Lucia Nacciarone
Con la sentenza n. 33451 del 29 luglio 2014 il Supremo consesso ha risolto il conflitto giurisprudenziale avente ad oggetto il calcolo della sproporzione fra i beni posseduti e i redditi dichiarati, che fa scattare la confisca.
Ad avviso delle Sezioni Unite, la misura scatta proprio con la finalità di bloccare i movimenti dei capitali sospetti per cui costituisce un’arma efficace e necessaria per combattere la criminalità organizzata, ed è quindi lecito tenere conto anche della evasione fiscale di colui che ne è destinatario.
La misura di prevenzione è stata pertanto irrogata nei confronti di un 48enne di Milano, accusato di associazione mafiosa, evasione fiscale, furto e ricettazione.
Per la precisione, «ai fini della confisca di cui all’articolo 2-ter delle legge n. 575 del 1965 (attualmente D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione fiscale».
Tale principio si conforma sia all’orientamento prevalente di legittimità, che alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte Edu.
Inoltre, spiega la Cassazione, è evidente che in caso di evasione c’è il reimpiego delle utilità che ne siano frutto nel circuito economico dell’evasore, al fine di confondere i proventi leciti e illeciti, che è proprio quello che la normativa sulla confisca mira ad evitare.
Quindi a maggior ragione va disposta la misura.
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