Servitù di passaggio: le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale

Walter Cerri 19/03/24
Allegati

La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza 3952/2024 ha stabilito il principio in base al quale, in materia di servitù, l’articolo 1027 del codice civile non esclude la possibilità di costituire, tramite convenzione tra le parti, una servitù che consenta il parcheggio di veicoli su un fondo di proprietà altrui. Tuttavia, affinché tale facoltà possa essere riconosciuta, è necessario che sia stata concessa a vantaggio di un altro fondo per favorirne l’utilizzazione migliore, e che siano rispettati tutti i requisiti del diritto reale, compresa una precisa localizzazione.

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Indice

1. Che cos’è una servitù prediale

Il codice civile italiano fornisce la definizione di servitù prediale all’art. 1027 stabilendo che essa consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.  Esaminando sinteticamente la descrizione si evincono due requisiti come la presenza di due fondi legati da un rapporto di vicinanza (ma non necessariamente confinanti) tale per cui sia possibile l’esercizio del diritto relativo, e l’obiettiva utilità che un fondo può trarre dalla limitazione imposta al fondo vicino. Il riferimento al “diverso proprietario” si riferisce al principio per il quale il proprietario di due fondi vicini non può costituirla a favore dell’uno e a carico dell’altro.

2. Il caso

Il signor F.V. aveva adito il Tribunale di Venezia per ottenere la nullità di una servitù di parcheggio temporaneo, transito e manovra di automezzi; essa era stata costituita con la Ar. 3 a mezzo di atto notarile. Nello specifico F.V. era il proprietario del fondo servente; il Giudice di primo grado aveva respinto la richiesta e l’attore aveva impugnato la sentenza presso la Corte di Appello di Venezia. Quest’ultima respingeva il gravame sulla base di alcune circostanze: il riconoscimento della servitù da parte dell’acquirente al momento dell’acquisto dell’immobile; la natura prediale della servitù evidenziata dall’atto costitutivo; la considerazione di un’utilità residua per il fondo servente nonostante l’eccezione di nullità fosse stata sollevata; l’assenza di prove sufficienti atte a dimostrare la non utilità della servitù da parte dell’appellante; l’irrilevanza della destinazione agricola del fondo servente ai fini della validità della servitù; la possibilità di sfruttare il sottosuolo del fondo servente per attività non incompatibili con il parcheggio; la corretta localizzazione delle servitù, individuando le particelle catastali interessate; il riscontro di tutti gli altri requisiti tipici della servitù, quali specificità,determinatezza e inseparabilità rispetto ai fondi dominante e servente.
Contro la pronuncia della Corte di Appello F.V. proponeva ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo che esso venisse assegnato alle Sezioni Unite affinché risolvessero il contrasto tra l’orientamento giurisprudenziale della Corte stessa che respinge la fattibilità della costituzione ed il riconoscimento delle servitù di parcheggio in base al requisito della realità e quello che al contrario ammette la costituzione ed il riconoscimento della servitù perché assimilabile alle altre di carattere prediale.
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3. Come si è arrivati al contrasto giurisprudenziale

Il primo orientamento dottrinale e giurisprudenziale inizia a diffondersi dal 2004 ed è in senso avverso in quanto nega che il parcheggio di mezzi in arre altrui possa annoverarsi tra le servitù poiché esse devono considerarsi una manifestazione legittima di possesso a titolo di proprietà del suolo; secondo questo orientamento (si veda ad es. Cass. 20409/2009; Cass. 15334/2012; Cass. 23708/2016)) il semplice parcheggio delle auto, anche se limitato ad una certa categoria di soggetti e su di un fondo specifico,  non genera una realitas, ovverosia l’utilità del fondo dominante su quello servente, tipica del diritto di servitù. In buona sostanza il vantaggio tratto dal parcheggio sarebbe di natura “personale” e non “fondiario” cioè correlato al soggetto che usufruisce della sosta nonché al proprietario del fondo dominante e non del terreno. Non solo: in circostanze del genere il diritto trasferito sarebbe di natura personale ed obbligatoria e la traslazione dall’avente diritto al nuovo proprietario dovrebbe avvenire in forma scritta ed assumere la configurazione di negozi giuridici come locazioni, affitto, comodato ecc.
La tesi favorevole al novero del parcheggio tra i diritti di servitù (si veda ad es Cass. 12798/2019; Cass. 193/2020; Cass. 24121/2020; Cass. 1486/2023) poggia su un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico come l’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. Il percorso ermeneutico parte dall’assunto delle Sezioni Unite della Cassazione le quali in passato hanno sancito e ribadito che le parti possono ottenere soddisfacenti risultati per la tutela dei loro rispettivi interessi anche attraverso la stipula di contratti generanti effetti reali od obbligatori. Sebbene come noto l’ordinamento imponga il principio di tipicità dei diritti reali, la tesi favorevole all’inserimento del parcheggio tra i diritti di servitù fa leva più sulla tipicità strutturale che su quella contenutistica dell’istituto giuridico. Così facendo si ottiene il superamento della barriera posta dalla tipicità e pertanto l’utilità non è correlata alle persone – proprietarie bensì al fondo dominante: da qui il riconoscimento del diritto di parcheggio come servitù prediale.

5. La decisione delle Sezioni Unite ed il principio sancito

L’attenzione deve essere concentrata su tre dei quattro motivi di ricorso: con il primo viene eccepita la violazione degli art. 1027 e 1028 c.c. poiché la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente una servitù di parcheggio nonostante la mancanza di “un’utilità prediale” sostituita da una “aziendale” ingiustificata  ed illegittima Il ricorrente pertanto si allinea al primo orientamento giurisprudenziale che considera il parcheggio come un esercizio di possesso a titolo di proprietà del suolo e non solo come un’espressione di un potere di fatto derivante dal diritto di servitù.
A proposito del concetto di “industrializzazione” della servitù, questa costituisce l’oggetto del secondo motivo di ricorso proposto sempre per violazione degli art. 1027 e 1028 c.c.; si contesta infatti l’assenza di un collegamento tra l’attività industriale ed il fondo prevalente il quale risulta privo della naturale destinazione all’attività sopra descritta; la Corte d’Appello avrebbe errato nell’individuare nel fondo dominante una natura industriale dal momento che essa doveva essere ricondotta al proprietario del terreno e non al fondo. In altre parole era totalmente sbagliato sostenere che la necessità di consentire la manovra, il transito ed il carico/scarico delle merci ai mezzi fossero tale da considerarsi circostanze sufficienti per la sussistenza di un’utilità.
Nel terzo motivo di gravame si espone la censura della sentenza di secondo grado per violazione degli art. 1027, 1028, 1063, 1065 e 1067 c,c,; secondo il ricorrente non è condivisibile la tesi del Giudice di Appello quando afferma che la presenza di una servitù di parcheggio sul fondo servente non impedisce l’utilizzo di quest’ultimo: la ragione del dissenso poggia sull’estensione della servitù stessa a tutto il fondo che impedisce al proprietario il suo libero utilizzo.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 3925 del 13 febbraio 2024 ha risolto il contrasto giurisprudenziale e nel caso concreto accolto tutti i motivi di ricorso sopra descritti individuando delle criticità nella sentenza di secondo grado.
La Corte esamina la questione partendo da un concetto teorico rimarcato più volte in passato dalla sua stessa giurisprudenza e posto alla base dell’accoglimento del ricorso: il processo di qualificazione giuridica di un istituto si divide in due fasi: nella prima si cerca di individuare la volontà comune delle parti contrattuali (sindacato che spetta solo al giudice di merito e e non a quello di legittimità). Nella seconda si passa alla qualificazione giuridica in senso stretto che comporta l’applicazione di norme giuridiche e non è immune dal giudizio di legittimità per violazione di legge. Concluse queste due fasi, se il giudice all’atto pratico, interpretando il titolo, ritiene che sia stata costituita una servitù reale, tale esercizio ermeneutico rientrerà nella sfera del sindacato di merito e perciò insindacabile da quello di legittimità. Qui sta il “peccato originale” commesso dalla Corte d’Appello: la mancata valutazione del titolo prodotto dal negozio giuridico; nel caso concreto sorge quindi un difetto nell’analisi logico-giuridica necessaria per la corretta individuazione del diritto. Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto valutare con maggiore perspicacia il reale contenuto del contratto ed estrapolare la vera volontà dei contraenti così da verificare la presenza dei requisiti dello ius in re aliena. In altre parole, la Corte d’Appello invece di soffermarsi sul contratto si è soffermata maggiormente ed erratamente sulla determinazione della natura giuridica della servitù: come a dire: ci si concentra sulla “foce” invece che sulla “fonte”. Inoltre, non viene adeguatamente considerata la localizzazione precisa dell’area di parcheggio, essenziale per garantire che la servitù non svuoti il fondo servente di ogni utilità.

Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili – Sent. n. 3925 del 13/02/2024

Walter Cerri

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