riferimenti normativi: art. 2051 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5755 del 10/3/2009; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1451 del 23/01/2014; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26051 del 30/10/2008; App. Roma, Sez. 2, 14/03/2013
La vicenda
Alcuni condomini si rivolgevano al Tribunale per richiedere che il condominio fosse condannato ad adottare tutti gli opportuni provvedimenti per eliminare i problemi di umidità riscontrati nello loro unità abitativa; gli attori ritenevano che le infiltrazioni fossero causate da vizi delle parti comuni e, quindi vi fosse responsabilità della collettività condominiale a cui chiedevano anche il risarcimento dei danni.
il Tribunale però rigettava la domanda dei condomini condannandoli a pagare al condominio le spese di lite e le spese della CTU.
Il giudice ammetteva l’esistenza dei vizi lamentati da parte attrice e cioè la formazione di muffe sulle pareti perimetrali della camera matrimoniale oltre alla formazione di condensa sui pavimenti.
Tuttavia riteneva che gli inconvenienti denunciati dagli attori, ed in particolare i problemi di umidità riscontrati nello loro unità abitativa, non fossero dovuti ad infiltrazioni provenienti da parti comuni dell’edificio condominiale ma piuttosto alla presenza di vizi costruttivi dell’appartamento di cui era responsabile il costruttore e non il condominio.
I condomini allora si rivolgevano alla Corte d’Appello a cui richiedevano l’esecuzione delle opere necessarie per eliminare l’umidità ed il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Nel corso del giudizio di secondo grado si accertava che i vizi costruttivi riscontrati non riguardavano affatto l’immobile dei condomini, bensì le parti comuni ed in particolare la soletta di copertura del corsello che conduce ai box auto e il cappotto termico delle mura perimetrali dell’edificio.
Infatti la camera matrimoniale era stata realizzata sul corsello condominiale non adeguatamente isolato così come il muro perimetrale del palazzo che richiedeva opere per il rafforzamento dell’isolamento termico.
La questione
Il condominio può essere chiamato a rispondere dei problemi di umidità presenti nell’appartamento di un singolo condomino imputabili però a vizi edificatori dello stabile?
La soluzione
La Corte d’Appello ha accertato che i vizi costruttivi riscontrati dal CTU non riguardavano affatto l’immobile dei condomini, bensì deficienze costruttive e/o prestazionali dei sistemi di sconfinamento e di isolamento di parti comuni.
Tali vizi costruttivi devono essere eliminati a cura e spese della collettività condominiale, anche se effettivamente causati dal costruttore-venditore.
Secondo il giudice di secondo grado infatti bisogna considerare che il condominio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno.
In particolare risponde in base all’art. 2051 c.c. dei danni procurati dalle parti condominiali alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, comportanti la concorrente responsabilità del costruttore-venditore, ai sensi dell’art. 1669 c.c., non potendosi equiparare i difetti originari dell’immobile al caso fortuito, che costituisce l’unica causa di esonero del custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c.
La Corte d’Appello ha rigettato la domanda dei condomini volta ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in quanto gli stessi hanno continuato ad abitare l’appartamento, senza dover quindi affrontare spese per un nuovo alloggio o di trasloco, né hanno dato alcuna prova di aver patito un danno non patrimoniale alla salute.
Il condominio però è stato condannato ad eseguire le opere per eliminare i vizi, a ripristinare l’appartamento, nonché a pagare le spese legale del giudizio di primo e secondo grado e la CTU.
Le riflessioni conclusive
Qualora l’umidità delle parti comuni sia causa di danni ad un singolo condomino o ad un ristretto gruppo di condomini, il condominio è responsabile in via autonoma nei loro confronti ai sensi dell’art.2051 c.c.
L’applicabilità di tale norma (di fondamentale importanza nel caso cui l’umidità e i difetti delle parti comuni si accertino dopo 10 anni dalla costruzione del fabbricato) si giustifica in relazione alla ricollegabilità di quei danni all’inosservanza da parte del condominio dell’obbligo di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa (Cass. civ., Sez. III, 22/11/2016, n. 23727).
Si può, quindi, affermare che non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo bensì di un’autonoma fonte di responsabilità ex art.2051 c.c. che ricorre anche se il danno risulta causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell’inizio del rapporto di custodia.
In altre parole il condominio, pur successore a titolo particolare del costruttore-venditore, non subentra nella sua personale responsabilità, legata alla sua specifica attività e fondata sull’art.1669 c.c.
Il condominio, quindi, è responsabile, ai sensi dell’art.2051 c.c., per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalle parti comuni anche se gli stessi sono causati da gravi difetti di costruzione imputabili all’impresa.
Del resto, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che il fatto del terzo integra gli estremi del caso fortuito, e come tale esclude la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 c.c.; tuttavia per “fatto del terzo” deve intendersi la condotta di un soggetto, estranea al custode, di per sè idonea a provocare il danno a prescindere dall’uso della cosa oggetto di custodia; non ricorre, pertanto, il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità del custode quando la cosa oggetto di custodia abbia provocato il danno in conseguenza di un vizio costruttivo
Di conseguenza il condominio danneggiato, oltre ad avere diritto a tutte le opere necessarie ad assicurare all’immobile un congruo isolamento dall’umidità, può legittimamente pretendere il risarcimento dei danni subiti all’interno dell’appartamento e/o il ristoro delle spese sostenute per l’utilizzo temporaneo di altro immobile (spese trasloco, canoni locazione ecc.).
Il danneggiato però può pretendere anche il danno non patrimoniale.
A tale proposito si nota che mentre il danno patrimoniale, cioè quello direttamente riconducibile al costo delle opere occorrenti per la riduzione in pristino dell’unità immobiliare danneggiata, è risarcito per il solo fatto di integrare una lesione giuridicamente vincolante (atipicità), il pregiudizio non patrimoniale richiede una ingiustizia normativamente non qualificata (tipicità a secondo dei casi stabiliti alla legge: tra cui rientra il “diritto di proprietà”).
A tale ultimo proposito (danno non patrimoniale) rileva certamente la mancata possibilità di godere di una parte dell’appartamento in cui si vive, a causa di continue infiltrazioni d’acqua, in quanto arreca una sofferenza e un disagio che non dipendono dalla lesione del (solo) diritto di proprietà, ma da qualcosa di più complesso e articolato (tra l’altro il medesimo disagio può essere lamentato anche dal conduttore, in quanto titolare di un diritto personale di godimento).
È evidente perciò che, laddove vi sia la presenza dei presupposti indicati, al condomino danneggiato conviene, sempre e comunque, agire sia nei confronti del costruttore, sia nei confronti del condominio (essendo la responsabilità di quest’ultimo autonoma, e quindi concorrente con quella dell’appaltatore), al fine di individuare comunque un soggetto solvibile.
Tuttavia il condominio può sollevarsi da ogni responsabilità dimostrando che il danno è stato causato da un fatto imprevisto ed imprevedibile, fortuito per l’appunto.
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