Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione VI-1 Civile, con l’ordinanza del 20 marzo 2018, n. 6886, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Torino.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che la Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 9XX/2016, ha revocato l’assegno di mantenimento che il tribunale aveva posto a carico di TIZIO, e quantificato in euro 800,00 mensili, in favore della moglie separata LIDIA “fino a quando la signora non reperirà un’attività lavorativa” ed ha confermato il contributo di mantenimento in favore della figlia Gaia.
Avverso tale decisione, Lidia ha proposto ricorso per la cassazione sulla base di unico motivo.
Il motivo di ricorso
Con l’unico motivo la ricorrente Lidia ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civile, 115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto l’insussistenza del proprio diritto al pagamento dell’assegno di mantenimento, avendo la sentenza impugnata posto a suo carico l’onere di dimostrare l’inadeguatezza dei suoi redditi a conservare il tenore di vita matrimoniale, mentre era Tizio che doveva dimostrare il possesso dei redditi adegua.
Lamenta, inoltre, Lidia che la Corte ha omesso di considerare che ella aveva tentato di trovare un’occupazione, mediante stages di lavoro, ma senza esito positivo.
La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 6886/2018, ha ritenuto il motivo non fondato ed ha rigettato il ricorso.
Sul punto controverso la Suprema Corte precisa che la sentenza della corte di merito pur avendo ritenuto sussistente il divario tra le capacità economiche dei coniugi, ha ritenuto che “lo stato di disoccupazione di Lidia, (peraltro già accertato dal tribunale di prime cure) non fosse incolpevole e, quindi, non giustificasse l’attribuzione dell’assegno di mantenimento, non avendo ella dimostrato di essersi attivata per reperire un’occupazione lavorativa, tenuto conto della sua giovane età (35 anni), del titolo di studio di cui era in possesso (laurea), della mancanza di patologie invalidanti e del tempo trascorso dalla data del deposito del ricorso per la separazione (circa sei anni)”.
La Corte aggiunge che trattasi di un plausibile accertamento di fatto, compiuto dal giudice del merito, come tale opportunamente motivato e sottratto al sindacato di legittimità.
Neppure coglie nel segno la critica alla sentenza del giudice d’appello riferita alla violazione dell’art. 2697 codice civile circa l’erronea applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova.
Se è vero che nella separazione personale i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 cod. civile, l’assegno di mantenimento a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Corte di Cassazione, n. 12196/2017), è anche vero che la prova della ricorrenza dei presupposti dell’assegno incombe su chi chiede il mantenimento.
Tale prova ha ad oggetto anche l’incolpevolezza del coniuge richiedente quando, come nel caso in esame, sia accertato di fatto, che “lo stesso pur potendo non si sia attivato doverosamente per reperire un’occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini, con l’effetto di non poter porre a carico dell’altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione del tenore di vita matrimoniale”.
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