(Riferimento normativo: d.P.R., 6/06/2001, n 380, art. 44)
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Il fatto
La Corte di appello di Messina confermava la pronuncia del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con cui l’imputato veniva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi due di arresto ed Euro 60.000,00 di ammenda, per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), per avere realizzato, in qualità di legale rappresentante di una ditta edile, la lottizzazione abusiva e, segnatamente, in relazione alla costruzione solo parziale delle opere di urbanizzazione primaria oggetto della concessione edilizia ottenuta cui aveva fatto seguito l’edificazione di dodici corpi di fabbrica fuori terra in assenza del necessario titolo abilitativo in violazione del piano di lottizzazione approvato con Delib. comunale e degli standard urbanistici vigenti con particolare riferimento alla volumetria realizzabile, alle sagome dei corpi di fabbrica, al numero delle unità abitative, alle superfici coperte, alle opere di urbanizzazione, agli abitati insediabili ed alle distanze delle strade).
Con la sentenza veniva, inoltre, confermata la confisca dell’area e dei fabbricati abusivamente realizzati.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la predetta sentenza l’imputato, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso per cassazione, deducendo sei motivi così formulati: 1) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44 e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sostenendosi che l’attività edificatoria aveva interessato un’area classificata nello strumento urbanistico vigente come “zona C3 – Nucleo di espansione” e, dunque, sarebbe stata eseguita nel rispetto delle previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento urbanistico, all’epoca vigente; tal che se ne faceva conseguire come questo dato avrebbe dimostrato che non sarebbe intervenuta una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, quale effetto necessario idoneo a configurare il reato di lottizzazione abusiva, potendo semmai ravvisarsi un mero abuso edilizio ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b); 2) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44 e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la stessa aveva condiviso le conclusioni dei periti di ufficio, sia in riferimento al ritenuto sovradimensionamento delle superfici, dei volumi e del carico urbanistico rispetto agli standard urbanistici utilizzabili, sia in ordine alla mancata cd. “monetizzazione” delle opere di urbanizzazione secondaria non realizzate; in altri termini, la sentenza avrebbe omesso di considerare che il reato de quo era integrato anche in presenza di autorizzazione a lottizzare purché quanto realizzato sia il frutto di consistenti e diffuse difformità tipologiche, volumetriche, strutturali e di destinazione; 3) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 43 c.p. ritenendosi che nella sentenza di appello fosse stata omessa la motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato dal momento che la considerazione del complessivo iter amministrativo, che aveva condotto all’adozione del piano di lottizzazione e alla stipula della successiva convenzione, sarebbe stato, ad avviso del ricorrente, sufficiente a dimostrare la buona fede dell’imputato avendo egli agito con la consapevolezza di aver ricevuto le autorizzazioni necessarie dalle competenti autorità; la sentenza, inoltre, sarebbe stata contraddittoria laddove, per respingere tale assunto, aveva affermato l’evidente e macroscopica illegittimità della lottizzazione mentre era stata necessaria, dapprima, una consulenza tecnica e, poi, una perizia collegiale per accertare tale illegittimità, segno chiaro della difficoltà tecnica dell’accertamento, oltre che riscontro, appunto, della buona fede del ricorrente; 4) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte d’appello disposto la confisca dell’area e dei beni su di essa esistenti non tenendo in minimo conto che i beni confiscati appartenevano al ricorrente solo in minima parte perché, per la restante parte, sarebbero stata di proprietà di soggetti rimasti estranei al processo i quali avrebbero subito la violazione del loro diritto di proprietà in assenza di qualsivoglia colpa loro attribuibile e a fronte della mancanza di qualsivoglia indennizzo compensativo tale da dar luogo a violazione del principio di proporzionalità; 5) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui non si sarebbe soffermata sulla concessione edilizia in sanatoria rilasciata dai Commissari prefettizi che erano alla guida del Comune e con la quale era stato condonato l’unico illecito di cui l’imputato si era reso responsabile e, cioè, l’attività edificatoria abusiva realizzata nel corso dell’operazione di lottizzazione legittimamente autorizzata; secondo il ricorrente, in particolare, la concessione in sanatoria, sebbene non estingua il reato di lottizzazione abusiva, impedirebbe tuttavia l’adozione della confisca, misura che, dunque, andrebbe annullata; 6) violazione dell’art. 175 c.p. e art. 125 c.p.p. e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione perché i giudici dell’appello non avrebbero motivato sulle ragioni del diniego del beneficio della non menzione della condanna pur a fronte di specifica richiesta difensiva.
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
La Terza sezione, con un’articolata ordinanza, rimetteva il ricorso alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p., avendo rilevato la possibile insorgenza di un contrasto di giurisprudenza sulla facoltà, in capo alla Corte di cassazione, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, di disporre l’annullamento della sentenza con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura ablatoria, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte EDU 28/06/2018, G.I.E.M. s.r.l. c. Italia.
L’ordinanza aveva innanzitutto ricordato l’orientamento della giurisprudenza formatosi da tempo nel senso di ritenere che la confisca dei terreni e delle opere realizzate possa essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato sempre che sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati e che verifichi l’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013).
Tale orientamento era vieppiù proseguito dopo il deposito delle motivazioni della pronuncia della Corte EDU appena sopra ricordata che, dopo l’assunto di segno contrario della sentenza Varvara c. Italia, aveva enunciato la compatibilità della confisca urbanistica con la declaratoria della sopravvenuta prescrizione del reato purché il reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi costitutivi sia stato accertato all’esito di un’istruzione probatoria rispettosa dei principi del giusto processo e della presunzione di non colpevolezza.
L’ordinanza di rimessione aveva quindi osservato che il giudice nazionale avrebbe dovuto procedere ad una interpretazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, in linea con quella data alla disposizione dalla Corte EDU.
Nel caso di specie, la Corte di appello avrebbe infatti confermato la confisca già disposta dal giudice di primo grado seppure nulla i giudici di secondo grado, nè quelli di primo grado, avessero specificato in ordine all’oggetto della misura ablativa per cui sarebbe stato indispensabile, alla luce di una interpretazione della disposizione convenzionalmente, oltre che costituzionalmente, orientata, verificare che la confisca fosse stata disposta in modo da risultare proporzionata al reato commesso.
La mancanza di tale giudizio nella sentenza impugnata avrebbe dovuto necessariamente essere colmata da una valutazione di merito sul requisito della proporzionalità della confisca, tuttavia non demandabile al giudice di legittimità.
Di qui, dunque, la questione se fosse giuridicamente consentito, all’esito della declaratoria di prescrizione del reato e, quindi, di annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, un giudizio di rinvio limitato ad una valutazione sulla confisca alla luce dei requisiti che la stessa deve rispettare a seguito della menzionata interpretazione convenzionalmente orientata della norma di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44.
Nell’ordinanza di rimessione si osservava come la giurisprudenza della Corte di cassazione avesse offerto soluzioni diverse al quesito consistente nell’individuazione della norma processuale che permetta il rinvio alla Corte di appello ai predetti fini o valorizzandosi l’art. 578-bis c.p.p. (essenzialmente, Sez. 3, n. 5936 del 8/11/2018, dep. 2019; Sez. 3, n. 14743 del 20/2/2019; Sez. 3, n. 31282, del 27/3/2019) o facendosi leva sull’applicazione, in via sostanzialmente analogica, della disciplina prevista per casi analoghi, come la pronuncia sulla falsità dei documenti.
Aveva poi aggiunto che, nonostante quanto affermato in altre pronunce (citandosi in particolare Sez. 3, n. 22034 del 11/4/2019), nè dall’art. 578-bis c.p.p., unicamente riferito ai giudici di appello ed alla Corte di Cassazione, nè dalla giurisprudenza della Corte EDU, risulterebbe peraltro l’obbligo per il giudice di primo grado di svolgere un processo penale nonostante il reato sia già risultato estinto per prescrizione.
Ciò posto, l’ordinanza aveva individuato la possibile insorgenza di un contrasto giurisprudenziale ritenendo che, onde consentire alla Corte di cassazione di annullare con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione sulla confisca, in caso di reato di lottizzazione abusiva dichiarato prescritto, nè sarebbe applicabile l’art. 578-bis c.p.p., per la sostanziale impossibilità di riferire tale disposizione alla confisca “lottizzatoria” ma solo alla confisca “allargata” o per equivalente, nè sarebbe individuabile altra disposizione; aveva poi aggiunto che, anche a ritenere applicabile l’art. 578-bis c.p.p. alla confisca urbanistica, occorrerebbe effettuare il controllo di conformità costituzionale della norma all’art. 76 Cost. posto che, mentre la legge delega, in forza della quale è stata adottata la norma, avrebbe stabilito la riserva di codice per le disposizioni di diritto penale sostanziale, il decreto legislativo delegato avrebbe inserito una norma nel codice di procedura penale, per di più di portata innovativa, non compresa tra i principi e criteri direttivi della legge delega.
Non sarebbe stato possibile neppure ritenere che tale rinvio sia imposto al giudice di legittimità dal riconoscimento del principio di proporzionalità della confisca contenuto nella sentenza della Corte EDU G.I.E.M. s.r.l. c. Italia che non potrebbe costituire un “obbligo di esercizio della giurisdizione penale” anche successivamente alla declaratoria di prescrizione del reato ai soli fini di disporre la confisca.
In definitiva, una volta disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato di lottizzazione estinto per prescrizione, in mancanza sia di una espressa valutazione sulla proporzionalità dei beni confiscati rispetto alla abusiva lottizzazione realizzata, sia, comunque, di una motivazione delle sentenze di merito che renda evidente e chiara tale proporzionalità, sarebbe viziata da eccesso di giurisdizione la statuizione di annullamento con rinvio limitato alla confisca non risultando applicabile al caso nessuna norma del codice di procedura penale o di leggi speciali.
Il Presidente aggiunto assegnava dunque il ricorso alle Sezioni Unite da trattarsi in udienza pubblica.
Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite identificavano prima di tutto la questione sottoposta al loro scrutinio giurisdizionale nei seguenti termini: “Se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia”.
Premesso ciò, gli Ermellini rilevavano come la suddetta questione presupponga che, con riguardo al reato oggetto di condanna, sia maturato il corrispondente termine di prescrizione ma prima di affrontarla, era necessario, ad avviso del Supremo Consesso una volta constatato che, nella specie, detto termine era decorso, valutare fosse il ricorso sia ammissibile posto che solo in tal caso sarebbe stato consentito al giudice di legittimità, a fronte di prescrizione maturata in data posteriore alla sentenza impugnata, rilevare la stessa mentre ciò sarebbe stato impedito dalla mancata formazione di un regolare rapporto processuale derivante appunto dalla inammissibilità del ricorso (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000).
In proposito veniva allora anticipato che, inammissibili tutti i restanti motivi di ricorso, solo il quinto poteva valutarsi come infondato con conseguente rilevabilità della prescrizione nelle more maturata.
Ciò posto, il primo motivo veniva stimato inammissibile in quanto, anche a volerlo ritenere specificamente proposto in precedenza con l’atto di appello (nessuna doglianza in tale specifico senso è infatti rinvenibile in esso), non appariva tenere in considerazione la motivazione della sentenza impugnata dato che, oltre a doversi infatti rilevare che la suindicata sede di intervento non sarebbe di per sé ostativa della configurabilità del reato (Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014), sia la sentenza di primo grado, che quella di appello, secondo la Suprema Corte, avevano motivatamente argomentato richiamando gli esiti delle due perizie disposte nel corso del giudizio (la seconda, in particolare effettuata collegialmente all’esito delle osservazioni svolte dal consulente della difesa) sulla illegittimità del piano di lottizzazione nonché sulla mancanza di conformità di quanto realizzato rispetto allo stesso piano lottizzatorio sicché, in definitiva, appariva essere del tutto riduttivo ed eccentrico, rispetto ai motivati rilievi dei giudici di merito, classificare le opere poste in essere come meri illeciti edilizi riconducibili sub D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b)..
Anche il secondo motivo veniva reputato inammissibile con esso volendosi essenzialmente sollecitare una valutazione della Cassazione sulla discrasia tra quanto accordato dalla pubblica amministrazione con la stipula del piano di lottizzazione e quanto effettivamente realizzato nonché sulla conformità con gli strumenti urbanistici vigenti del piano di lottizzazione approvato, diversa da quella motivatamente argomentata dalla sentenza impugnata e basata sulle perizie espletate e già sopra ricordate, che venivano solo genericamente contestate tanto più, inoltre, una tale valutazione non è consentita laddove la stessa implichi, come nella specie, l’esame di dati meramente fattuali non consentito nella sede di legittimità.
Quanto poi alla invocata “monetizzazione” degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione, si faceva presente come la sentenza impugnata avesse dato unicamente atto di un pagamento che, tuttavia, non aveva potuto integrare la monetizzazione suddetta in mancanza della esatta quantificazione dell’importo da corrispondere al Comune all’esito dell’approvazione del piano lottizzatorio e secondo calcoli specifici quantificazione la cui necessità, quale logico imprescindibile presupposto per l’operatività dell’istituto, era stata chiaramente spiegata dalla stessa sentenza impugnata.
A sua volta la doglianza contenuta nel terzo motivo di ricorso, inerente la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, era reputata del tutto eccentrica a fronte di una condotta di lottizzazione abusiva caratterizzata, per come contestato in imputazione e accertato, oltre che dalla difformità del piano di lottizzazione rispetto alle previsioni dello strumento, anche dalla difformità tra quanto previsto dal piano e quanto lottizzato, ciò che, de visu, appariva per la Corte di legittimità incompatibile con un preteso affidamento alle determinazioni della pubblica amministrazione e alla presunzione di legittimità delle stesse.
Il quarto motivo, inerente la disposta confisca, era considerato parimenti inammissibile per manifesta mancanza d’interesse dato che era stato affermato, sulla premessa che i beni oggetto della confisca sarebbero solo in minima parte di titolarità del ricorrente, che la sentenza non avrebbe, per tutti quelli restanti, considerato la buona fede dei soggetti terzi proprietari di essi, in tal modo tuttavia lamentando aspetti non invocabili proprio perché inerenti a diritti di soggetti diversi quali unici titolari del diritto alla restituzione degli stessi.
Il sesto motivo, riguardante il lamentato diniego del beneficio della non menzione della condanna, era anch’esso valutato come inammissibile non essendo stato proposto con l’atto di appello mentre era invece ritenuto solo infondato il quinto motivo di ricorso in quanto prospettante la valutazione di questione di diritto inerente sostanzialmente la prospettata idoneità di sanatoria riguardante i reati edilizi a fare venire meno la confisca nonostante la sua non estensibilità al reato di lottizzazione dovendosi disattendere in quanto: una volta riconosciuto, come ammesso nello stesso ricorso, che la sanatoria degli immobili edificati nell’area interessata da una lottizzazione abusiva può eventualmente legittimare, ricorrendone i presupposti, soltanto le opere che costituiscono oggetto della lottizzazione ma non comporta alcuna valutazione di conformità di quest’ultima alle scelte generali di pianificazione urbanistica e, pertanto, non rende lecita tale attività (v. Sez. 3, n. 44517 del 17/07/2019), non può che derivarne anche la irrilevanza quanto alla confisca quale misura strettamente conseguente al solo reato di lottizzazione abusiva (nel senso che è la demolizione l’unico rimedio percorribile per l’eliminazione degli effetti del reato di edificazione abusiva, Sez. 3, n. 4965 del 28/11/2007).
Del resto, proprio la presa d’atto della conformità delle opere realizzate agli strumenti urbanistici, che, secondo il ricorrente, avrebbe espresso la sanatoria, per la Suprema Corte, non può avere riflessi sulla lottizzazione il cui oggetto di tutela è diverso da quello del reato urbanistico (si veda, quanto alla possibilità di concorso del reato di lottizzazione abusiva con le restanti violazioni edilizie previste dall’art. 44 cit., lett. a) e b) proprio sulla base della diversità sia dell’oggetto della tutela che della condotta sanzionata, Sez. 3, n. 9307 del 24/02/2011, omissis, Rv. 249763).
Una volta, dunque, considerato complessivamente infondato il ricorso, si doveva, per gli Ermellini, prendersi atto dell’intervenuta prescrizione che, comportando l’estinzione del reato, faceva sì che la sentenza impugnata dovesse essere annullata senza rinvio fermo restando però che residuava tuttavia il profilo in ordine alle determinazioni che la Corte potesse o meno adottare con riferimento alla confisca che, come nella specie, era stata disposta dal giudice di merito (segnatamente, nel presente giudizio, dal giudice di primo grado con statuizione confermata dalla sentenza impugnata).
Residuava, in altri termini, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, su un piano che è innanzitutto di dommatica generale del processo penale ossia la necessità di accertare se, all’annullamento senza rinvio “della sentenza impugnata“, possano resistere singole statuizioni della stessa sulla base della possibilità di individuare una sostanziale autonomia di esse vale a dire ciò che, in definitiva, rappresenta il presupposto per dare risposta alla questione rimessa a queste Sezioni Unite ovvero la possibilità che la Corte di cassazione, annullando la sentenza di condanna per il reato di lottizzazione in quanto estinto per prescrizione, possa, allo stesso tempo, decidere dell’impugnazione quanto alla confisca, in ciò dunque compresa, per venire alla specificità del quesito posto, anche la possibilità di annullare con rinvio, quanto a tale limitato aspetto, al giudice di merito.
A tal proposito veniva subito evidenziato che, salvo a volere arbitrariamente frammentare la portata unitaria dell’annullamento della sentenza logicamente derivante dalla prescrizione del reato quale causa di estinzione dello stesso, la possibilità di individuare all’interno della sentenza statuizioni che restino “immuni“, rispetto all’effetto caducante esercitato dalla prescrizione stessa, non può che essere il frutto di disposizioni normative che, espressamente o implicitamente, consentano una tale operazione.
Del resto, la stessa ordinanza di rimessione era giunta ad interrogarsi sulla legittima attribuzione alla Corte del potere di annullamento con rinvio della sentenza limitatamente alla confisca così come affermato, invece, direttamente o indirettamente, sino alla odierna data, da varie pronunce di legittimità (tra le altre, Sez. 3 n. 8350 del 23/01/2019; Sez. 3, n. 5936 del 08/11/2018; Sez. 3, n. 14005 del 04/12/2018; Sez. 3, n. 14743 del 20/02/2019; Sez. 3, n. 31282, del 27/3/2019; Sez. 3, n. 36694 del 03/07/2019; Sez. 3, n. 36695 del 03/07/2019; Sez. 3, n. 38484 del 5/07/2019; Sez. 3, n. 47094 del 12/09/2019; Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019) proprio nella ritenuta impossibilità di rinvenire una norma che tale facoltà consenta.
Detto questo, si notava altresì come la questione fosse peraltro inevitabilmente connessa trovando in essa il suo presupposto logico, a quella più in generale riguardante i rapporti intercorrenti tra declaratoria di prescrizione, da un lato, e adozione della confisca lottizzatoria, dall’altro, posto che, evidentemente, se detta declaratoria impedisce radicalmente di potere disporre la confisca, lo stesso interrogativo posto in ordine ai poteri del giudice di legittimità resterebbe privo di senso giacché lo stesso, una volta constatata la prescrizione del reato, non potrebbe fare altro che annullare senza rinvio in toto la sentenza impugnata.
Secondo un orientamento consolidato della Cassazione (tra le altre, Sez. 3, n. 9982 del 05/03/2008; Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013; Sez. 3, n. 15888/16 del 08/04/2015; Sez.3, n. 33051 del 10/05/2017) essenzialmente fondato sulla lettera del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2 (“La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca del terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite”), la confisca dei terreni ben può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato purché sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva.
Tale indirizzo, sorto sin da tempi risalenti (si veda, nel vigore della L. n. 47 del 1985, art. 19 Sez. 3, n. 4954 del 08/02/1994, omissis, Rv. 197506 e Sez. 3, n. 10061 del 13/07/1995,), si è, in tempi progressivi, consolidato ed “affinato” fino a trovare, in epoca recente, sostanziale sintonia anche con la giurisprudenza della Corte EDU.
Condensato inizialmente nella semplice affermazione della compatibilità tra dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato e confisca delle aree lottizzate in ragione della sufficienza di un accertamento del reato, il principio si è via via irrobustito, forgiato anche dall’apporto della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale attraverso, dapprima, la indicazione della “latitudine” dell’accertamento, necessariamente comprensivo, per tenere conto delle indicazioni a suo tempo giunte dalla sentenza della Corte EDU 30/08/2007, Sud Fondi c. Italia, sia dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato (tra le prime, Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009,; Sez. 3, n. 30933 del 19/05/2009) e, successivamente, attraverso la predisposizione di modalità procedimentali coerenti con i principi del “giusto processo” come tali richiedenti la sussistenza del contraddittorio delle parti quale elemento imprescindibile dell’accertamento stesso (tra le altre, Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013; Sez. 4, n. 31239 del 23/06/2015) e, seppure in un primo momento, l’assunto si sia trovato in dissonanza con la giurisprudenza della Corte EDU, da ultimo, invece, lo stesso ha incontrato, nella lettura della Corte sovranazionale, la affermazione di una sua compatibilità con i principi della Convenzione.
Se infatti la pronuncia della Corte EDU 29/10/2013, Varvara c. Italia, ha affermato l’incompatibilità con le garanzie previste dalla CEDU di un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza, potesse subire una “pena” (tale dovendo secondo la Corte essere considerata la confisca lottizzatoria), in contrasto con la previsione dell’art. 7 CEDU, successivamente, sia l’elaborazione della Corte costituzionale che la “rilettura” operata, in tempi più recenti, dalla Corte EDU, hanno offerto ulteriore fondamento all’indirizzo esegetico ricordato.
Segnatamente, con la sentenza n. 49 del 2015, la Corte costituzionale ha, per quanto strettamente interessante l’oggetto del presente giudizio, ribadito la necessità, ai fini della confisca urbanistica, di un pieno accertamento della responsabilità dell’imputato e della malafede del terzo eventualmente colpito dalla confisca, precisando tuttavia che un tale “pieno accertamento” non sarebbe precluso nel caso di proscioglimento dovuto a prescrizione atteso che tale pronuncia ben potrebbe “accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità ai soli fini della confisca del bene lottizzato”; in altri termini, ai fini della confisca urbanistica, ben potrebbe tenersi conto “non della forma della pronuncia, ma della sostanza dell’accertamento”, valorizzandosi le potenzialità di accertamento del fatto di reato consentite anche a fronte di pronuncia di sentenza di proscioglimento; in definitiva, secondo la Corte, “nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità”.
Quanto poi alla Corte EDU, la stessa, nella pronuncia della Grande Camera 28/06/2018, G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, ribadendo che i principi di legalità e colpevolezza, condensati nell’art. 7 CEDU, rendono “necessario impegnarsi, al di là delle apparenze e del vocabolario utilizzato, ad individuare la realtà di una situazione”, andando “oltre al dispositivo di una decisione interna”, per “tener conto della sua sostanza, in quanto la motivazione costituisce parte integrante della decisione”, ha affermato che “qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’art. 7, che in questo caso non è violato” (§ 261).
Da ciò se ne faceva discendere che, nella “lettura” ermeneutica così data, l’art. 44 cit., là dove ricollega la confisca lottizzatoria all’accertamento del reato, consente di prescindere dalla necessità di una sentenza di condanna “formale” permettendo di fondare la “legittimità” del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivale, in forza della sua necessaria latitudine (estesa alla verifica, oltre che dell’elemento oggettivo, anche dell’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) e delle sue modalità di formazione (caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati), ad una pronuncia di condanna come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali, proprio come riconosciuto, da ultimo, anche dalla Corte EDU.
Precisato ciò, tornando ad affrontare il quesito summenzionato, si denotava come le pronunce, che hanno inizialmente affermato la possibilità di annullamento con rinvio, abbiano evidentemente individuato un tale esito come un logico ed inevitabile corollario proprio del principio poco sopra ricordato, pena, diversamente, la sua declamazione solo virtuale visto che la possibilità di coesistenza della prescrizione e della confisca, riconosciuta, da ultimo, anche dalla Corte EDU, acquista un concreto valore in quanto si consenta che, nonostante la intervenuta prescrizione maturata nel corso del giudizio di impugnazione, il giudice possa ugualmente disporre la misura in oggetto tenuto conto altresì del fatto che sempre tali pronunce hanno trovato una conferma di ciò nell’art. 578-bis c.p.p. secondo cui “quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dall’art. 240-bis c.p., comma 1 e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’art. 322-ter c.p., il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”.
A fronte di ciò, si evidenziava inoltre come sia senz’altro esatto che la formulazione originaria della norma, introdotta dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4, (di attuazione della delega per la riserva di codice), e da ultimo modificata con la L. n. 3 del 2019 (che vi ha inserito l’inciso relativo alla “confisca prevista dall’art. 322-ter c.p.”) abbia rappresentato, salva la precisazione di cui oltre, il sostanziale trapianto, nel codice di rito, del contenuto del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, comma 4-septies, secondo cui “le disposizioni di cui ai commi precedenti, ad eccezione del comma 2-ter, si applicano quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiarano estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato” dato che il riferimento ai “commi precedenti“, effettuato da tale norma, ricomprendeva anche il comma 1 con il quale, per determinate ipotesi di reato, si prevedeva che, in casi di sentenza di condanna o di applicazione della pena, fosse sempre disposta la confisca cosiddetta “allargata” ovvero quella concernente i beni di cui il condannato non potesse giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito; e tale comma è stato sostanzialmente trasfuso nell’art. 240-bis c.p., nel comma 1 inserito nel codice dal D.Lgs. n. 21 del 2018 cit., art. 6, comma 1, e richiamato espressamente dall’art. 578-bis (così come, appunto, l’art. 12-sexies, comma 4-septies cit. richiamava il comma 1).
Si riteneva tra l’altro parimenti esatto che l’art. 12-sexies cit., comma 1 (e, conseguentemente, in virtù della già indicata corrispondenza, l’art. 240 bis cit., comma 1) prevedeva, come sopra anticipato, la sola confisca cosiddetta “per sproporzione” senza in alcun modo contemplare la confisca urbanistica ma è anche vero che l’art. 578-bis non si è limitato a richiamare la “confisca in casi particolari prevista dall’art. 240-bis c.p., comma 1” ma ha ulteriormente aggiunto, sin dalla versione originaria, il richiamo alla confisca “prevista da altre disposizioni di legge” e, successivamente, per effetto della modifica intervenuta ad opera della L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 4, lett. f), il richiamo alla confisca “prevista dall’art. 322-ter c.p.”.
È pertanto evidente per la Suprema Corte che, quali che siano state le ragioni che hanno determinato il legislatore ad introdurre la norma in oggetto nel codice di rito, la stessa non può che essere letta secondo quanto in essa espressamente contenuto, in particolare non potendo non riconoscersi al richiamo alla confisca “prevista da altre disposizioni di legge”, formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale capace cioè di ricomprendere in essa anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale.
Secondo l’ordinanza di rimessione, tale inciso sarebbe da riferire specificamente alla confisca “allargata” relativa al reato di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295, comma 2, e a quella relativa al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1993, art. 73, che, in quanto disciplinate entrambe da testi unici, non avrebbero potuto, per il principio della “riserva di codice” di cui all’art. 3-bis c.p., essere espressamente menzionate nel codice penale; e tuttavia, per discostarsi da tale assunto, pare dirimente osservare che tale principio riguarda, per come emergente dal tenore testuale di detta norma, le “nuove disposizioni che prevedono reati” le quali “possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia” essendosi, cioè, voluto evitare che con leggi diverse da tali due fonti si possano introdurre nuove fattispecie di reato mentre, nella specie, invece, non si sarebbe trattato di introdurre nuove fattispecie di reato ma solo di menzionare, ai fini della regolamentazione della confisca per esse prevista, fattispecie già contemplate dall’ordinamento.
Nè il fatto che la rubrica della norma riguardi unicamente la “confisca in casi particolari”, in tal modo, alludendo alla sola confisca “allargata” di cui all’art. 240-bis cit. giacché in rubrica si riporta la stessa formulazione, può ritenersi in grado di condurre a diverse conclusioni dovendosi per la Corte di legittimità sul punto ribadire che le partizioni sistematiche di una legge, in particolare titoli, capi e rubriche, non fanno parte nè integrano il testo legislativo e quindi non vincolano l’interprete in quanto la disciplina normativa sulla formazione delle leggi prevede che solo i singoli articoli siano oggetto di esame e di approvazione da parte degli organi legislativi (Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015).
E allo stesso modo non appare per gli Ermellini rivestire carattere ostativo ad una lettura inclusiva anche della confisca urbanistica il fatto che, alla “confisca in casi particolari” e a quella “prevista…da altre disposizioni di legge”, tra loro legate dalla congiunzione “e“, si sia poi aggiunta anche la confisca di cui all’art. 322-ter cit., attraverso la diversa congiunzione “o” dal momento che, secondo una prima lettura di tali unità sintattiche, menzionata dalla ordinanza di rimessione, la diversa natura delle due congiunzioni usate starebbe a dimostrare che le confische menzionate dalla norma potrebbero essere di soli due tipi ovvero, da un lato, la confisca cosiddetta “allargata“, esemplificata dal riferimento all’art. 240-bis cit. cui, per effetto della congiunzione “e“, andrebbe accomunata anche la confisca previste da altre disposizioni di legge e, dall’altro, la confisca per equivalente, esemplificata dal riferimento all’art. 322-ter cit., senza spazio, dunque, per ulteriori tipi di confisca.
Sennonché, per la Suprema Corte, non può non tenersi conto che la versione originaria era limitata ai soli due primi elementi mentre il riferimento alla confisca di cui all’art. 322-ter c.p. è stato il frutto di interpolazione successiva sicché l’affidamento sull’appropriata utilizzazione delle congiunzioni (dapprima la “e” e, poi, la “o“) e sulle sue conseguenze interpretative appare in definitiva assai labile ove non rapportato, come necessario, alla formulazione primigenia caratterizzata dal semplice riferimento ad una confisca prevista dall’art. 240-bis nonché da altre leggi speciali; ed anzi, ben potrebbe dirsi che è la stessa aggiunta posteriore, in realtà, ed in senso opposto a quanto si vorrebbe, a rafforzare una lettura della disposizione inclusiva anche dei provvedimenti ablatori aventi portata lato sensu sanzionatoria, come indubbiamente è la confisca per equivalente e come è la confisca urbanistica, avente natura, per consolidata esegesi di questa Corte, di “sanzione amministrativa” (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 12471 del 16/11/1995,; Sez. 3, n. 777 del 24/02/1999; Sez. 3, n. 38728 del 07/07/2004; Sez. 3, n. 36844 del 09/07/2009; Sez. 3, n. 5857 del 6/10/2010; Sez. 3, n. 2292 del 25/10/19).
Oltre a ciò, veniva fatto presente come le Sezioni Unite avessero significativamente affermato, con la sentenza n. 6141/19 del 25/10/2018, come il riferimento dell’art. 578-bis c.p.p. alle “altre disposizioni di legge” evochi “le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali” in tal modo condividendo la legittimità di una lettura ad ampio raggio, non limitata cioè alla sola confisca “per sproporzione“.
Nè, interpretando la norma come applicabile anche alla confisca urbanistica, da intendersi ricompresa appunto nella indeterminata categoria delle confische previste da altre disposizioni di legge, per il Supremo Consesso, potrebbero emergere elementi sintomatici di un possibile attrito della stessa con il principio di cui all’art. 76 Cost. tale da fare dubitare, in termini non manifestamente infondati, della sua legittimità costituzionale.
A tal riguardo si evidenziava come nell’ordinanza di rimessione si fosse sostenuto che la Legge Delega 23 giugno 2017, n. 103, in forza della quale è stata adottata la nuova norma, stabiliva la riserva di codice per le disposizioni di diritto penale sostanziale mentre il decreto legislativo di attuazione, invece, avrebbe inserito nel codice di procedura penale una norma, per di più di portata innovativa, non compresa tra i principi e criteri direttivi della legge delega, con conseguente possibile violazione dell’art. 76 Cost.
Orbene, in relazione a ciò, le Sezioni Unite osservavano come non potesse tuttavia non considerarsi, da un lato, che la medesima L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 82, ha delegato il Governo all’adozione di norme per la riforma dei giudizi di impugnazione nel processo penale entro le quali, dunque, ben può farsi rientrare anche l’art. 578-bis c.p.p., norma inequivocabilmente volta, sia per l’ambito di collocazione sia per il contenuto, a disciplinare appunto il giudizio di impugnazione e che, dall’altro, l’art. 1, comma 86 stessa legge stabilisce che il “Governo è delegato ad adottare, nei termini e con la procedura di cui al comma 83, decreti legislativi recanti le norme di attuazione delle disposizioni previste dai commi 84 e 85 e le norme di coordinamento delle stesse con tutte le altre leggi dello Stato, nonché le norme di carattere transitorio” ben potendo l’art. 578-bis c.p.p. costituire, nella sostanza, una delle “norme di coordinamento con tutte le altre leggi dello Stato” resesi necessarie in esito all’esercizio della delega.
Del resto, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale, i principi e criteri direttivi servono, da un lato, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata ma, dall’altro, devono anche consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare nella fisiologica attività di “riempimento” che lega i due livelli normativi sicché la determinazione dei principi e dei criteri suddetti “non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore” (sent. n. 117 del 1997; n. 198 del 1998; n. 426 del 2006; n. 341 del 2007) pur nel silenzio del legislatore delegante (sent. n. 141 del 1993).
E a tale logica, si è aggiunto, sicuramente appartiene appunto la delega conferita per il coordinamento delle preesistenti disposizioni quale potere normativo volto a ricondurre in un quadro di coerenza sistematica norme legislative contenute in separati atti (sent. n. 308 del 2002).
Del resto, la riferibilità dell’art. 578-bis cit. anche alla confisca urbanistica poggia anche su un criterio di evidente razionalità: l’esigenza che ha spinto il legislatore a dettare una norma volta, in chiara analogia con la disposizione dell’art. 578 c.p.p. (non a caso immediatamente precedente nella topografia codicistica), ad evitare che la prescrizione del reato, a fronte di un’affermazione di responsabilità che resta, nella sostanza, immutata, vanifichi la confisca di cui all’art. 240-bis cit. nel frattempo disposta in primo grado o in grado di appello (a seconda che la prescrizione maturi rispettivamente nel giudizio di appello o in quello di legittimità), in linea con il principio di conservazione degli effetti delle pronunce di merito sul punto non sovvertite nei gradi successivi (così come, con riguardo all’art. 578, si è voluta evitare la dissipazione degli effetti sul piano delle statuizioni civili), è ancor più tangibile nel caso della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 atteso che, ai fini di disporre la confisca lottizzatoria, non è necessaria una pronuncia di condanna essendo invece sufficiente il “sostanziale” accertamento del fatto, sia pure circondato dalle garanzie sostanziali e processuali e dunque, ad avviso dei giudici di legittimità ordinaria, non si comprende allora quale senso potrebbe avere consentire che il mero fatto di una prescrizione sopravvenuta in grado di appello o in quello di legittimità (ovvero, in altri termini, il sopravvenire di una situazione che, ove prodottasi già in primo grado, non avrebbe comunque potuto impedire la sanzione amministrativa de qua) impedisca al giudice dell’impugnazione di decidere comunque agli effetti della confisca.
Da tale punto di vista, dunque, il parallelismo che, con riguardo alla confisca “per sproporzione“, il legislatore ha posto, per le altre confische, tra la norma sostanziale di cui all’art. 240-bis e quella processuale di cui all’art. 578-bis, va, con riguardo alla confisca urbanistica, più specificamente instaurato tra il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 (quale “legge speciale” richiamata dalla norma del codice di procedura) e l’art. 578-bis.
Il parallelismo appena evidenziato, è, allo stesso tempo, per la Cassazione, la ragione per la quale l’art. 578-bis c.p.p. non può presupporre che ai fini della confisca urbanistica sia sempre necessaria, in primo grado, una pronuncia di condanna.
Premesso che la formulazione letterale della norma in sé considerata non contiene alcun espresso riferimento a tale presupposto (venendo unicamente menzionata la necessità di una previa confisca), il necessario antecedente di una sentenza di condanna non può neppure essere rinvenuto nell’incipit dell’art. 240 bis, comma 1, cit. che menziona la condanna (nonché la sentenza di applicazione della pena) appunto perché, come appena detto, il necessario referente dell’art. 578-bis, per quanto riguardante specificamente la confisca urbanistica, non può essere l’art. 240-bis bensì il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che opera il chiaro riferimento al solo “accertamento” fermo restando che, allo
stesso tempo, tuttavia, va necessariamente precisato, affinché sia razionalmente ricostruito il “sistema” ricavato dalle norme appena ricordate, che la possibilità per il giudice dell’impugnazione, che dichiari la prescrizione, di decidere comunque agli effetti della confisca, non può implicare, come invece ritenuto da alcune pronunce, che il giudizio di primo grado, una volta intervenuta la prescrizione e non ancora accertato il fatto, possa comunque proseguire a tali soli fini di accertamento.
Un orientamento della Cassazione, ricordato in chiave critica anche dalla ordinanza di rimessione, ha ritenuto recessivo il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato di cui all’art. 129 c.p.p. rispetto al correlativo e coesistente “obbligo di accertamento” ricavabile dall’art. 44 cit. che, dunque, dovrebbe avere piena espansione consentendo al giudice, nell’ottica della possibilità di individuare, accanto all’azione penale tipica, una cosiddetta “azione penale complementare” di “adottare altri provvedimenti a carattere reattivo o ripristinatorio, nei quali si sostanzia l’esigenza dell’ordinamento di ripristinare l’ordine giuridico violato dal fatto illecito” (così, tra le altre, da ultimo, n. 2292 del 25/10/2019; Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017; Sez. 3, n. 43630 del 25/06/2018; Sez. 3, n. 31282, del 27/3/2019).
Sicché, in definitiva, per la Corte, l’unico limite a che il processo penale possa progredire relativamente ad un’azione di accertamento finalizzata alla sola decisione sulla confisca urbanistica sarebbe rappresentato dall’estinzione maturata prima dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016) poiché, in tal caso, sarebbe impedito al giudice di compiere, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l’accertamento del reato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi.
Ciò posto, le Sezioni Unite ritenevano tuttavia come dovesse essere riaffermata la valenza, rispondente a principi di ordine costituzionale, dell’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato posto dall’art. 129 c.p.p., comma 1, unicamente derogabile, in melius, dal comma 2 stessa norma laddove già risulti con evidenza la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito e, in peius, nel senso, cioè, di consentire ugualmente la prosecuzione del processo ai fini dell’adozione di provvedimenti lato sensu sanzionatori, solo in presenza di norme che espressamente statuiscano in tal senso.
Veniva a tal proposito anzitutto chiarito che, dal tenore letterale dell’art. 44 cit., non può trarsi alcuna indicazione nel senso di un “obbligo” di compiere l’accertamento nonostante la prescrizione già maturata e che in tale direzione non possono condurre, come anche osservato dall’ordinanza di rimessione, nè la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, nè la già ricordata pronuncia della Corte EDU GIEM s.r.l. c. Italia.
Sotto il primo profilo normativo, la disposizione appena ricordata si limita a prevedere che “la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca…”: in altri termini, pur postulando che ai fini della confisca sia sufficiente l’accertamento del fatto, in tal modo consentendo la misura anche a fronte di maturata prescrizione, la stessa nulla dice in ordine ai rapporti in punto di successione temporale tra l’accertamento del fatto, da un lato, e la prescrizione, dall’altro, se, cioè, l’accertamento debba necessariamente precedere il termine di compimento della prescrizione affinché sia legittimo disporre la confisca oppure sia invece consentito che, nonostante la prescrizione ormai intervenuta, il giudizio debba proseguire oltre ai soli fini di accertare il fatto (evidentemente prima non accertato) onde potere disporre la confisca. Nè poteva, una norma sostanziale, come quella in oggetto, operare specificazione sui tempi e sul quomodo dell’accertamento appartenendo fisiologicamente un tale ambito alle sole norme di carattere processuale.
Sotto il secondo profilo giurisprudenziale, poi, nessun riferimento la Corte costituzionale appare avere operato a tale aspetto, nè espressamente, nè implicitamente, ciò non potendo in particolare ricavarsi dalla specificazione per cui non sarebbe di per sé “escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato”, ciò solo significando, appunto, la reiterazione del principio di compatibilità “logica o giuridica della prescrizione con un pieno accertamento di responsabilità”; nè alcun riferimento specifico sarebbe possibile rinvenire nella giurisprudenza della Corte EDU che mai è scesa a valutare gli aspetti di ordine prettamente processuale appena ricordati, del resto chiaramente estranei all’orizzonte decisionale proprio della giurisdizione sovranazionale, se non espressamente denunciati ad essa in ragione di eventuali effetti di inosservanza dei principi della Convenzione EDU.
Nessuna lettura della norma costituzionalmente o convenzionalmente orientata nel senso della prosecuzione del processo, a prescrizione maturata, quando non sia stato ancora accertato il fatto appare, dunque, per il Supremo Consesso, essere sostenibile.
Per gli Ermellini è invece necessario il riferimento alle norme processuali e, in particolare, alla norma dell’art. 129 c.p.p., comma 1, sopra ricordata, specificamente dedicata proprio al tempo e al quomodo della declaratoria di determinate cause di non punibilità (in esse rientrando anche la estinzione del reato) da sempre interpretata dalla Cassazione come espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia “lo stato e il grado del processo” (clausola, questa, significativamente menzionata dalla norma), sentenza di proscioglimento (in tal senso, Sez. 1, n. 33129 del 06/07/2004; Sez. 5, n. 12174 del 18/02/2002; implicitamente, Sez. 6, n. 783 del 26/02/1999) essendo a tal proposito emblematico che, esattamente in fattispecie riguardante la confisca urbanistica, ed in conseguenza della stretta applicazione del “principio di immediatezza” di cui all’art. 129 cit., sia stato dalla Cassazione ritenuto abnorme il decreto del giudice dell’udienza preliminare che, proprio al fine di consentire successivamente l’accertamento finalizzato a detta confisca, abbia disposto ugualmente il rinvio a giudizio per un reato pur riconoscendo l’intervenuta estinzione dello stesso per prescrizione, in quanto esplicatosi al di fuori dei casi consentiti, al di là di ogni ragionevole limite (Sez. 1, n. 33129 del 06/07/2004) così come, sempre in tema di confisca urbanistica, veniva ricordato come la Corte di legittimità, pur attraverso il riferimento a quanto imposto specificamente dall’art. 469 c.p.p., avesse ravvisato, a fronte di maturata prescrizione del reato di lottizzazione, l’impossibilità, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, e, dunque, ad azione penale già esercitata, e dunque in un momento processuale tale, in teoria, da consentire di accertare il fatto nelle sue componenti oggettive e soggettive, di protrarre oltre il giudizio (Sez. 3, n. del 14/11/2018, dep. 2019, omissis, Rv. 277975).
A fronte di ciò, si evidenziava inoltre necessario ricordare il rilievo, di ordine anche costituzionale, che l’art. 129 c.p.p. riveste anche secondo le Sezioni Unite.
Due sono, infatti, secondo quanto affermato in particolare da Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, le funzioni fondamentali che assolve tale norma, la prima essendo quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo“, e, la seconda, quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato; implicita in tali funzioni ve ne sarebbe poi una terza consistente nel fatto che l’art. 129 cit. rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 c.p..
Sicché, secondo tale prospettiva, pienamente condivisibile, “l’art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico”.
Nè veniva dimenticato l’ulteriore fine, perseguito dalla norma, di contemperamento dell’interesse dell’imputato ad una più ampia possibilità di vedere proseguire l’attività processuale in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito “con l’aspetto, non meno rilevante, dell’exitus del processo quale obiettivo da perseguire, la cui importanza non può certamente sottovalutarsi, posto che la disciplina d’impulso alla sollecita definizione del processo tutela un fondamentale interesse di carattere costituzionale (art. 111 Cost., comma 2: ragionevole durata del processo) che non può essere considerato aprioristicamente di rango inferiore ad altri interessi pur apprezzabili e, in ogni caso, sempre tutelabili”.
In definitiva, dunque, e per ribadire le affermazioni di tale pronuncia, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, il principio dell’immediata operatività della causa estintiva, fatto salvo il limite dell’evidente innocenza dell’imputato, è il frutto di una scelta legislativa che trova la sua ratio nell’intento di evitare la prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi ed inutili formalismi.
Peraltro, ove il principio dell’immediatezza del proscioglimento appena ricordato fosse ritenuto generalmente derogabile in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica ovvero in senso chiaramente sfavorevole all’imputato, non ci si potrebbe sottrarre all’evidente sperequazione che verrebbe in generale in tal modo a crearsi nel caso, invece, di accertamenti da operare in melius essendosi sempre esclusa dalla Cassazione la possibilità di prosecuzione a tal fine del processo proprio per il contrasto della stessa con quanto disposto dall’art. 129 c.p.p. (da ultimo, Sez. 3, n. 56059 del 19/09/2017 e Sez. 5, n. 5586 del 03/10/2013).
In altri termini, con un evidente ingiustificato differente approdo, mentre l’assoluzione nel merito potrebbe prevalere unicamente se già emergente con evidenza al momento della maturazione della prescrizione, a fini “sanzionatori“, invece, il processo, pur a prescrizione ormai decorsa, dovrebbe, secondo la soluzione non condivisa dalle Sezioni Unite, ugualmente proseguire.
Tal che se ne faceva discendere che, solo là dove specificamente previsto, il principio dell’immediata adozione di pronuncia di proscioglimento può trovare deroga nel contemperamento con interessi ritenuti comunque meritevoli di tutela difettando invece, per quanto riguardante la confisca lottizzatoria, ogni disposizione in tal senso.
Pertanto, non possono condurre ad una prosecuzione del giudizio che non abbia già accertato il reato le norme, richiamate dalle pronunce già menzionate sopra (sub § 6.1.) che, nell’interpretazione della Suprema Corte,, consentono al giudice, nonostante la declaratoria di proscioglimento, anche di proseguire nel giudizio per determinate specifiche finalità (tra esse annoverandosi l’art. 537 c.p.p., in tema di pronuncia sulla falsità di documenti, e il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301 in tema di contrabbando) posto che è chiaro che tali norme, proprio perché derogatorie rispetto all’art. 129 c.p.p., non possono essere certo considerate esemplificative di un “sistema” in tal senso tanto più in ragione della peculiarità di situazioni, come quella disciplinata, ad esempio, dall’art. 537 c.p.p. (la cui finalità è quella di evitare la celebrazione di un giudizio civile per accertare la falsità dell’atto) non equiparabili a quella della confisca urbanistica.
Del resto, proprio all’esistenza di dette specifiche disposizioni va collegata l’affermazione di Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008 secondo cui la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti ai fini della confisca non potrebbe considerarsi “anomala” essendo evidente che l’affermazione resa in tali esatti termini, nell’ambito di questione oltretutto limitata, ancora una volta, alla sola verifica della compatibilità tra confisca ed estinzione del reato, segnala l’impossibilità di volgere la stessa nel senso, ben diverso, della sistematicità necessaria, sempre e comunque, di accertamenti in presenza di una prescrizione già maturata.
Alla conclusione nel senso qui adottato militava infine, ad avviso della Suprema Corte, anche la natura della confisca lottizzatoria costantemente qualificata in sede nomofilattica come sanzione amministrativa sia pure irrogata dal giudice penale, alla stessa stregua dell’ordine di demolizione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9 poiché è proprio tale natura a far escludere che l’impossibilità di operare in sede penale la confisca, perché non sia stato possibile accertare il fatto, impedisca all’amministrazione di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 (Sez. 3, n. 5857 del 06/10/2010).
Nè può trascurarsi la circostanza che, all’interno del sistema delle sanzioni amministrative previsto, per la lottizzazione, dall’art. 30, commi 7 e 8, l’intervento sanzionatorio del giudice penale attuato tramite la confisca è di ordine meramente residuale (Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019; Sez. 3, n. 47094 del 12/09/2019; Sez. 3, n. 31282, del 27/3/2019; Sez. 3 n. 8350 del 23/01/2019) e non interferisce, quindi, nè si sovrappone all’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 (Sez. 3 n. 8350 del 23/01/2019).
Deve, del resto, escludersi per la Corte che, in tema di provvedimenti sanzionatori che conseguono all’accertamento di una lottizzazione abusiva, possa desumersi dalla disciplina in materia l’esistenza di una sorta di pregiudiziale penale ovvero di previa verifica della sussistenza della responsabilità penale di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), come del resto più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa (così, Cons. Stato, Sez. 6, n. 2082 del 3/04/2018; negli stessi termini, Cons. Stato, Sez. 6, n. 1888 del 26/03/2018; Cons. Stato, Sez. 6, n. 1878 del 23/03/2018; cfr. TAR Toscana, Sez. 3, n. 1643 del 19/12/2018; TAR Toscana, n. 509 del 30/03/2015; T.A.R. Toscana, Sez. 3, Sent. n. 893 del 29/05/2014).
Sicché, ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune, è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale restando, dunque, in definitiva, confermato che neppure le ragioni di effettiva tutela dell’interesse collettivo alla “corretta pianificazione territoriale” potrebbero rappresentare motivo di deroga all’applicabilità, nella specie, del principio dell’art. 129 c.p.p., comma 1 non potendo oltretutto situazioni patologiche come l’inerzia della pubblica amministrazione fungere da criterio interpretativo delle norme penali (così Sez. 3, n. 6396 del 07/11/2006).
Il principio di adozione in via immediata del proscioglimento (in esso compreso quello dovuto ad estinzione del reato) veniva dunque riaffermato sicché il giudice di primo grado avrebbe potuto disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, fosse stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive.
Venivano, in definitiva, enunciati i seguenti principi di diritto:
“La confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 1, proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44“.
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, si osservava come, nonostante la intervenuta prescrizione del reato che comportava l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, la Cassazione fosse tenuta ugualmente, alla stregua del principio appena enunciato, a decidere in ordine alla confisca già disposta dal giudice di primo grado e confermata in sede di appello.
In proposito, allora, tenuto conto che l’unico motivo proposto in ricorso riguardante la confisca era inammissibile per la già evidenziata mancanza di interesse, non poteva che essere confermata la statuizione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto di confisca del terreno abusivamente lottizzato e dei manufatti sullo stesso abusivamente realizzati dato che doveva restare salvo il principio certamente implicito anche nell’ambito dell’art. 578-bis c.p.p. (così come lo è sempre stato con riguardo alla parallela norma dell’art. 578 c.p.p.) secondo cui i poteri cognitivi della Corte sono comunque vincolati alla fisiologia del giudizio di legittimità, sia in relazione alla impossibilità di operare valutazioni del fatto, sia in relazione alla natura devolutiva del giudizio, legato ai motivi di ricorso, salve le ipotesi di ordine eccezionale di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2.
E non può esservi dubbio che il potere appena ricordato di decisione delle questioni rilevabili d’ufficio a norma dell’art. 609 c.p.p., comma 2, che opera in deroga al principio devolutivo, non può che riguardare le questioni relative ai soli soggetti titolari del rapporto processuale regolarmente instaurato e non anche soggetti terzi.
Da ciò se ne faceva discendere come nessuno spazio potesse residuare per valutare l’eventuale illegittimità della statuizione della confisca, neppure sotto il profilo del rispetto del principio di proporzionalità evocato dall’ordinanza di rimessione come questione rilevabile d’ufficio per effetto della decisione della Corte EDU 26/06/2018, G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, posto che lo stesso ricorrente, con l’unico motivo riguardante la confisca, aveva dedotto una questione, ovvero quella della buona fede di soggetti terzi proprietari dell’area e di beni lottizzati, del tutto estranea alla propria posizione.
Peraltro, anche nel merito della rilevabilità d’ufficio, neppure si sarebbe potuto sostenere che il profilo della proporzionalità esulasse dal perimetro cognitivo dei giudici e delle parti del processo perché insorta solo successivamente alla decisione predetta della Grande Camera poiché, al contrario, già con la decisione della Corte EDU del 20/01/2009, Sud Fondi c. Italia, venne a suo tempo affermata la necessità del requisito di proporzionalità della confisca in connessione con il principio dell’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU sicché non a caso la giurisprudenza della Cassazione ebbe poi ad insistere, proprio sulla base dei principi costituzionali e convenzionali, sulla necessità del rispetto di detto principio (tra le altre, in motivazione, v. Sez. 3, n. 37472 del 26/6/2008).
In ultimo, anche a volere ragionare diversamente, restava il fatto che, nella specie, la confisca aveva, nel corretto rispetto del contenuto dell’art. 44 cit. recepito in sentenza, testualmente riguardato “il terreno abusivamente lottizzato” e i “manufatti sullo stesso abusivamente realizzati” sicché nulla avrebbe potuto condurre a far ritenere che la confisca fosse stata adottata in contrasto con i principi affermati dalla Corte EDU e, segnatamente, con il principio di proporzionalità della misura finendo per riguardare aree ed immobili estranei alla condotta lottizzatoria.
Sicché, anche sotto tale profilo, l’annullamento con rinvio effettuato in assenza di elementi fattuali, deponenti per il mancato rispetto dei principi anche sovranazionali, si sarebbe risolto nella specie in un annullamento ad explorandum evidentemente del tutto estraneo al ruolo e ai compiti del giudice di legittimità tenuto conto che il presupposto del corretto esercizio dei poteri della Corte è rappresentato dalla necessaria emersione, nelle sentenze del merito, dei relativi elementi di fatto che lo giustifichino (nel senso che “un annullamento con rinvio in funzione meramente esplorativa non può ritenersi consentito”, v. Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003).
E tale presupposto non può che restare fermo anche con riguardo a quanto previsto dall’art. 609 c.p.p., comma 2, in relazione alla possibilità per la Corte di decidere le questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (si veda, infatti, sia pure con riferimento all’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., Sez. 3, n. 394 del 25/09/2018).
Ciò, peraltro, per il Supremo Consesso, non significa che la relativa questione sia definitivamente preclusa visto che è proprio l’ampio impiego, da parte dei giudici di merito, della formula di legge relativa alla confisca urbanistica a consentire all’interessato di proporre ogni doglianza sul punto in sede esecutiva (anche, ove ne ricorrano i presupposti, nella prospettiva, segnalata dalla sentenza G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, e di cui va valutata la compatibilità con l’attuale assetto normativo, del mancato utilizzo di misure diverse, e di invasività inferiore, rispetto a quella della confisca) e di chiedere, conseguentemente, anche la revoca della confisca limitatamente alle aree o agli immobili che dovessero essere ritenuti estranei alla condotta illecita secondo una modalità di impiego dello strumento dell’incidente di esecuzione nel quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 5, del tutto consueta anche nell’applicazione giurisprudenziale (nel senso che in sede esecutiva può farsi questione anche sulla estensione e sulle modalità esecutive della confisca stessa, cfr. Sez. 1, n. 30713 del 03/07/2002 e Sez. 4, n. 2552 del 20/04/2000).
La sentenza impugnata veniva dunque annullata senza rinvio per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione, con conferma della disposta confisca.
Conclusioni
Le Sezioni Unite, in questa decisione, affermano, da un lato, che la confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 1, proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento, dall’altro, che, in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44.
Alla luce di questi principi di diritto, pertanto, ne consegue in primo luogo che la confisca prevista dall’art. 44 del d.P.R. n. 380/2011 che, come è noto, statuisce, per un verso, che la “sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi é stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite” (comma secondo, primo capoverso), per altro verso, che per “effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio é avvenuta la lottizzazione” (comma secondo, secondo capoverso), può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato (fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 1, c.p.p. (“In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza”), proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento) purché: a) sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo; b) la confisca sia stata disposta nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati.
In secondo luogo, in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e quindi quanto appena enunciato poco prima rileva anche se la prescrizione maturi nei gradi successivi al primo grado di giudizio dato che i giudice di seconde cure e quelli di legittimità ordinaria sono tenuti decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 stante quanto previsto dall’art. 578-bis c.p.p. (“Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché fa chiarezza su tali tematiche giuridiche, dunque, non può che essere positivo.
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