Se il datore di lavoro costringe i dipendenti ad accettare condizioni di lavoro svantaggiose è estorsione

Redazione 03/02/12

A deciderlo è stata un recente sentenza della Cassazione (n. 4290 del 1 febbraio 2012) con cui i giudici di legittimità hanno ravvisato gli estremi del reato nella condotta di chi, con minacce, ottiene che i dipendenti lavorino per lui sottopagati, tutelandosi, contestualmente, dalle eventuali azioni civilistiche dei lavoratori tese ad ottenere quanto loro dovuto.

Più nello specifico, l’elemento oggettivo della minaccia necessario per integrare il reato di estorsione è dato dal pagamento inferiore a quello contrattuale, unitamente alle modalità di corresponsione del salario (infatti, o il lavoratore accettava di essere sottopagato e di firmare una quietanza per una somma superiore della quale, poi, doveva restituire la differenza, pena la mancata assunzione), e l’elemento dell’ingiusto profitto era dato proprio dall’ottenimento, a vantaggio del datore, di una forza lavoro ad un costo inferiore a quello previsto dai contratti collettivi.

Ad avviso della Corte «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione di mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi e ai contratti collettivi».

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