Semilibertà: non vincolata ad un’attività lavorativa retribuita

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33244 del 28 agosto 2024, ha fornito chiarimenti in merito alla richiesta di semilibertà: nello specifico, questa, per essere concessa, non necessita di un’attività lavorativa retribuita.

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Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 33244 del 28/08/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato la richiesta di semilibertà proposta dal ricorrente.
Questo sta espiando una pena complessiva di anni sedici, mesi quattro e giorni venti di reclusione e di mesi undici e giorni cinque di arresto per i reati di furto, resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata, rapina, ricettazione, danneggiamento, lesioni personali, minaccia, estorsione, violazione della legge sulle armi ed evasione, con un fine pena previsto per il 10 novembre 2026.
Il Tribunale di sorveglianza, dando atto di diverse situazioni, a suo avviso, ostative, ha ritenuto che l’attività di reinserimento esterna si presenta insufficiente per l’assenza di un’attività di lavoro che garantisca un’autosufficienza economica.
Avverso tale provvedimento è stato presentato ricorso dall’interessato che ha dedotto il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 48, comma 1, ord. pen. Nello specifico, è stato rilevato che il provvedimento impugnato – che peraltro prende le mosse da un elemento infondato in fatto, cioè la pendenza di un procedimento per favoreggiamento, definito nell’anno 2011 – si fonda su di un errato presupposto giuridico: la necessità che il semilibero svolga un’attività lavorativa retribuita, ed è comunque manifestamente illogico.

2. Semilibertà e attività lavorativa retribuita: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il motivo, osserva che la valutazione in ordine alla possibilità di concedere o meno il regime di semilibertà deve essere effettuata in ordine alla sussistenza delle condizioni idonee a favorire il graduale reinserimento sociale del condannato e tra queste, come riconosciuto da consolidata giurisprudenza, non vi è la necessità che l’attività lavorativa svolta dal condannato sia retribuita.
Nel caso di specie, ad avviso della Suprema Corte, il Tribunale non si è conformato a tale principio.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il diniego del Tribunale di sorveglianza, fondato sulla sola mancanza di attività lavorativa retribuita, risulta manifestamente illogico.
Nella motivazione, infatti, si dà espressamente atto che la condotta intramuraria è stata irreprensibile, che il condannato ha dimostrato di avere recuperato la progettualità, che lo stesso ha regolarmente fruito di permessi premio, che il domicilio è idoneo e che assisterebbe il padre invalido, che una onlus ha dichiarato la propria disponibilità per lo svolgimento di attività di volontariato e anche per un’assunzione a tempo indeterminato.
Il Tribunale, dunque, in assenza di effettivi e contrari elementi, ha attribuito esclusivo e dirimente rilievo a una circostanza che non è da sola decisiva ai fini del giudizio prognostico che deve essere effettuato dal giudice della sorveglianza ai fini della concessione del regime della semilibertà.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha imposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Palermo.

Riccardo Polito

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