Separazione e divorzio: prosieguo del giudizio a seguito della morte di uno dei coniugi è da rimettere alle Sezioni Unite

Daniela Sodo 29/11/21
(rimessione al Presidente)

(Riferimento normativo: artt. 5 comma 6 e 9 bis della Legge n. 898 del 1 dicembre 1970)

La vicenda

La Corte d’appello di Ancona nel caso oggi considerato rigettava l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Macerata con la quale era stato accertato il diritto del ricorrente alla corresponsione dell’assegno divorzile con onere a carico del coniuge sino al decesso di quest’ultimo, a fronte della sentenza non definitiva, non impugnata, con la quale lo stesso Tribunale aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e dell’intervenuto sopradetto decesso.

I Giudici territoriali, dunque, hanno ritenuto ammissibile la domanda proposta dalla moglie divorziata tendente ad ottenere la conferma in proprio favore dell’assegno divorzile, già chiesto nei confronti del coniuge poi deceduto, fino alla data del decesso affermando come al contrario non potesse essere chiesto nulla a titolo di mantenimento per il periodo successivo alla morte del de cuius nei confronti degli eredi di questi.

La sentenza di appello veniva dunque impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione per ritenuta violazione o falsa applicazione degli artt. 5 comma 6 e 9 bis della Legge n. 898 del 1970 per avere rigettato l’istanza di declaratoria di cessazione della materia del contendere a far data dalla morte del coniuge defunto e, quindi, con riguardo alle domande svolte nel procedimento di riassunzione della causa di divorzio sul diritto al mantenimento.

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Il contrasto giurisprudenziale in materia e la richiesta di valutazione dell’intervento delle Sezioni Unite

Con questa, dobbiamo riconoscerlo estremamente interessante e soprattutto esauriente, ordinanza oggi in commento i Giudici della Prima Sezione della Corte di Cassazione sollevano giustamente il problema del contrasto giurisprudenziale esistente in tema di effetti processuali del giudizio di separazione o di divorzio nel corso del quale intervenga la morte di uno dei coniugi con particolare riguardo al dubbio, ancora oggi evidentemente irrisolto, se un simile evento determini la cessazione della materia del contendere sia con riferimento al rapporto di coniugio, che con riguardo a tutti i profili economici connessi, in primis ovviamente quelli relativi alla pensione di reversibilità eventualmente spettante al coniuge superstite.

Tra le pieghe poi della vicenda giudiziale trattata, la Corte prende in esame anche la questione dell’incidenza del passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio in relazione alla determinazione della quota della pensione di reversibilità in astratto spettante al coniuge divorziato e al coniuge superstite[1], sebbene questa non sia propriamente la tematica che si intende approfondire con questo nostro scritto.

I Giudici di legittimità, infatti, hanno anzitutto sottolineato in proposito come l’art. 9 della Legge n. 898 del 01 dicembre 1970, come modificato dall’art. 13 della Legge n. 74 del 06 marzo 1987, nel disciplinare gli effetti della morte di uno dei coniugi abbia sancito il principio generale secondo il quale, appunto, l’obbligo dell’assegno divorzile cessa, oltre che con il passaggio a nuove nozze del coniuge beneficiario, anche con la morte dell’uno o dell’altro e che, nel caso di morte di quello obbligato, sorgono altri diritti sulla pensione di cui era titolare il coniuge deceduto a favore del beneficiario del precedente assegno[2].

Pur nella chiarezza semantica della disposizione normativa in questione, tuttavia, la posizione assunta nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità, e coerentemente ripresa e richiamata anche nell’ordinanza oggi in commento, è stata quanto mai oscillante e contraddittoria.

La Cassazione, invero, sottolinea come sul tema si sia formato un primo orientamento[3], cui i giudici di merito remittenti si sono rifatti, secondo il quale, sebbene sia indiscussa la natura patrimoniale speciale del diritto al mantenimento contrassegnata dalla sua indisponibilità, incedibilità ed individualità, la morte del soggetto obbligato in corso di causa non determini la cessazione della materia del contendere, permanendo l’interesse della parte richiedente l’assegno al credito avente ad oggetto le rate scadute anteriormente alla data del decesso, peraltro trasmissibile nei confronti degli eredi per le somme maturate nel periodo successivo all’inizio del procedimento e fino alla data del decesso dell’ex coniuge obbligato.

La motivazione sottesa a questa tesi è per certi versi facilmente intuibile sotto un profilo squisitamente giuridico poiché si fonda sul presupposto che la morte di uno dei coniugi comporti la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione e di divorzio unicamente per quanto attiene alla regolamentazione dello status, per ovvie ragioni naturali, senza alcuna incidenza però sulle questioni di natura economica e patrimoniale, oltretutto non prive di riflessi sulla sfera giuridica delle parti e dei loro eredi.

In senso diametralmente opposto, invece, addirittura nel solco di un indirizzo che trova le sue prime pronunce sin dagli anni ottanta[4], si è espressa altra giurisprudenza di legittimità nel sostenere che la morte di uno dei coniugi sopravvenuta in pendenza del giudizio di separazione personale o di divorzio, anche nella fase di legittimità, comporti in toto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, e quindi con riferimento non solo al rapporto di coniugio ma anche a tutti i profili economici connessi, travolgendo l’evento-morte ogni pronuncia in precedenza emessa che non sia ancora passata in giudicato.

Nell’ordinanza in commento, la Corte al riguardo richiama espressamente una propria pronuncia[5] nella quale, sempre in presenza di una sentenza non definitiva di divorzio passata in giudicato come nel caso in esame, si è affermato “che, in tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la morte del coniuge, anche nel corso del giudizio di legittimità, fa cessare la materia del contendere sia nel giudizio sullo “status” che in quello relativo alle domande accessorie, compreso il giudizio sulla richiesta di assegno divorzile, non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, posto che l’obbligo di corresponsione di tale assegno è personalissimo e non trasmissibile agli eredi, trattandosi di posizione debitoria inscindibilmente legata a uno “status” personale, che può essere accertata solo in relazione alla persona cui detto “status” si riferisce”.

Questa tesi, che si definisce “prevalente” nel variegato e complesso panorama giurisprudenziale della Corte Suprema, è stata basata sulla inscindibile unitarietà della causa di divorzio, per nulla scalfita e/o anche solo pregiudicata dall’emissione della sentenza non definitiva di declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio in quanto espressamente prevista dal nostro sistema processuale e normativo proprio per venire incontro maggiormente alle necessità dei coniugi che possano riacquistare in tal modo uno status di soggetti liberi dal vincolo matrimoniale e, dunque, godere della propria libera determinazione di scelte personali senza pregiudizio da quelle ragioni di mera complessità istruttoria che giustificano una pronuncia differita e distinta sulle domande accessorie.

A vedere dei Giudici di legittimità ancorati a questo indirizzo, tali ragioni processuali e di garanzia della libertà personale degli ex coniugi, quindi, “se non possono costituire il presupposto per una dilazione ingiustificata sulla pronuncia relativa allo status non possono altresì costituire una fonte di deroga al principio per cui l’obbligo di contribuire al mantenimento dell’ex coniuge sia, come detto, personalissimo e non trasmissibile proprio perché si tratta di una posizione debitoria inscindibilmente legata a uno status personale e che conserva questa connotazione personalissima perché può essere accertata solo in relazione all’esistenza della persona cui lo status personale si riferisce.

Alla luce, pertanto, della richiamata dicotomia di posizioni, gli Ermellini nel richiedere il necessario intervento delle Sezioni Unite inquadrano esattamente il problema interpretativo a queste rimesso individuandolo più esattamente nella questione “se il coniuge divorziato abbia o meno diritto alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all’assegno divorzile non venga riconosciuto giudizialmente (sia nella sua esistenza, sia nel suo ammontare), per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato, pur essendo passata in giudicato la statuizione sullo status di divorziato assunta con sentenza non definitiva”.

Gli stessi Ermellini, peraltro, sottolineano al riguardo come non sia sufficiente un indirizzo di maggioranza a stabilire quale delle due posizioni sia la più corretta e debba perciò prevalere e come tale indiscussa incertezza interpretativa assuma anche dei risvolti processuali rilevanti per le parti del giudizio, ed a maggior ragione per i loro eredi e/o aventi causa, “dipendenti da dati fattuali sopravvenuti che non si riassumono soltanto nel decesso dell’obbligato, ma anche nella velocità di accertamento del diritto dei pretesi beneficiari al godimento delle correlate prestazioni solidaristiche”.

Effettivamente, lo sforzo interpretativo oggi assunto dalla Corte di Cassazione ha il merito di sviscerare anche profili di interesse e di valutazione che non attengono solo all’aspetto meramente normativo ma che involgono problematiche di natura squisitamente processuale, quali, ad esempio, quelle relative alla legittimazione attiva e/o passiva di soggetti, eredi del coniuge defunto, nel proseguire o meno il giudizio che non possiamo più definire “di separazione o di divorzio” ma, semmai, di riconoscimento di diritti e/o obbligazioni di natura patrimoniale ed economica.

Pur attendendo, pertanto, con curiosità le determinazioni che le Sezioni Unite riterranno di adottare, a dispetto della ritenuta “prevalenza” della seconda tesi, probabilmente anche perché fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità più recente, la prima posizione sopra richiamata potrebbe sembrare quella maggiormente rispondente ai principi generali di diritto dettati anche in materia di rapporti obbligatori e soprattutto più garantista di tutti i soggetti che da una vicenda processuale di tal genere risultino effettivamente coinvolti sia pure a diverso titolo.

Più precisamente, appare maggiormente condivisibile l’orientamento di chi sostiene l’autonomia della decisione sullo status del soggetto separando o divorziando rispetto a quella sugli aspetti economici e patrimoniali che derivano dalla gestione della crisi coniugale, poiché è evidente che quanto meno nel lasso di tempo intercorrente tra la domanda di separazione e/o divorzio ed il decesso del soggetto accertato come beneficiario della provvidenza di mantenimento la relativa obbligazione debba essere incontestabilmente adempiuta e costituisca, a tutti gli effetti, un credito di natura successoria.

Ciò comporterebbe di per sé la conseguente adesione alla tesi che il giudizio in questione, lo si ripete non più qualificabile come “di separazione o di divorzio”, possa e debba proseguire con piena legittimazione attiva in capo agli eredi del coniuge beneficiario deceduto.

Si tratterebbe, oltretutto, di una interpretazione conforme anche all’ulteriore principio di diritto secondo il quale, pur nel silenzio dell’art. 156 c.c., l’obbligo al mantenimento, una volta accertato e statuito in un provvedimento giudiziale, decorra sempre dalla data di proposizione della domanda[6] quale naturale corollario della volontà del nostro sistema di evitare che un diritto possa essere pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.

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Note

[1] In proposito si veda anche mia nota “Pensione di reversibilità: nella ripartizione con il coniuge divorziato attenzione ai diritti della nuova moglie ex badante del de cuius” in www.salvisjuribus.it, Famiglia, 18 giugno 2021

[2] testualmente l’art. 9 stabilisce che “In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge, rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”

[3] Cfr tra le altre Cass. 11 aprile 2013 n. 8874 e 24 luglio 2014 n. 16951

[4] la Corte di Cassazione richiama le proprie pronunce 29 gennaio 1980 n. 661; 18 marzo 1982 n. 1757; 3 febbraio 1990 n. 740; 4 aprile 1997 n. 2944; 27 aprile 2006 n. 9689; 20 novembre 2008 n. 27556; 26 luglio 2013 n. 18130; 8 novembre 2017 n. 26489; 2 dicembre 2019 n. 31358

[5] Cass. sentenza 20 febbraio 2018 n. 4092

[6] Cass. Civ. n. 2960 del 03 febbraio 2017 e, conforme, Cass. Civ. ord. n. 10788 del 04 maggio 2018 – vedi anche “La decorrenza dell’assegno di mantenimento” di Redazione, in questa Rivista, 09 febbraio 2021

Sentenza collegata

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Daniela Sodo

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