Licenziamento per giustificato motivo, l’insussistenza del fatto non deve essere manifesta

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di Massimiliano Matteucci – Consulente del lavoro Nexumstp Spa

Francesca Zucconi – Consulente del lavoro Studio Zucconi

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 125/2022, depositata il 19 maggio 2022, ha dichiarato che il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia “manifesta” ai fini della tutela dell’art. 18 L. 300/1970 così come modificato dalla legge Fornero.

Alla base della decisione il principio secondo cui il giudice non può entrare nel merito di una scelta propria dell’imprenditore, ma il giudizio deve limitarsi a una pura verifica di legittimità.

I fatti vedono l’opposizione del datore di lavoro all’ordinanza di reintegro di un lavoratore, licenziato tre volte nel giro di alcuni mesi, due volte per giusta causa ed una per giustificato motivo oggettivo, motivo dell’opposizione in relazione soprattutto al “carattere manifesto dell’insussistenza del fatto”.

Tale motivazione è richiesta infatti in relazione al licenziamento di carattere oggettivo ai fini della reintegra del lavoratore.

Il contrasto nasce con l’art. 3 della Costituzione e il principio di uguaglianza, oltre a non fornire un metro di giudizio concreto e preciso in definizione proprio al carattere manifesto dell’insussistenza del fatto, diventando così indeterminato e proprio per questo si presta a incertezze applicative, con conseguenti disparità di trattamento.

Inoltre, la scelta di licenziare per motivi economici è anche legata alla riorganizzazione e impossibilità di ricollocare il lavoratore, motivazioni e scelte tipiche e proprie dell’imprenditore. Per questo motivo il giudizio del giudice deve limitarsi alla legittimità e non “sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità”.

Questi i motivi per cui la Sentenza della Corte Costituzionale n. 125/2022 del 19 maggio scorso dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla legge Fornero del 2012, limitatamente alla parola “manifesta”.

La Consulta accenna, quindi, all’ipotesi di una violazione delle clausole di correttezza e buona fede che devono essere sempre presenti nella scelta del lavoratore da licenziare, criteri che ricordiamo sono validi sia per i licenziamenti collettivi, ma anche per quelli individuali in relazione alla giurisprudenza ormai più che consolidata, certo è che dove il legislatore rimane carente ci pensa il giudice a stabilire il come e quando.

 

Sentenza collegata

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Dott. Massimiliano Matteucci

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