Sequestro preventivo, ammissibile anche senza preventiva verifica di infruttuosità

È legittimo il decreto di sequestro preventivo che presenti una struttura “mista“, prevedendo la sottoposizione a titolo di sequestro diretto e, in subordine, a titolo di sequestro per equivalente su beni delle persone fisiche nel caso in cui il sequestro diretto, da eseguirsi nei confronti della persona giuridica, risulti infruttuoso o incapiente rispetto al patrimonio di quest’ultima, salva la necessità, nel secondo caso, di predeterminare, già con il provvedimento genetico, il valore del compendio assoggettabile alla cautela.

Nell’ipotesi di sequestro preventivo a struttura “mista“, non è necessario che la verifica della infruttuosità od incapienza venga eseguita preventivamente all’adozione del decreto di sequestro preventivo, potendo la stessa essere eseguita, in caso di sequestro a struttura “mista“, anche in fase di esecuzione del decreto da parte del P. M. purchè in un momento comunque precedente all’apprensione sui beni della persona fisica.

(Ricorsi rigettati)

(Orientamento confermato)

(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 321)

Il fatto

Con ordinanza emessa in data 28.03.2017, depositata in data 7.04.2017, il Tribunale del riesame di Bergamo rigettava la richiesta di riesame proposta in data 17.03.2017 nell’interesse dell’indagato L. P., avente ad oggetto il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/tribunale di Bergamo in data 22.02.2017, eseguito in data 8.03.2017, finalizzato alla confisca di denaro e di beni, mobili ed immobili, nella disponibilità del medesimo indagato in relazione al profitto riconducibile al reato provvisoriamente contestato, fino all’equivalente di € 421.950,00, importo pari alla somma dell’importo di imposta evasa indicata nel richiamato capo di imputazione cautelare (art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000, con riferimento alle dichiarazioni fiscali dei redditi ed IVA quanto al periodo di imposta 2011), nel caso in cui il sequestro diretto, da eseguirsi nei confronti della L.P. s.r.l., risultasse infruttuoso o incapiente rispetto all’imposta evasa.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Proponevano ricorso per cassazione l’indagato L. e l’indagato P., nella prospettata qualità di amministratore unico il primo ed amministratore di fatto il secondo, della L.P. s.r.I., a mezzo di comune difensore di fiducia iscritto all’albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo, con un unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt. 321, cod. proc. pen. e 12-bis, d. Igs n. 74 del 2000.

In particolare i ricorrenti, in sintesi, si dolevano del fatto che il giudice del riesame avrebbe erroneamente ritenuto che il sequestro per equivalente nei confronti degli indagati fosse stato correttamente disposto, avendo dato peraltro atto che lo spostamento della misura cautelare reale dal bene costituente il prodotto/profitto del reato ad altro bene nella disponibilità dell’indagato richiede il preliminare accertamento circa l’esistenza obiettiva di un bene costituente profitto o prezzo, la cui confisca sia impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia determinato la perdita od il trasferimento irrecuperabile; tali principi non sarebbe stati applicati correttamente dal tribunale del riesame, in quanto dalla stessa lettura del decreto di sequestro preventivo, emergerebbe che il Gip non avrebbe disposto la confisca in forma diretta nei confronti della società L.P. s.r.I., ma si sarebbe limitato a specificare con un inciso, riportato nell’ultimo periodo del decreto impugnato, che il sequestro per equivalente è subordinato all’infruttuosità o incapienza del sequestro diretto nei confronti della società senza effettivamente ordinarlo; il breve sintagma contenuto nell’ultimo periodo del decreto di sequestro preventivo non sarebbe sufficiente ad escludere quel necessario preliminare accertamento circa l’impossibilità, anche transitoria, di procedere al sequestro in forma diretta; in secondo luogo, poi, si osservava in ricorso come, in risposta ad una seconda doglianza della difesa, i giudici del riesame avessero dato conto che, in ogni caso, l’accertamento negativo della capacità patrimoniale della società L.P. s.r.l. era stato effettuato dalla GdF in data 24.02.2017, e riportato nell’informativa 2.03.2017, relativa alla materiale esecuzione del decreto di sequestro preventivo, ciò essendo sufficiente a giustificare la misure ablatoria per equivalente; la difesa non condivideva tale assunto in quanto il decreto di sequestro fu emesso due giorni prima della verifica eseguita dalla GdF, ossia il 22.02.2017, dunque il provvedimento del Gip sarebbe stato illegittimo in quanto emesso in assenza di qualsiasi verifica preventiva dell’incapienza e/o infruttuosità della società L.P. s.r.l.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

La Cassazione rigettava i ricorsi proposti alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si evidenziava in particolare che, come chiarito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, omissis, Rv. 258648), si può far luogo al sequestro per equivalente soltanto dopo avere verificato la impossibilità, ancorché temporanea, di sottoporre al provvedimento cautelare i beni che, direttamente o indirettamente, siano riferibili al profitto del reato (il quale, nei reati tributari, è costituito da “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario”: così Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, omissis, Rv. 255036) fermo restando però che tale riscontro, tuttavia, non deve necessariamente essere effettuato nell’originario decreto di sequestro, quanto piuttosto in una fase successiva alla sua emissione, corrispondente alla concreta esecuzione del provvedimento ablativo. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni unite (v. … Sez. U., n. 10561 del 5/03/2014, omissis) dato che, in materia cautelare, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato giacché, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela dato che, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del procedimento, non è, di solito, ancora possibile stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto di reato, previa la loro certa individuazione (in termini v. anche Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, P.M. in proc. omissis, Rv. 265028).

Pertanto, alla luce di ciò, gli ermellini giungevano, per un verso, a postulare, come il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato ex art. 322-ter cod. pen. (oggi, a seguito della novella operata dal D. Lgs. n. 158 del 2110, previsto dall’art. 12-bis, d. 1gs. n. 74 del 2000) possa essere disposto anche solo parzialmente nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costituenti l’utilità economica tratta dall’attività illecita risultino individuabili (Sez. 2, n. 11590 del 9/02/2011, omissis, Rv. 249883), per altro verso, a rilevare, come peraltro già evidenziato dalla stessa Cassazione in precedenti decisioni, che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero (si vedano Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015, omissis, Rv. 265058; Sez. 2, n. 24785 del 12/05/2015, omissis, Rv. 264282; Sez. 3, n. 37848 del 7/05/2014, omissis, Rv. 260148; Sez. 3, n. 10567/13 del 12/07/2012, omissis, Rv. 254918) ben potendo, del resto, il destinatario ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal pubblico ministero nella selezione dei cespiti da confiscare (Sez. 3, n. 20776 del 6/03/2014, omissis, Rv. 259661).

Si evidenziava altresì che lungo la stessa direttrice ermeneutica era stato ritenuto legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituenti profitto illecito anche quando l’impossibilità del loro reperimento fosse anche soltanto transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura (Sez. 2, n. 2823/2009 del 10/12/2008, omissis, Rv. 242653).

Tal che, alla stregua di siffatte considerazioni, i giudici di Piazza Cavour giungevano ad asserire come il provvedimento di sequestro non debba necessariamente contenere una specifica individuazione dei beni da sottoporre alla misura cautelare, potendo certamente rinviare tale specificazione alla successiva fase esecutiva e dunque, come debba ritenersi del tutto legittimo il decreto di sequestro preventivo che presenti, quanto alle forme della realizzazione del vincolo reale, una struttura “mista“, prevedendo la sottoposizione dei beni in parte a sequestro diretto e “in subordine” per equivalente nel caso in cui il sequestro diretto, da eseguirsi nei confronti della società, risulti infruttuoso o incapiente rispetto all’imposta evasa, salva in quest’ultimo caso la necessaria predeterminazione dell’ammontare del valore del compendio assoggettabile alla cautela, e ciò anche perché, nella materia dei reati tributari, il profitto consiste in genere in “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario” (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, omissis, Rv. 255036; conformemente v. anche Sez. 5, n. 36870 del 14/05/2013, omissis, Rv. 256945), sicché il sequestro preventivo ha ad oggetto, di regola, somme di denaro rispetto alle quali la forma della cautela è quella “diretta” (così Sez. 6, n. 30966 del 14/06/2007, omissis, Rv. 236984, secondo cui è legittimamente operato in base alla prima parte dell’art. 322-ter, comma 1, cod. pen., il sequestro preventivo delle disponibilità del conto corrente dell’imputato).

Da ciò ne veniva fatta discendere l’ulteriore considerazione secondo la quale è ammissibile che con il decreto di sequestro si faccia luogo all’applicazione della cautela sul denaro (sequestro “diretto“) nonché sugli altri beni, mobili o immobili (comprese, ad es., le quote societarie di spettanza), rinvenibili nella sfera giuridico-patrimoniale di ciascuno dei compartecipi al reato fino al valore del profitto determinato, nello stesso decreto, dal giudice fermo restando che tali beni verranno poi concretamente determinati nel momento esecutivo, con obbligo, gravante in prima battuta sul pubblico ministero investito dell’esecuzione e, quindi, sul giudice della cautela (e, infine, sul tribunale del riesame in sede di ulteriore e successivo controllo), di verificare il preventivo esperimento del sequestro nella forma diretta e, al contempo, la corrispondenza, quanto al sequestro per equivalente, del valore delle cose sequestrate a quello del profitto determinato nel provvedimento ablativo.

Una volta chiarito ciò, la Corte addiveniva dunque a formulare il seguente principio di diritto: “È legittimo il decreto di sequestro preventivo che presenti una struttura “mista”, prevedendo la sottoposizione a vincolo a titolo di sequestro diretto e, in subordine, a titolo di sequestro per equivalente su beni delle persone fisiche (nella specie, amministratore di diritto e di fatto di una s.r.1.), nel caso in cui il sequestro diretto, da eseguirsi nei confronti della persona giuridica, risulti infruttuoso o incapiente rispetto al patrimonio di quest’ultima, salva la necessità, nel secondo caso, di predeterminare, già con il provvedimento genetico, il valore del compendio assoggettabile alla cautela (fattispecie in materia di reati tributari)”.

Dopo aver formulato siffatto principio di diritto, i giudici di legittimità ordinaria esaminavano il secondo rilievo sollevato nel ricorso, con cui i ricorrenti si dolevano dell’illegittimità del decreto di sequestro preventivo in quanto emesso in assenza di qualsiasi verifica preventiva dell’incapienza e/o infruttuosità della società L.P. s.r.I., atteso che l’accertamento negativo della capacità patrimoniale della società L.P. s.r.l. era stato effettuato dalla GdF in data 24.02.2017, e riportato nell’informativa 2.03.2017, relativa alla materiale esecuzione del decreto di sequestro preventivo, mentre il decreto era stato emesso il 22.02.2017.

Orbene, siffatta doglianza veniva stimata anch’essa infondata stante il fatto che il provvedimento del GIP, nel disporre il sequestro preventivo per equivalente subordinatamente ad una condizione (ossia, si legge “nel caso si riveli infruttuoso od incapiente rispetto alle imposte evase il sequestro diretto”), demandava all’organo dell’esecuzione, il PM, di accertare se sussistessero o meno le condizioni per dare esecuzione al sequestro diretto o per equivalente e in tale contesto, dunque, la circostanza che, in sede di esecuzione del provvedimento del GIP, fosse intervenuto successivamente a distanza di due giorni dalla sua emissione, l’esito negativo degli accertamenti disposti dal PM a mezzo della GdF in ordine alla capienza del patrimonio della persona giuridica ai fini dell’esecuzione del sequestro diretto, determinava l’avveramento della condizione cui il provvedimento del GIP aveva subordinato l’esecuzione del sequestro preventivo nella forma per equivalente sul patrimonio delle persone fisiche.

Ad avviso della Cassazione, di conseguenza, legittimamente il sequestro preventivo era stato eseguito per equivalente a seguito di tale accertamento (postumo rispetto all’emissione del decreto), atteso che è pacifico nella giurisprudenza emessa in sede di legittimità che, al fine di poter disporre la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica, è pur sempre necessario che risulti la disponibilità nel patrimonio della stessa di beni o denaro da aggredire, non sussistendo un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca di liquidità o cespiti anche nel caso in cui risulti “ex actis” l’incapienza del patrimonio dell’ente (cfr. Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014 – dep. 11/02/2015, omissis, Rv. 262770), non essendo necessario ai fini della legittimità del sequestro per equivalente, che la verifica della incapienza del patrimonio della persona giuridica venga eseguita preventivamente all’adozione del decreto di sequestro preventivo, potendo la stessa essere eseguita, in caso di sequestro a struttura “mista” anche nella fase dell’esecuzione da parte del PM.

Rilevato ciò, si addiveniva a formulare un secondo principio di diritto così enunciato: “Nell’ipotesi di sequestro preventivo a struttura “mista” (ossia laddove il provvedimento disponga il sequestro diretto nei confronti della persone giuridica e, in subordine, quello per equivalente nei confronti della persona fisica che ne ha la rappresentanza, nel caso si riveli infruttuoso od incapiente il primo rispetto al patrimonio della persona giuridica), non è necessario che la verifica della infruttuosità od incapienza venga eseguita preventivamente all’adozione del decreto di sequestro preventivo, potendo la stessa essere eseguita, in caso di sequestro a struttura “mista”, anche in fase di esecuzione del decreto da parte del P. M. purchè in un momento comunque precedente all’apprensione sui beni della persona fisica”.

Conclusioni

La sentenza in argomento è sorretta da un adeguato vaglio motivazionale, connotato da molteplici riscontri giurisprudenziali, in cui si affronta in modo articolato la tematica inerente il sequestro preventivo a struttura “mista” ossia quello con cui si prevede la sottoposizione a titolo di sequestro diretto e, in subordine, a titolo di sequestro per equivalente su beni delle persone fisiche nel caso in cui il sequestro diretto, da eseguirsi nei confronti della persona giuridica, risulti infruttuoso o incapiente rispetto al patrimonio di quest’ultima.

Orbene, come esaminato anche prima, la Corte si è espressa in questa pronuncia per la sua ammissibilità ponendo come unico limite, nel caso in cui il sequestro diretto risulti infruttuoso o incapiente rispetto al patrimonio della persona giuridica e qualora si operi avverso di essa nell’ipotesi di sequestro per equivalente su beni delle persone fisiche, quello di predeterminare, già con il provvedimento genetico, il valore del compendio assoggettabile alla cautela ritenendo però al contempo non necessaria la verifica della infruttuosità od incapienza prima che venga emesso il decreto di sequestro preventivo purchè ciò avvenga prima della materiale apprensione di ciò che viene sequestrato.

Va da sé dunque che, sul piano pratico, un decreto di questo genere potrà essere validamente contestato in sede di legittimità solo qualora difetti questa “predeterminazione” del quantum assoggettabile a sequestro mentre a nulla rileverebbe il caso in cui la verifica della infruttuosità od incapienza non fosse stata compiuta prima di adottare questo provvedimento semprechè, come appena visto prima, ciò si verifichi con la concreta esecuzione del decreto di sequestro.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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