Non è esigibile, affinchè il comportamento del creditore sia ritenuto conforme all’ordinaria diligenza, il necessario esperimento da parte sua degli ordinari rimedi giurisdizionali di impugnazione ma è sufficiente che l’amministrazione sia stata messa in condizione, tramite un apposito “avviso di danno” consistente nell’invito all’autotutela, di ritornare sul proprio atto
deve considerarsi dimostrato anche l’elemento della colpa data la negligenza ed imperizia dell’amministrazione valutabile alla stregua delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per non aver condotto i necessari approfondimenti istruttori circa l’imposizione delle contestate prescrizioni e per non avere essa dimostrato che l’errore fosse addebitabile a fattori esterni
La questione della pregiudizialità della domanda di annullamento dell’atto illegittimo rispetto all’azione di risarcimento del danno, già risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in favore della autonomia delle azioni e della proponibilità della domanda di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo anche in difetto di previa domanda di annullamento dell’atto lesivo (Cass. SS.UU. ordd. 13659, 13660 e 13911 del 13.6.2006), è ora disciplinata dal codice del processo amministrativo, che all’art. 30 prevede che l’azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma entro il termine di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.
Pur non essendo detta disposizione applicabile direttamente ad una fattispecie risalente ad epoca anteriore alla sua entrata in vigore (16 settembre 2010), seguendo l’indirizzo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato espresso nella decisione 23.3.2011, n. 3, il Collegio reputa di estendere la disciplina da essa desumibile – ad eccezione del termine di decadenza, evidentemente inapplicabile ratione temporis – anche alla presente controversia, in quanto ricognitiva di principi appartenenti ad un quadro normativo precedente all’entrata in vigore del codice.
Ne discende che la domanda di ristoro di un danno patrimoniale derivante dalla lesione dell’interesse pretensivo diretto ad ottenere la concessione edilizia scevra dalle quattro condizioni giudicate illegittime, proposta entro il termine quinquennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2947 cod. civ., è da considerarsi , pure in assenza della previa domanda di annullamento dell’atto lesivo, ammissibile.
Occorre a questo punto accertare, ai fini della valutazione della fondatezza della domanda, anzitutto l’antigiuridicità dell’atto che si assume lesivo, in riferimento alle prescrizioni apposte come condizioni al rilascio della concessione edilizia.
Passaggio tratto dalla decisione numero 6296 del 29 novembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato
Venendo alla verifica della sussistenza del nesso di causalità, occorre accertare se la domanda di risarcimento sia da dichiararsi comunque infondata, come richiesto dal Comune di Oria, a causa della rilevanza sostanziale , sul versante causale, della mancata impugnazione dell’atto lesivo, da considerarsi come fatto valutabile ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale ipotetico prognostico, sarebbero stati evitati attraverso una tempestiva impugnazione ed una richiesta cautelare di sospensione dell’atto lesivo.
A riguardo soccorre il comma 3 del citato art. 30, secondo cui “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti” nell’interpretazione fornitane dalla citata decisione dell’Adunanza Plenaria n.3/2011, in cui si legge che “la latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela ed al comportamento complessivo consente di soppesare l’ipotetica incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso , ma anche dell’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’autotutela amministrativa (cd. invito all’autotutela).”
Non è allora esigibile, affinchè il comportamento del creditore sia ritenuto conforme all’ordinaria diligenza, il necessario esperimento da parte sua degli ordinari rimedi giurisdizionali di impugnazione: ciò sarebbe contrario alla ratio della norma di cui all’art. 30, che ha escluso la necessità di previa impugnazione dell’atto ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno patrimoniale, nonché alla lettera del comma 3, che chiaramente si riferisce a “strumenti di tutela”, non già di “tutela giurisdizionale” e comunque non li considera ineluttabili (“anche attraverso…”).
E’ sufficiente che l’amministrazione sia stata messa in condizione, tramite un apposito “avviso di danno” consistente nell’invito all’autotutela, di ritornare sul proprio atto, assolvendo, in un regime di risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo, l’obbligo ( o, meglio, l’onere) di annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo (art. 21-nonies l.n. 241 del 1990), al fine di evitare di incorrere nella condanna al risarcimento del danno anche per le spese ulteriori sostenute dal privato (Cass. Sez. III, 3 marzo 2011, n. 5120).
Nella specie, il ricorrente ha tenuto un comportamento rispondente al canone di ordinaria diligenza preordinato ad evitare il danno, dapprima comunicando con raccomandata 13.11.2002 all’amministrazione , analiticamente, le ragioni per le quali riteneva ciascuna delle quattro prescrizioni illegittime – nel contempo accettando le rimanenti – con avviso degli “ingenti danni economici” subiti per effetto dell’atto, e trasmettendo, poi, atto stragiudiziale di diffida in data 25.9.2004 a provvedere entro dieci giorni alla revoca delle quattro condizioni in quanto illogiche, arbitrarie ed irrealizzabili.
La sostanziale rinuncia a perseguire la realizzazione del progetto, anche omettendo di impugnare l’atto lesivo, può allora essere semmai considerata in sede di quantificazione del danno risarcibile, ma non certo come causa di esclusione del risarcimento.
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