Sentenza del Tribunale di Verbania 26 luglio 2004 : interviene nella questione relativa alla possibilità che le spese liquidate in favore del creditore istante nella sentenza resa nel giudizio promosso dal fallito che respinge la sua opposizione alla dichiarazione di fallimento siano poste a carico della massa ovvero siano ritenute un credito ammissibile nel passivo della procedura, escludendola.

Redazione 02/09/00
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IL TRIBUNALE DI VERBANIA

composto dai seguenti Magistrati:

Dott.sa Elisabetta Massa Presidente

Dott. Nicola Cosentino Giudice rel.

Dott. Alberto Crivelli Giudice

riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al N. ……… reg. gen. aff. cont. dell’anno 2003

tra

……………………………………, in persona del suo legale rappresentante, elettivamente

domiciliato in ………………………………, presso lo studio dell’Avv……………………………, che la

rappresenta giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

e

Fallimento ……………………………………, in persona del Curatore, contumace;

– resistente –

avente ad oggetto: insinuazione tardiva ex art. 101 l.f.

Conclusioni

Per l’opponente: “Piaccia all’On.le Tribunale adito, contrariis reiectis,

accogliere la domanda attrice e per lo effetto ammettere al passivo fallimentare

in via privilegiata e/o in prededucibilità l’importo complessivo

di

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 23.5.2003 la ……………………… si insinuava in via tardiva

al passivo del fallimento …………………………… chiedendo l’ammissione del

proprio credito privilegiato avente ad oggetto le spese legali liquidate

in suo favore nella sentenza del Tribunale di Verbania N. 629/02 pubblicata

il 17.10.2002, con la quale era stata rigettata l’opposizione alla

sentenza dichiarativa del fallimento in questione.

All’udienza del 29.9.2003 il Curatore del fallimento di opponeva all’ammissione

del credito in privilegio e il G.D. disponeva pertanto la trattazione

della causa con le forme ordinarie.

Il fallimento restava contumace e la causa veniva istruita con sole produzioni

documentali.

La sola ricorrente precisava pertanto le conclusioni all’udienza del

23.2.2004 e il G.I. tratteneva la causa per la decisione collegiale

Motivi della decisione

Con l’odierna istanza la società ricorrente, creditore istante per la

dichiarazione di fallimento di …………………………………………, richiede il riconoscimento

del credito, in prededuzione o in subordine in via privilegiata,

relativo alle spese legali sostenute per resistere contro l’opposizione

alla dichiarazione del fallimento proposta dalla fallita, opposizione

conclusasi con il rigetto della stessa e la liquidazione delle spese di

lite in favore della …………………………… e a carico della fallita opponente.

Il tema della decisione è dunque quello della possibilità che le spese in

parola gravino sul fallimento dando luogo ad un credito concorsuale privilegiata

ovvero addirittura sulla massa dando luogo ad un credito prededucibile.

Invero, un orientamento ormai risalente della S.C. ha ritenuto di poter

porre detto credito a carico della massa quale credito prededucibile

(Cass., Sez. I, 23.2.1966, N. 567; 13.7.1968 N. 2502; 22.12.1972 N.

3659).

Si tratta di una soluzione che non può essere seguita per le ragioni già

enucleate da copiosa e condivisibile giurisprudenza di merito (da ultimo

v. Trib. Bergamo, 5.5.2003; Trib. Saluzzo, 19.9.2002; Trib. Brindisi,

9.9.2002; inoltre, Trib. Cassino, 14.1.1994; Trib. Napoli 17.7.1996;

Trib. Milano, 6.3.1997; 12.5.1997; 5.3.1998; 4.10.2001; Trib. Monza,

11.3.1999; Trib. Como, 16.2.2000).

A fondamento di tale tesi si è sostenuto che le spese in questione sarebbero

sostenute nell’interesse collettivo dei creditori perché strumentali

al mantenimento della dichiarazione di fallimento, assimilata ad un pignoramento

generale dei beni del fallito, contro le contestazioni di

quest’ultimo e quindi dirette ad assicurare la prosecuzione dell’esecuzione

concorsuale. La costituzione nel giudizio di opposizione del creditore

istante, si afferma, non sarebbe altro che la prosecuzione dell’iniziativa

assunta proponendo istanza per la dichiarazione di fallimento.

Il fondamento normativo della tesi prospettata viene rinvenuto nell’art.

111 l.f. e, in via interpretativa, in una nozione di debito della massa

come obbligazione assunta nell’interesse collettivo dei creditori.

Le spese di giudizio andrebbero poste a carico del fallimento perché relative

ad un’attività che, intrapresa autonomamente dal creditore istante,

risulta utile per i creditori.

In realtà non pare che l’art. 111 l.f., il quale individua i debiti della

massa nei debiti contratti per l’amministrazione del fallimento, autorizzi

una così ampia e indiscriminata nozione tale da porre a carico del

fallimento gli effetti e gli oneri di una qualsiasi iniziativa di soggetti

terzi non autorizzata dagli organi della procedura purchè utile, quasi

che il fallimento fosse un procedimento “aperto” ai contributi e agli apporti

amministrativi e gestori di soggetti non qualificati e non invece

un sistema governato da norme precise che affidano la valutazione degli

interessi collettivi dei creditori in via esclusiva a soggetti qualificati

nonché a regimi autorizzatori rigorosi (cfr. art. 35).

Va quindi accolta una nozione più ristretta di debito della massa, limitata

a quelle obbligazioni che traggano il loro titolo in atto o comportamenti

degli organi dell’amministrazione fallimentare e, dunque, del Curatore

(debitamente autorizzato) e che al contempo siano strettamente

strumentali e funzionali alla procedura concorsuale.

E’ quindi vero che i debiti di massa non discendono necessariamente da

un’attività negoziale della curatela, come potrebbe indurre a pensare la

dizione letterale della norma laddove parla di debiti “contratti”

nell’amministrazione del fallimento (per un’interpretazione non formalistica

della norma v. infatti Cass. Sez. I, 23.4.1998, N. 4190). E’ d’altra

parte altrettanto esatto sostenere che per configurare siffatta tipologia

di credito occorre verificare il perfezionamento di una fattispecie

produttiva di effetti obbligatori imputabili al fallimento e inquadrabile

nel sistema di cui all’art. 1173 c.c. (contratto, illecito, gestione

di affari altrui, arricchimento senza causa, pagamento indebito

ovvero altro atto o fatto idoneo: in tal senso ancora Cass., N. 4190/98

cit.).

La tesi sostenuta dalla S.C. e qui criticata, da questo punto di vista,

finisce con il porre a carico del fallimento gli effetti di un’anomala

gestione di affari cui difetta il presupposto essenziale della incapacità

dell’interessato a provvedere direttamente.

La semplice utilità alla procedura fallimentare ovvero la semplice finalizzazione

dell’attività difensiva svolta a favore della procedura, dunque,

non è elemento sufficiente a configurare un’obbligazione a carico

della procedura medesima perché non ricorre alcuno dei fatti o atti produttivi

di obbligazioni secondo la legge.

Va inoltre sottoposta a critica l’affermazione della rispondenza della

difesa del creditore istante all’interesse collettivo del ceto creditore.

L’iniziativa del creditore opposto è in realtà basata su valutazione che,

come è stato acutamente rilevato, sono preminentemente egoistiche. L’interesse

del creditore istante, al di là del carattere collettivo della

procedura concorsuale, rimane pur sempre legato al recupero del credito

di cui egli è titolare. Nel giudizio di opposizione, poi, vi è un precipuo

interesse del creditore a resistere ad eventuali domande di responsabilità

inerenti la possibile colposità dell’iniziativa fallimentare e, in

ogni caso, ad evitare eventuali condanne al pagamento delle relative spese

processuali.

Cade dunque l’idea stessa che il creditore istante persegua un interesse

collettivo anziché individuale.

Inoltre, non si può non ricordare e ribadire che sta evidentemente agli

organi della procedura la valutazione sull’utilità o meno della costituzione

nel giudizio e delle spese che essa comporterebbe ed è evidente

che, ove l’opposizione si appalesi prima facie infondata, il Curatore

stesso proporrà al Giudice delegato la non costituzione in giudizio del

fallimento al fine di evitare di gravare la procedura di spese del tutto

inutili, confidando in un sicuro rigetto dell’opposizione.

Non si vede per quale ragione, in un caso siffatto, si debba riconoscere

al creditore istante il potere di adottare una diversa decisione, quella

cioè di costituirsi in giudizio, i cui effetti sono da un lato irrilevanti

(l’opposizione sarebbe comunque rigettata) e dall’altro pregiudizievoli

per l’interesse collettivo dei creditori.

Analogamente, nell’ipotesi in cui il fallimento si costituisca in giudizio,

sostenendone le spese perché viene ritenuta opportuna un’attività

difensiva in giudizio, la difesa del creditore istante risulta ultronea e

non necessaria rispetto alla finalità di ottenere la conferma della dichiarazione

di fallimento, già soddisfatta dalla difesa spiegata dal

legale della procedura.

In altre parole, proprio la presenza di organi istituzionalmente deputati

a valutare e perseguire gli interessi collettivi del ceto creditorio,

esclude la sussistenza di un collegamento funzionale tra attività difensiva

spiegata dal creditore istante nel giudizio di opposizione e prosecuzione

della procedura concorsuale in nome di detti interessi. Le spese

legali relative, dunque, non possono essere trasferite sul fallimento e

restano a carico del soggetto fallito, che provvederà a rifonderle una

volta tornato in bonis.

Negata ogni possibilità di riconoscimento di un debito della massa, va a

questo punto esaminata la questione della configurabilità, con riguardo

al credito per spese legali in parola, di un credito concorsuale (evidentemente

privilegiato).

Com’è noto, l’ostacolo al riconoscimento al credito in parola del carattere

di credito concorsuale va ritenuto nel c.d. principio di cristallizzazione

del passivo, sancito dagli artt. 44 e 52 l.f., in base al quale

il concorso è limitato ai crediti il cui titolo è sorto prima della dichiarazione

di fallimento.

Ancora una volta deve essere disattesa la giurisprudenza della S.C. sul

punto (limitata invero a due soli arresti: Cass., Sez. I, 22.3.1959, N.

1201 e 23.10.1959 N. 3040), secondo la quale il credito in parola sarebbe

concorsuale ancorchè sorto in epoca successiva al fallimento in quanto

inerente ad un giudizio che altro non sarebbe se non la prosecuzione di

quello iniziato con il ricorso per la dichiarazione di fallimento.

Tale scivolamento temporale del credito nasce da una mera fictio priva di

qualsiasi fondamento normativo, non potendosi dubitare che il titolo

creditorio azionato, la sentenza di rigetto dell’opposizione contenente

lo specifico capo di condanna del fallito soccombente al pagamento delle

spese processuali, nasce per definizione in epoca post-fallimentare

escludendo in radice e irrevocabilmente la natura concorsuale del credito

portato.

Ne consegue che il credito azionato dall’odierno istante va escluso dal

passivo del fallimento in quanto, pur gravante sul fallito, è sorto dopo

la dichiarazione di fallimento.

Non occorre pronuncia sulle spese vista la contumacia del fallimento resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione

disattesa, rigetta l’insinuazione.

Così deciso in Verbania, nella camera di consiglio di questo Tribunale,

il 25.3.2004

Il Giudige Est. Il Presidente

Sentenza depositata e pubblicata ai sensi dell’art. 133 C.P.C. oggi 26

luglio 2004.

Il Collaboratore di Cancelleria

Il Cancelliere C1

Redazione

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