicepresidente della Commissione antimafia, sembra di comprendere che vi sia la consapevolezza che lo strumento normativo in questione non sia risolutivo del problema relativo all’infiltrazione della criminalità organizzata  nella cosa pubblica e abbia generato anche situazioni di ingiustizia a carico degli amministratori locali.[1]
Secondo l’ex Sindaco del Comune di Ostuni (BR), Guglielmo Cavallo, la normativa in questione ha stravolto la vita di numerose persone nel colpevole silenzio di tutte le parti politiche. Ne è una riprova la circostanza che, se il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato hanno confermato il provvedimento di scioglimento del citato Comune, il Tribunale civile di Brindisi, interessato per dichiarare l’incandidabilità temporanea degli amministratori responsabili delle condotte che hanno causato lo scioglimento (art. 143, comma 11, TUEL), ha riconosciuto l’assenza di collegamenti dell’allora sindaco della Città Bianca e di altri due consiglieri comunali coinvolti, escludendo ogni ingerenza nella vita politica dell’ente.
L’altro tema in discussione è rappresentato dalla discrezionalità lasciata alle prefetture nel valutare le situazioni di cui trattasi. Infatti, l’ampia discrezionalità prevista dalla normativa, è stata di fatto estesa dall’interpretazione della giurisprudenza amministrativa che, negli anni, ha incoraggiato ad avviare il procedimento amministrativo previsto dall’art. 143 TUEL sulla base di meri sospetti e a sciogliere i consigli comunali in assenza di reati o di responsabilità dei vertici politici.
Inoltre, così come è applicata la norma, secondo l’ex sindaco e attuale consigliere comunale, “la stessa non assicura che chi ha sbagliato paghi davvero e ha come conseguenza il rovesciamento della volontà popolare, oltre all’inevitabile condizionamento delle successive elezioni”. Lo scioglimento, poi, dovrebbe essere utilizzato in casi estremi e dopo accertamenti concreti e non per sospetti e illazioni e si auspica un intervento in chiave preventiva più frequente delle prefetture per vigilare su comportamenti di amministratori e atti amministrativi legittimi, ma discutibili e inopportuni; lo spirito quindi dovrebbe esser quello della leale collaborazione tra le istituzioni, sancito dall’art. 20 della nostra Costituzione.
Invece, l’art. 143 TUEL introduce un procedimento che potrebbe confliggere con diversi principi generali del nostro ordinamento. In primo luogo non è assicurato il contradditorio già nella fase istruttoria e attualmente la commissione d’accesso può arbitrariamente decidere quali atti porre a base della relazione e quali, invece, omettere. Inoltre, la conoscenza degli atti della commissione è possibile solo dopo l’eventuale scioglimento e nell’ipotesi che si impugni il provvedimento dissolutorio al Tar del Lazio. Quindi, secondo il citato amministratore, manca una reale parità processuale tra le parti nei giudizi amministrativi.
Analoghe considerazioni sono state svolte da un altro amministratore,   Massimo Lanzilotti, poi rieletto primo cittadino di Carovigno (BR), Comune sciolto per mafia, secondo il quale “gli atti amministrativi non possono essere valutati differentemente in base al risultato da raggiungere, non ci può essere una verità penale, una civile e una amministrativa. Vi è la necessità di prevedere un contradditorio con chi deve valutare e chi è protagonista della vita politica di un Comune. Il rischio è quello di minare la democrazia e l’auspicio è pertanto quello che si possa arrivare ad una riforma dell’art. 143, comma 11, del TUEL, anche con l’introduzione di nuovi istituti giuridici”.
Si osserva anche che, nonostante il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario, ai fini dello scioglimento, anche la presenza di un elemento soggettivo e cioè che il condizionamento da parte della criminalità organizzata deve postulare “la consapevolezza di indirizzare le azioni degli amministratori al soddisfacimento degli interessi delle consorterie malavitose”,[2] si rileva che non sempre tale requisito è stato messo in evidenza dai decreti di scioglimento.
Si deve, tuttavia sottolineare che la Corte Costituzionale, già con la citata sentenza n.103/1993, ha ritenuto legittimo l’istituto in questione.
Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato più volte e da ultimo con la sentenza del 17 giugno 2019, n.4026, ha ritenuto che lo scioglimento degli organi comunali per infiltrazioni mafiose è strumento di tutela della collettività, a carattere preventivo e non sanzionatorio, nei casi in cui gli elementi raccolti sulla infiltrazione e contaminazione mafiosa nella conduzione della cosa pubblica determinano una emergenza straordinaria che richiede – come la Corte Costituzionale la definì con sentenza n.103 del 1993 – una misura di carattere straordinario. Ogni voto, ogni amministratore eletto con l’influenza della mafia, secondo i giudici di Palazzo Spada, deve, allora, comportare una risposta dello Stato tanto straordinaria quanto lo è la sottrazione del potere di governo a chi formalmente lo ha conquistato con le elezioni ma che, nella sostanza, piega il risultato elettorale in danno, diretto o indiretto, della collettività degli onesti a vantaggio delle cosche dominanti. È questa la ragione per cui il procedimento di scioglimento è scandito dal passaggio attraverso la valutazione e decisione delle più alte cariche del Governo della Repubblica, sulla base di una – sempre approfondita e articolata – relazione ispettiva ordinata dal ministero dell’interno.
La deliberazione del Consiglio dei Ministri esprime, a un tempo, la forte natura di responsabilità collegiale esercitata, e la conseguente ampiezza della valutazione discrezionale sugli elementi ritenuti idonei ai fini della misura.
L’adozione dello scioglimento con DPR, pur non concorrendo il Presidente della Repubblica alle valutazioni sulla vicenda, conferisce al provvedimento, oltre la natura di atto di alta amministrazione, la speciale solennità derivante dal carattere di misura straordinaria a tutela della collettività dei cittadini residenti nel Comune interessato. Come la Corte Costituzionale ha osservato nella menzionata sentenza n.103 del 1993, infatti, la misura è “caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali che la legge intende sottrarre, nel suo complesso, all’influenza della criminalità organizzata”.
Tenuto conto della ampiezza della discrezionalità in materia, la valutazione deve essere non atomistica ma complessiva, in ordine non soltanto a singoli episodi, ma soprattutto ai collegamenti tra fatti, persone e andamenti nel tempo della amministrazione locale; le mafie, come noto, costituiscono una minaccia asimmetrica e fortemente adattabile a tempi, luoghi, relazioni fra persone e operatori economici: la scomposizione atomistica della valutazione condurrebbe quindi, a non cogliere il “valore aggiunto negativo” della contaminazione mafiosa, che non è statica ma dinamica e non è mai rigida ma variamente adattabile; si richiede in altri termini che la valutazione costituisca “bilanciata sintesi e non mera somma dei singoli elementi stessi”. E non sempre tale accertamento viene effettuato.
Secondo la normativa in questione non occorre l’esistenza di fatti penalmente rilevanti e tanto meno di preesistenti condanne, poiché comunque il condizionamento della formazione della volontà degli organi locali, in modo univoco e rilevante, ben può essere colto, nella sua probabilità e verosimiglianza, da elementi indiziari o persino dal compimento di atti che sembrano indicare una volontà di contrasto alla mafia ma in realtà sono l’abile dissimulazione della volontà di approfittare, di concordare, o persino di subire con inerzia, laddove la presenza delle cosche sul  territorio è oggettivamente accertata.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è ferma nel dare rilevanza sia al “collegamento” che al “condizionamento” della politica e amministrazione locale, tanto che si evidenziano sia comportamenti rilevatori di “contiguità compiacente” (attraverso, ad esempio, corruzione e favoritismi clientelari) sia della “contiguità soggiacente” (attraverso, ad esempio, la mancata reazione alle intimidazioni mafiose o l’inerzia nell’adottare atti su cui la cosca locale aveva inviato segnali minacciosi). Il condizionamento, poi, si può riscontrare come fattore genetico (ad esempio, quando emergono attività mafiose a sostegno della elezione di candidati “graditi”) e, non alternativamente, come fattore funzionale, quando le cosche incidono o sono avvantaggiate nell’andamento della gestione amministrativa.
L’esito del giudizio civile sulla incandidabilità, sempre secondo il Consiglio di Stato, non può avere influenza determinante sul giudizio amministrativo per lo scioglimento del Comune. Sono diversi l’oggetto e i temi esaminati nei due giudizi: basti considerare che anche la dichiarata candidabilità per insussistenza delle responsabilità personali dei candidati certo non fa venir meno ex post la gravità del quadro indiziario complessivo che si fonda, di regola, su una ben più ampia e differenziata pluralità di elementi.
Pertanto, nella materia in questione, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, non è necessaria la riconducibilità in toto del procedimento straordinario ai princìpi della legge n. 241/1990 e s.m.i. a causa della natura cautelare dello stesso e della tutela degli interessi dell’intera collettività comunale.
In conclusione si ritiene che le due opposte esigenze della prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e quella del rispetto dei risultati delle libere consultazioni elettorali svoltesi democraticamente appaiono inconciliabili e difficilmente definibili. Pertanto, la scelta spetterà, oltre alla prefettura chiamata ad un esame delle fattispecie equilibrato e rigoroso, senza alcun condizionamento politico, soprattutto al Parlamento, espressione della volontà popolare, che dovrà dirimere tali interessi contrastanti ed entrambi meritevoli di tutela.

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Note


[1] E. Montani, Bari, il Ministero valuta lo scioglimento per mafia Decaro: atto di guerra, in Il Quotidiano di Puglia del 20 marzo 2024.
[2] P. Gentilucci, Accesso antimafia al comune di Bari: la prima volta in un capoluogo di regione, in Diritto.it del 22 marzo 2024.
[3] Cfr. Sentenza n. 103/1993.
[4] M. Teresa Sempreviva, Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’Interno, Dike editore, 2017.
[5] Secondo la dottrina prevalente lo scioglimento per mafia della Provincia non è più possibile ai sensi della legge n. 56/2014.
[6] S. Guerra, Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose: gestione straordinaria e profili di responsabilità, in Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’Interno cit. pp. 623-642.
[7] N. Mangialardi, La relazione degli “007” nelle mani del prefetto. Fari sulle municipalizzate, in Il Quotidiano di Puglia del 25 settembre 2024.
[8] D. Santoro, “Scioglimento dei Comuni, legge da cambiare”, in Il Quotidiano di Puglia del 25 settembre 2024.
[9] Cfr. Cons. Stato sentenza n.748/2016.

Prof. Paolo Gentilucci

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