Se il reato è prescritto il giudice penale deve pronunciarsi sulle questioni civili

Laface Nadia 10/03/11

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE VI PENALE

Sentenza 24 novembre – 14 dicembre 2010, n. 43993

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La prescrizione del reato è, ai sensi dell’art. 157 c.p., causa estintiva della fattispecie criminosa.

La ratio di questo tipo di istituto viene tradizionalmente individuata nell’attenuarsi dell’interesse dello Stato alla punizione dei reati il cui disvalore sociale si sia affievolito per il trascorrere del tempo; inoltre, nell’ambito della concezione della pena in senso special-preventivo, potrebbe non apparire ragionevole applicare una misura rieducativa in circostanze oggettive e soggettive diverse da quelle rispetto alle quali sarebbe stata adeguata.

La prescrizione, quindi, determinando l’estinzione non solo della pena ma del reato stesso, priva il giudice penale del motivo fondante l’esercizio della sua giurisdizione.

Nonostante ciò, il legislatore ha introdotto talune eccezioni in vista di esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona oggetto di lesioni patrimoniali e non, in seguito alla commissione dei reati.

In particolare, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., nella ricorrenza di talune condizioni, l’attività processuale penale potrà spiegare i suoi effetti nonostante l’evenienza di una causa estintiva del reato; tali condizioni sono: una pronuncia di una condanna in primo grado e la presenza in giudizio della parte civile.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente sostenuto la necessità della ricorrenza di entrambe le suindicate condizioni, dichiarando che è illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata, in appello, come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione con la quale il giudice di secondo grado abbia riformato, su impugnazione del Pubblico Ministero, la sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Cass., Sez. 5, 11 marzo 2005 – 27 aprile 2005, n. 15640, CED 232133).

L’istituto disciplinato dall’art. 578 c.p.p. ha, invero, la finalità di evitare, quando vi sia stata condanna dell’imputato in primo grado e si verifichi l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia in grado di appello, che, in assenza di una impugnazione della parte civile, il capo della sentenza relativo alla azione risarcitoria acquisti efficacia di giudicato.

In tale ipotesi, afferma la Consulta, il giudice dell’appello, nel prendere atto di una causa estintiva del reato verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, è comunque tenuto a pronunciarsi sull’azione civile.

Diverso è il caso dell’impugnazione della parte civile e del querelante, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., contro una pronuncia di assoluzione in primo grado. In tal caso, infatti, il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, essendo in tal caso consentito al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto( Sentenza  Cass. Pen. n. 17846 emessa il 19/03/2009).

Infatti, l’art. 576 c.p.p. costituisce una implicita eccezione alla regola dettata dall’art. 538 c.p.p., comma 1, che lega la decisione sulla domanda di risarcimento o di restituzione ad una sentenza di condanna. È stato, infatti, osservato che le condizioni stabilite dall’art. 578 c.p.p. – che già costituisce una deroga al principio dell’accessorietà dell’azione civile – perché il giudice dell’impugnazione debba pronunciarsi sulle statuizioni civili della sentenza, non sono applicabili quando appellante o ricorrente è la parte civile la quale, in virtù dell’autonomo potere di impugnazione che l’art. 576 c.p.p. le riconosce, ha il diritto ad una decisione incondizionata nel merito sulla sua domanda con possibile condanna dell’imputato al risarcimento dei danni o alle restituzioni.

Di conseguenza, un raffronto sul piano esegetico – sistematico delle disposizioni in materia impone di ritenere che le due norme in esame disciplinano differenti situazioni processuali e hanno ambiti di operatività diversificati: l’art. 578 c.p.p. trova applicazione quando con l’impugnazione per gli effetti penali, idonea ad impedire il formarsi del giudicato, non concorra una impugnazione per gli effetti civili, mentre l’art. 576 c.p.p. è applicabile nel caso opposto, cioè, nel caso di impugnazione della parte civile unita, o meno, a quella di altri legittimati.

Tale conclusione è in armonia con la ratio dell’art. 578 c.p.p. che non è quella di limitare il potere del Giudice di decidere sulla impugnazione della parte civile, ma quello di favorire questa ultima in presenza della estinzione del reato per amnistia o prescrizione, non costringendola, per motivi di economia processuale, a riproporre la sua domanda nella sede competente.

Peraltro, sia la pronuncia emessa ex artt. 578 che quella emessa 576 c.p.p. fanno stato tra le parti imponendo, per ciò solo, al Giudice penale, pur in presenza della causa estintiva, un esame approfondito di tutto quanto rilevi ai fini della responsabilità civile.

Le decisioni della Consulta che hanno affrontato l’argomento, infatti, risultano sostanzialmente univoche nel senso della riconosciuta incidenza delle valutazioni operate dal giudice penale sul materiale probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sentenza Corte di Cassazione Penale n. 3284 del 25/11/2009).

Ciò comporterà la necessità che il Giudice di Appello effettui una valutazione approfondita dell’acquisito compendio probatorio, senza, peraltro, i legami dei canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi.

Nella decisione in esame il Palazzo della Consulta chiarisce, ulteriormente, che i presupposti probatori per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato sono diversi da quelli necessari per la conferma ex art. 578 cod. proc. pen. del capo di sentenza concernente gli interessi civili, poichè, nel primo caso, basta accertare la condizione negativa della non evidenza che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, mentre, nel secondo caso, occorre accertare positivamente – ai soli fini civili – la sussistenza del reato e della responsabilità penale dell’imputato e inoltre del diritto al risarcimento, di tal che la motivazione che sorregge l’una decisione non può valere anche per l’altra.

A seguito delle argomentazioni suesposte, pertanto, risulta evidente che, in caso di omessa pronuncia sulle statuizioni civili, non potrà farsi ricorso alla procedura prevista dall’art. 130 c.p.p.; infatti, la disciplina per la correzione dell’errore materiale in sentenza potrà essere applicata unicamente nelle ipotesi di errori o omissioni la cui eliminazione non comporti una modificazione essenziale dell’atto ( Sentenza Cass. Pen. n. 30483 del 06/05/2010; Sentenza Cass. Pen. n. 33960 del 10/06/2010; Sentenza Cass. Pen. n. 1088 del 06/11/2009).

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Si riporta la decisione integrale:

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 24 novembre – 14 dicembre 2010, n. 43993

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza 11.12.2008 la Corte d’appello di Potenza, in riforma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato L.D. colpevole del delitto di calunnia condannandolo a congrua pena nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile, dichiarava non doversi procedere per sopravvenuta prescrizione del reato, dopo avere accertato che il quadro probatorio non consentiva di pronunciare assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2.

Con ordinanza del 5 novembre 2009 la stessa Corte d’appello, all’esito di procedimento di correzione di errore materiale, disponeva l’inserimento nel dispositivo della predetta sentenza della frase “conferma le statuizioni civili”.

Contro detta ordinanza ricorre L.D., denunciando l’erronea applicazione dell’art. 130 cod. proc. pen.. Sostiene che il giudice d’appello avrebbe verificato la sussistenza degli elementi della fattispecie penale soltanto al limitato fine di escludere la possibilità di un’assoluzione nel merito, senza estendere la verifica alla sussistenza dei presupposti necessari per la conferma delle statuizioni civili, ragion per cui detta conferma, incidendo sostanzialmente sul contenuto della decisione, non poteva essere adottata con la procedura di correzione di errore materiale, ma solo con lo strumento dell’impugnazione.

2. Il ricorso è fondato.

Condizione imprescindibile per la correzione di un errore materiale insito in un provvedimento giurisdizionale è che l’eliminazione del preteso errore non comporti una modificazione essenziale dell’atto.

Prima facie appare innegabile che aggiungere, nel dispositivo di una sentenza d’appello, alla decisione di improcedibilità dell’azione penale per sopravvenuta prescrizione del reato, la conferma della condanna al risarcimento del danno, costituisce una “modificazione essenziale ” della sentenza, perchè, alla statuizione che definisce il rapporto processuale penale, si aggiunge la distinta e ulteriore decisione sull’azione civile di risarcimento del danno.

L’ordinanza impugnata ha ritenuto di superare il cennato ostacolo, argomentando che la sentenza oggetto di correzione, avendo esaminato e confutato i motivi d’appello proposti dall’imputato concernenti il tema della responsabilità penale, conterrebbe anche gli elementi sufficienti per giustificare la conferma delle statuizioni civili adottate dal giudice di primo grado, cosicchè la correzione dell’omissione non introdurrebbe nel dispositivo una modificazione essenziale, ma renderebbe soltanto esplicita una decisione necessariamente consequenziale.

Ma la soluzione prospettata non è giuridicamente corretta, perchè la sentenza in discorso contiene si l’esame dei motivi d’appello e la valutazione della responsabilità penale dell’imputato, ma finalizzati a escludere la possibilità di pronunciare assoluzione per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., comma 2.

Invero i presupposti probatori per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato sono diversi da quelli necessari per la conferma ex art. 578 cod. proc. pen. del capo di sentenza concernente gli interessi civili, poichè, nel primo caso, basta accertare la condizione negativa della non evidenza che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, mentre, nel secondo caso, occorre accertare positivamente – ai soli fini civili – la sussistenza del reato e della responsabilità penale dell’imputato e inoltre del diritto al risarcimento, di tal che la motivazione che sorregge l’una decisione non può valere anche per l’altra.

Pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè, nel caso che il giudice d’appello, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, ometta, per inosservanza della disposizione dell’art. 578 cod. proc. pen., di pronunciarsi sugli interessi civili, l’omissione non può essere ovviata con il procedimento di correzione previsto dall’art. 130 cod. proc. pen. ma soltanto con il mezzo dell’impugnazione, trattandosi non di errore materiale bensì concettuale.

P.Q.M.

La Corte di cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

 

Laface Nadia

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