IL TRIBUNALE DI VERBANIA
composto dai seguenti Magistrati:
Dott.sa Elisabetta Massa Presidente
Dott. Nicola Cosentino Giudice rel.
Dott. Alberto Crivelli Giudice
riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al N. ……… reg. gen. aff. cont. dell’anno 2003
tra
……………………………………, in persona del suo legale rappresentante, elettivamente
domiciliato in ………………………………, presso lo studio dell’Avv……………………………, che la
rappresenta giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
e
Fallimento ……………………………………, in persona del Curatore, contumace;
– resistente –
avente ad oggetto: insinuazione tardiva ex art. 101 l.f.
Conclusioni
Per l’opponente: “Piaccia all’On.le Tribunale adito, contrariis reiectis,
accogliere la domanda attrice e per lo effetto ammettere al passivo fallimentare
in via privilegiata e/o in prededucibilità l’importo complessivo
di
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 23.5.2003 la ……………………… si insinuava in via tardiva
al passivo del fallimento …………………………… chiedendo l’ammissione del
proprio credito privilegiato avente ad oggetto le spese legali liquidate
in suo favore nella sentenza del Tribunale di Verbania N. 629/02 pubblicata
il 17.10.2002, con la quale era stata rigettata l’opposizione alla
sentenza dichiarativa del fallimento in questione.
All’udienza del 29.9.2003 il Curatore del fallimento di opponeva all’ammissione
del credito in privilegio e il G.D. disponeva pertanto la trattazione
della causa con le forme ordinarie.
Il fallimento restava contumace e la causa veniva istruita con sole produzioni
documentali.
La sola ricorrente precisava pertanto le conclusioni all’udienza del
23.2.2004 e il G.I. tratteneva la causa per la decisione collegiale
Motivi della decisione
Con l’odierna istanza la società ricorrente, creditore istante per la
dichiarazione di fallimento di …………………………………………, richiede il riconoscimento
del credito, in prededuzione o in subordine in via privilegiata,
relativo alle spese legali sostenute per resistere contro l’opposizione
alla dichiarazione del fallimento proposta dalla fallita, opposizione
conclusasi con il rigetto della stessa e la liquidazione delle spese di
lite in favore della …………………………… e a carico della fallita opponente.
Il tema della decisione è dunque quello della possibilità che le spese in
parola gravino sul fallimento dando luogo ad un credito concorsuale privilegiata
ovvero addirittura sulla massa dando luogo ad un credito prededucibile.
Invero, un orientamento ormai risalente della S.C. ha ritenuto di poter
porre detto credito a carico della massa quale credito prededucibile
(Cass., Sez. I, 23.2.1966, N. 567; 13.7.1968 N. 2502; 22.12.1972 N.
3659).
Si tratta di una soluzione che non può essere seguita per le ragioni già
enucleate da copiosa e condivisibile giurisprudenza di merito (da ultimo
v. Trib. Bergamo, 5.5.2003; Trib. Saluzzo, 19.9.2002; Trib. Brindisi,
9.9.2002; inoltre, Trib. Cassino, 14.1.1994; Trib. Napoli 17.7.1996;
Trib. Milano, 6.3.1997; 12.5.1997; 5.3.1998; 4.10.2001; Trib. Monza,
11.3.1999; Trib. Como, 16.2.2000).
A fondamento di tale tesi si è sostenuto che le spese in questione sarebbero
sostenute nell’interesse collettivo dei creditori perché strumentali
al mantenimento della dichiarazione di fallimento, assimilata ad un pignoramento
generale dei beni del fallito, contro le contestazioni di
quest’ultimo e quindi dirette ad assicurare la prosecuzione dell’esecuzione
concorsuale. La costituzione nel giudizio di opposizione del creditore
istante, si afferma, non sarebbe altro che la prosecuzione dell’iniziativa
assunta proponendo istanza per la dichiarazione di fallimento.
Il fondamento normativo della tesi prospettata viene rinvenuto nell’art.
111 l.f. e, in via interpretativa, in una nozione di debito della massa
come obbligazione assunta nell’interesse collettivo dei creditori.
Le spese di giudizio andrebbero poste a carico del fallimento perché relative
ad un’attività che, intrapresa autonomamente dal creditore istante,
risulta utile per i creditori.
In realtà non pare che l’art. 111 l.f., il quale individua i debiti della
massa nei debiti contratti per l’amministrazione del fallimento, autorizzi
una così ampia e indiscriminata nozione tale da porre a carico del
fallimento gli effetti e gli oneri di una qualsiasi iniziativa di soggetti
terzi non autorizzata dagli organi della procedura purchè utile, quasi
che il fallimento fosse un procedimento “aperto” ai contributi e agli apporti
amministrativi e gestori di soggetti non qualificati e non invece
un sistema governato da norme precise che affidano la valutazione degli
interessi collettivi dei creditori in via esclusiva a soggetti qualificati
nonché a regimi autorizzatori rigorosi (cfr. art. 35).
Va quindi accolta una nozione più ristretta di debito della massa, limitata
a quelle obbligazioni che traggano il loro titolo in atto o comportamenti
degli organi dell’amministrazione fallimentare e, dunque, del Curatore
(debitamente autorizzato) e che al contempo siano strettamente
strumentali e funzionali alla procedura concorsuale.
E’ quindi vero che i debiti di massa non discendono necessariamente da
un’attività negoziale della curatela, come potrebbe indurre a pensare la
dizione letterale della norma laddove parla di debiti “contratti”
nell’amministrazione del fallimento (per un’interpretazione non formalistica
della norma v. infatti Cass. Sez. I, 23.4.1998, N. 4190). E’ d’altra
parte altrettanto esatto sostenere che per configurare siffatta tipologia
di credito occorre verificare il perfezionamento di una fattispecie
produttiva di effetti obbligatori imputabili al fallimento e inquadrabile
nel sistema di cui all’art. 1173 c.c. (contratto, illecito, gestione
di affari altrui, arricchimento senza causa, pagamento indebito
ovvero altro atto o fatto idoneo: in tal senso ancora Cass., N. 4190/98
cit.).
La tesi sostenuta dalla S.C. e qui criticata, da questo punto di vista,
finisce con il porre a carico del fallimento gli effetti di un’anomala
gestione di affari cui difetta il presupposto essenziale della incapacità
dell’interessato a provvedere direttamente.
La semplice utilità alla procedura fallimentare ovvero la semplice finalizzazione
dell’attività difensiva svolta a favore della procedura, dunque,
non è elemento sufficiente a configurare un’obbligazione a carico
della procedura medesima perché non ricorre alcuno dei fatti o atti produttivi
di obbligazioni secondo la legge.
Va inoltre sottoposta a critica l’affermazione della rispondenza della
difesa del creditore istante all’interesse collettivo del ceto creditore.
L’iniziativa del creditore opposto è in realtà basata su valutazione che,
come è stato acutamente rilevato, sono preminentemente egoistiche. L’interesse
del creditore istante, al di là del carattere collettivo della
procedura concorsuale, rimane pur sempre legato al recupero del credito
di cui egli è titolare. Nel giudizio di opposizione, poi, vi è un precipuo
interesse del creditore a resistere ad eventuali domande di responsabilità
inerenti la possibile colposità dell’iniziativa fallimentare e, in
ogni caso, ad evitare eventuali condanne al pagamento delle relative spese
processuali.
Cade dunque l’idea stessa che il creditore istante persegua un interesse
collettivo anziché individuale.
Inoltre, non si può non ricordare e ribadire che sta evidentemente agli
organi della procedura la valutazione sull’utilità o meno della costituzione
nel giudizio e delle spese che essa comporterebbe ed è evidente
che, ove l’opposizione si appalesi prima facie infondata, il Curatore
stesso proporrà al Giudice delegato la non costituzione in giudizio del
fallimento al fine di evitare di gravare la procedura di spese del tutto
inutili, confidando in un sicuro rigetto dell’opposizione.
Non si vede per quale ragione, in un caso siffatto, si debba riconoscere
al creditore istante il potere di adottare una diversa decisione, quella
cioè di costituirsi in giudizio, i cui effetti sono da un lato irrilevanti
(l’opposizione sarebbe comunque rigettata) e dall’altro pregiudizievoli
per l’interesse collettivo dei creditori.
Analogamente, nell’ipotesi in cui il fallimento si costituisca in giudizio,
sostenendone le spese perché viene ritenuta opportuna un’attività
difensiva in giudizio, la difesa del creditore istante risulta ultronea e
non necessaria rispetto alla finalità di ottenere la conferma della dichiarazione
di fallimento, già soddisfatta dalla difesa spiegata dal
legale della procedura.
In altre parole, proprio la presenza di organi istituzionalmente deputati
a valutare e perseguire gli interessi collettivi del ceto creditorio,
esclude la sussistenza di un collegamento funzionale tra attività difensiva
spiegata dal creditore istante nel giudizio di opposizione e prosecuzione
della procedura concorsuale in nome di detti interessi. Le spese
legali relative, dunque, non possono essere trasferite sul fallimento e
restano a carico del soggetto fallito, che provvederà a rifonderle una
volta tornato in bonis.
Negata ogni possibilità di riconoscimento di un debito della massa, va a
questo punto esaminata la questione della configurabilità, con riguardo
al credito per spese legali in parola, di un credito concorsuale (evidentemente
privilegiato).
Com’è noto, l’ostacolo al riconoscimento al credito in parola del carattere
di credito concorsuale va ritenuto nel c.d. principio di cristallizzazione
del passivo, sancito dagli artt. 44 e 52 l.f., in base al quale
il concorso è limitato ai crediti il cui titolo è sorto prima della dichiarazione
di fallimento.
Ancora una volta deve essere disattesa la giurisprudenza della S.C. sul
punto (limitata invero a due soli arresti: Cass., Sez. I, 22.3.1959, N.
1201 e 23.10.1959 N. 3040), secondo la quale il credito in parola sarebbe
concorsuale ancorchè sorto in epoca successiva al fallimento in quanto
inerente ad un giudizio che altro non sarebbe se non la prosecuzione di
quello iniziato con il ricorso per la dichiarazione di fallimento.
Tale scivolamento temporale del credito nasce da una mera fictio priva di
qualsiasi fondamento normativo, non potendosi dubitare che il titolo
creditorio azionato, la sentenza di rigetto dell’opposizione contenente
lo specifico capo di condanna del fallito soccombente al pagamento delle
spese processuali, nasce per definizione in epoca post-fallimentare
escludendo in radice e irrevocabilmente la natura concorsuale del credito
portato.
Ne consegue che il credito azionato dall’odierno istante va escluso dal
passivo del fallimento in quanto, pur gravante sul fallito, è sorto dopo
la dichiarazione di fallimento.
Non occorre pronuncia sulle spese vista la contumacia del fallimento resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione
disattesa, rigetta l’insinuazione.
Così deciso in Verbania, nella camera di consiglio di questo Tribunale,
il 25.3.2004
Il Giudige Est. Il Presidente
Sentenza depositata e pubblicata ai sensi dell’art. 133 C.P.C. oggi 26
luglio 2004.
Il Collaboratore di Cancelleria
Il Cancelliere C1
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