L’art. 64 del d.lgs. n. 546/1992, come modificato, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dall’art. 9, comma 1, lett. cc), del d.lgs. n. 156/2015, prevede che:
“1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile.
2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’ appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto.
3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso”.
Il previgente art. 64 prevedeva, invece, che:
“1. Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 del codice di procedura civile.
2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’ appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto.
3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso”.
Comparando le due norme sopra indicate si rileva che il decreto di riforma ha modificato il comma 1 dell’articolo in esame, con una formulazione analoga a quella prevista dall’articolo 395 c.p.c., con il fine di eliminare le incertezze interpretative a cui aveva dato luogo la precedente formulazione dell’articolo 64.
L’attuale formulazione fa espresso riferimento alle sentenze pronunciate in grado di appello ovvero in unico grado dalle Commissione tributarie, laddove per sentenze “in unico grado” devono intendersi quelle interessate dal c.d. ricorso per saltum di cui all’articolo 62, comma 2-bis del d.lgs. n. 546/1992.
Tali sentenze possono essere oggetto di ricorso per revocazione ordinaria (nn. 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c., la cui proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza) ovvero straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6 del medesimo art., che può proporsi anche dopo il passaggio in giudicato della stessa).
Di contro, le sentenze pronunciate dalla Commissione tributaria provinciale, disciplinate dal comma 2 dell’art. 64 del d.lgs. n. 546/1992 sono soggette solo a revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria devono essere fatti valere con l’appello. I motivi di revocazione sono tassativi.
Essi sono:
- dolo di una delle parti in danno dell’altra. Per costituire motivo di revocazione il comportamento doloso deve avere avuto influenza decisiva ai fini della soluzione della causa. Sul punto si veda Cass., 10 marzo 2005, n. 5329; Cass., 26 gennaio 2004, n. 1369;
- prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza, oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza. La prova della falsità deve esistere al momento della proposizione della domanda di revocazione, pena l’inammissibilità della stessa. La prova rivelatasi falsa deve avere influito sulla decisione impugnata, cioè, deve essere stata decisiva, ai fini dell’orientamento del giudice ovvero aver concorso alla pronuncia;
- rinvenimento di documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario. È necessario che si tratti di documenti esistenti al momento del processo e dotati di efficacia decisiva nella formazione del convincimento del giudice, ossia tali che se conosciuti da quest’ultimo avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione;
- errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti della causa. L’errore de quo deve essere essenziale ed involgere un aspetto decisivo della sentenza. Inoltre, l’atto o documento di causa da cui risulta l’errore commesso deve essere già acquisito agli atti processuali al momento in cui è stata resa la sentenza che si ritiene viziata. Sul punto si veda Cass., 20 giugno 2002, n. 8974;
- contrasto con sentenza precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione. Perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l’oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest’ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo. Sul punto si veda Cass., sez. trib., 7 agosto 2008, n. 21322;
- dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato. In presenza di sentenza passata in giudicato che abbia accertato il dolo del giudice, la revocazione consegue automaticamente senza necessità di avere alcuna ulteriore verifica.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento