Come si deve procedere allo scioglimento del cumulo.
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Indice
1. Il fatto
Il Tribunale di sorveglianza de L’Aquila dichiarava inammissibile una domanda, proposta nell’interesse di un detenuto, volta ad ottenere la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale – o, in subordine, della detenzione domiciliare – in riferimento alla pena residua relativa al provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale della Repubblica di Reggio Calabria.
In particolare, l’ordinanza impugnata motivava la decisione di inammissibilità, affermando che lo scioglimento del cumulo materiale, temperato in applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p., dovesse avvenire considerando la pena inflitta per i reati ostativi nella sua originaria entità.
Quindi, secondo questo Tribunale, per essere ammesso alla misura alternativa, l’istante avrebbe dovuto avere già interamente espiato la pena di trenta anni di reclusione a lui inflitta per i suddetti reati ostativi; pena che nel caso in esame era pari a – ed assorbe totalmente – quella complessiva risultante dal cumulo in esecuzione, osservandosi altresì al riguardo che non era stata, neppure in linea di fatto, prospettata la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 58-ter Ord. pen..
Ciò posto, sempre secondo tale Tribunale di sorveglianza, ragionando diversamente, si arriverebbe al paradosso che, in presenza del solo titolo costituito dalla sentenza di condanna per i reati ostativi, l’istante avrebbe potuto accedere alla misura invocata solo previo accertamento della collaborazione con la giustizia ovvero dell’accertamento della impossibilità o inesigibilità di detta collaborazione, mentre, in presenza di ulteriori condanne per reati non ostativi, oggetto di cumulo materiale “temperato” unitamente alla prima sentenza, si sarebbe veduto riservare un trattamento di maggior favore.
Ebbene, a fronte di tale provvedimento, avverso di esso proponeva ricorso per Cassazione la difesa del condannato con cui si prospettava un unico motivo di ricorso col qualesi deduceva violazione di legge in relazione agli artt. 78 c.p., 6 CEDU, 3, 24, 27 e 111 Cost..
Oltre a tale doglianza, il ricorrente, in via subordinata, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, ne chiedeva la rimessione del ricorso alle Sezioni unite.
2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Assegnato il suddetto ricorso alla Prima sezione penale, questa sezione riteneva sussistente un contrasto emerso nella giurisprudenza di legittimità in ordine ai criteri secondo i quali, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, operare lo scioglimento del cumulo che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione.
In particolare, ci si poneva il problema se ciò debba avvenire considerando la pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria ovvero, previa riduzione proporzionale, quella che il suddetto criterio moderatore abbia determinato sulla pena complessiva derivata dal cumulo materiale.
Difatti, secondo un primo orientamento nomofilattico, “in presenza di un provvedimento di unificazione di pene temporanee concorrenti, che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, è necessario individuare il titolo di reato effettivamente in espiazione, valutando, mediante un’operazione algebrica, in che proporzione il criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. abbia inciso sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale, così da applicare la percentuale ottenuta su ciascun reato, ed imputando la frazione già espiata all’esecuzione dei reati ostativi” (Sez. 1, n. 35794 del 08/03/2019; Sez. 1, n. 6013 del 19/12/2016; Sez. 1, n. 3130 del 19/12/2014).
Invece, secondo un altro orientamento interpretativo, era formulato il diverso principio di diritto secondo il quale, “in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell’eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di pena detentiva” (Sez. 1, n. 26848 del 01/06/2022, riguardante istanza di ammissione alla detenzione domiciliare; Sez. 1, n. 24014 del 18/05/2022, relativa ad istanza per la concessione della semilibertà; Sez. 1, n. 18239 del 26/03/2019, in caso relativo a domanda di permesso-premio).
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite, dopo avere delimitato la questione sottoposta al suo vaglio giudiziale (“Se, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini vada effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria, ovvero operando una riduzione proporzionale rispetto all’applicazione del predetto criterio moderatore alla pena complessiva, derivante dal cumulo materiale”), e richiamati i contrapposti indirizzi interpretativi formatisi in subiecta materia, giungevano alla conclusione secondo la quale si doveva dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, ai fini dello scioglimento del cumulo di pene temperato dal criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. con applicazione della soglia massima di pena detentiva di anni trenta di reclusione, le pene da imputare alla condanna per reato ostativo vanno considerate, in vista della decisione in ordine alla domanda di benefici penitenziari, nella loro entità originaria.
Si osservava a tal proposito prima di tutto che gli orientamenti in contrasto condividono il principio secondo il quale, in caso di cumulo di pene inflitte per diversi reati, al fine di accertare l’esistenza dei requisiti di ammissibilità a benefici penitenziari o misure alternative alla detenzione, si debba procedere preliminarmente allo scioglimento del cumulo tra reati ostativi e reati non ostativi, sicché possa essere ammesso a tali benefici il condannato che abbia già scontato la pena relativa al delitto ostativo, da ritenersi espiata per prima rispetto alle altre oggetto di cumulo, rilevandosi al contempo
come si tratti di un principio affermato dalla Cassazione sin dagli inizi dell’applicazione della L. 26 luglio 1975, n. 354, atteso che tale giurisprudenza, per lungo tempo uniforme, si fonda sulla considerazione che le norme concernenti il cumulo delle pene non possono mai risolversi in un danno per il condannato e, pertanto, ove taluni effetti penali negativi fossero collegati alle singole pene oggetto di cumulo e non fossero altrimenti determinabili se non in rapporto ad una loro autonoma e distinta valutazione, le pene devono riacquistare la loro individualità, previo scioglimento temporaneo e parziale del cumulo (ex plurimis, Sez. 1, n. 4998 del 19/9/1997; Sez. 1, n. 4600 del 9/11/1992).
Ciò posto, gli Ermellini ritenevano tra l’altro interessante notare, a tale riguardo, che un contrario orientamento di legittimità emerse solo a partire dai primi anni ‘90 del secolo scorso, con riferimento al cumulo di pena riguardante delitti avvinti da continuazione tra i quali sia compreso un reato ostativo alla concessione di benefici penitenziari.
Nel dettaglio, secondo questo indirizzo, in tal caso, non si sarebbe potuto procedere allo scioglimento del cumulo giuridico ai fini della concedibilità dei benefici, né avrebbe potuto considerarsi espiata per prima la pena inflitta per il reato ostativo, in quanto l’art. 4-bis Ord. pen. fa riferimento alla “pericolosità soggettiva del detenuto, certificata dalla condanna per un determinato reato, e ad essa collega la esclusione di vari benefici, senza possibilità di distinguere, in caso di pene concorrenti, e di attribuire, quindi, ad un periodo pregresso l’espiazione di quella parte di pena collegabile al reato per cui vige il divieto di concedibilità” (così, tra le altre, Sez. 1, n. 2903 del 18/6/1993).
Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano per giunta che, ben presto, la Corte costituzionale ritenne, con la sentenza n. 361 del 1994, che “tale nuova linea giurisprudenziale non può considerarsi diritto vivente, sia perché contrastata da un numero molto maggiore di precedenti decisioni, sia perché non costante nemmeno nell’ultimo periodo di tempo”, essendo stato ribadito da una decisione dalla Cassazione che “la semilibertà è applicabile anche nel caso in cui la pena cui si riferisce sia stata cumulata con altra pena inflitta per un reato in relazione al quale sussiste un divieto di legge, ma che tuttavia risulti in precedenza espiata” (Sez. 1, n. 4600 del 9/11/1992, omissis, Rv. 192414).
Orbene, a fronte di ciò, la Corte costituzionale prese allora le mosse proprio dalla ricostruzione del diritto vivente rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità per rilevare che “diversamente da quanto affermato in alcune sentenze della Cassazione le quali individuavano la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di “pericolosità soggettiva” del detenuto derivante dalla condanna per un reato “ostativo”, non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall’art. 4-bis abbia creato una sorta di status di “detenuto pericoloso” che permei di sé l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna”, dal momento che, secondo il Giudice delle leggi, al contrario, proprio l’articolazione della disciplina sulle misure alternative “in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna la cui pena è in esecuzione” impone di valorizzare il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità relativo alla “necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene”.
Pertanto, nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis Ord. pen., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la Consulta precluse, con specifico riferimento al principio di eguaglianza, un’interpretazione di quella norma che portasse all’esclusione dalle misure alternative i “condannati per un reato grave, ostativo alla concessione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano espiando la pena per reati meno gravi, non ostativi alla predetta concessione”, fermo restando che, già in precedenza, del resto, già in passato (sent. n. 386 del 1989), venne dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, Ord. pen. nella parte in cui non prevede che nel computo delle pene ai fini della determinazione del limite di pena per la concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali non si debba tener conto anche delle pene espiate, essendosi affermato che il principio della “pena unica“, discendente dagli artt. 73 e 76 c.p., non può risolversi a danno del condannato, pena la violazione dei parametri costituzionali di ragionevolezza, di uguaglianza e della funzione risocializzante della pena.
Ebbene, sul solco tracciato dalla Corte costituzionale, la Cassazione osservava come si fosse innestata la successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo la quale “nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi” (Sez. U, n. 14 del 30/06/1999).
Dunque, per queste Sezioni, siffatta decisione, che si fonda sul principio del “favor rei”, opera una sostanziale estensione dell’indirizzo giurisprudenziale formatosi in tema di cumulo materiale, argomentando che “ogni qual volta l’unificazione fittizia dei reati si risolva in situazione di pregiudizio per il reo deve procedersi alla scissione, non potendosi ammettere che un istituto di favore si risolva, poi, in pregiudizio” (vedi, per l’affermazione di una visione “pluralistica” del reato continuato che legittima lo scioglimento del cumulo giuridico ove tale operazione produca effetti favorevoli al condannato, Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, sul punto, in materia di individuazione del termine di prescrizione; Sez. U, n. 1 del 26/2/1997, in materia di computo dei termini massimi della custodia cautelare; Sez. U., n. 2780 del 24/1/1996, e Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, in materia di applicazione dell’indulto), nonché evidenziandosi al contempo che, ancora recentemente, la Corte costituzionale ha rimarcato che “la giurisprudenza di legittimità è (…) da tempo costante nel ritenere che, nel caso di cumulo, materiale o giuridico, di pene inflitte per diversi titoli di reato, alcuni dei quali soltanto compresi nell’elenco di cui all’art. 4-bis ordin. penit., occorre procedere allo scioglimento del cumulo, venendo meno l’impedimento alla fruizione dei benefici penitenziari qualora l’interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi (ex plurimis, con riguardo al cumulo materiale, Sez. 1, n. 28141 del 18/6/2021, omissis, Rv. 281672 – 01; Sez. 1, n. 13041 dell’11/12/2020; con riguardo al cumulo giuridico, conseguente, in particolare, all’applicazione della disciplina del reato continuato, Sez. 1, n. 52182 del 29/11/2016; Sez. 1, n. 32419 del 31/3/2016), con l’ulteriore precisazione che, a questi fini, deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il reo, ossia quella riferibile ai reati che non consentirebbero l’accesso ai benefici (tra le altre, Sez. 1, n. 28141 del 18/6/2021; Sez. 1, n. 6817 del 28/10/2015″ (Corte Cost., sent. n. 33 del 2022).
Dunque, per il Supremo Consesso, lo scioglimento del cumulo delle pene – non previsto e regolato esplicitamente dalla legge, avendo natura solo “ideale” o “temporanea” (Sez. 1, n. 4208 del 7/06/2000; Sez. 1, n. 24704 del 11/06/2002; vedi, quanto alla necessità che la magistratura di sorveglianza individui in via incidentale, ai soli fini della concedibilità dei benefici penitenziari, le porzioni di pena da espiare e già espiate, Sez. 1, n. 38333 del 2/10/2008; Sez. 1, n. 52182 del 29/7/2016) – è dunque funzionale alla determinazione del momento in cui, avvenuta l’espiazione della pena inflitta in ordine ai delitti ricompresi nell’art. 4-bis Ord. pen., il divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati per uno dei delitti ostativi non ha più ragione di operare in ordine alla pena residua (Sez. 1, n. 25475 del 16/03/2021; Sez. 1, n. 15954 del 18/03/2009), restando fermo, in base al principio del favor rei, che la pena inflitta con la sentenza di condanna relativa ai delitti ostativi deve considerarsi espiata per prima (tra molte, Sez. 1, n. 14563 del 12/04/2006).
Orbene, per le Sezioni unite, come si evince dalla pronuncia qui in commento, se, a loro avviso, tali principi meritano piena conferma, risultando essi profondamente radicati nelle decisioni della Corte costituzionale e nella giurisprudenza della Cassazione legate un comune filo conduttore, pur tuttavia, si stimava necessario evidenziare il vero e proprio salto logico rinvenibile nell’argomentazione del primo orientamento in esame, là dove si pretende che all’esigenza di scioglimento del cumulo “temperato” per addivenire all’individuazione del titolo di reato cui si riferisce la pena effettivamente in espiazione consegua, per necessità di sistema, una riduzione della pena inflitta per il reato ostativo in misura proporzionale a quella che il limite di trenta anni di reclusione di cui all’art. 78 c.p. ha determinato sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale.
Difatti, per la Corte di legittimità, una volta superata la tesi dell’inscindibilità del cumulo materiale – che avrebbe effettivamente generato una irragionevole diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne (così, Sez. U., omissis, cit.; Sez. 1, n. 2529 del 26/3/1999) – tale rischio viene meno proprio per effetto dello scioglimento del cumulo, anche in caso di unico rapporto esecutivo riguardante più pene oggetto di unificazione, posto che, per effetto dello scioglimento del cumulo, è possibile determinare, imputando per prima al reato ostativo la pena già eseguita, se abbia avuto luogo un concreto “esaurimento” della condanna ostativa, per effetto della sua totale espiazione, a prescindere dall’eventuale incidenza del criterio moderatore di cui all’art. 78, comma 1, n. 1, c.p. sulle singole pene cumulate.
Da ciò si faceva conseguire come debba ritenersi insussistente qualsivoglia appiglio sistematico che consenta di agganciare all’esigenza di scioglimento del cumulo una pretesa “operazione algebrica” che applichi alla singola pena ostativa una riduzione proporzionale a quella che detto criterio moderatore ha prodotto sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale il che comporta, come logico corollario, che viene così meno uno degli argomenti spesi dello scioglimento del cumulo “temperato” dal primo degli indirizzi interpretativi in contrasto.
Invero, per la Suprema Corte, considerato che l’art. 78 c.p., nella sua attuale formulazione, esprime il sistema del “cumulo materiale temperato“, fissando, nel caso di pene concorrenti per plurime condanne, soglie determinate per gli aumenti delle pene principali, se il comma 1 prevede due tipologie di limiti da applicarsi ai casi di concorso di pene di cui all’art. 73 c.p., nel senso che il primo limite si sostanzia nel criterio proporzionale del quintuplo della più grave delle pene concomitanti mentre, al contrario, il secondo segue un criterio rigido, stabilendo alcune soglie temporali massime insuperabili dalla somma aritmetica dei singoli fattori di pena della stessa specie, essendo per la reclusione previsto il limite di trent’anni.
D’altronde, anche le Sezioni Unite, dal canto loro, hanno già operato una puntuale ricostruzione esegetica di questo sistema normativo.
In effetti, le Sez. U, nella sentenza n. 45583 del 25/10/2007, ha, in particolare, evidenziato che la “Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale (p. 130), parla di un doppio limite massimo: il primo, variabile e proporzionale, del quintuplo della pena più grave, come determinata in concreto, fra le pene concorrenti; il secondo, assoluto e fisso, di saturazione delle pene, per il quale la pena da applicare non può comunque eccedere trent’anni per la reclusione e sei anni per l’arresto; l’uno destinato a funzionare per le pene più brevi e i minori reati e l’altro per le più gravi pene e i maggiori reati”, sottolineandosi al contempo, nella citata Relazione ministeriale, quanto segue: “il legislatore (…) considera come “pena unica per ogni effetto giuridico” (artt. 73, comma 1, e 76, comma 1, c.p.), e non come mera somma aritmetica delle pene applicate per ciascun reato, la pena complessiva inflitta in virtù della concorrenza di pene detentive temporanee della stessa specie, irrogate per i singoli reati in concorso: e ciò tanto nel caso in cui più reati siano stati giudicati con unica sentenza o decreto (art. 71), quanto nel caso in cui nei confronti della stessa persona siano intervenute più condanne, pronunciate con distinti sentenze o decreti (art. 80). E’ certo, in particolare, che il limite dei trent’anni di reclusione opera uniformemente, quale che sia l’eccedenza della pena detentiva, tanto se il cumulo materiale abbia dato come risultato una pena superiore a detto limite solo di qualche anno, quanto se abbia dato come risultato una pena superiore per molti anni”.
Oltre a ciò, era altresì dedotto che, circa la natura e funzione dell’art. 78 c.p., sempre le Sezioni Unite hanno per di più affermato che quelle norme, segnando il limite dell’esercizio della potestà punitiva statuale nell’irrogazione delle pene detentive temporanee, appartengono legittimamente all’area delle regole di natura sostanziale del codice penale in tema di commisurazione della pena, e che “il criterio moderatore del cumulo materiale di cui all’art. 78 costituisce pur sempre espressione della finalità rieducativa della pena in relazione ad una speranza di vita futura, da libero, del condannato: l’applicazione rigida e automatica dell’addizione aritmetica delle varie pene potrebbe, infatti, condurre alla esorbitante condanna ad una pena complessiva superiore alla previsione di vita del condannato, frustrandosi così il principio rieducativo di cui all’art. 27 Cost.” (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, che richiama Sez. 1, n. 16461 del 16/3/2005, la quale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 78 in riferimento agli artt. 3, 27 Cost., invocata in ragione della deroga al principio di legalità conseguente ad un criterio prestabilito di mero calcolo aritmetico disancorato dalla funzione rieducativa della pena), tenuto conto altresì del fatto che, “pur essendo indubbio che il limite quantitativo nell’irrogazione delle pene detentive temporanee, nei termini fissati dall’art. 78 c.p., operi anche nella fase dell’esecuzione, giusta il disposto dell’art. 80 c.p., questa Corte è ripetutamente intervenuta per circoscriverne la portata e il perimetro applicativo, nel senso che l’obbligatorietà della formazione del cumulo nell’esecuzione di pene concorrenti non significa affatto che un soggetto, il quale abbia riportato più condanne a pene detentive temporanee, non possa rimanere detenuto nel corso della sua vita per un periodo eccedente quello massimo indicato in trent’anni, essendo tale limite, per evidenti esigenze di prevenzione speciale, riferibile solo alle pene inflitte per i reati commessi prima dell’inizio della detenzione” (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007).
Ebbene, per le Sezioni unite, in relazione a quanto da loro postulato nella pronuncia qui in commento, tali principi e considerazioni meritavano una integrale conferma.
In particolare, a loro avviso, apparivano essere condivisibili i passaggi argomentativi che, con precisi riferimenti alla Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale, evidenziano nell’art. 78, comma 1, c.p. la coesistenza di due limiti massimi di pena: il primo, variabile e proporzionale, pari al quintuplo della pena più grave fra le pene concorrenti; il secondo, “assoluto e fisso, di saturazione delle pene, per il quale la pena da applicare non può comunque eccedere trent’anni per la reclusione e sei anni per l’arresto”.
Sulla scorta del chiaro tenore letterale della citata disposizione codicistica e della convergente, inequivoca espressione della volontà del legislatore, coerentemente colta e valorizzata dalle Sezioni Unite, per la Corte di legittimità, non può dunque revocarsi in dubbio che, nel prevedere la regola di temperamento del limite invalicabile di trenta anni di reclusione per il caso di cumulo di pene detentive temporanee, l’art. 78 c.p. operi in senso assoluto sulla sola pena complessiva risultante dal cumulo materiale, senza alcuna considerazione dell’entità delle singole pene che confluiscono nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti, trovando pertanto integrale conferma, tanto sul piano testuale che su quello sistematico, il rilievo posto a base dell’indirizzo interpretativo per il quale lo scioglimento del “cumulo temperato” che comprenda una pena per reato ostativo alla concessione di benefici penitenziari va effettuato, a tali fini, avendo riguardo a quella pena nella sua entità originaria dato che è esatto che “l’applicazione del temperamento dei trenta anni ai cumuli di pene detentive temporanee che ne superino la misura (…) opera direttamente, in modo autonomo e con identiche modalità, sulla pena complessiva derivante dal cumulo materiale, senza alcun riguardo per le singole pene cumulate e la proporzione esistente tra quelle aventi titolo in reati ostativi e quelle invece inflitte per reati non ostativi, tenuto conto altresì del fatto che allo stesso modo quale che sia l’ammontare complessivo delle pene cumulate, sia esso di poco superiore la soglia dei trenta anni o di gran lunga rispetto ad essa eccedente” (così, Sez. 1, n. 26848 del 1/06/2022), tanto più se si considera che lo stesso codice penale non ha previsto, ai fini del contenimento della reclusione nel limite di trenta anni, un meccanismo di riduzione proporzionale delle pene cumulate che imponga di tener conto della loro individuale consistenza quantitativa, e produca su di essa effetto.
Pertanto, per il Supremo Consesso, se è pur vero che il criterio moderatore del cumulo materiale di cui all’art. 78 c.p. rappresenta, come si è visto, espressione della finalità rieducativa della pena, il fuoco di questa disposizione converge esclusivamente sulla misura massima della pena complessiva risultante dal cumulo.
Di tal che, ai fini della concessione dei benefici penitenziari, quella norma non determina alcun effetto sulle singole pene oggetto di cumulo.
Per la Cassazione, resta dunque fermo – come espressamente affermato da Sez. U., nella sentenza n. 14 del 30/06/1999 – che “per effetto dello scioglimento del cumulo (…) ciascuna fattispecie di reato riacquista la sua autonomia, sia quanto a pena edittale, sia quanto a pena applicata o applicabile in concreto la quale, per scongiurare l’effetto ostativo, deve risultare interamente scontata”.
Ciò, quindi, determina, per la Corte di legittimità, che, in caso di scioglimento del cumulo materiale che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, è la pena in concreto applicata per il reato ostativo, nella sua originaria entità, a dover essere considerata, ai fini della concessione di detti benefici, per stabilire quale sia il titolo della pena in corso di espiazione.
Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour ritenevano meritevoli di adesione pure i motivi di carattere logico posti a sostegno dell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, ai fini dello scioglimento del cumulo di pene temperato dal criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. con applicazione della soglia massima di pena detentiva di anni trenta di reclusione, le pene da imputare alla condanna per reato ostativo vanno considerate, in vista della decisione in ordine alla domanda di benefici penitenziari, nella loro entità originaria poichè l’applicazione del criterio di riduzione proporzionale delle pene inflitte per reati ostativi preconizzato dall’opposto orientamento condurrebbe a conseguenze irragionevoli.
Invero, secondo la Suprema Corte, così operando, la percentuale di abbattimento dell’entità delle pene cumulate risulterebbe tanto maggiore quanto più elevata è la risultante della loro sommatoria. La riduzione proporzionale delle pene da imputare al reato ostativo sarebbe dunque maggiore nei casi di complessiva maggiore gravità, ossia di cumuli con un ammontare molto elevato, e sarebbe invece minima nei casi di rilievo minore, di cumuli di poco superiori alla soglia dei trenta anni, nel senso che il condannato per molti reati puniti con pena detentiva temporanea potrebbe fruire di una maggiore percentuale di riduzione della quota di pena imputabile al reato ostativo rispetto al condannato, magari per lo stesso reato ostativo con irrogazione della stessa pena, il cui cumulo complessivo di pene detentive, pur esso ricondotto alla soglia massima legale di anni trenta, sia di assai minore entità.
Ebbene, per gli Ermellini, è del tutto evidente l’irragionevolezza di tale maggior beneficio, tenuto conto altresì del fatto che questo giudizio di patente irragionevolezza, a loro avviso, risultava plasticamente confermato proprio nel caso in esame, nel quale il ricorrente vedeva eseguito nei suoi confronti un cumulo di pene detentive concorrenti, tra le quali quella di trenta anni di reclusione per reati ostativi.
Quindi, dopo aver beneficiato della riduzione delle pene eccedenti i trenta anni di reclusione per effetto del limite mitigatore di cui all’art. 78 c.p., egli avrebbe potuto godere, al fine della concessione dei benefici penitenziari, anche della percentuale di riduzione della quota di pena ascrivibile al reato ostativo.
Invero, si tratterebbe, per il Supremo Consesso, di una prospettiva preclusa al soggetto che in ipotesi fosse condannato per gli stessi reati ostativi alla medesima pena, senza peraltro essere colpito da ulteriori condanne, il quale potrebbe accedere ai benefici soltanto previo accertamento della fruttuosa collaborazione con la giustizia, della irrilevanza, impossibilità o inesigibilità di detta collaborazione o della esistenza delle altre stringenti condizioni alternative previste a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche alle pertinenti disposizioni dell’Ordinamento penitenziario recate dal D.L. 31/10/2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30/12/2022, n. 399.
Inesistente doveva poi ritenersi, per la Corte, l’irragionevole disparità di trattamento che – secondo il filone interpretativo favorevole alla riduzione proporzionale della pena per reato ostativo a seguito dello scioglimento del cumulo “temperato” – penalizzerebbe il condannato raggiunto da un provvedimento di unificazione di pene concorrenti per reati ostativi e non lo stesso condannato che, per le ragioni più varie, non sia stato destinatario di un cumulo e abbia espiato separatamente ciascuna delle pene a lui inflitte, visto che è del tutto corretta la considerazione espressa al riguardo da Sez. 1, nella decisione n. 26848 del 1/06/2022, secondo cui il condannato, che sconti separatamente le varie condanne, non si avvale del temperamento dell’art. 78 c.p., che opera soltanto in caso di cumulo, sicché la comparazione riguarda in realtà posizioni esecutive tra loro strutturalmente diverse e non porta ex se ad apprezzare risultati iniqui.
Ciò posto, allo stesso modo era reputata parimenti fallace l’argomentazione che assume un’irragionevole parità di trattamento, in relazione alle condanne per reati non ostativi, tra quanti sono condannati per reati ostativi e non ostativi e quanti, invece, sono stati condannati soltanto per reati ostativi, giacché, anche in tal caso, per i giudici di piazza Cavour, si procede a valutazione di posizioni non comparabili, poiché “si misurano gli effetti dell’asserita irragionevolezza sul piano della espiazione di condanne per reati non ostativi nonostante una delle categorie soggettive della comparazione non abbia, per premessa, riportato condanna per reati di tal tipo”, tenuto conto altresì del fatto che deve considerarsi “argomento meramente suggestivo che vi sia una irragionevole parità di trattamento in relazione alla espiazione di reati non ostativi, per l’ovvia considerazione che tal tipo di espiazione è per definizione del tutto irrilevante” ai fini della concedibilità dei benefici penitenziari (così, correttamente, Sez. 1, n. 26848 del 1/06/2022).
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, enunciavano il seguente principio di diritto: “In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria”.
4. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse dato che, con essa, le Sezioni unite hanno risolto il seguente contrasto giurisprudenziale: “Se, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini vada effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria, ovvero operando una riduzione proporzionale rispetto all’applicazione del predetto criterio moderatore alla pena complessiva, derivante dal cumulo materiale”.
Difatti, in questa pronuncia, codeste Sezioni hanno risolto siffatto contrasto, enunciando il seguente principio di diritto: “In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria”.
Di conseguenza, laddove vi sia un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, e si sia domandata l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p.[1] per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo per tale scopo va posto in essere avuto riguardo a siffatta pena.
Tale arresto giurisprudenziale, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba decidere su una richiesta di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché fa chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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Ai sensi del quale: “Nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere: 1) trenta anni per la reclusione;2) sei anni per l’arresto; 3) euro 15.493 per la multa e euro 3.098 per l’ammenda; ovvero euro 64.557 per la multa e euro 12.911 per l’ammenda, se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133-bis. Nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell’articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte della pena eccedente tale limite è detratta in ogni caso dall’arresto”.
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