Con la sentenza n. 22266 del 7 dicembre 2012 le Sezioni Unite della Cassazione hanno respinto il ricorso di un avvocato che era stato condannato per il reato di esercizio abusivo della professione, per essersi lo stesso avvalso dell’aiuto professionale del fratello, anch’egli avvocato ma non più iscritto all’albo da tempo.
Tale condotta, avvisano i giudici, integra anzitutto un illecito disciplinare: il codice deontologico non prevede infatti che le pratiche che vengono affidate ad un professionista sulla base di un rapporto di fiducia possano essere poi gestiste da altri collaboratori dello studio.
Sotto il profilo invece, va specificato che agevolare l’esercizio abusivo della professione non vuol dire soltanto far discutere la causa a un soggetto non abilitato ma anche affidargli dei compiti a studio riservati ai soggetti iscritti all’albo professionale.
Il collegio di legittimità ha condiviso le valutazioni fatte dal Consiglio Nazionale forense che aveva confermato la sanzione nonostante l’opposizione da parte del legale.
E non possono trovare accoglimento quelle motivazioni per le quali gli atti vietati a chi non è iscritto all’albo sono solo quelli davanti ad un giudice, in netto contrasto con una serie di precedenti giurisprudenziali che confermano che per integrare il delitto di cui all’articolo 348 del codice penale è sufficiente che il soggetto non abilitato curi pratiche legali dei clienti e predisponga ricorsi, anche senza comparire in udienza.
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