Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6406
Dispone la correzione di errore materiale.
20/11/2002 200206405
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6405
Dispone istruttoria.
19/11/2002 200206400
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6400
Dispone istruttoria.
18/11/2002 200206395
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6395
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
STRUTTURE SANITARIE PRIVATE CONVENZIONATE O ACCREDITATE
La ratio ispiratrice della normativa dettata in tema di assistenza sanitaria pubblica e privata è data dall’intento, di pervenire ad un rapporto ottimale tra costi e qualità, raggiungibile attraverso un sistema concorrenziale tra strutture pubbliche e private e tra strutture private tra di loro, che pur risultando dall’iniziale formulazione del d.lgs. n. 802/92 ha subito successive modificazioni volte a sottolineare ancor più i tratti salienti della attuale normativa. Va altresì precisato, in ordine all’accreditamento così detto istituzionale – di cui gli operatori del settore non possono prescindere se intendono operare nell’ambito del SSN e a spese dello stesso – che esso consiste in una speciale abilitazione, da parte di un soggetto istituzionale (Regione o Provincia autonoma), ad un soggetto o ad una struttura, rispondenti a precisi standard oggettivi di qualificazione, a svolgere una determinata funzione in talune realtà e/o condizioni e con determinate modalità. Precisa, comunque, il secondo comma dell’art. 8 quater, che la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies. Il che sta a significare che anche i soggetti convenzionati e i soggetti eroganti prestazioni di alta specialità in regime di assistenza indiretta, secondo il precedente sistema, i quali, ai sensi di quanto dispone l’art. 6, sesto comma, della L. 23.12.1994 n. 724, sono stati temporaneamente accreditati, non possono continuare a fornire le prestazioni precedentemente effettuate ed a pretendere il relativo rimborso, senza prima stipulare l’accordo contrattuale di cui sopra. Infatti, l’accreditamento provvisorio non ha altra finalità che quella di dispensare temporaneamente i suddetti soggetti dall’accertamento della rispondenza della struttura agli standard di qualificazione. Per quanto concerne, infine, gli accordi contrattuali disciplinati dall’art. 8 quinquies, appare particolarmente importante la disposizione di cui al secondo comma, la quale così recita: “In attuazione di quanto previsto dal comma 1 (ossia degli indirizzi e dei criteri definiti dalla regione in ordine all’ambito di applicazione degli accordi in questione e alla individuazione dei soggetti interessati), la Regione e le Unità Sanitarie Locali, anche attraverso valutazioni comparative e della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che indicano: a) gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi; b) il volume di prestazioni che le strutture … si impegnano ad assicurare …; c) i requisiti del servizio da rendere …; d) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate; d) il debito informativo delle strutture erogatrici per il monitoraggio degli accordi pattuiti e le procedure che dovranno essere eseguite per il controllo esterno della appropriatezza e della qualità dell’assistenza prestata e delle prestazioni rese …”. In sostanza, è evidente che il sistema sanitario regionale non consente alcun automatismo, dovendo le prestazioni delle strutture che operano nell’ambito territoriale di ciascuna unità sanitaria locale essere concordate, sotto l’aspetto sia qualitativo che quantitativo nel rispetto delle compatibilità economiche-finanziarie. Dalle considerazioni che precedono emerge che il punto qualificante della normativa introdotta dal richiamato d.lgs. è rappresentato dai diversi livelli attraverso i quali si articola l’assistenza sanitaria e le diverse competenze che, in questo modo, vengono attivate. In vero, nello svolgimento delle funzioni attinenti alla programmazione dell’intero settore, ciascuna regione è tenuta, tra l’altro, alla predisposizione, con le modalità e nei tempi previsti dalla richiamata normativa, a ripartire le risorse finanziarie tra le Usl, sulla base di criteri di efficienza, vale a dire individuando e privilegiando quelle tra di esse che – in considerazione dei dati acquisiti attraverso l’attività di vigilanza e di verifica dell’ammodernamento delle strutture da parte dei responsabili della erogazione del servizio sanitario nel suo complesso – sono in grado di assicurare prestazioni terapeutiche rispondenti a standard qualitativi sempre più elevati fornite a costi quanto più possibile contenuti. In altri termini, la riorganizzazione del servizio sanitario, attraverso l’esplicito richiamo al criterio della concorrenza contenuto nella normativa in esame, deve intendersi articolato anzitutto sulla base della distinzione tra l’attività di programmazione e regolazione e quella di erogazione del servizio sanitario. Mentre le prime due sono di competenza a diversi livelli dell’autorità sanitaria (Regioni e Usl), quella più propriamente di diretta rilevanza per l’utente, vale a dire per i pazienti, deve essere svolta dalle strutture pubbliche e da quelle private accreditate, attraverso una continua verifica della produttività di ciascuna di esse; criterio quest’ultimo che influenza ed orienta la ripartizione delle risorse finanziarie, in quanto si traduce in un diretto beneficio per la collettività. L’interesse pubblico primario da perseguire è infatti l’elevazione dello standard qualitativo del servizio nel suo complesso, da realizzare attraverso l’ammodernamento degli apparati e l’eliminazione delle sacche di inefficienza. Acutamente in dottrina si è evidenziato che la programmazione è anzitutto una categoria logica ed organizzativa al tempo stesso, mediante la quale l’ordine delle azioni e delle attività da compiere viene in considerazione attraverso un meccanismo decisionale che si fonda su una preventiva analisi degli obiettivi e delle risorse; dal che discendono corollari particolarmente rilevanti ai nostri fini. Il primo di essi è che la programmazione ha una sua intrinseca dinamicità, nel senso che à soggetta a variazioni per potersi adattare al mutare dell’organizzazione complessiva del servizio sanitario regionale, desumibile attraverso il riscontro delle variazioni che intervengono in ordine agli indici di produttività del servizio reso da ciascuna struttura, sia essa pubblica o privata, che assieme alla dislocazione territoriale costituisce uno dei fattori di maggior rilievo per la distribuzione delle risorse. Strettamente correlato a tale affermazione è l’ulteriore rilievo in base al quale le Usl sono responsabili delle risorse finanziarie a ciascuna di esse assegnate in sede di programmazione regionale. La sostituzione della convenzione di tipo bilaterale prevista dalla normativa preesistente, con accordi plurilaterali, come dianzi evidenziato, è la manifestazione più evidente del diverso ruolo che le strutture pubbliche intermedie (ULS) sono chiamate a svolgere a favore della collettività, da cui discendono responsabilità di natura civile e contabile nel caso di ritardi e o di ingiustificate inerzie. Gli accordi assumono una struttura pluralistica, in quanto devono rispondere ad esigenze pubblicistiche divenute particolarmente incisive al riguardo: anzitutto detti accordi vanno formalizzarti tenendo conto della diversa natura delle prestazioni sanitarie che le singole strutture pubbliche e private sono in grado di fornire, privilegiando quelle maggiormente rispondenti alle richiamata normativa. Fra tali strutture va operato un confronto, ancora una volta sulla base degli indici di produttività che ciascuna di esse è in grado di fornire. L’organizzazione del personale e le attrezzature esistenti ad una certa data cui, in qualche Regione, si dà rilievo, rappresentano degli indici di riferimento para normativo utili per stabilire secondo quali criteri di efficienza e di produttività si è successivamente orientata la singola struttura. Le prestazioni sanitarie, come è noto, sono soggette a continui cambiamenti, in ragione anzitutto del progresso scientifico e, di conseguenza, del continuo rinnovarsi tra l’altro delle apparecchiature tecniche necessarie per assicurare un servizio sempre più qualificate. Il compito delle Usl, cui compete la distribuzione delle risorse, è di agevolare e di incentivare quelle strutture che si dimostrino in grado di realizzare in maniera più adeguata tali cambiamenti nella propria organizzazione imprenditoriale, conseguendo obiettivi di efficienza che comportano immediate ricadute a favore dei pazienti. Non va inoltre trascurato che le strutture di tipo privatistico accreditate sono soggetti economici organizzati con criteri di imprenditorialità e di profitto; nel contempo esse svolgono un servizio di utilità generale, quale appunto è il servizio sanitario. La compatibilità fra queste due diverse e in astratto opposte esigenze va assicurata privilegiando le strutture in grado di realizzare i fini di utilità generale con un minor dispendio di risorse a parità di prestazione dal punto di vista qualitativo (art. 8 quinquies). Il secondo corollario strettamente dipendente da quando ora evidenziato è che le Usl sono tenute non solo a ripartire le risorse secondo gli indicati criteri, ma sono tenute altresì a rispettare le modalità intrinseche alla natura programmatoria della loro attività, che quindi deve essere definita prima che le prestazioni sanitarie siano rese dalle singole strutture per ciascun anno finanziario. Ritardi nella individuazione delle risorse disponibili su cui può fare affidamento per l’anno finanziario a venire ciascuna struttura sono in grado di tradursi in forme di responsabilità di natura risarcitoria, ove si determinino discrasie tra le prestazioni sanitarie rese dal soggetto accreditato e l’importo complessivo dei compensi che ad esso è disposto a riconoscere l’autorità sanitaria. Non va trascurato infatti che alla base del sistema costituzionale v’è oggi il principio di sussidiarietà orizzontale, che svolge a questo fine un duplice ruolo: consente al paziente la scelta della struttura che ritiene la più idonea nel caso concreto a tutelare il suo diritto alla salute, costituzionalmente protetto; pone sul medesimo piano servizio sanitario pubblico e quello di appartenenza dei privati, con l’ulteriore conseguenza che la distribuzione delle risorse collettive deve essere effettuata sulla base di criteri di convenienza per la generalità dei cittadini. Convenienza fondata sugli indici obiettivi dianzi esposti e su eventuali altri criteri, specificativi della ratio che è a fondamento del sistema nell suo complesso. L’emersione a livello formale delle situazioni giuridiche delle singole strutture accreditate, funzionalmente orientate a soddisfare la richiesta di prestazioni sanitarie provenienti dal sociale, si traduce in una pretesa giuridicamente protetta a veder individuato con congruo anticipo non solo la misura ed il livello complessivo delle prestazioni rese ai pazienti che danno titolo al relativo rimborso, ma anche criteri correttivi e compensativi, ove una pluralità di pazienti si rivolge alla medesima struttura privata, ritenendola a ragione più idonea dal punto di vista terapeutico rispetto alle altre anch’esse accreditate, ma considerate meno idonee sulla base degli indici obiettivi di riscontro desumibili dal tipo di prestazione resa da ciascuna di esse. La mancata individuazione preventiva da parte della singola Usl di adeguati criteri di ripartizione delle risorse disponibili, per sé stesse soggette a variazioni in sede di programmazione regionale e quindi sulla base di dati aggiornati, può tradursi in una inerzia ingiustificata e, quindi, in un danno patrimoniale per la singola struttura, che abbia reso un servizio utile alla collettività, ove la stessa venga privata del diritto al compenso, da parametrare sulla base delle singole prestazioni rese. In questo modo rischia di rimanere pregiudicato il criterio della efficacia e della efficienza della gestione, parametro questo da porre a fondamento di tale tipo di attività. Al riguardo va richiamato l’orientamento di recente ribadito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 355/2002), secondo cui i principi contenuti nella l. n. 241/90 hanno una valenza generale, con la conseguenza che i tempi entro cui le amministrazioni pubbliche sono tenute a svolgere le proprie funzioni possono tradursi in fonte di responsabilità civile in caso di ingiustificata inosservanza,
18/11/2002 200206394
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6394
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
STRUTTURE SANITARIE PRIVATE CONVENZIONATE O ACCREDITATE
La ratio ispiratrice della normativa dettata in tema di assistenza sanitaria pubblica e privata è data dall’intento, di pervenire ad un rapporto ottimale tra costi e qualità, raggiungibile attraverso un sistema concorrenziale tra strutture pubbliche e private e tra strutture private tra di loro, che pur risultando dall’iniziale formulazione del d.lgs. n. 802/92 ha subito successive modificazioni volte a sottolineare ancor più i tratti salienti della attuale normativa. Va altresì precisato, in ordine all’accreditamento così detto istituzionale – di cui gli operatori del settore non possono prescindere se intendono operare nell’ambito del SSN e a spese dello stesso – che esso consiste in una speciale abilitazione, da parte di un soggetto istituzionale (Regione o Provincia autonoma), ad un soggetto o ad una struttura, rispondenti a precisi standard oggettivi di qualificazione, a svolgere una determinata funzione in talune realtà e/o condizioni e con determinate modalità. Precisa, comunque, il secondo comma dell’art. 8 quater, che la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies. Il che sta a significare che anche i soggetti convenzionati e i soggetti eroganti prestazioni di alta specialità in regime di assistenza indiretta, secondo il precedente sistema, i quali, ai sensi di quanto dispone l’art. 6, sesto comma, della L. 23.12.1994 n. 724, sono stati temporaneamente accreditati, non possono continuare a fornire le prestazioni precedentemente effettuate ed a pretendere il relativo rimborso, senza prima stipulare l’accordo contrattuale di cui sopra. Infatti, l’accreditamento provvisorio non ha altra finalità che quella di dispensare temporaneamente i suddetti soggetti dall’accertamento della rispondenza della struttura agli standard di qualificazione. Per quanto concerne, infine, gli accordi contrattuali disciplinati dall’art. 8 quinquies, appare particolarmente importante la disposizione di cui al secondo comma, la quale così recita: “In attuazione di quanto previsto dal comma 1 (ossia degli indirizzi e dei criteri definiti dalla regione in ordine all’ambito di applicazione degli accordi in questione e alla individuazione dei soggetti interessati), la Regione e le Unità Sanitarie Locali, anche attraverso valutazioni comparative e della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che indicano: a) gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi; b) il volume di prestazioni che le strutture … si impegnano ad assicurare …; c) i requisiti del servizio da rendere …; d) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate; d) il debito informativo delle strutture erogatrici per il monitoraggio degli accordi pattuiti e le procedure che dovranno essere eseguite per il controllo esterno della appropriatezza e della qualità dell’assistenza prestata e delle prestazioni rese …”. In sostanza, è evidente che il sistema sanitario regionale non consente alcun automatismo, dovendo le prestazioni delle strutture che operano nell’ambito territoriale di ciascuna unità sanitaria locale essere concordate, sotto l’aspetto sia qualitativo che quantitativo nel rispetto delle compatibilità economiche-finanziarie. Dalle considerazioni che precedono emerge che il punto qualificante della normativa introdotta dal richiamato d.lgs. è rappresentato dai diversi livelli attraverso i quali si articola l’assistenza sanitaria e le diverse competenze che, in questo modo, vengono attivate. In vero, nello svolgimento delle funzioni attinenti alla programmazione dell’intero settore, ciascuna regione è tenuta, tra l’altro, alla predisposizione, con le modalità e nei tempi previsti dalla richiamata normativa, a ripartire le risorse finanziarie tra le Usl, sulla base di criteri di efficienza, vale a dire individuando e privilegiando quelle tra di esse che – in considerazione dei dati acquisiti attraverso l’attività di vigilanza e di verifica dell’ammodernamento delle strutture da parte dei responsabili della erogazione del servizio sanitario nel suo complesso – sono in grado di assicurare prestazioni terapeutiche rispondenti a standard qualitativi sempre più elevati fornite a costi quanto più possibile contenuti. In altri termini, la riorganizzazione del servizio sanitario, attraverso l’esplicito richiamo al criterio della concorrenza contenuto nella normativa in esame, deve intendersi articolato anzitutto sulla base della distinzione tra l’attività di programmazione e regolazione e quella di erogazione del servizio sanitario. Mentre le prime due sono di competenza a diversi livelli dell’autorità sanitaria (Regioni e Usl), quella più propriamente di diretta rilevanza per l’utente, vale a dire per i pazienti, deve essere svolta dalle strutture pubbliche e da quelle private accreditate, attraverso una continua verifica della produttività di ciascuna di esse; criterio quest’ultimo che influenza ed orienta la ripartizione delle risorse finanziarie, in quanto si traduce in un diretto beneficio per la collettività. L’interesse pubblico primario da perseguire è infatti l’elevazione dello standard qualitativo del servizio nel suo complesso, da realizzare attraverso l’ammodernamento degli apparati e l’eliminazione delle sacche di inefficienza. Acutamente in dottrina si è evidenziato che la programmazione è anzitutto una categoria logica ed organizzativa al tempo stesso, mediante la quale l’ordine delle azioni e delle attività da compiere viene in considerazione attraverso un meccanismo decisionale che si fonda su una preventiva analisi degli obiettivi e delle risorse; dal che discendono corollari particolarmente rilevanti ai nostri fini. Il primo di essi è che la programmazione ha una sua intrinseca dinamicità, nel senso che à soggetta a variazioni per potersi adattare al mutare dell’organizzazione complessiva del servizio sanitario regionale, desumibile attraverso il riscontro delle variazioni che intervengono in ordine agli indici di produttività del servizio reso da ciascuna struttura, sia essa pubblica o privata, che assieme alla dislocazione territoriale costituisce uno dei fattori di maggior rilievo per la distribuzione delle risorse. Strettamente correlato a tale affermazione è l’ulteriore rilievo in base al quale le Usl sono responsabili delle risorse finanziarie a ciascuna di esse assegnate in sede di programmazione regionale. La sostituzione della convenzione di tipo bilaterale prevista dalla normativa preesistente, con accordi plurilaterali, come dianzi evidenziato, è la manifestazione più evidente del diverso ruolo che le strutture pubbliche intermedie (ULS) sono chiamate a svolgere a favore della collettività, da cui discendono responsabilità di natura civile e contabile nel caso di ritardi e o di ingiustificate inerzie. Gli accordi assumono una struttura pluralistica, in quanto devono rispondere ad esigenze pubblicistiche divenute particolarmente incisive al riguardo: anzitutto detti accordi vanno formalizzarti tenendo conto della diversa natura delle prestazioni sanitarie che le singole strutture pubbliche e private sono in grado di fornire, privilegiando quelle maggiormente rispondenti alle richiamata normativa. Fra tali strutture va operato un confronto, ancora una volta sulla base degli indici di produttività che ciascuna di esse è in grado di fornire. L’organizzazione del personale e le attrezzature esistenti ad una certa data cui, in qualche Regione, si dà rilievo, rappresentano degli indici di riferimento para normativo utili per stabilire secondo quali criteri di efficienza e di produttività si è successivamente orientata la singola struttura. Le prestazioni sanitarie, come è noto, sono soggette a continui cambiamenti, in ragione anzitutto del progresso scientifico e, di conseguenza, del continuo rinnovarsi tra l’altro delle apparecchiature tecniche necessarie per assicurare un servizio sempre più qualificate. Il compito delle Usl, cui compete la distribuzione delle risorse, è di agevolare e di incentivare quelle strutture che si dimostrino in grado di realizzare in maniera più adeguata tali cambiamenti nella propria organizzazione imprenditoriale, conseguendo obiettivi di efficienza che comportano immediate ricadute a favore dei pazienti. Non va inoltre trascurato che le strutture di tipo privatistico accreditate sono soggetti economici organizzati con criteri di imprenditorialità e di profitto; nel contempo esse svolgono un servizio di utilità generale, quale appunto è il servizio sanitario. La compatibilità fra queste due diverse e in astratto opposte esigenze va assicurata privilegiando le strutture in grado di realizzare i fini di utilità generale con un minor dispendio di risorse a parità di prestazione dal punto di vista qualitativo (art. 8 quinquies). Il secondo corollario strettamente dipendente da quando ora evidenziato è che le Usl sono tenute non solo a ripartire le risorse secondo gli indicati criteri, ma sono tenute altresì a rispettare le modalità intrinseche alla natura programmatoria della loro attività, che quindi deve essere definita prima che le prestazioni sanitarie siano rese dalle singole strutture per ciascun anno finanziario. Ritardi nella individuazione delle risorse disponibili su cui può fare affidamento per l’anno finanziario a venire ciascuna struttura sono in grado di tradursi in forme di responsabilità di natura risarcitoria, ove si determinino discrasie tra le prestazioni sanitarie rese dal soggetto accreditato e l’importo complessivo dei compensi che ad esso è disposto a riconoscere l’autorità sanitaria. Non va trascurato infatti che alla base del sistema costituzionale v’è oggi il principio di sussidiarietà orizzontale, che svolge a questo fine un duplice ruolo: consente al paziente la scelta della struttura che ritiene la più idonea nel caso concreto a tutelare il suo diritto alla salute, costituzionalmente protetto; pone sul medesimo piano servizio sanitario pubblico e quello di appartenenza dei privati, con l’ulteriore conseguenza che la distribuzione delle risorse collettive deve essere effettuata sulla base di criteri di convenienza per la generalità dei cittadini. Convenienza fondata sugli indici obiettivi dianzi esposti e su eventuali altri criteri, specificativi della ratio che è a fondamento del sistema nell suo complesso. L’emersione a livello formale delle situazioni giuridiche delle singole strutture accreditate, funzionalmente orientate a soddisfare la richiesta di prestazioni sanitarie provenienti dal sociale, si traduce in una pretesa giuridicamente protetta a veder individuato con congruo anticipo non solo la misura ed il livello complessivo delle prestazioni rese ai pazienti che danno titolo al relativo rimborso, ma anche criteri correttivi e compensativi, ove una pluralità di pazienti si rivolge alla medesima struttura privata, ritenendola a ragione più idonea dal punto di vista terapeutico rispetto alle altre anch’esse accreditate, ma considerate meno idonee sulla base degli indici obiettivi di riscontro desumibili dal tipo di prestazione resa da ciascuna di esse. La mancata individuazione preventiva da parte della singola Usl di adeguati criteri di ripartizione delle risorse disponibili, per sé stesse soggette a variazioni in sede di programmazione regionale e quindi sulla base di dati aggiornati, può tradursi in una inerzia ingiustificata e, quindi, in un danno patrimoniale per la singola struttura, che abbia reso un servizio utile alla collettività, ove la stessa venga privata del diritto al compenso, da parametrare sulla base delle singole prestazioni rese. In questo modo rischia di rimanere pregiudicato il criterio della efficacia e della efficienza della gestione, parametro questo da porre a fondamento di tale tipo di attività. Al riguardo va richiamato l’orientamento di recente ribadito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 355/2002), secondo cui i principi contenuti nella l. n. 241/90 hanno una valenza generale, con la conseguenza che i tempi entro cui le amministrazioni pubbliche sono tenute a svolgere le proprie funzioni possono tradursi in fonte di responsabilità civile in caso di ingiustificata inosservanza,
18/11/2002 200206393
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393
RISARCIMENTO DEL DANNO
Nel giudizio amministrativo, la declaratoria giurisdizionale della illegittimità di un atto amministrativo non costituisce un elemento sul quale la parte interessata può innestare una domanda di risarcimento del danno, senza dare puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno , senza fornire una sua plausibile quantificazione. ( vedi: C.d S., V sez.n3863 dell’11 luglio 2001) e , quindi, senza cercare di ricostruire gli elementi che configurano un comportamento colpevole di tale gravità, tenuto anche conto del contesto in cui si sviluppa l’azione amministrativa, da rendere risarcibile il danno proprio in quanto sussiste la colpa dalla pubblica amministrazione, sul piano della violazione delle regole di normale diligenza e perizia amministrativa.( C d S. n.6281,VI sez, del 18 dicembre 2001). In sostanza non è possibile costruire uno schema di automatica equivalenza giuridica tra annullamento di un atto amministrativo, comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e risarcibilità del danno ingiusto ricevuto dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell’atto annullato. Il risarcimento presuppone la ricostruzione: a) del nesso causale tra atto annullato e danno, b) la ragionevole quantificabilità del danno;c) l’enucleazione di un elemento di colpa che emerge in quanto l’errore commesso dall’apparato amministrativo non sia scusabile , tenuto anche conto del contesto in cui si è sviluppata l’azione amministrativa ( C.d S. n.3169,IV sez. 14 giugno 2001).
18/11/2002 200206392
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6392
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE
TRATTATIVA PRIVATA
La ratio della disposizione, di cui all’art. 9,comma 4, lett. a) del d.lgs. n. 358/1992, che delimita con precisione le specifiche condizioni alle quali è possibile passare dalla gara pubblica alla trattativa privata, non è quella di irrigidire senza ragione la capacità negoziale della stazione appaltante, mettendola in una situazione di debolezza contrattuale, in ultima analisi lesiva dell’interesse pubblico, ma invece quella di garantire, da un lato, stabilità e serietà alla domanda pubblica, in modo da evitare comportamenti collusivi, e dall’altro la reale parità di condizione tra i possibili aspiranti alla fornitura. Le condizioni di offerta devono essere mantenute sostanzialmente stabili: ed in questo caso, il riferimento letterale al carattere sostanziale della stabilità delle condizioni sta a significare che sono le caratteristiche strutturali della fornitura che devono essere mantenute ferme. Ora, è evidente che il prezzo, in una gara che inizialmente si configura come una licitazione privata al prezzo più basso, costituisce fisiologicamente, nel gioco della domanda e dell’offerta, l’elemento che crucialmente segnala la convenienza dell’aggiudicazione per la stazione appaltante: da qui la necessità di prevedere meccanismi di dissuasione e verifica per quelle offerte che si presentino con tratti anomali, rispetto agli andamenti del mercato.
18/11/2002 200206391
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6391
APPELLO
Diversamente da quanto si verifica nell’appello civile (in cui l’interesse ad agire in giudizio sussiste solo in presenza della soccombenza, intesa come situazione di fatto nella quale la sentenza di primo grado abbia tolto o negato alla parte un bene della vita accordandolo all’avversario), nell’appello amministrativo, relativo a giudizi di impugnazione, sussiste l’interesse ad impugnare in via principale una pronuncia quando l’interesse fatto valere con l’impugnazione potrebbe non essere integralmente soddisfatto dal semplice annullamento del provvedimento ove l’amministrazione sia tenuta ad un comportamento positivo successivo all’annullamento. In tali ipotesi l’appellante, può far accertare le modalità dell’esercizio del potere che incombe sull’amministrazione stessa, con la conseguenza che l’avvenuto annullamento posto in primo grado dal provvedimento impugnato per accoglimento di alcune censure (o, il che è lo stesso, attraverso una conformazione successiva dell’attività amministrativa che adempie alla stessa funzione dell’accoglimento solo di alcuni motivi) non esclude l’ammissibilità dell’appello da parte dell’originario ricorrente, per ottenere un giudicato completamente satisfattivo dei propri interessi.
AUTORITA’ INDIPENDENTI (ATTIVITA’, ORGANIZZAZIONE)
GARANZIA DELLE COMUNICAZIONI
In ordine agli aspetti di tutela di interesse generali collegati al diritto alla salute, già la legge 31 luglio 1997, n. 249 (art. 1, comma 6 lettera a) n. 15 come parzialmente modificato con l’articolo 3 del decreto legge 30 gennaio 1999, n. 15 convertito in legge con modificazioni dall’articolo 1 della legge 29 marzo 1999, n. 78) attribuiva all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la vigilanza sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana, specificandosi che il rispetto di quegli indici (o tetti) costituiva condizione obbligatoria per il rilascio di atti d’assenso all’istallazione di apparati con emissioni elettromagnetiche. Sempre la norma da ultimo citata (art. 1 comma 6 lettera a) sub 15) dispone che i tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana sono fissati con decreto del Ministero dell’ambiente, d’intesa con il Ministero della sanità e con il Ministero delle comunicazioni, sentiti l’Istituto superiore di sanità e l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente. Il relativo decreto è stato emanato il 10 settembre 1998, n. 381. Prevede quel regolamento (recante norme per la determinazione dei tetti di frequenza compatibili con la salute umana) che le regioni e le province autonome, nell’ambito delle proprie competenze anche se sempre nel rispetto delle potestà riconosciute all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, disciplinino l’installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione in modo da presidiare i limiti di compatibilità con la salute dei cittadini e i valori (di esposizione di aree di sezioni verticali del corpo umano e fonti elettromagnetiche) nonché per raggiungere obiettivi di qualità e di raccordare l’attività di controllo e vigilanza anche in collaborazione con la stessa Autorità (articolo 4 comma 3 d.m. 10 settembre 1998, n. 381).
La legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici 22 febbraio 2001, n. 36 ha disciplinato all’articolo 8 le competenze delle regioni, delle province e dei comuni, così prescrivendo: “1. Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all’articolo 5; b) la definizione dei tracciati degli elettrodotti con tensione non superiore a 150 kV, con la previsione di fasce di rispetto secondo i parametri fissati ai sensi dell’articolo 4 e dell’obligo di segnarle; c) le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti di cui al presente articolo, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti; d) la realizzazione e la gestione, in coordinamento con il catasto nazionale di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c), di un catasto delle sorgenti fisse dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, al fine di rilevare i livelli dei campi stessi nel territorio regionale, con riferimento alle condizioni di esposizione della popolazione; e) l’individuazione degli strumenti e delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), numero 1); f) il concorso all’approfondimento delle conoscenze scientifiche relative agli effetti per la salute, in particolare quelli a lungo termine, derivanti dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. 2. Nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio. 3. In caso di inadempienza delle regioni, si applica l’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. 4. Le regioni nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249. 5. Le attività di cui al comma 1, riguardanti aree interessate da installazioni militari o appartenenti ad altri organi dello Stato con funzioni attinenti all’ordine e alla sicurezza pubblica sono definite mediante specifici accordi dai comitati misti paritetici di cui all’articolo 3 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, e successive modificazioni. 6. I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”. Il potere regolamentare conferito dall’ultimo comma dell’articolo 8 della legge n. 36 del 2001 ai comuni è senz’altro subordinato ai precetti dei precedenti commi e in particolare a quanto previsto dal primo comma lettera a), che assegna alla regione e non al comune l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione e dal comma 4, che conferisce alla regione la potestà di definire le competenze in materia di comuni e province.
18/11/2002 200206390
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6390
In materia di aggiudicazione di lavori di restauro, consolidamento e rifunzionalizzazione.
18/11/2002 200206389
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6389
PROCESSO AMMINISTRATIVO
SENTENZA
A fronte di un atto emanato da un organo incompetente, il Giudice amministrativo altro potere non ha che di annullare e di rimettere l’affare all’autorità competente, giusta il disposto dell’articolo 26, comma 2, prima parte della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
ATTO E PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
AVVIO DEL PROCEDIMENTO
Il sistema di democraticità delle decisioni amministrative (al quale è, in definitiva, preordinato l’articolo 7 della legge n. 241 del 1990) va presidiato nella sostanza e non nella mera forma, sicché ogni qual volta l’interessato sia informato dalla stessa Amministrazione dell’esistenza di un procedimento diretto a incidere sulla sua sfera giuridica e sia messo in condizione di utilmente rappresentare il proprio punto di vista così da integrare la nozione di partecipazione, non si può ritenere violato alcun canone del giusto procedimento (C.d.S., VI, 24 ottobre 2000, n. 5693; IV, 22 giugno 2000, n. 3556; IV, 15 marzo 2000, n. 1398; I, 29 marzo 2000, n. 222/00; II, 3 novembre 1999, n. 1401/99; Comm. Spec., 12 gennaio 1998, n. 1404/97).
ATTO E PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
AUTOTUTELA
E’ legittimo un provvedimento di autotutela fondato sulla tutela degli utenti consumatori (cioè degli amministrati, costituendo tale presidio il primo dovere di una Amministrazione pubblica), alla tutela delle risorse finanziarie degli enti (che è corollario del precedente dovere), del miglior adeguamento dell’azione pubblica alle esigenze concrete (che non sarebbero state rispettate in carenza di annullamento), alla conformazione della medesima azione al principio di legalità (certamente eluso ove si pongano clausole e requisiti contrattuali non previsti dalla vigente normativa o chiaramente incongrui rispetto alle esigenze dell’ente locale). L’esercizio del potere di autotutela risulta coerente alla finalità di assicurare dall’interno della stessa compagine amministrativa il rispetto dei principi costituzionali in sede di azione amministrativa fissati dall’articolo 97 della Costituzione (C.d.S., IV, 23 marzo 2000, n. 1558). Non si configura neppure un obbligo di particolare motivazione posto che dalla mancata rimozione dell’atto sarebbe derivato un indebito esborso di danaro per l’Amministrazione (C.d.S., VI, 30 ottobre 2000, n. 5817; 15 ottobre 1999, n. 1413), ravvisandosi quasi in re ipsa la causale dell’atto demolitorio o di ritiro (C.G.R.S., 2 maggio 2000, n. 205). In altre parole le specifiche ragioni di pubblico interesse, necessariamente preminenti su quelle fatte valere dal privato, sono state adeguatamente rappresentate (C.d.S., V, 24 ottobre 2000, n. 5710) anche ben oltre la mera sufficienza, idonea nel caso di specie a soddisfare l’onere del discorso giustificativo.
RISARCIMENTO DEL DANNO
Buona fede e correttezza sono parametri propri ed esclusivi della autonomia privata e risultano di per sé speculari al potere riconosciuto al solo giudice civile di intervenire sul regolamento di interessi posto in essere tra i contraenti o che gli stessi avrebbero dovuto porre in essere, al fine di valutare la misura entro cui la relativa disciplina è meritevole di protezione da parte dell’ordinamento positivo. Buona fede e correttezza, in altri termini, sono parametri di comportamento dei soggetti privati alla cui stregua il giudice ordinario risolvere i conflitti inter soggettivi nascenti dal loro mancato rispetto. Un compito diverso spetta al giudice amministrativo che, come è noto, non impinge nel merito dell’attività amministrativa , ma si limita al solo controllo di legalità delle modalità con le quali essa è stata svolta in conformità ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento. Trattasi non già di un controllo di merito, ma di un controllo sub specie juris, sia pure particolarmente penetrante allorché è svolto attraverso l’utilizzazione della figura sintomatica dell’eccesso di potere, che ha ad oggetto sia la corretta ricostruzione dei presupposti di fatto posti a fondamento della disciplina dettata con il provvedimento amministrativo sia l’adeguatezza e la congruità logico-giuridica di detto provvedimento sottoposto al suo esame, ovvero la fondatezza delle ragioni di ordine formale che sono a fondamento della sua mancata adozione. Il risultato di tale verifica può sfociare nell’annullamento dell’atto o provvedimento, con la conseguente individuazione, ove ritenuta necessaria, di diversi parametri di giudizio alla cui stregua va esercitata dalla p.a. l’eventuale residua discrezionalità. L’eventuale illiceità della condotta della p.a., idonea a determinare il diritto al risarcimento del danno a favore del privato, presuppone dunque il preventivo accertamento da parte del giudice amministrativo dell’illegittimo esercizio della funzione amministrativa che può sostanziarsi sia nella emanazione di un atto contra legem, sia nella mancata, ingiustificata adozione di un provvedimento conforme alle aspettative giuridicamente tutelate del privato destinatario e non già della considerazione di tali “comportamenti” alla stregua dei principi di buona fede e correttezza. Nel primo caso il provvedimento può ledere tanto un interesse sostanziale di tipo pretensivo, che di tipo op-positivo, mentre nel secondo caso la lesione della sfera giuridica del privato ha necessariamente ad oggetto un interesse sostanziale di tipo oppositivo. L’illiceità si verifica per ciò quando la situazione del privato, connessa e incisa dall’illegittimo e esercizio della funzione, sia compromessa in relazione alla mancata trasformazione nella situazione finale, consistente nell’effettivo esercizio di facoltà insiste nel diritto o nello svolgimento di una determinata attività. Tutte le volte che questa vicenda non si realizza per causa (nesso eziologico ) dell’illegittimo esercizio del potere, qualificato dall’elemento psichico ( dolo o colpa ), si pone il problema della risarcibilità dell’interesse legittimo, che, come è evidente, è formula brachilogica, nella quale è eliso proprio l’oggetto principale della refusione: la situazione soggettiva finale intrinseca all’interesse legittimo. L’interesse legittimo rappresenta per ciò in questi casi la misura della rilevanza che ha il diritto soggettivo, allorché talune delle facoltà che concorrono a determinarne il contenuto non possono essere esercitate se non con le modalità indicate nel provvedimento amministrativo assunto in conformità alla disciplina positiva, come paradigmaticamente risulta per il diritto di proprietà in relazione alla facoltà di edificare o per il diritto di iniziativa economica in relazione all’attività commerciale. L’esercizio della situazione soggettiva astrattamente riconosciuta al privato ( diritto di proprietà e diritto di impresa ) dipende in altre parole dal conforme o meno esercizio della funzione e si ricollega per questo all’interesse legittimo, che nella vicenda procedimentale rappresenta e traduce la pretesa del titolare del diritto al pieno ed effettivo suo godimento, anche mediante quelle modalità che la normativa positiva fa dipendere dal potere conformativo della p.a… Si tratta, a ben vedere, di parti costitutive di una situazione complessa nella quale talune facoltà di godimento del bene sono compresse in mancanza del provvedimento amministrativo che ne legittima l’esercizio e nella misura in cui ciò viene assentito. La prospettata ricostruzione teorica trova un autorevole avallo nella recente pronunzia della Corte costituzionale ( n.355 del 10- 17 luglio 2002 ), che, proprio con riferimento ad una ipotesi particolare di esercizio del diritto di iniziativa economica del privato, consistente nella installazione di tabelle pubblicitarie, rileva che tale esercizio è subordinato alla preventiva emanazione del piano generale degli impianti pubblicitari e di un apposito regolamento volto a determinare numero e tipologie di quelli ammessi (d.lgvo.n.507/1993). Secondo la Corte, la posizione soggettiva del privato, prima della emanazione dei suddetti provvedimenti autorizzativi e programmatori, non perde la sua natura di diritto soggettivo costituzionalmente protetto, ma si caratterizza per il fatto che il suo esercizio è precluso in mancanza di atti conformativi , dal momento che altrimenti si avrebbe la ” completa vanificazione di quel livello generale di tutela degli svariati interessi pubblici sui quali questo tipo di attività potenzialmente incide “. Trattasi in altri termini di un limite non irragionevole, preordinato alla salvaguardia di una pluralità di beni di rilievo costituzionale, che non tocca la titolarità del diritto soggettivo nella sua globalità, ma comprime quelle sole facoltà di godimento che abbisognano del preventivo apprezzamento dell’amministrazione nei termini dianzi indicati.
18/11/2002 200206388
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6388
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE
AGGIUDICAZIONE
La giurisprudenza del giudice amministrativo è ferma nell’affermare l’esistenza del ” potere dovere della p.a. di procedere in sede di autotutela all’eliminazione delle illegittimità verificatesi prima dell’adozione dell’atto terminale di un procedimento amministrativo ” (Consiglio Stato sez. IV, 29 maggio 1998, n. 900), precisando ulteriormente, con riferimento particolare ai procedimenti di gara, che ” qualora l’aggiudicazione sia provvisoria, il suo annullamento in sede di autotutela non necessita di particolare motivazione” (Consiglio Stato sez. IV, 12 settembre 2000, n. 4822). Quanto, poi, ai principi di continuità e di concentrazione della gara, la giurisprudenza (Consiglio Stato sez. V, 12 settembre 2000, n. 4822) ha di recente ribadito come esso non sia ” assolutamente insuscettibile di eccezioni, potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscano la concentrazione e la conclusione delle operazioni di gara in un numero ristretto di sedute.” Ora non v’è dubbio che la necessità di eliminare le illegittimità verificatesi nel corso dell’istruttoria costituisca una situazione che legittima non solo la rinnovazione del procedimento ma anche lo svolgersi delle operazioni di gara in un arco di tempo maggiore del previsto.
La validità degli atti relativi alle fasi intermedie della procedura concorsuale soggiace alla regola del principio “tempus regit actum”, per cui, in caso di successione di norme, la legittimità dell’atto va valutata con riguardo alla norma vigente al momento del loro compimento e non a quella posteriore sopravvenuta.
18/11/2002 200206387
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6387
In materia di annullamento do ordinanza comunale con cui si è ingiunto di versare a titolo di sanzione amministrativa una data somma, ai sensi dell’art.12 , comma 2, della legge n. 47 del 1985.
18/11/2002 200206386
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6386
Dispone istruttoria.
18/11/2002 200206385
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6385
APPELLO
NOTIFICAZIONE DELLA SENTENZA
Perché possa configurarsi un atto di elezione di domicilio speciale occorre che lo stesso si connoti secondo caratteri di incontroversa univocità, onde desumerne la chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti del processo che la riguardano (Cass. Sez. I , 10 novembre 1997, n. 11037).
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE
ASSOCIAZIONE TEMPORANEA D’IMPRESE
A norma del comma 12 dell’articolo 23 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, salvo quanto previsto al comma 13, nelle associazioni temporanee i requisiti di capacità tecnica ed economica, sempreché frazionabili, richiesti dal soggetto aggiudicatore nel bando o nella lettera di invito, per l’aggiudicazione di un appalto di lavori, di forniture o di servizi devono essere posseduti nella misura precisata dal soggetto aggiudicatore stesso; per le imprese mandanti, tale misura non può essere inferiore, per ciascuna, al 20% di quanto richiesto cumulativamente; in ogni caso i requisiti così sommati posseduti dalle imprese riunite devono essere almeno pari a quelli globalmente richiesti dal soggetto aggiudicatore.
18/11/2002 200206384
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6384
PROCESSO AMMINISTRATIVO
LEGITTIMAZIONE PASSIVA
Al fine di garantire la continuità nella tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive, da tempo si è venuto consolidando un orientamento, fondato su solide ragioni testuali e sistematiche, che mentre sottrae le nuove Aziende sanitarie dal succedere automaticamente nei rapporti obbligatori già imputati alle disciolte Unità sanitarie locali, trasferisce direttamente in testa alle Regioni gli eventuali debiti ancora da liquidare. La legittimazione processuale passiva nelle controversie concernenti debiti retributivi nei confronti del personale già dipendente dalle USL, spetta agli organi regionali. ( C.d S. n.184,del 22/01/2001, sez.VI).
DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
MANSIONI SUPERIORI
Lo svolgimento di funzioni apicali assume rilievo ai fini retributivi, a prescindere da ogni atto organizzativo della amministrazione, proprio in ragione del carattere inderogabile di tali funzioni per garantire la continuità della erogazione del servizio sanitario.
La percezione dell’indennità prevista dall’art.43 del DPR 25 giugno 1983, n.348 e dall’art.53 del DPR n.270 del 1897, sono compensative della funzione di direzione di un servizio di una USL, in quanto tale funzione venga assolta da personale di qualifica apicale: in caso tali funzioni vengano invece assolte da personale di qualifica inferiore, danno diritto a percepire sia la differenza retributiva calcolata sulle posizioni funzionali, sia l’indennità prima ricordata.
La prescrizione non decorre dall’atto di incarico, al quale l’Amministrazione non ha inteso connettere effetti retributivi collegati alla diversa complessiva diversa e più elevata posizione funzionale ma deve invece essere intermediata da una ricognizione in sede giurisdizionale della posizione che si intende far valere. E’ dunque solo dal momento dell’ accertamento che il diritto diviene operante , in quanto riconosciuto : la prescrizione , in questi casi appare ragionevole che operi su un arco decennale, proprio in ragione del fatto che la Pubblica Amministrazione deve comunque poi dare attuazione all’atto ricognitivo con una sua formale deliberazione.
18/11/2002 200206383
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6383
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
INTERMEDIAZIONE MANODOPERA
Con riferimento al divieto di intermediazione di mano d’opera, previsto dalla legge n. 1369 del 1960, non vi è alcuna ragione sistemica e puntuale per restringere il divieto stabilito dalla legge richiamata alle sole attività di natura imprenditoriale, quando si tratti di enti pubblici non economici, come chiarito nella giurisprudenza.
Non è dato rinvenire alcun elemento o fattore organizzativo, sia pure marginale, riconducibile all’intermediazione della cooperativa allorché una la stessa cooperativa medesima ha svolto i propri compiti utilizzando sempre mezzi e capitali forniti dall’Amministrazione, con subordinazione puntuale e costante alle direttive della stessa, senza alcuna autonoma possibilità di organizzare, anche in via del tutto marginale, i fattori produttivi da essa stessa messi in campo e cioè il lavoro.
18/11/2002 200206382
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6382
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
INTERMEDIAZIONE MANODOPERA
Con riferimento al divieto di intermediazione di mano d’opera, previsto dalla legge n. 1369 del 1960, non vi è alcuna ragione sistemica e puntuale per restringere il divieto stabilito dalla legge richiamata alle sole attività di natura imprenditoriale, quando si tratti di enti pubblici non economici, come chiarito nella giurisprudenza.
Non è dato rinvenire alcun elemento o fattore organizzativo, sia pure marginale, riconducibile all’intermediazione della cooperativa allorché una la stessa cooperativa medesima ha svolto i propri compiti utilizzando sempre mezzi e capitali forniti dall’Amministrazione, con subordinazione puntuale e costante alle direttive della stessa, senza alcuna autonoma possibilità di organizzare, anche in via del tutto marginale, i fattori produttivi da essa stessa messi in campo e cioè il lavoro.
18/11/2002 200206381
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6381
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
INTERMEDIAZIONE MANODOPERA
Con riferimento al divieto di intermediazione di mano d’opera, previsto dalla legge n. 1369 del 1960, non vi è alcuna ragione sistemica e puntuale per restringere il divieto stabilito dalla legge richiamata alle sole attività di natura imprenditoriale, quando si tratti di enti pubblici non economici, come chiarito nella giurisprudenza.
Non è dato rinvenire alcun elemento o fattore organizzativo, sia pure marginale, riconducibile all’intermediazione della cooperativa allorché una la stessa cooperativa medesima ha svolto i propri compiti utilizzando sempre mezzi e capitali forniti dall’Amministrazione, con subordinazione puntuale e costante alle direttive della stessa, senza alcuna autonoma possibilità di organizzare, anche in via del tutto marginale, i fattori produttivi da essa stessa messi in campo e cioè il lavoro.
18/11/2002 200206380
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6380
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
INTERMEDIAZIONE MANODOPERA
Con riferimento al divieto di intermediazione di mano d’opera, previsto dalla legge n. 1369 del 1960, non vi è alcuna ragione sistemica e puntuale per restringere il divieto stabilito dalla legge richiamata alle sole attività di natura imprenditoriale, quando si tratti di enti pubblici non economici, come chiarito nella giurisprudenza.
Non è dato rinvenire alcun elemento o fattore organizzativo, sia pure marginale, riconducibile all’intermediazione della cooperativa allorché una la stessa cooperativa medesima ha svolto i propri compiti utilizzando sempre mezzi e capitali forniti dall’Amministrazione, con subordinazione puntuale e costante alle direttive della stessa, senza alcuna autonoma possibilità di organizzare, anche in via del tutto marginale, i fattori produttivi da essa stessa messi in campo e cioè il lavoro.
18/11/2002 200206379
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6379
In materia di concorso per assistente di settore, prima qualifica dirigenziale
18/11/2002 200206378
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6378
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
MANSIONI SUPERIORI
Gli elementi che consentono il riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, oltre il periodo consentito dall’art.29 del DPR n.761/ 1979, sono la formale attribuzione dell’incarico da parte dell’organo di gestione competente ad assumere impegni, anche di ordine finanziario; la disponibilità in organico della posizione per la quale si dispone una copertura provvisoria; la mancanza di concorsi banditi per la copertura di tale posizione.
18/11/2002 200206377
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6377
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
MANSIONI SUPERIORI
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito, con un orientamento del tutto consolidato , che per potersi configurare la sola retribuibilità delle mansioni superiori in fatto svolte, non essendovi alcun margine per ipotizzare inquadramenti giuridici in tali mansioni, devono risultare compresenti e provati tre elementi : un atto di incarico formale, validamente espresso dall’organo gestorio competente ad assumere impegni, anche dal punto di vista finanziario; l’esistenza di un posto vacante nel ruolo organico; l’inesistenza di concorsi già banditi su tale posto.
18/11/2002 200206376
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6376
Rigetta l’appello per difetto di un interesse attuale all’impugnazione.
18/11/2002 200206375
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6375
Prende atto della sopravvenuta carenza di interesse
18/11/2002 200206374
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6374
DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
MANSIONI SUPERIORI
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha di recente ribadito come “ il principio della irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego – salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa – è un dato acquisito alla giurisprudenza di questo Consiglio” ( 18 novembre 1999, n.22), e che il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore “ va riconosciuto con carattere di generalità a decorrere dall’entrata in vigore del D.L.vo n.387 del 1998” ( 23 febbraio 2000, n.11). Poiché il periodo, cui si riferisce la pretesa, è anteriore al riconoscimento legislativo del diritto, l’unica norma applicabile al caso di specie è l’art.55 del DPR 28 novembre 28 novembre 1990, n.384, che prevede l’osservanza di procedure che non risulta siano state attivate. D’altro canto, ” il principio dell’irrilevanza – ai fini retributivi e di progressione in carriera, dello svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto alla qualifica d’inquadramento dei pubblici dipendenti s’applica senz’altro anche ai dipendenti sanitari, in quanto l’art. 29, comma 2, del d.p.r. n. 761 del 1979 non attribuisce rilevanza a tali mansioni se non quando la relativa adibizione avvenga in base ad un formale provvedimento promanante dall’organo cui compete la gestione del personale – con esclusione, quindi, dei meri ordini di servizio -, con l’unica eccezione, per il solo personale medico, del dipendente con la qualifica di aiuto, il cui obbligo di sostituzione del primario è imposto direttamente dall’art. 7 d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128.” ( Consiglio Stato sez. V, 10 febbraio 2000, n. 728). Quanto poi all’articolo 36 della Costituzione, secondo il quale il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, sta per certo che il principio non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo nella materia altri principi di pari rilevanza costituzionale. Da qui non solo la possibilità ma anzi la necessità di discipline ulteriori, che, come nel caso dell’art.55 del DPR 28 novembre 28 novembre 1990, n.384, coordinano il principio di perequazione retributiva con quelli di buon andamento ed imparzialità e, più in generale, con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari.
18/11/2002 200206373
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6373
In materia di impugnazione di un bando, atti della gara e l’aggiudicazione del contratto per la copertura assicurativa della responsabilità civile.
18/11/2002 200206372
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6372
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Secondo l’art.6 , comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n.724″ in nessun caso è consentito alle regioni di far gravare sulle aziende di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni, né direttamente né indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unità sanitarie locali. A tal fine le regioni dispongono apposite gestioni a stralcio, individuando l’ufficio responsabile delle medesime.”
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE
CONTRATTI MISTI
Il contratto di manutenzione e gestione degli impianti termici di un ente pubblico e’ qualificabile come contratto misto, in quanto tale disciplinato in riferimento alla causa prevalente” ( Consiglio Stato, sez.V, 13 maggio 1991 n. 809).
18/11/2002 200206371
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6371
In materia di gara per l’appalto del servizio di pulizia e di sanificazione e per lo svolgimento dei servizi accessori generali da aggiudicarsi a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
18/11/2002 200206370
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6370
In materia di annullamento di provvedimento del Sindaco recante revoca della licenza per il servizio di taxi.
18/11/2002 200206369
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6369
GIUDICATO (ESECUZIONE DEL)
Qualora l’Amministrazione, sottrattasi all’esercizio delle proprie competenze per non aver spontaneamente dato esecuzione al giudicato, viene a sindacare l’operato sostitutivo del Commissario ad acta, l’apprezzamento circa la sufficienza delle urbanizzazioni va condotto non in astratto, ma tenendo conto della portata dell’intervento che si intende realizzare; con la conseguenza che se, in linea generale, a fronte di un intervento edificatorio di rilevante portata, l’Amministrazione è chiamata a soppesare attentamente la presenza e sufficienza o meno delle opere di urbanizzazione, verificando la capacità di raccordo, anche in termini dimensionali, tra le stesse e il nuovo complesso edilizio, per converso, in presenza di un intervento modesto, che si colloca in un contesto già ampiamente urbanizzato e che presenta caratteristiche prossime (se non addirittura coincidenti) a quelle del lotto intercluso, l’Amministrazione stessa deve fornire elementi di consistenza tale da far escludere che, in assoluto, anche un intervento così dimensionato è da ritenere incompatibile con le capacità di assorbimento offerte dalle opere di urbanizzazione già presenti sul territorio.
18/11/2002 200206367
Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6367
In tema di annullamento di concessione edilizia per la ristrutturazione, sopraelevazione ed ampliamento degli immobili adibiti ad alberghi.
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