La giurisprudenza torna ad occuparsi dell’antica tematica afferente il concetto del “giusto equilibrio” tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela del buon costume e del pudore sessuale e, di riflesso, tra libertà e censura, che aveva ampiamente occupato le pronunce dei giudici supremi a partire dagli anni settanta in merito alle pubblicazioni e agli spettacoli c.d. osceni.
Chi non ricorda infatti, almeno per sentito dire, la lotta “iconoclastica” intrapresa dalla politica e dalla magistratura italiana nel corso degli anni settanta alle immagini e alle pubblicazioni oscene e contrarie alla pubblica decenza che aveva prodotto un forte “regime” di proibizionismo, causticamente illustrato dalle più note commedie cinematografiche italiane di quel periodo?
L’atteggiamento manifestato allora dalla cittadinanza ben si poteva riassumere nella figura filmica di quel magistrato di ferro, irreprensibile (interpretato sul grande schermo da un noto attore italiano), che di giorno disponeva a tutto sprone sequestri di pubblicazioni a sfondo sessuale e di notte si recava clandestinamente in edicola con la moglie, per acquistarne le copie scampate ai suoi provvedimenti restrittivi e così soddisfare le proprie tendenze.
A distanza di tanti anni, si scopre ancora oggi che il dibattito non si è affatto affievolito ma anzi, ha continuato silenziosamente ad imperversare nelle aule di giustizia seppur con gli aggiornamenti del mutato quadro “virtuale” di riferimento, atteso che la pubblicazione dei messaggi osè trova attualmente nella rete internet il principale veicolo di diffusione.
Ed è proprio alla luce di tali preliminari considerazioni che deve essere letta la sentenza in commento, considerato che la vicenda sottoposta all’attenzione della Suprema Corte trae spunto da un provvedimento di un Tribunale del Riesame del Veneto, che aveva accolto la richiesta avanzata da alcuni indagati per il reato di cui all’art.3, comma 1, n.8) della legge 75/58 (favoreggiamento della prostituzione), avverso un decreto di sequestro preventivo di alcuni siti internet e riviste rappresentanti soggetti e annunci di prestazioni sessuali.
Il Collegio distrettuale ha ritenuto nel caso in esame che la misura reale a suo tempo disposta dal GIP era in realtà incompatibile con il divieto prescritto dall’art.21 della Costituzione, il quale dispone al comma 2 che la stampa in genere non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure, mentre al comma 3 specifica che si può procedere a sequestro della stessa solamente per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili (Rdl 561/46 e legge 47/48), e che al sito internet censurato (e quindi ai messaggi presenti sul web), doveva comunque ritenersi applicabile la medesima disciplina prevista per la stampa, per effetto dell’esplicita equiparazione contenuta nella legge 62 del 2001.
Il procedimento penale riguardava fatti di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione a carico di alcuni individui, rei di avere pubblicato annunci sessuali su alcune riviste e siti internet ad esse connessi, per i quali era stato così disposto il sequestro preventivo, unitamente ad altro materiale (documenti vari, personal computer, ecc…).
Avverso il provvedimento di accoglimento del riesame proposto dagli indagati, ricorreva per cassazione il Procuratore della Repubblica competente, deducendo tre motivi di doglianza ex art.606 lett.b) ed e) c.p.p.: 1) erronea interpretazione dell’articolo 21 della Costituzione e degli articoli 1 e 2 del Rdl 561/46, sul presupposto dell’omessa motivazione del carattere osceno o meno delle riviste, essendo ritenute le stesse di contenuto osceno o, comunque, offensivo alla pubblica decenza; 2) erronea interpretazione dell’art.21 Cost., degli artt.2, 3, 5 della legge 47/48 e degli artt.1 e 2 del Rdl 561/46, con riguardo ai siti internet, rilevando che qualora le immagini dei siti internet debbano considerarsi sottratte al concetto di stampa, alle stesse non possono applicarsi le garanzie costituzionali, mentre se, invece, ad essa devono essere accomunate, ci si troverebbe comunque in presenza di una vera e propria stampa clandestina, per mancato rispetto delle norme citate; 3) erronea interpretazione dell’art.21 Cost., dell’art.321 c.p.p. e profili di incostituzionalità dell’art.2 del Rdl 561/46, consistente nell’irragionevolezza di una disposizione che permetterebbe il sequestro delle pubblicazioni oscene, escludendolo invece per quelle strettamente collegate al reato di favoreggiamento della prostituzione.
L’interrogativo posto dai motivi di ricorso appena prospettati era dunque in buona sostanza quello per cui si doveva stabilire se le riviste e i siti internet contenenti immagini e annunci di carattere sessuale fossero passibili di sequestro, ovvero se tale misura reale andasse a ledere lo spazio di garanzia riservato alla stampa dall’art.21 della carta costituzionale.
L’ineccepibile risposta fornita dalla Cassazione con la sentenza in parola ha avallato il primo dei quesiti proposti, oltre che mostrarsi del tutto innovativa, andando infatti ad aggiornare il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento al nuovo contesto “virtuale” di favoreggiamento della prostituzione, in considerazione del ruolo svolto dalla rete internet nella pubblicazioni di immagini e annunci osè.
Accogliendo il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, i giudici supremi hanno dapprima inteso precisare che la decisione impugnata, pur avendo indicato la stampa come uno dei mezzi di diffusione del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantito, riteneva in realtà che ogni stampa o stampato fosse passibile di tutela, mostrando così di allinearsi a presupposti e conseguenze giuridicamente inaccettabili.
Ed infatti – ha proseguito la Corte – seppur l’art.21 Cost. sottragga la stampa da autorizzazioni e censure, permettendo il sequestro della stessa solamente nel caso di “delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi “ (art.2, Rdl 561/46), ovvero nel caso di “violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili” (art.16, l.47/48), così come l’indirizzo manifestato dalla medesima Corte (sez.V, 15961/06; 27996/04) prevede che, in tema di reati commessi col mezzo della stampa, il sequestro di non più di tre copie della pubblicazione ai sensi dell’art.1, co.2, del Rdl 561/46, deve ritenersi solamente di tipo probatorio e non anche preventivo, essendo quest’ultimo stato inserito nell’ordinamento in tempi più recenti (nuovo codice di rito del 1989) ed essendo una simile limitazione (solo 3 copie), assolutamente incompatibile con le finalità previste per le misure cautelari di cui all’art.321 c.p.p., tali principi non possono comunque ritenersi applicabili al caso di specie.
I principi e le norme appena enunciati infatti, riguardano secondo la Corte le pubblicazioni di libri e le manifestazioni di pensiero in genere, diffuse a mezzo stampa e, dunque, disciplinate rettamente dall’art.21 Cost.; non invece le immagini e i cataloghi di soggetti con annunci di prestazioni sessuali, anche particolari.
Nella vicenda sottoposta all’attenzione degli ermellini invero, la stampa non può intendersi come manifestazione del pensiero, ma piuttosto come “il veicolo del messaggio pubblicitario, ed in quanto tale non si inquadra nel diritto costituzionalmente garantito (c.d. libertà di stampa) – secondo le richiamate disposizioni dell’art.21 Cost. – ma costituisce un mezzo pubblicitario da valutare in sé, secondo la disciplina dello stesso articolo 21, successivo comma 6, che lungi dal costituire mera ripetizione del precedente comma 3, si riferisce ai mezzi di diffusione considerati in maniera del tutto autonoma”. Il comma 6 dell’art.21 Cost, nella fattispecie, stabilisce che: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume. La legge stabilisce i provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni”.
Dette pubblicazioni (tra le quali rientrano anche gli spettacoli e le altre manifestazioni), sono pertanto vietate in assoluto e l’eventuale sequestro preventivo delle stesse deve certamente ritenersi legittimo per espressa previsione del legislatore costituente, anche se introdotto in epoca successiva.
La Corte in conclusione, pare abbia voluto evidenziare che la tutela costituzionale si rivolge sia al diritto di libera manifestazione del pensiero, sia a quello relativo all’utilizzo libero e pieno dei mezzi di diffusione ad esso pertinenti, ma la concreta applicazione di tali fondamentali diritti di libertà trova i propri limiti, come tutti gli altri diritti fondamentali, nella stessa carta costituzionale, così come nell’ultimo comma dell’art.21 della Costituzione che, nel vietare tutte le manifestazioni contrarie al buon costume, certamente vi ricomprende le condotte di diffusione delle pubblicazioni oscene (art.528 Cp, anche in relazione all’antica questione attinente la responsabilità degli edicolanti) e quelle correlate al favoreggiamento della prostituzione di cui all’art.3 della legge 75/58.
Si deve infatti rammentare che l’Italia, con il Dpr 1071 del 1949, ha assunto anche a livello internazionale l’impegno a perseguire chiunque si renda responsabile della divulgazione di stampati osceni.
Anche le riviste i siti internet contenenti messaggi e annunci aventi sfondo sessuale pertanto, potranno essere assoggettati a sequestro preventivo, alla luce delle recenti e innovative considerazioni appena prospettate.
Avv.Alessandro Buzzoni – Rimini (da: Guida al diritto n.44/07).
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