Separazione: a chi resta fido?

Barbara Marini 24/09/19
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Sempre più frequentemente nelle famiglie italiane sono presenti animali domestici che fanno letteralmente parte della famiglia.

In caso di separazione tra i coniugi anche la collocazione dell’animale domestico diviene motivo di aspre discussioni e di accese diatribe. La loro importanza all’interno del nucleo familiare fa si che spesso gli stessi non solo siano oggetto di conflitti ai fini della loro collocazione, in caso di rottura del rapporto, ma altresì che vengano usati come vero e proprio strumento di ricatto nei confronti dell’altro partner; da qui la necessità di addivenire a una regolamentazione della materia che tuttavia, attualmente, risulta priva di uno specifico riscontro normativo.

  1. La posizione giuridica del cane

Il cane, come ogni altro animale domestico, per l’ordinamento italiano, è sempre stato considerato un oggetto; tale status giuridico affonda le sue radici nel diritto romano ove gli animali e in alcuni casi, addirittura le persone, come ad esempio gli schiavi, erano considerate delle “res”, appunto delle cose delle quali il proprietario poteva disporre come meglio credeva.

La disciplina sugli animali, tuttavia, nel corso del tempo ha subito dei mutamenti che hanno portato sempre più a un maggior riconoscimento degli animali quali esseri senzienti, sino a riconoscergli dei veri e propri diritti, basti pensare alla normativa sul benessere animale in tema di allevamento e macellazione, alla legge in materia di animali d’affezione e prevenzione al randagismo, o alle norme introdotte nel codice penale per reprimere il reato di uccisione, maltrattamento e abbandono di animale.

L’attuale disciplina, tuttavia, risulta frammentaria e disomogenea, tale da non essere sufficiente per soddisfare le varie esigenze che via via si presentano, in quanto il tema è una materia complessa e in continua evoluzione che affonda le sue origini nella cultura dei popoli e subisce le influenze di gruppi di pressione e dell’evoluzione della coscienza sociale.

  1. L’impianto normativo

La crescente diffusione di una sempre maggiore sensibilità della società verso gli animali è rispecchiata dalla propensione sempre maggiore di giudici e legislatore nel trovare degli strumenti che permettano di migliorare le condizioni degli animali d’affezione. Elemento fondamentale verso il riconoscimento di una serie di diritti degli animali è il riconoscimento della soggettività degli stessi, distinguendoli dai semplici beni, in quanto esseri senzienti cioè esseri dotati della capacità di provare sensazioni; tale concezione ha portato, peraltro, alla recente introduzione di alcuni principi giuridici tra cui l’impignorabilità degli animali da compagnia e di quelli impiegati ai fini terapeutici o di assistenza.

La stessa Corte di Cassazione ha stabilito in più occasioni che gli animali devono essere riconosciuti quali esseri senzienti, con la conseguenza che gli stessi non devono essere collocati nell’area semantica delle cose, ma devono piuttosto essere considerati come membri della famiglia con conseguente diritto di ogni soggetto ad avere un animale da compagnia. [1]

La concezione dell’animale come essere senziente in realtà affonda le sue radici nel passato, infatti, già nel 1928 Cesare Goretti affermava che “gli animali sono soggetti di diritto con coscienza”, inoltre la prima vera disposizione normativa a tutela degli animali fu varata nel 1641, in Massachussetts, vietando ogni forma di tirannia e crudeltà a danno degli animali domestici, la massima espressione di tutela degli animali si raggiunse con la Dichiarazione dei diritti degli animali del 1978.

A livello europeo il panorama normativo sembra essere ben lontano dalla creazione di uno standard minimo di tutela degli animali e della regolamentazione dei rapporti uomo- animale, in quanto anche in questo caso la disciplina si presenta frammentaria e disomogenea; d’altronde l’attuazione concreta delle singole disposizioni è lasciata ai singoli Paesi membri; ad oggi la principale fonte di tutela dei diritti degli animali a livello è rappresentato dalla Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia, ad essa si affiancano diversi altri provvedimenti  di settore.

A livello mondiale la situazione è molto varia e dipende dal Paese di riferimento, pertanto è possibile tracciarne solo i contorni per macro aree; ad esempio il maltrattamento e l’uccisione è scoraggiato o reso illegale in diversi paesi del mondo, tuttavia le tradizioni locali vengono spesso salvaguardate in deroga alle leggi, come nel caso della corrida in Spagna, inoltre si consideri che in alcune regioni o culture è addirittura ancora possibile praticare combattimenti fra vari animali (i più noti sono quelli tra cani e fra galli); senza dimenticare che in alcune occasioni gli animali vengono torturati o sacrificati per scopi tradizionali o religiosi.

  1. Separazione e affido dell’animale da compagnia

In base a quanto sin ora illustrato di facile comprensione è la difficoltà di decidere a chi dovrà essere affidato il cane/ il gatto in caso di separazione, infatti se da un lato l’animale può considerarsi oggetto di proprietà del proprio padrone, diritto dimostrabile attraverso il certificato di acquisto o eventualmente il micro chip, dall’altra se si considera l’animale un essere senziente non può non essere oggetto di valutazione, ai fini del suo affido, primariamente il benessere dell’animale stesso, l’affezione e il legame che lo legano a colui che riconosce come padrone all’interno del nucleo familiare che, peraltro, non sempre corrisponde al soggetto indicato quale proprietario.

L’attuale normativa in tema di separazione o di cessazione delle convivenze more uxorio non prevede alcuna disposizione in tema di affido dell’animale domestico, la spinosa questione quindi viene rinviata all’equo apprezzamento del giudice che in base alle peculiarità del singolo caso dovrà decidere le sorti dell’animale.

3.1. L’affido in caso di separazione consensuale

Una prima soluzione è stata fornita dal Tribunale di Modena il quale ha stabilito che qualora vi siano, nell’ambito di un accordo di separazione, disposizioni concernenti il mantenimento e l’affido dell’animale domestico il giudice è tenuto a omologarle. Nel caso di specie il Tribunale emiliano[2] ha dichiarato che il giudice deve omologare il verbale di separazione consensuale fra i coniugi nel quale si stabilisce, oltre all’affido condiviso dei figli minori, l’assegnazione della abitazione familiare al genitore collocatario dei figli, anche la collocazione del cane di famiglia presso lo stesso stabilendo a carico dell’altro genitore un contributo economico per mantenere l’animale; contributo che pertanto si somma a quello disposto in favore dei minori.

Sulla stessa linea di indirizzo i Tribunali di Foggia e di Cremona i quali hanno sancito che, in assenza di normativa specifica, potessero trovare applicazione le disposizioni previste in tema di affido di figli minori.

In altro caso deciso dal Tribunale di Roma, in attuazione dei criterii di cui sopra, si è ritenuto che il regime giuridico in grado di tutelare l’interesse del cane oggetto di causa, contemperandolo con l’interesse affettivo delle parti, fosse l’affido condiviso con divisione al 50% delle spese per il suo mantenimento.[3]

In generale la giurisprudenza ritiene che sarebbe auspicabile che le questioni relative all’affidamento del cane (o di qualsiasi altro animale di affezione) siano tenute al di fuori dell’accordo di separazione tra i coniugi e formino oggetto di un’ulteriore e apposita scrittura. Tuttavia ciò non toglie che, se anche i coniugi dovessero inserire, nell’accordo di separazione, una previsione in merito all’affidamento del cane o del gatto e all’eventuale diritto di visita, ciò non contrasterebbe con nessuna norma; a scanso di equivoci ciò non vuol dire che l’affidamento del cane possa essere posto sullo stesso piano dell’affidamento dei figli e seguire le stesse regole, ma non lo si può neanche catalogare come un accordo vietato. Si tratterebbe di disposizioni non contrarie alla legge e quindi pertanto omologabili dal giudice che trovano la loro fonte nel principio secondo cui le sorti dell’animale di affezione sono di particolare interesse per i coniugi, tale interesse non si esaurisce nella sola sfera patrimoniale proprio in relazione al legame d’affezione che lega i coniugi con l’animale.

3.2. L’affido del cane nel corso della separazione giudiziale

Sorti diverse assume il giudizio nel caso in cui il ricorso di separazione o di cessazione degli affetti civili del matrimonio non sia consensuale e quindi si chieda al giudice di disporre l’affido dell’animale all’una o all’altra parte. Sul punto il Tribunale di Milano ritiene che la materia non sia di competenza del giudice della separazione e che pertanto lo stesso non debba pronunciarsi sul punto.[4]

Tale interpretazione rappresenta un vero e proprio vuoto normativo che rischia di vedere le parti in causa rimbalzate da giudice a giudice in base alle competenze. In linea teorica si potrebbe ritenere che essendo l’animale equiparabile ad un oggetto la competenza spetterebbe al giudice civile il quale dovrebbe pronunciarsi su chi ritiene essere proprietario dell’animale e quindi disporne eventualmente il reintegro del possesso. Tuttavia questa interpretazione mal si concilia con la concezione dell’animale d’affezione quale essere senziente e quindi in grado di provare emozioni e affettività. In base a tale interpretazione il giudizio del giudice dovrebbe essere orientato privilegiando il benessere e la qualità della vita dell’animale, l’intensità del legame affettivo con uno dei due coniugi rispetto al diritto di proprietà del padrone.

Attualmente aperture giurisprudenziali del Tribunale di Milano si sono verificate nel caso di separazioni particolarmente conflittuali in cui oltre alla presenza dell’animale domestico vi sia anche quella di uno o più figli minori, in questi casi il giudice ha ritenuto di potersi pronunciare sulla collocazione dell’animale, non tanto nell’ottica del benessere animale o dell’interesse di coniugi, ma bensì nel maggior interesse del minore di poter mantenere un contatto costante con l’animale d’affezione al quale lo stesso appare particolarmente legato. Il codice civile, infatti, stabilisce che il principale scopo che deve perseguire il giudice, nel momento in cui stabilisce le condizioni di separazione e divorzio dei coniugi, è la tutela dell’interesse morale e materiale del minore, quindi non è di ostacolo un provvedimento che disciplini, nel complesso dei valori affettivi del minore, anche la sorte dell’animale domestico.

Di senso opposto, l’indirizzo che ritiene tra le competenze del Giudice anche quella di poter disporre dell’affido dell’animale, di tale avviso per esempio è il Tribunale di Varese, il quale ha sancito che “deve oggi ritenersi che il sentimento per gli animali costituisca un valore e un interesse a copertura costituzionale e per questo deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia e, quindi, a mantenere la relazione con il proprio cane o gatto.[5]

Questo principio ha guidato diversi provvedimenti in cui è stata decisa la sorte dell’animale d’affezione, in altrettanti casi di separazione coniugale; inoltre ha consentito di superare il concetto dell’animale come puro bene patrimoniale e di usare come criterio per l’affidamento il legame affettivo instauratosi tra l’animale stesso e i diversi membri della famiglia.

Peraltro a riprova di quanto sostenuto dal Tribunale di Varese è appena il caso di sottolineare come nel 2007, trattando un caso di maltrattamento, la Cassazione abbia affermato che chiunque abbia la gestione e il controllo dell’animale deve “comportarsi con la stessa diligenza e attenzione che normalmente si usano verso un minore”, tenendo conto delle sue esigenze di protezione e del suo interesse a non soffrire.[6]

Non si comprende il motivo per cui questo principio non possa valere anche nei casi in cui il nucleo familiare si disgrega e l’animale, proprio come un bambino, rischia la perdita dei suoi punti di riferimento, a cui dare e da cui ricevere attenzioni e affetto

Emblematica la pronuncia del Presidente del Tribunale di Foggia il quale ha affidato il cane ad un coniuge indipendentemente dalla intestazione formale. Il giudicante, nel caso di specie, ha ritenuto che quasi sempre ai cani viene assegnato un microchip con il nome del padrone, ma, non essendo il cane un bene mobile registrato, può aver sviluppato una relazione affettiva con altro soggetto (in questo caso l’altro coniuge).

Inoltre, l’anagrafe canina non dispone di alcun controllo sulla veridicità di quanto affermato dal richiedente, in quanto solitamente ci si presenta dal veterinario autorizzato, si fa il microchip per il cane e questo determina l’immediata intestazione. Lo scopo dello strumento del microchip è quello di poter risalire all’identità del padrone che, però, va inteso in senso ampio quando il cane convive all’interno di un nucleo famigliare. Per tale ragione il Giudice ha privilegiato l’interesse materiale e affettivo dell’animale, affidando lo stesso al coniuge che, secondo una sommaria istruttoria, era risultato essere quello che maggiormente assicurava il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale. [7]

  1. Conclusioni

Concludendo, sulla base delle pronunce analizzate, è possibile affermare che pur avendo i singoli Tribunali un approccio diverso nell’affrontare i singoli casi, filo conduttore è la valutazione da parte del giudice del valore della relazione che si è instaurata tra le parti e l’animale e il benessere e l’interesse dello stesso. Gli animali vengono qualificati come esseri capaci di provare sensazioni, ripudiando l’arcaico concetto di animale quale bene patrimoniale con esclusivo valore economico e privo di qualsivoglia affezione.

Tuttavia, nonostante l’indirizzo giurisprudenziale, si auspica la redazione di una disciplina ad hoc che quanto meno indichi al giudicante quali indici ed elementi possono essere utilizzati al fine di analizzare quale possa essere il benessere e l’interesse dell’animale e soprattutto da quali basi possa compiersi una valutazione della solidità del legame affettivo instauratosi.

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Riferimenti bibliografici.

  1. Castignone, Psicologia della relazione affettiva tra l’uomo e gli animali, in La questione animale, a cura di Castignone – Lombardi – Vallauri, nel Trattato di biodiritto,diretto da Rodotà – Zatti, Giuffré, Milano, 2012;
  2. Donadoni, Animali e relazioni famigliari, in La questione animale, a cura di Castignone – Lombardi – Vallauri, nel Trattato di biodiritto,diretto da Rodotà – Zatti, Giuffré, Milano, 2012;

Riferimenti giurisprudenziali

Cass. Civ. n. 14846/2007;

Cass. pen. n. 46291/2013;

Cass. Civ. n. 20934/2017;

Tribunale di Cremona sentenza 11 giugno 2008;

Tribunale di Como 3 febbraio 2016;

Tribunale di Milano sentenza 2 marzo 2011;

Tribunale di Milano sentenza 13 marzo 2013;

Tribunale Modena sentenza 8 gennaio 2018;

Tribunale di Roma sentenza n. 5322/2016;

Tribunale di Roma sentenza n. 2689/2016;

Tribunale di Sciacca sentenza 19 febbraio 2019;

Tribunale di Varese sentenza 7 dicembre 2011;

Riferimenti normativi

Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia;

Dichiarazione universale dei diritti dell’animale;

Trattato di Lisbona.

Note

[1] Cass. Civ. n. 20934/2017.

[2] Trib. Modena sent. 8 gennaio 2018 e nello stesso senso Trib. Como sent. 3 febbraio 2016.

[3] Trib. Roma sent. n. 5322/2016.

[4] Sul punto si veda Trib. Milano ord. del 2 marzo 2011.

[5] Trib. Varese sent. 7 dicembre 2011.

[6] Cass. Pen. n. 14846/2007. Sul punto esemplare anche altra sentenza che riconosce come il maltrattamento non sia da considerarsi solo in senso fisico, ma anche psichico, in quanto la legge vuole “tutelare gli animali quali esseri viventi capaci di percepire con dolore comportamenti non ispirati a simpatia, compassione ed umanità” Cass. pen. n. 46291/2013.

[7] Sul punto si veda anche recente pronuncia Tribunale di Sciacca del 19 febbraio 2019 sez. Un.

Barbara Marini

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